Episodio 1: Nel cuore dell’enclave celeste
Nahiri stava analizzando l’enclave celeste davanti a sé, fluttuante, imponente e in rovina. Si ricordava i giorni in cui era splendida.
Si trovava sull’orlo di uno degli impossibili precipizi di Akoum, uno spuntone di roccia che si estendeva come un lungo dito non soggetto alla forza di gravità. Poco davanti ai suoi piedi vi era una distesa di lava, che generava un flusso d’aria rovente in cui veniva trasportato l'aroma del metallo fuso. Antiche roccaforti kor come questa avevano iniziato ad apparire nei cieli sopra ogni parte di Zendikar subito dopo la guerra contro gli Eldrazi. Improvvisamente, dopo essere rimaste perdute per secoli, queste imponenti e sgretolate strutture hanno iniziato a rivelarsi di nuovo. Insieme a loro, sono tornati alla luce i segreti celati al loro interno.
Nahiri sorrise. Grazie a quei segreti avrebbe potuto cambiare il mondo.
"Mi ricordo di te", disse all’enclave celeste che fluttuava di fronte "e anche del tuo immenso potere."
Era solo questione di raggiungere le rovine. Nahiri sollevò le braccia, pronta a iniziare a plasmare la roccia, desiderosa di salire fino al cielo.
La sua mente era però troppo concentrata su ciò che era sopra di lei, nel suo futuro. Non poneva attenzione a ciò che stava accadendo al di sotto. Aveva ingenuamente creduto che sconfiggere gli Eldrazi avrebbe ridotto il caos di Zendikar.
Non si accorse quindi del Torbido.
Il Torbido iniziò a manifestarsi sotto forma di bolle nel campo di lava. Come un mostro che si risveglia, la tranquillità iniziale si trasformò rapidamente in un moto innegabile. Quello che era un semplice sussurro divenne un ruggito assordante e il Torbido scosse la terra, propagandosi attraverso le slanciate cornici di pietra e riempiendo l'aria con un calore e con ceneri così avvolgenti da togliere il fiato a Nahiri. Poi ci fu lo schiocco della terra che si frantumava e, senza alcun preavviso, la lastra di roccia sotto i suoi piedi si sgretolò.
La caduta fu inevitabile.
"No", sibilò mentre precipitava. "NO!" Era la maestra della litomanzia e la protettrice di questo piano e non si sarebbe fatta fermare da un semplice terremoto. Con un movimento armonioso, Nahiri roteò in aria e allungò le braccia, richiamando la roccia che era l’estensione del suo corpo.
La roccia rispose. La sua caduta libera rallentò e si arrestò a mezz’aria, fluttuando stabile. Afferrò il mulinello caotico di magma e di rocce sotto di sé e piegò gli elementi alla sua volontà. La sua volontà, non quella del Torbido. Convogliò quel potere, quell’energia grezza intorno a sé, e lo utilizzò per creare. Con la sua litomanzia fece ruotare flussi di lava, rocce isolate ed edri fuori asse, muovendosi come una ballerina. Dopo pochi scatti dei polsi, un pilastro iniziò a plasmarsi e a crescere verso l’alto. Nahiri venne trasportata su di esso, volando insieme al pilastro che si sollevava nell’aria, sempre più in alto, finché il Torbido non si arrestò improvvisamente.
Solo in quel momento Nahiri iniziò a planare, sempre trasportata dalla sua creazione, avvicinandosi all’enclave celeste. Sorrise, osservando il terreno infido sotto di sé.
"La vittoria è mia", disse sforzandosi di trarre piacere dall’idea. Era però una vittoria amara. Il Torbido era il sintomo di una profonda malattia che stava attanagliando Zendikar. Una malattia che Nahiri aveva appena fatto involontariamente dilagare ancor di più.
Ultimamente, il senso di colpa per i suoi fallimenti la stava tormentando.
La roccia le aveva sempre comunicato quando nelle vicinanze era presente un altro planeswalker. Nonostante la roccia le avesse sussurrato il suo avvertimento, questa volta Nahiri non si voltò. In quel momento, su quel pilastro nel cielo, qualcuno era proprio dietro di lei.
"Akoum è sempre splendido
"Non esiste nulla che io non possa gestire", le rispose Nahiri. Non era sicura che fosse la verità, ma non lo avrebbe mai ammesso.
"Non è questo. Io
"Vedo che non mi conosci", rispose Nahiri con uno sprazzo di risentimento.
Nissa sollevò una mano pacificatrice. "Non avevo intenzione di offenderti. Ti ho vista all’opera durante la battaglia contro Nicol Bolas. Il modo in cui controllavi la roccia. Era stupefacente."
"Eri là?" Chiese Nahiri, raddrizzandosi per il complimento. "Oh, vero, l’albero. Ora ricordo." Nissa si fece rossa per la vergogna. Quell’incontro non ebbe un lieto fine per l’antico albero di Ravnica.
Nahiri riportò lo sguardo in alto, verso l’enclave celeste. "Esistono alcune battaglie che vorrei non dover più affrontare."
"Vero", rispose Nissa, "così come esistono battaglie che devono essere affrontate." Stava serenamente studiando Akoum, in ogni direzione al di sotto di loro, vasto e tumultuoso, ma l’emozione veniva svelata dalla voce. "Perché mi hai chiesto di venire qui, Nahiri?"
"Quando ero giovane, questa terra era pacifica. Non c’era nulla di tutto questo." Nahiri fece un gesto verso il terreno, arricciando il naso in un’espressione di disprezzo. Lontano sotto di loro, dalla lava avevano ricominciato a formarsi bolle, preannunciando un altro terremoto causato dal Torbido. "Gli Eldrazi hanno causato un indicibile danno a questo piano."
