Episodio 2: Il doloroso peso dei convenevoli
"L’hai già vista?"
"Io no... e tu?"
"Terribile, è proprio terribile farci aspettare così a lungo solo per la sua entrata teatrale. Può ritenersi la sovrana di Innistrad, ma..."
"Non parlare così ad alta voce, Relio..."
"Tutt’altro che sovrana! Non ci crederò finché non lo vedrò con i miei occhi."
Relio sorseggia la bevanda dal suo calice. Alcune gocce di sangue scendono lungo il suo mento e macchiano la sua gorgiera bianca, proprio come Cordelia aveva previsto. Lui non le dà mai retta. Non ti nutrire di perdigiorno, lo aveva avvisato, ma lui aveva fatto di testa sua; non battibeccare con i Nusfar solo perché sembrano dei ragazzini, gli aveva detto, per poi trovarlo ad appendere caramelle intrise nel sangue sopra la testa di una ragazzina che aveva almeno il quintuplo dei suoi anni. Tra tutti i vampiri che Cordelia aveva incontrato, Relio sembrava quello più desideroso di mettere alla prova la propria immortalità.
Francamente, era stufa di sistemare le cose per lui. C’era molto di più al mondo da vedere. Gli incontri dei cultisti Stromkirk avevano il loro fascino, senza dubbio, ma non avevano un briciolo di questa ostentazione. Cordelia apprezza un buon sermone profetico quanto la donna successiva, ma a volte è interessante osservare il modo di vivere della controparte.
Praticamente tutti si erano riuniti nella tenuta Voldaren per la cerimonia. Olivia aveva davvero superato se stessa nelle decorazioni. Cordelia non si immaginava che potesse essere possibile. Ma, in ogni caso, non si può mettere in discussione ciò che ha di fronte ai suoi occhi. La tenuta Voldaren è di un rosso sfavillante: il tappeto rosso contornato da filamenti dorati sotto i loro piedi, i rossi abiti da sera richiesti dal dress code per gli invitati e le numerose fontane di una splendida tinta scura. L’elemento più sorprendente sono i delicati petali rossi che danzano a mezz’aria. Un tempo, secoli fa, Cordelia si prendeva cura dei giardini. Osservare quei petali fluttuanti le ricorda i suoi tempi passati.
Una sensazione molto più piacevole rispetto ad ascoltare Relio che blatera.
Lui sta ancora parlando, ma lei non gli presta più attenzione. Dice qualcosa riguardo a Olivia che ha permesso ai Domnathi di partecipare. E cosa c’è di così inappropriato, avrebbe voluto chiedere. Oh, sì, erano in combutta con i demoni, ma qui non ci sono demoni o, per lo meno, nessun demone che Cordelia possa vedere... e comunque i Domnathi erano vestiti a modo. Relio era venuto con un abito bianco e blu. Che orrore. Le sue maniche erano già tinte di rosa dopo il tocco dei petali, dato che il sangue riprendeva il suo naturale stato liquido al contatto con i tessuti.
Un umano si avvicina, offrendole una gradita distrazione dalle ciarle incessanti del compagno. Questa notte i gusti sopraffini di Olivia sono in bella mostra: vigorosi e flessuosi thrall, splendidi e mai noiosi. I vassoi nelle loro mani contengono calici in cristallo di sangue fresco e Cordelia valuta l’idea invereconda di bere direttamente alla fonte. Non vede alcun segno sulla forma increspata dell’uomo. Probabilmente non vale la pena rischiare che sia il prediletto di qualcuno. In ogni caso, nella sala sono già in corso cinque duelli e uno di essi si sta trasformando in un’eviscerazione. Eviscerare qualcuno non si addice proprio a un matrimonio.
Ciò non ferma però i Nusfar. Poche regole ci riescono. Cordelia afferra un altro calice e un ragazzino che sembra avere solo dieci anni affonda la propria mano nel petto di un uomo. Emette un suono di disapprovazione. La vittima è Kristoff Laurent, un Markov noto per sfidare a duello per inezie... ma tutte le arti marziali del mondo non ti salvano dal puro istinto predatore dei Nusfar. Le piaceva Kristoff, con una grande passione in ogni cosa, non solo sul campo di battaglia.