La sensazione di rimorso investì di nuovo Nahiri. Non avrebbe mai dovuto dare ascolto a Ugin e Sorin. Avrebbe dovuto trovare un piano diverso su cui intrappolare gli Eldrazi alcuni millenni prima.
"Sì", aggiunse Nissa. "Percepisco il dolore di Zendikar. Mi tormenta." Il suo sguardo era rivolto all’orizzonte e il suo volto mostrava una profonda sofferenza.
"Potrei avere una soluzione", rispose Nahiri, facendo un cenno con la testa verso l’enclave celeste. "Una soluzione in grado di guarire Zendikar."
Nissa strabuzzò gli occhi. "Tu?", esordì all’improvviso per la sorpresa, per poi aggiungere imbarazzata "Scusa, in effetti, non hai la reputazione di una guaritrice. Dopo ciò che hai fatto su Innistrad
Nahiri sollevò un sopracciglio. "Parla proprio chi ha liberato gli Eldrazi."
"Io non ho..."
L’elfa balbettò e Nahiri sollevò una mano.
"Abbiamo entrambe compiuto azioni che hanno portato a gravi danni. Cerchiamo di porre rimedio, per quanto ci è possibile."
Nissa arrossì e annuì. "Perché adesso? Voglio dire, sei abbastanza adulta
da ricordare quando questa enclave celeste è stata costruita, pensò Nahiri.
Nahiri esitò. "Per quanto lontano io abbia viaggiato", rispose infine, "o quanto tempo io abbia vissuto, questo luogo per me è sempre stato
"come casa", completò sommessamente la frase Nissa.
Il labbro di Nahiri si sollevò dalla sorpresa. "Vero." Indicò l’enclave celeste davanti a loro. "Le nostre risposte sono là dentro." Sorrise in modo malizioso. "Vediamo chi arriva in cima per prima? La migliore abitante di Zendikar vince."
Nissa non rispose. Riuscì solo a mostrare un sorriso subdolo, per poi allargare le braccia e lanciare degli spessi rampicanti verso l'alto. I rovi scattarono verso l’enclave celeste, quasi troppo rapidamente per poterli seguire con lo sguardo.
Ma non più rapidi di Nahiri.
Con un gesto solo accennato, utilizzò la sua litomanzia per creare una scalinata e si mise a correre a gran velocità, con un ampio ghigno dipinto sul volto. Si voltò per un attimo e vide Nissa faticare per reggere il passo, rimanendo sempre più indietro, e si mise a ridere. In quel luogo la vegetazione non avrebbe potuto aver la meglio sulla roccia.
Nahiri non commetteva spesso errori e ancor più raramente li ripeteva. Un vantaggio di millenni di esperienza. Ma il Torbido, quel dannato Torbido
Il terreno inizio a tremare di nuovo e le vibrazioni si fecero più sonore e più forti, fino a far formare crepe sotto i piedi di Nahiri. Cercò di scattare, ma non fu sufficientemente rapida. La scalinata si sbriciolò all'improvviso e Nahiri si ritrovò a precipitare.
Ristabilì il contatto con la roccia, pronta a sedare il Torbido una seconda volta, quando venne afferrata al petto da qualcosa che interruppe la sua caduta.
"Presa", sussurrò Nissa. Una sua mano era distesa, mentre l’altra si avvolgeva salda intorno al bastone. Nahiri abbassò lo sguardo e scoprì di essere stata salvata da un rampicante.
Si infuriò silenziosamente, mentre il rampicante di Nissa la sollevava e la poneva delicatamente su un’improvvisata scala di rovi.
"Grazie", disse senza incrociare lo sguardo con quello di Nissa.
"Rivincita?" Chiese Nissa, nervosamente, guardandosi le mani. "La migliore abitante di Zendikar vince?"
"No, andiamo", rispose Nahiri con un tono che lasciava trapelare la frustrazione.
Mentre si arrampicavano in silenzio, Nahiri cercava di sopire il senso di colpa che cresceva a ogni passo.
Aveva trascurato il suo piano natale troppo a lungo.
Quando giunsero infine all’enclave celeste, il primo pensiero di Nissa fu un emblematico wow. Nonostante fosse in rovina, abbandonata e nascosta per secoli, quella fortezza volante conservava la sua bellezza mozzafiato. Tutto intorno a lei vi erano imponenti pilastri e arcate, resti di soffitti con intricate incisioni e pavimenti dai mosaici elaborati che componevano splendide immagini. Ovviamente erano anche presenti pietre fluttuanti, costruzioni in pietra piene di crepe ed edifici in rovina, ma Nissa poté assaporare quello che un tempo era stato un faro di civiltà.
Il secondo pensiero di Nissa fu saranno necessari anni per trovare qualcosa qui. Ora che vi erano finalmente giunte, comprese quanto un’enclave celeste fosse gigantesca. Si ritrovarono in una specie di antica corte e Nissa poté individuare una decina di arcate e di ingressi che portavano all’interno della fortezza.
"Qui devono aver vissuto migliaia di persone", disse Nissa.
"Decine di migliaia", commentò Nahiri spostandosi al suo fianco.
Nissa esitò, temendo di infastidire Nahiri con la domanda che avrebbe voluto porle, infrangendo così ogni possibilità di creare un legame con quella antica Kor dal forte carattere. Non che Nissa avesse un talento nel costruire i rapporti con le altre persone. Sembrava che, più lei cercava di stabilire un legame con qualcuno, più grandi erano i pasticci che combinava. Desiderava che esistessero più persone come Gideon, con quell'atteggiamento sicuro di sé e quel solido fascino.
Allora, cosa farebbe Gideon? si chiese. Inizia a comportati come lui, se vuoi essere più come...
Come era lui un tempo. Il dolore per la sua morte la investì improvvisamente, come un’onda nella burrasca.
Gideon non esiterebbe.
Nissa fece allora un respiro profondo e chiese "Nahiri, come riusciremo a trovare ciò che stiamo cercando in questo luogo immenso?"
Le labbra di Nahiri si mossero per il divertimento. "Iniziamo a cercare." Si incamminò, balzando agilmente per superare le crepe nel pavimento e le zone dove semplicemente si aprivano voragini sul cielo sottostante.
"E cosa stiamo cercando, esattamente?", chiese Nissa mentre cercava di raggiungerla.
Nahiri esitò. "Lo saprò quando me lo troverò davanti."
Nissa sentì un colpo al cuore. "Non sai cosa cercare?"
Nahiri schiuse le labbra per rispondere, ma quel dannato Torbido non smetteva di disturbarle.
Altre onde di perturbazione scossero l’enclave celeste. Nissa fece un passo indietro, circondata da antiche rocce che stavano iniziando a muoversi e a creparsi. Preparò il suo bastone, pronta a generare una rete di salvataggio di rampicanti.
Nahiri fu più rapida.
Allargò le braccia e aprì le mani per tenere insieme la struttura della fortezza con quella che sembrava essere una pura forza di volontà, sebbene Nissa si rendesse conto dell’aiuto della litomanzia.
Dopo che il rombo si fu arrestato, Nahiri scosse il capo, come se il Torbido le avesse fatto un affronto personale.
"Non so con certezza ciò che stiamo cercando", disse scattando in avanti, con un filo di rabbia nella voce. "Gli antichi Kor non erano propriamente desiderosi di fornire istruzioni nei loro testi...", si interruppe all'improvviso nel mezzo di un ampio mosaico al centro della corte. Si accovacciò e appoggiò una mano sul pavimento. "La pietra mi dirà qualcosa in più." Nahiri chiuse gli occhi e Nissa attese, insicura sul da farsi. Dalla sua posizione non riusciva a comprendere ciò che quella figura potesse rappresentare.
Jace saprebbe cosa fare, pensò, per poi disfarsi rapidamente di quel pensiero. Non voleva che la sua mente andasse a Jace o alla battaglia con Nicol Bolas e al prezzo che Ravnica aveva dovuto sopportare o allo stato di devastazione dei Guardiani o alla morte di Gideon o a Chandra.
Soprattutto non a Chandra.
Dopo un minuto, Nahiri riaprì gli occhi e si rialzò in piedi. "Tutto il meglio è nascosto nel cuore", disse Nahiri con un ghigno in volto. Indicò un'arcata particolarmente oscura e minacciosa. "Quella sembra essere una direzione promettente da prendere. Andiamo."
"Come facciamo a capire di aver preso la direzione giusta?" Ora che Nahiri si era spostata dal centro, Nissa poté vedere che quel mosaico raffigurava un sole, con raggi che si irradiavano dal centro. O qualcosa di simile a un sole.
Nahiri era già molto più avanti, ma la udì e le rispose "Quando qualcosa cercherà di mettersi sul nostro cammino."
Nissa si fermò, con il cuore che le batteva all’impazzata. Improvvisamente, questa spedizione si era tramutata in una pessima idea. E se i suoi tentativi di aiutare Nahiri avessero portato solo a ferire ancor di più Zendikar? Sembrava uno dei tanti errori del suo passato. Ancora una volta, si ritrovava a seguire gli ordini di qualcuno. Quando sarebbe mai cambiato?
Che cosa avrebbe fatto Gideon?
"Avrebbe cercato di aiutare in ogni modo possibile", sussurrò Nissa a se stessa, "ma non avrebbe seguito ciecamente Nahiri."
Zendikar era la sua casa. Non Ravnica e non altri piani. Lei apparteneva a questo mondo ed era la voce della sua anima. Aveva la responsabilità di quel mondo e di tutti i suoi esseri viventi.
Nissa trasse un profondo respiro, strinse con forza il bastone e si incamminò di nuovo.
Dall’esterno, la vecchia enclave celeste appariva piatta e ampia, come un arcipelago di rocce che fluttuavano a mezz’aria. Dall’interno sembrava invece inquietante e senza fondo. Nahiri tenne una mano appoggiata al muro mentre scendeva lungo quella via, a volte con semplici scalini e a volte rivelando altri passaggi verso chissà quali misteri.
Nahiri non si faceva tentare dalle insidie dell’enclave celeste. La pietra sotto la sua mano le sussurrava di un grande potere e Nahiri aveva ogni intenzione di essere colei a scoprirlo e farlo suo. Dietro di lei, Nissa si muoveva quasi silenziosamente, in modo degno della figlia della foresta che era. A volte il suo bastone schioccava contro una pietra o lei emetteva un leggero sospiro quando un leggero fascio di luce penetrava attraverso una crepa e illuminava ciò che si trovava intorno a loro.
Continuarono a scendere fino a giungere nei saloni principali degli antichi Kor, dove si radunavano a migliaia e mettevano in mostra la loro ricchezza e le loro doti artistiche. Quei saloni lo riflettevano. Letteralmente. Quando un raggio di luce riusciva a raggiungere quelle superfici, ciò che si poteva osservare era lo splendore delle gemme rare. I soffitti erano alti e mozzafiato e gli intagli sui pilastri intricati e curati.
Nahiri dovette ammettere a se stessa che sì, era davvero uno splendore. Era però anche un doloroso promemoria di tutto ciò che quel piano aveva perso. Mentre ne esploravano le viscere, il Torbido continuava a far tremare quell'antica fortezza; un costante e fastidioso ricordo che Nahiri, la guardiana di Zendikar, aveva fallito nel suo compito di proteggere la sua casa.
Nahiri evitò quindi di osservare troppo da vicino quegli imponenti saloni e quei magnifici intagli. Proseguì sul suo cammino, tenendo lo sguardo di fronte a sé.