Nell’osservarlo mentre viene prosciugato del suo sangue sente solo una leggera traccia di tristezza. Così vanno le cose. L’amore è effimero come un fiore, anche per coloro che sono immortali.
"Guarda un po’ chi ha anche invitato. Mostri. Te lo dico io, essere un vampiro non ha più il valore di una volta", blatera Relio. "E il fatto che siamo tutti qui per inchinarci a questa matta dovrebbe farti capire qualcosa."
"Relio, tu sei un Voldaren", gli dice con tono piatto.
"E vuol dire che la conosco meglio della maggior parte di questa massa! Duecento anni fa non ci saremmo mai mescolati ai Domnathi..."
Le successive sciocchezze di Relio si interrompono insieme alla sua vita, con uno spruzzo di sangue che fuoriesce dalla sua bocca. Come una fontana, si riversa sul suo petto. Cerca di afferrare Cordelia, ma lei si allontana proprio nel momento del suo ultimo respiro. Tre secondi più tardi, il suo cadavere cade con un sonoro tonfo sul pavimento di marmo levigato.
Henrika Domnathi, rinomata simpatizzante dei demoni, si trova proprio dietro di lui. Filamenti di colore cremisi si muovono intorno alle sue dita. Un tetro sangue arterioso riempie il suo calice. Fissa Cordelia con il suo gelido sguardo, lei cerca in ogni modo di non fuggire.
"Un uomo davvero noioso", le dice. "Era un tuo amico?"
"No. Per nulla, Lady Domnathi, proprio per nulla", le risponde Cordelia.
Quella che si diceva essere stata un’amante di Griselbrand sogghigna. "Bene. E tu sei...?"
"Cordelia..."
"Ahh, sì, una Stromkirk, vero?", le chiede. Il modo in cui studia l’abbigliamento di Cordelia dà la netta impressione come di un gatto che scruta il topo che tiene in trappola. "Mi sono state di recente poste domande riguardo a voi e sembra che nessuno abbia il desiderio di darmi una risposta. Proprio un peccato, non trovi?"
Ci sono alcune dicerie sul trattamento riservato da Henrika Domnathi alle persone che non soddisfano le sue richieste. Dicerie sussurrate a bassa voce, dato che tutti sono terrorizzati dall’idea di poter essere colti a parlare di lei. La stirpe dei Domnathi è nota per i suoi rapporti con i demoni, anche se l’entità di questi rapporti rimane quasi sconosciuta. Ancor peggio è l’idea diffusa che facciano
Un thrall umano si piega silenziosamente per trascinare via il corpo di Relio. È sufficiente per distogliere l’attenzione di Cordelia per un istante. Una paura primordiale l’assale; possiede la sicurezza data dall’essere un vampiro, ma anche Relio lo era. Non desidera affatto fare la stessa fine. Se Henrika lo desiderasse, potrebbe ucciderla proprio in quel...
Ding, ding, ding.
Il silenzio si diffonde nella grande sala come una marea cremisi e tutti gli sguardi si voltano verso il palco.
Olivia Voldaren è finalmente arrivata.
E che ingresso trionfale! Scendendo a mezz'aria gli scalini all’interno del suo abito nuziale, con gli svolazzanti veli sanguigni sorretti da pipistrelli! Ogni luce arcana splende brillante e illumina un nuovo dettaglio: lo scintillio dei suoi gioielli dorati, il bagliore del suo sorriso, lo stile dell'abito realizzato con gli spiriti delle sue vittime più antiche. In tutti gli anni in cui Cordelia aveva vissuto... ora ben alcuni secoli... non aveva mai visto un tale gioiello sartoriale. Quel colletto deve essere alto almeno quanto un bambino in fasce.
Anche Henrika rimane stupefatta e un leggero hmm sfugge dalle sue labbra. Circonda Cordelia con un braccio. "Che peccato, la cerimonia ha avuto inizio."
"Un, sì, un peccato", ripete Cordelia.
Ma Olivia le salva dal continuare quella conversazione.
"Vi do il benvenuto, miei amici più preziosi, miei nemici più appassionati!" Nulla di positivo può essere mai associato a un suo tono di voce felice. "Vedo che abbiamo già qualche omicidio. Molto bene! Per me è un’enorme gioia potervi deliziare con sacrifici di sangue al mio matrimonio! Ma cosa sarebbe un matrimonio senza un promesso sposo?"
Solleva il suo bicchiere come segnale a qualche entità invisibile. Dopo un istante, non è più sola sul palco; un gruppo di thrall dalle vesti immacolate, la maggior parte in abiti di Avacyn per sottolineare l’ironia, emergono trasportando una bara in pietra elaborata: marmo intarsiato in oro e coronato dai raggi distintivi dei Markov.
I thrall collocano la bara sul pavimento e la sollevano in verticale.
In quel momento, l’intera sala da ballo si immerge in un perfetto silenzio.
Chandra Nalaar affronta i pericoli in maniera diretta.
Un atteggiamento normale per lei. C’è da dire che di solito funziona. Questa notte, i suoi tentativi di superare le guardie all’esterno della tenuta Voldaren non vanno però a buon fine. Teferi l'afferra alle spalle proprio nel momento in cui alcuni uccelli volano dritti verso la parete. Qualsiasi sia la magia contenuta, vengono inceneriti all’istante. Mucchietti di cenere a forma di uccello cadono a terra al di sotto del punto di contatto.
"Ecco
Adeline soffoca una risata, che rende la situazione ancora più divertente. Chandra non la sente ridere da molto tempo. Con una sensazione amara, si volta verso le guardie al di là dei cancelli. Non è direttamente colpa loro, ma sono parte del problema.
Arrivare diretti ai cancelli era stata un’idea di Arlinn. Con un matrimonio in programma, magari in piccoli gruppi e accompagnati da Sorin, sarebbero riusciti a entrare. Chandra l’aveva ritenuta un’idea sciocca fin dall’inizio. Chi ha mai sentito di un nemico a cui è stato permesso di entrare alla tua festa solo perché aveva un bel vestito? Ma anche Sorin aveva pensato che sarebbe valsa la pena provarci... ed eccoli lì davanti.
L’opinione di Chandra rimaneva però sempre la stessa: dare fuoco a ogni problema. Le guardie si sarebbero divise tra loro o li avrebbero scoperti; in ogni caso, avrebbero potuto combattere.
Su Innistrad era giunto il momento di uccidere o essere uccisi. Durante il viaggio, il loro gruppo aveva raccolto tutti gli alleati possibili. Ovviamente, tutto funziona meglio quando esiste un piano e ancor meglio quando il piano prevede di intrufolarsi a una festa di vampiri. In quelle brughiere, quelle lande e quelle scogliere si annidava una grande rabbia, un fuoco in attesa solo di una scintilla.
Chandra conosce bene quella sensazione.
I ranghi di catari a cavallo avrebbero caricato, i sacerdoti di Sigarda avrebbero dato il via ai loro canti, infondendo gli abitanti dei villaggi in intense preghiere come ali di angeli. I vampiri non avrebbero avuto alcuna speranza. Afferrare la chiave di Selenargento e andarsene.
Ma quando una soluzione appare così semplice per lei, sembra che gli altri trovino sempre qualche complicazione. Osservando le espressioni dei suoi compagni... loro cinque, dato che gli altri erano nascosti nelle vicinanze... si rende conto che anche questa volta debba essere così anche in questo caso. Soprattutto l’espressione di Sorin. Guardando il suo volto sembra che gli sia stato rovinato un piatto a base di sangue con del pessimo aceto e Chandra si stupisce dato che non pensava potesse sembrare più acido. C’è una prima volta per tutto, si dice.
"Nessuno può entrare senza invito", comunicano le guardie contemporaneamente. Olivia Voldaren doveva aver selezionato due vampiri le cui voci potessero creare un’armonia perfetta per questo compito, dato che riescono a comunicare il rifiuto più sonoro di tutto Innistrad.