La via si arrestava bruscamente di fronte a un paio di enormi porte scardinate.
"Sembra che siamo giunte a un vicolo cieco", disse Nissa avvicinandosi e appoggiando una mano sulla porta.
"Forse dal tuo punto di vista", rispose Nahiri mettendosi in posizione. "Stai indietro."
Con un poderoso movimento, Nahiri unì le mani in un sonoro schiocco e le gigantesche porte si spalancarono, emettendo un rombo al contatto con le pareti di pietra ai loro lati.
"Possiamo andare", disse Nahiri incamminandosi verso la soglia. Sentì dentro di sé la tensione aumentare, mentre i sussurri della pietra la seguivano. Oltre quella soglia si trovava una profonda oscurità, in quell’ingresso verso l’ignoto.
Nahiri non aveva alcuna intenzione di fermarsi. Non giunta a quel punto.
"Aspetta", gridò Nissa da dietro di lei, "c’è un..."
Qualcosa di rapido e rigido andò a sbattere contro Nahiri e la bloccò contro la parete. Gemette, ma ordinò immediatamente alla pietra dietro di sé di rispondere a quel colpo.
La pietra lo fece, con un colpo rapido e preciso contro qualsiasi cosa la stesse bloccando e togliendo il respiro. Una volta libera, Nahiri si piegò su un fianco e si rialzò con un movimento fluido. Strinse le mani e digrignò i denti. La rabbia stava raggiungendo il massimo.
Con un semplice pensiero, Nahiri evocò sette spade che irradiavano calore e splendevano di un rosso intenso come se fossero state appena estratte da una forgia. Fluttuavano intorno a Nahiri, donandole una specie di irriverente aureola. In aggiunta, emettevano luce, svelando l’identità dell’assalitore.
Di fronte a lei, pesante e furioso, si trovava il più massiccio felidar che avesse mai visto.
Il corpo senza peli era ricoperto da sporgenze taglienti e le mastodontiche corna si incurvavano sul suo gigantesco capo. Gli artigli schioccarono e la belva balzò di fronte a lei, con enormi canini viscidi dalla saliva prodotta per la trepidazione di quel piatto di carne fresca che si trovava di fronte.
"Non esiste proprio", ruggì Nahiri scagliando le sette spade direttamente verso il cuore della creatura. Il felidar barcollò all’indietro e, tra con le zampe e quella particolare armatura di sporgenze, riuscì a proteggersi dall’attacco.
Ringhiò e scattò verso Nahiri con una rapidità inquietante, divaricando le fauci.
Prima di giungerle addosso, il felidar rimase intrappolato a mezz’aria. Nahiri impiegò qualche istante prima di accorgersi che Nissa si trovava tra lei e quella bestia nauseante e la stava respingendo con una forza che non avrebbe immaginato.
"Non ci provare", grugnì Nissa mentre i rovi si attorcigliavano intorno al corpo del felidar. La bestia riuscì però a divincolarsi e rialzarsi e iniziò a menare fendenti con le zampe. Uno raggiunse Nissa a una spalla e la scagliò a terra con un sonoro tonfo.
Nissa era riuscita a dare a Nahiri il tempo sufficiente per plasmare delle catene di pietra e ad attorcigliarle intorno al furioso e distratto felidar. Con un urlo, Nahiri fece un gesto rapido di un braccio e le catene di pietra si strinsero di colpo e imprigionarono il mostro al pavimento,
"Beccati questo", ringhiò Nahiri abbassandosi e allargando le dita. Dietro di lei riapparvero le sette spade incandescenti. Con un ghigno e uno scatto delle dita, Nahiri fece affondare le sette lame nel felidar, assicurandosi di colpire i punti vitali.
La creatura emise un lungo e terribile gemito e poi smise di muoversi.
Nahiri si diresse dove Nissa si stava rialzando da terra e le offrì una mano per aiutarla a rimettersi in piedi.
"Sembrava che il felidar ci stesse aspettando", commentò Nissa massaggiandosi la spalla.
"Probabilmente sì", rispose Nahiri mentre plasmava un’altra spada rovente per illuminare il cammino. "Era a guardia di qualcosa." Sorrise e spinse la spada verso l’oscuro corridoio. "Andiamo a scoprire di cosa."
Continuarono l’esplorazione dell’enclave celeste, ma quella sensazione di disagio come di essere in qualche modo sulla via sbagliata non abbandonò Nissa. Nonostante le rassicurazioni di Nahiri, non si sentiva ancora sicura. Poteva percepire la forza vitale del piano che ronzava nella sua mente. Era un suono insicuro. O forse la causa di quell’insicurezza era semplicemente lei?
Fortunatamente non si scontrarono con altri famelici felidar.
Il passaggio oscuro che avevano scelto scendeva sempre più in basso. In alcuni momenti il Torbido divampava, come se stesse seguendo i loro passi.
Fino al momento in cui si acquietò.
L’enclave celeste si aprì in una sala dall’aspetto di una caverna. Vi erano delle arcate lunghe, sottili e contornate d’oro che avevano la funzione di passaggi, intersecandosi e zigzagando come la rete di un ragno. La voragine al di sotto di questi passaggi sembrava non avere fondo, ma si potevano intravedere sperduti raggi di luce che riuscivano a penetrare con angolazioni precise. L’aria aveva un aroma stantio e ammuffito che, per il sollievo di Nissa, era dovuto a muschio e felci che erano cresciuti in alcune nicchie.
Nissa sorrise e andò verso un insieme di felci che stavano crescendo su un’improbabile zolla che si era formata su una parete. Questo era lo Zendikar che conosceva e amava, anche in questa bizzarra e defunta fortezza kor.