"E se entriamo tutti con lui?", chiede Arlinn. Ha un aspetto favoloso nel suo abito da matrimonio, ma è favolosa da molti punti di vista. Ha un gusto splendido: un farsetto rosso scuro perfetto a lei, ramoscelli di betulla ricamati sul colletto, maniche rosse con risvolti bianchi appena stirati. Il mantello di pelliccia su una spalla aggiunge un tocco boschivo; conoscendola, è probabile che abbia abbattuto l’orso con le sue stesse mani. È una delizia vederla così ripulita, un po’ come vedere la propria zia preferita a una festa. "Lui ha un invito."
"Una persona per invito", rispondono all’unisono le guardie.
"Questo non ha alcun senso", risponde Chandra. "A tutti è sempre consentito un accompagnatore!"
"Potete sicuramente permettervi di far entrare qualcuno in più", aggiunge Kaya indicando le loro armature dorate. "Non è una questione di spazio."
"Se volete essere sicuri che tutti su Innistrad si inchinino di fronte alla nuova sovrana, è necessario un investimento da parte di tutti", aggiunge Arlinn. "Non potete invitare solo i vampiri."
"Non è la migliore etichetta", mostra il suo accordo Teferi.
"Una persona per invito."
Chandra vorrebbe urlare. La risposta sembra davvero semplice. Basta entrare direttamente, no? Entrare direttamente.
Ma ci sono sistemi di sicurezza ovunque, sistemi di sicurezza che le streghe non erano riuscite a rimuovere e che i sacerdoti non erano riusciti a sciogliere. L’esercito dei vampiri si trova lungo il perimetro, in attesa di eventuali segni di agitazione. Chissà quanti di loro possiedono la magia. Chissà quanto sono affamati. Certo, Arlinn e Adeline sono riuscite a riunire un piccolo esercito, ma sarebbero davvero stati pronti a quella battaglia?
In quel momento e in quel luogo.
Per quanto Chandra voglia combattere, non può ignorare il costo da pagare per uno scontro all’aperto come quello. Senza la chiave o la speranza di mettere immediatamente le mani sulla chiave, andrebbe a finire come al massacro del Raccolto.
Quel giorno era rimasto scolpito nelle loro menti e la cicatrice sarebbe rimasta per anni, ne è sicura: i corpi che giacevano alla tiepida luce arancione del sole che stava tramontando, il sangue rosso come un vino fruttato che penetrava nei costumi celebrativi che avevano impiegato così tanto a preparare. Presentarsi sotto le spoglie di lupi mannari o vampiri avrebbe rappresentato un gesto di sfida. Vedere i loro corpi a terra
Ma tutte quelle erano persone innocenti. Alcuni erano appena entrati nell’età adulta.
E quando pensa a loro... no, no. Non possono semplicemente entrare.
Forse Adeline si rende conto di cosa sta pensando. La mano della catara è sempre un peso rassicurante sulla spalla di Chandra, così come lo è anche il delicato aroma di cuoio che preannuncia la sua presenza. L'armatura da parata che indossa è sufficientemente degna, con le incisioni dei simboli di Avacyn, e anche lei ha un gradevole profumo. "La pazienza premia gli audaci", dice, "ma
"Dillo a me", le risponde Chandra. Meglio non soffermarsi su questo. "Questo è un gran peccato. Siamo qui, entrambe tirate a lucido, senza una festa a cui partecipare. Mi era stata promessa una festa."
"Una festa? Si tratta solo di una festa?"
Quella voce profonda colpisce come un colpo alle costole. Chandra non si scompone. In un certo senso, è felice che finalmente stia prestando attenzione al mondo che lo circonda invece di rimuginare. "Voglio dire, non è una semplice festa", risponde lei. "Sto cercando di alleggerire la tensione, Sorin."
"Sono sicuro che questa sia un’occasione di divertimento per te, Nalaar, ma ti voglio ricordare che ci sono anche degli adulti tra di noi", le risponde Sorin.
"Alcuni degli adulti apprezzano i momenti di leggerezza", commenta Teferi. "Chandra ha dimostrato la sua serietà in più occasioni. Si è meritata il diritto di scherzare. Questo non è il suo piano e avrebbe potuto semplicemente ignorare la richiesta di aiuto oppure andarsene subito dopo il Raccolto. Invece, ha deciso di venire qui."