Nahiri era invece accigliata, non avendo le idee chiare sui passi successivi. Nissa comprese che il motivo doveva essere la mancanza di una chiara via. Nahiri si accovacciò e appoggiò una mano su pavimento, poi chiuse gli occhi. Rimase in quella posizione per un lungo minuto.
Assunse infine un’espressione contrariata. "La roccia non mi rivela quale direzione prendere."
"Perché no?", chiese Nissa. Non credeva che la roccia potesse negare una richiesta a Nahiri.
Scrollò le spalle in un gesto per minimizzare il problema. "Siamo vicine. Potremmo anche scegliere una via a caso."
Nissa esitò. Non sembrava essere la soluzione migliore.
Che cosa avrebbe fatto Gideon?
"No", disse Nissa con tono calmo.
"Come?" Nahiri si voltò verso di lei, con un’espressione sorpresa.
"Aspetta..."
Nissa si accovacciò di fianco a una delle felci. Le foglie erano larghe quanto lei, ma i fiori erano minuscoli, delicati e di colore blu.
"Come può una pianta essere rigogliosa in questo posto?", chiese Nahiri, avvicinandosi.
Nissa sorrise. "Saresti sorpresa da quanta vita possa diventare rigogliosa in ogni angolo di questo piano."
"Come..."
Nahiri fece per parlare di nuovo, ma Nissa la interruppe. Appoggiò una mano sulla parte superiore della felce, come se fosse la mano di un genitore sul capo di un figlio. Chiuse gli occhi e percepì la vita al di sotto delle proprie dita, le difficoltà e l’orgoglio per essere sopravvissuta in un luogo talmente inquietante. Nissa non poté che sorridere al pensiero di tanta forza e orgoglio. Lo chiamò a sé.
Udì Nahiri sussultare nel momento in cui l’elementale prese forma. Era un essere imponente, alto il doppio di lei, verde e vivace come la sua forza vitale, con un ammasso di fronde come testa e una sottile catena di fiori blu a intrecciare braccia e collo.
"Che cosa è quello?", chiese Nahiri, facendo un passo indietro.
"Un amico", rispose Nissa nel momento in cui l’elementale si inginocchiava per portarsi al livello dei suoi occhi. Non le avrebbe spiegato che, prima di diventare planeswalker, prima di unirsi ai Guardiani, queste erano state le prime creature ad accettarla per come era.
Afferrò la mano a sei dita dell’elementale, vide nei suoi occhi il suo amore per lei e, per la prima volta dopo tanto tempo, Nissa provò una sensazione di appartenenza.
"Abbiamo bisogno di trovare il cuore dell’enclave celeste", disse Nissa all’elementale. "Puoi aiutarci?"
L’elementale sbatté lentamente le palpebre e si risollevò con un gemito, riportandosi alla sua imponente altezza per guidare Nissa, mano nella mano.
"Possiamo andare", disse Nissa dietro di sé. Con la coda dell’occhio vide Nahiri a bocca aperta e faticò a trattenere una risata.
L’elementale di felce le guidò attraverso il labirinto di arcate, fermandosi solo nei momenti più intensi del Torbido, in cui Nahiri doveva utilizzare i suoi poteri per mantenere salde le volte. Non esitò mai a lungo, come se sentisse il richiamo di qualcosa all’interno di quella reliquia di fortezza.
Giunsero infine su una piattaforma, di dimensioni ridotte e con uno stretto ponte che portava a un ingresso non illuminato. Nissa fece per attraversarlo, ma Nahiri la afferrò una manica.
"Aspetta...", sibilò indicando "guarda."
Nissa seguì il dito di Nahiri e vide sul soffitto un gigantesco geopiede che rimaneva sospeso grazie a una forza invisibile. Il suo lungo carapace si contorceva per liberarsi da quegli invisibili vincoli, offrendo alle due planeswalker una visione molto chiara delle centinaia di gambe che si dimenavano.
Nissa sussultò. I geopiedi le ricordavano in modo fulgido i serpenti. Come un serpente gigante con tanti piccoli serpenti al posto delle zampe. "Hai un’idea di cosa potrebbe far scattare la trappola?"
"No", rispose Nahiri, "manda in avanscoperta quell’affare di foglie."
"Non chiamarlo così", le rispose Nissa in modo deciso. Perché nessuno riesce a comprendere che gli elementali sono esseri viventi con dei sentimenti? O che non sono semplici strumenti da evocare, utilizzare e lasciar morire a comando? No, Nissa non lo avrebbe mai mandato verso la morte. Si voltò verso l’elementale. "Pensi di riuscire a disarmarla?", gli chiese facendo un cenno con la testa verso la trappola.
L’elementale apparve dubbioso, con gli enormi e splendenti occhi che si spostavano tra lei e la creatura che si dimenava sopra di loro.
"Non gli permetterò di farti del male." Nissa sollevò una mano e un groviglio di rovi formò una rete di contenimento al di sotto del geopiede. Con delicatezza, l’elementale sollevò le gigantesche mani composte da foglie e tastò il ventre del geopiede. La creatura sibilò e si contorse.
Per un istante, la trappola invisibile non scattò.
Poi quell'attimo terminò. L’imponente creatura si ritrovò libera.
Appena colpì la rete, Nissa chiuse il pugno e i rovi scattarono tutto intorno al mostro. Tirò il braccio all’indietro e i rampicanti strattonarono il geopiede verso terra, scaraventandolo contro il pavimento. Il mostro urlò e fece un movimento brusco. Poi si fece immobile ed emise l’ultimo sospiro.
Nissa si lasciò andare a un sorriso. Beccati questo, imitazione di serpente.
Ciò che non si aspettava era che Nahiri lo colpisse di nuovo con un pugno di pietra. Nissa e l’elementale fecero un balzo per la sorpresa.
"Che?", chiese Nahiri, con un ghigno in volto. "Questo è Zendikar. Non è facile uccidere chi è nato su questo piano."
Per un attimo, Nissa fu tentata di discutere. Non riusciva a non ripensare alla sua prima dimora a Bala Ged e a come la maggior parte della sua tribù e tutto ciò che conosceva erano stati spazzati via così facilmente dagli Eldrazi.
Poi si rese conto che Nahiri si riferiva a loro due, le due planeswalker di Zendikar.
Nissa ritrovò il sorriso. Forse stavano davvero per guarire quel piano. Insieme. "Hai ragione. Andiamo a prenderci il cuore di questa enclave celeste."
Il cuore dell’enclave celeste era raggiante. Ogni superficie era coperta da antiche rune, ogni centimetro delle pareti di roccia, il pavimento e il soffitto. Le rune splendevano di una luce dorata che pulsava al rumore dei passi delle due planeswalker appena entrate. L’elementale di felce di Nissa... o la mostruosità di felce, in base alla descrizione di Nahiri... le seguiva.
Ciò che interessava a Nahiri non erano però quelle rune, bensì il palco al centro di quella stanza, nel cuore del cuore. Nel centro si trovava un piccolo riquadro che brillava come una stella.
"Che cos’è questo?", chiese Nissa di fianco a lei.
Nahiri sorrise. Era incoraggiante. Molto incoraggiante. Le forniva una sensazione di speranza che non aveva provato da molto tempo. "Una chiave", rispose
"Una chiave per aprire cosa?"
"Una chiave per il vero potere che stiamo cercando."
Nissa aggrottò la fronte. "Avevo capito che tu ritenessi di poter trovare qualcosa per guarire Zendikar."
"Ho detto che le antiche scritture dei Kor non sono sempre chiare", iniziò a rispondere Nahiri in modo spiccio, "ma l’oggetto che cerchiamo è al tempo stesso potente e pericoloso. È
L’elementale di felce si mosse in maniera disagiata e Nissa apparve scettica. "Come fai a saperlo?", chiese.
"È scritto qui", rispose Nahiri avvicinandosi al palco. Le rune brillarono più intense, sempre più intense al suo avvicinarsi, come se la stessero invitando. "Nelle scritture intorno a noi."
Nissa la seguì. "Sai leggere le rune?"
"Certamente", rispose Nahiri, "Io sono un’antica Kor."
"Oh. Vero." Nissa arrossì e rimase indietro insieme al suo essere di felce, mentre Nahiri continuava ad avvicinarsi a quel palco. Udì Nissa sussurrare, "Resta qui vicino a me."
Giunta ai piedi della piattaforma, le rune intorno a Nahiri si illuminarono intense e poi si affievolirono. Di fronte, la chiave splendeva intensamente, come se le stesse dando il benvenuto. Non cercò subito di afferrarla. Pose invece la mano sul freddo marmo ai lati della chiave e ascoltò la roccia, analizzò il potere e si mise alla ricerca di trappole.
Non ne individuò nessuna.
Lentamente e delicatamente, Nahiri avvicinò la mano alla chiave e la afferrò.
Una volta nella sua mano, la chiave brillò ancora più rovente, come se stesse salutando una vecchia amica.
"Bene, ora che abbiamo la chiave", disse Nissa, "immagino che dovremo trovare il lucchetto."
"Sì", rispose Nahiri inclinando la testa come in un pensiero. "Le rune parlano di Murasa. Laggiù si trova un’altra enclave celeste."
"Mai qualcosa di facile, vero?", commentò Nissa con un sospiro, "Che altro dicono le tue rune?"
"In questa stanza si trova un po’ del potere del nucleo", rispose Nahiri, "come anche in questa." Indicò la chiave. "Io..."
La sua frase si arrestò. Aveva di nuovo percepito il tenue brontolio del Torbido. Nonostante si trovassero chilometri sopra il suolo, aveva mantenuto alta l’attenzione. Imparato a prevedere anche gli eventi imprevedibili.
Nahiri serrò i denti. Il Torbido, quel dannato Torbido.
Osservandola in volto, poté notare che anche Nissa l’aveva percepito. "Fammi vedere", disse Nissa.
Nahiri pronunciò le parole in quell’antico linguaggio che non utilizzava da millenni. Sentì il potere risalire da sotto i suoi piedi e rispondere al suo richiamo. Una volta attinto quel fresco potere, lo scatenò verso il terreno in movimento.
Una luce accecante invase la stanza e Nahiri si coprì gli occhi. Molto più in basso, percepì l’esitazione del Torbido e poi, come un mostro trafitto al cuore, il Torbido sussultò e si arrestò completamente. Udì rumori come di cigolii intorno a sé e sentì l’enclave celeste ricongiungersi, ma non completamente. Le rune non avevano tutto quel potere. Quell'antica fortezza in rovina stava cercando di guarire le proprie ferite.
Nahiri fu invasa da felicità e si strinse la chiave al petto. L’aveva trovata. Aveva trovato un modo per curare Zendikar.
All’improvviso, dietro di lei udì l’essere di felce emettere un intenso grido.
"No!", urlò Nissa. Aveva percepito il dolore dell’elementale ancor prima di comprendere ciò che stava accadendo. Ancor prima di vedere le sue verdi membra torcersi e avvizzire, ancor prima di udire il suo grido spezzacuore, ancor prima di vedere i suoi occhi brillanti spegnersi e ancor prima di vederlo sbriciolarsi.
Nissa attinse al suo potere, aprì le mani e cercò di impedire all’elementale di morire, ma senza alcun risultato. Tutto ciò che rimaneva era un mucchietto di cenere. "Che cosa hai fatto?", urlò Nissa a Nahiri.
"Che?", chiese Nahiri voltandosi. Nissa la vide con la chiave stretta al petto e sorridente, come se avesse appena vinto una battaglia. "Il Torbido si è fermato."