Sorin osserva l’invito che stringe tra le mani. Le sue sopracciglia si inarcano. Chandra pensa che abbia proprio l'aspetto di un vecchio dal viso ingrugnito, il che la fa ridere perché lui si arrabbierebbe se lo sapesse. Per lo meno è stata abbastanza rapida a mordersi un labbro e non farsi scoprire. Per quanto ridicolo sia Sorin come persona o per quanto a lei non vada a genio, è difficile immaginare ciò che proverebbe lei in questa situazione.
"Sarai al sicuro da solo là dentro?", gli chiede Arlinn.
"Posso tentare di seguirti", offre Kaya.
Questo è un pensiero divertente: il piccolo fantasma Kaya che volteggia al di sopra di un imbronciato Sorin. Chandra sa che non funziona in quel modo; Kaya non è davvero un fantasma, quindi lo seguirebbe con dimensioni normali. Però, in qualche modo, l’immagine rende bene l’idea della situazione. Ancor di più, la rende il modo in cui lui sospira e scuote la testa.
"Sono stato da solo per secoli", le risponde. "Non sarà diverso da sempre."
Lei vorrebbe chiedergli cosa intende, dato che non sarà da solo. Ha rapporti con un sacco di persone in quel luogo. Ci deve essere qualcuno, là dentro, che gli piace, no?
Mentre procede a grandi passi verso le guardie, Sorin non ha però l’aria di uno a cui può piacere qualcuno.
Sorin passeggia da solo.
Le guardie ai suoi lati devono pensarla diversamente. Con la barriera protetta, hanno deciso di scortarlo fino al castello, inviando pipistrelli messaggeri alla richiesta di rinforzi per i cancelli esterni.
Ognuno dei passi di lui aveva come risposta i passi delle guardie, con il tocco delicato dei suoi stivali sul pavimento di marmo e il leggero rumore dell'armatura. Se lo volessero, potrebbero muoversi silenziosamente come la luce della luna attraverso l’oscurità. Scelgono invece il ritmo costante dei passi per compagnia.
E, presto, delle loro parole.
"Non stai rispettando il dress code", dice uno. Sorin non conosce il suo nome e non gli interessa. "I colori erano indicati nell’invito."
Le torri li osservano dall’alto dei blocchi di roccia su entrambi i lati. All’interno di ognuna di quelle torri, gruppi di Voldaren e dei loro ospiti si versano a vicenda sangue per gustosi brindisi. L’aroma della dissolutezza lo raggiunge anche qui. Si chiede se tutti loro stiano rispettando il dress code. All’orizzonte, il mare turbolento continua il suo corso, ignorando ciò che avviene qui.
Non dice nulla.
Petali di sangue si posano sul suo mantello, colorandone lo strato gelato.
Procedono attraverso i cancelli del castello, ornati del simbolo dei Voldaren e del profilo di Olivia. La pura temerarietà di quella donna. Se il solo ego potesse realizzare conquiste, Olivia Voldaren avrebbe da tempo plasmato un trono dalle ossa di Innistrad.
Questa notte lo avrebbe infine fatto.
La donna alla porta lo squadra dalla testa ai piedi con un evidente disprezzo, come se il suo abito fosse meno appropriato solo per essere di colore nero e grigio. Sorin potrebbe non avere la pazienza per tessere intrighi politici tra vampiri, ma non è in difetto quando si tratta di abbigliamento. Diversamente da molti di questi mocciosi.
"Il tuo invito?"
Lui lo consegna, trattenendo la rabbia. Sapevano bene chi fosse. Tutti sapevano bene chi fosse. Olivia doveva aver dato istruzione a questa ragazza di comportarsi in quel modo: un giovane pulcino alla porta ad accogliere le personalità. Olivia l’aveva forse scelta per la sua capacità di imbronciarsi? O forse per la completa indifferenza nella voce?
"Prego."
Un più giovane Sorin si sarebbe irritato per quell’atteggiamento.
Ma ora è più anziano e anche stanco. Prima porta a termine il compito, meglio è.