"Hai ucciso l’elementale!"
"La tua pianta?"
La mia famiglia fu ciò che Nissa non disse. Un pezzo di Zendikar. Poiché gli elementali erano Zendikar, se domare il Torbido con il nucleo significava la loro morte, allora Zendikar era di fronte a un pericolo mortale. Nissa osservò immobile le ceneri tra le mani, con rabbia e dolore che crescevano sempre di più dentro di lei. A causa di questo errore.
A causa di tutti i suoi errori.
Che cosa avrebbe fatto Gideon?
"Non avrebbe permesso che ciò accadesse di nuovo", sussurrò Nissa a se stessa sollevandosi in piedi e raddrizzando la schiena.
"Cosa?", chiese Nahiri, confusa.
"È davvero questa la tua soluzione?”, chiese Nissa. Non stava più urlando, ma la sua voce mostrava una silenziosa furia che spinse Nahiri a fermarsi ad analizzare la situazione.
"Guardati intorno, questa enclave celeste sta guarendo. Il Torbido sotto di noi si è interrotto e la terra si sta tranquillizzando. Le persone saranno in grado di ricostruire qualcosa qui!", disse Nahiri indicando l’enclave celeste in fase di riparazione.
"A discapito della vita di Zendikar", rispose a tono Nissa. Cercò di mettersi in contatto con le piante e il muschio che crescevano negli anfratti e nelle crepe dell’enclave celeste, ma non ottenne risposta. Nissa si rese conto che tutto ciò che era in vita in quella fortezza in rovina era morto.
"Tu non hai idea di come fosse Zendikar", le disse Nahiri con una voce colma di rabbia, "non sei a conoscenza di quanto fossero sorprendenti e floridi i suoi popoli."
"E tu non capisci com’è Zendikar adesso. È ancora splendido, Nahiri", rispose Nissa stendendo un braccio, "dammi la chiave."
Nahiri non rispose. Al contrario, serrò i denti, si mise in una posa ferrea e spalancò le braccia.
Nissa agì senza pensarci due volte, evitando di pochi centimetri i pilastri che erano improvvisamente sbucati dal pavimento. Evocò un ammasso di rampicanti per deviare la traiettoria delle spade di roccia che volavano verso di lei. Ordinò ai rampicanti di avvinghiare le caviglie di Nahiri e di farla cadere a terra.
Nahiri si ritrovò distesa, gemendo e imprecando. Prima che Nissa potesse attaccare di nuovo, la planeswalker eresse un muro di pietra che Nissa non avrebbe potuto superare neanche con rovi spessi come tronchi d’albero. La vegetazione colpì quel muro ripetutamente ma inutilmente.
Dopo pochi minuti, il muro tra loro divenne di vetro, rivelando un’ammaccata e furiosa Nahiri dall’altra parte.
"Non posso rimanere a guardare mentre questo piano viene fatto a pezzi!", urlò Nahiri, "Io sono la guardiana di Zendikar!"
Nissa osservò l’altra planeswalker e si rese conto di essere una sciocca a sperare che quell'antica e incurante persona potesse aiutarla a guarire la sua casa. "Anche io."
Che cosa avrebbe fatto Gideon?
Avrebbe cercato aiuto.
Su questo pensiero, Nissa viaggiò verso un altro piano.
Ravnica, il piano delle città. O, piuttosto, una enorme città che ricopriva l’intero mondo. Nissa poteva vederne la bellezza: le eleganti torri fluttuanti, le strade ricoperte di marmo, gli alberi che in autunno creavano un contrasto con il cielo grigio. Poteva ammirarne la bellezza e ricordare le vie devastate dalla guerra.
Ricordava ancora come era caduto lo spirito di Vitu-Ghazi.
Era meglio non farsi riconoscere, si disse, quindi non si soffermò nelle strade verso la dimora di Jace.
Venne accompagnata nel luogo sacro di Jace, con nulla più di un inchino educato e uno sguardo torvo da parte della guardia alla porta. Immaginava di meritare la rabbia dei cittadini di Ravnica. Nonostante ciò, le faceva male.
Forse Chandra aveva ragione. Forse lei era davvero un disastro vivente.
Nissa non voleva pensare a Chandra. Soprattutto ora che aveva bisogno dell’aiuto di Jace e degli altri.
All’interno del santuario, la sala era colma di libri e pergamene, con numerosi oggetti magici di cui non conosceva il nome sparsi in ogni angolo. La luce entrava attraverso un’alta finestra arcata, lasciando comunque alcuni angoli al buio. Nissa impiegò alcuni istanti per accorgersi di Jace appollaiato su una scala, sulla parete opposta, intento a leggere un libro dal ripiano più alto.
"Sarò da te tra un istante", le disse.
Nissa sapeva che "un istante” di Jace poteva variare da pochi secondi a un’ora. Era troppo nervosa per interromperlo, quindi attese.
"Nissa!", disse Jace quando si rese conto che la visitatrice era lei. "Perché non hai, voglio dire, pensavo che non avresti, insomma, perché", si interruppe, scivolò giù lungo la scala e si avvicinò a lei, "Ecco, sono contento di vedere che stai bene." Fece per abbracciarla, ricordando all’ultimo momento che lei non gradiva il contatto fisico. Ritirò la mano e le offrì un caldo sorriso.
Nissa venne colta di sorpresa. Pensava che lui sarebbe stato furibondo nei suoi confronti. Fortunatamente non lo era; al contrario, era felice di vederla e Nissa venne inondata da una sensazione di sollievo.
"Vieni, siediti", disse Jace invitandola verso un tavolo. "Che cosa posso fare per te?"
Nissa non era sicura di come iniziare, quindi andò subito al punto, "Zendikar è nei guai."
"Gli Eldrazi?", chiese Jace, allarmato.
"No, no", rispose rapidamente Nissa, "nulla del genere. Si tratta di Nahiri."
"Nahiri", commentò Jace aggrottando la fronte al punto da far unire le sopracciglia. "Ti riferisci all’altra guardiana di Zendikar?"
"Esatto", rispose Nissa. All'improvviso, provò una sensazione di sfinimento. Non era sicura di come avrebbe potuto spiegare tutta la situazione a Jace, che non aveva mai provato una connessione a una forza vitale. "Sta cercando di guarire il piano."
"Sì, mi hai accennato alla sua richiesta di incontrarti. Non riesco a capire. Non è ciò che desideri anche tu?"
"Sì, però c’è questo antico globo..."
"Elfico oppure kor?"
"Kor. Ma..."
Jace si stava già incamminando verso la libreria. "Credo di avere una pergamena a riguardo..."
"Jace! Ascolta", lo richiamò Nissa con più vigore di quanto avrebbe voluto. "Per favore."
Jace si fermò e apparve sorpreso, poi si sedette e annuì. Nissa provò una breve sensazione di orgoglio per questa vittoria. Jace non l’ascoltava mai. Forse cercare di emulare Gideon stava iniziando a funzionare.
Nissa narrò ciò che era avvenuto nell’enclave celeste di Akoum, ciò che Nahiri le aveva raccontato del nucleo litoforme e di ciò che era successo all’elementale di felce. Jace ascoltò in silenzio e con molta attenzione. Nissa dovette fermarsi e fare alcuni respiri profondi durante la descrizione della morte dell’elementale.
"Mi rendo conto che tu non hai alcuna connessione con gli elementali", continuò lei, "ma per me sono importanti. Non che i Guardiani non lo siano
"No, non riesco a comprendere gli elementali", le rispose Jace, "ma so che sono importanti per te. Come ti possiamo aiutare?"
Nissa sospirò, rincuorata. Provò un’ondata di gratitudine all’idea che, sebbene avesse una tendenza a rovinare le amicizie e i rapporti, avrebbe potuto contare su Jace e sugli altri in ogni momento di bisogno.
"Ecco, ho bisogno che Nahiri distrugga il nucleo litoforme quando lo troverà. E non so come convincerla a farlo"... le spalle di Nissa si incurvarono leggermente... "Mi manca Gideon. Lui sì che saprebbe far ragionare un’antica e furente plasmatrice di pietra."
Il volto di Jace mostrava un complesso insieme di emozioni. "Manca anche a me."
"Che cosa devo fare, Jace? Non penso di essere abbastanza forte per affrontare Nahiri da sola in battaglia, se mai ne fossi costretta."
Jace unì le dita e si mise a riflettere. "Se riuscissimo a portare il nucleo litoforme qui..."
"No!", disse Nissa, quasi sollevandosi dalla sedia. Jace la osservò sorpreso, così come anche Nissa rimase sorpresa dall’intensità della propria voce. "Tu non hai visto i danni che è in grado di causare, Jace."
"Hai ragione, ma se potessimo studiarlo", rispose Jace alzandosi in piedi e andando di nuovo verso la libreria.
"E chi sarà oggetto dei tuoi esperimenti?", chiese Nissa con una crescente agitazione. Lo stava perdendo.
"Ipotizzo che il nucleo litoforme sia in grado di incanalare il potere di Zendikar..."
"Jace!"
"In tal caso, quel potere potrebbe diventare malleabile..."
"Non è così semplice."
"Potrebbe dipendere dalla persona che cerca di manipolarlo?" Jace tirò fuori dalla libreria una pergamena. "Qua ci dovrebbe..."
"Non mi stai ascoltando!", urlò Nissa, mentre un rampicante faceva cadere la pergamena dalle mani di Jace. Lui fece un passo indietro, sorpreso.
Nissa sentiva il proprio volto avvampare dalla rabbia e il proprio cuore pompare contro il suo petto. Stava andando tutto a rotoli. Aveva perso i Guardiani e avrebbe perso anche gli elementali di Zendikar. Le sue famiglie.
Che cosa avrebbe fatto Gideon?
"Nissa, a cosa stai pensando?", chiese Jace, portandosi di fronte a lei e cercando di incrociare il suo sguardo.
Che cosa avrebbe fatto Gideon?
Gideon non avrebbe perso tempo.
"Non perderò entrambe le mie famiglie", rispose Nissa con un’espressione che si stava trasformando in qualcosa che andava oltre la determinazione. "Proteggerò la mia casa. Con o senza l’aiuto dei Guardiani."
"Aspetta..."
Jace iniziò a parlare, ma Nissa non poté attendere. Non era più in grado di attendere. Con un semplice respiro, un semplice movimento, un semplice pensiero, Nissa tornò su Zendikar.
L’unico luogo che avrebbe mai potuto chiamare casa.
Jace rimase da solo nel suo ormai vuoto santuario e rifletté.
Avrebbe dovuto ascoltare meglio, convincere Nissa a rimanere e a unirsi di nuovo ai Guardiani. Il senso di colpa per i segreti che custodiva riguardo a Nicol Bolas lo attanagliava. Lui era l’unico a conoscere la verità.
La verità che quell’antico e terribile drago era ancora in vita.
E ogni giorno che passava era un giorno in cui Jace teneva i suoi amici all’oscuro della verità.
Avrebbe potuto farsi perdonare per questo. Sì, avrebbe trovato un modo.
Valutò ciò che Nissa aveva descritto riguardo al nucleo e si chiese se fosse in qualche modo connesso con il Torbido. In tal caso, che cosa avrebbe potuto fare Nahiri con tale potere? Che cosa avrebbero potuto fare i Guardiani?
Una questione da non trascurare, si rese conto Jace.
Rifletté sul da farsi... sapendo che presto si sarebbe ritrovato su Zendikar.