Attraversano le porte e vengono accolti dalla musica. Suonatori ammaliati si esibiscono vicino a dorate fontane di sangue. Il brano è di almeno tre secoli fa, lo conoscono tutti. Alcuni in effetti danzano, anche se i festeggiamenti non sono ancora iniziati ufficialmente. La luce verde che filtra dalle finestre immerge la scena in un’atmosfera fatata, come se davanti ai suoi occhi si trovasse un dipinto.
Ma poi avviene, inevitabile come la marea: uno degli invitati si fa prendere dalla fame, si avvicina e aggredisce alla gola uno dei musicanti.
Alcuni di questi ospiti non possono davvero essere considerati persone. Lasciarsi andare così ai propri desideri, non riuscire a trattenersi al punto da rovinare l’intrattenimento, questo è proprio disumano.
E sono tutti così. Per migliaia di anni sono stati così.
"Sorin? Sorin Markov in persona?"
Continua a camminare.
I saloni della tenuta Voldaren hanno un effetto disorientante. Questo è uno dei trucchetti preferiti di Olivia: far ubriacare i partecipanti in qualche modo, dire loro che non devono assolutamente girovagare per la tenuta e poi far scomparire alcune persone una volta che lo fanno. Ci sono più geist in quei corridoi dotati di parola che pagine nella biblioteca di Olivia. Ognuno di essi è una sua vittima. Ognuno di essi vaga in queste sale bizzarre, nelle quali le porte conducono a volte nel nulla e le rampe di scale cambiano di posizione.
Ma il trucchetto più particolare è che la tenuta Voldaren rispecchia i capricci di Olivia.
E lei è tanto prevedibile quanto ripugnante.
In un certo senso, lui sapeva che tutto questo sarebbe avvenuto. O qualcosa del genere. Durante la sua indegna sentenza, lei aveva già iniziato la sua ascesa al potere. Era semplicemente naturale che qualcuno così spudoratamente ambizioso utilizzasse anche il metodo del matrimonio. Una volta che l’idea avesse preso forma, pochi su Innistrad avrebbero potuto offrirle qualcosa in grado di fornirle ancora più potere. Più del potere, Henrika adorava la vendetta e i Falkenrath ne avevano una da offrire; Runo Stromkirk si sarebbe presto donato alle creature misteriose del mare. Rimanevano quindi Sorin, per lei irraggiungibile, oppure il nonno.
Avrebbe potuto immaginarlo.
Più si avvicinavano alla sala da ballo, più persone incontravano. Thrall che non osavano incrociare il suo sguardo. Pulcini che lo facevano con slancio, come se poter guardare in volto Sorin Markov fosse un gesto così profondamente profano da cambiare il corso della loro intramontabile esistenza.
"Sì, è lui, l’uomo nella roccia", dicevano. "Che buffo!"
"La sua bocca non dovrebbe essere come quella dei Trangugiatori?" Aveva già sentito quel termine, ma solo in rare occasioni. I Falkenrath si erano conquistati un nuovo nome.
"Tanto meraviglioso quanto sciocco."
Ridacchiano mentre gli passano rapidamente vicino, con le labbra rosse per il loro ultimo pasto. I calici si incrociano. Dietro di lui, le guardie continuano nella loro marcia per scortarlo e sopra di loro i petali di sangue fluttuano seguendo il ritmo della musica.
Silenziosamente, riflette sulle azioni che ha compiuto per permettere loro quel tipo di vita.
Detesta tutto questo.
Continuano fino alla sala centrale, uno spazio così ampio che è difficile immaginare come possa inserirsi nell’architettura del castello. La sola luna non riesce a illuminarla tutta e una magia spettrale di colore tra il verde e il giallo completa il lavoro. Ballerini, duellanti, faccendieri e perdigiorno, radunati a centinaia, tutti riflessi dal pavimento in marmo lucidato. Fontane di sangue offrono occasione di dissetarsi e inebriarsi; thrall incatenati regalano una versione un po’ più fresca per gli intenditori presenti nella folla.
Un uomo slanciato sulla porta suona un corno.
"Fa la sua entrata l’estremamente benvenuto e onorato Sorin Markov!"
Non per la prima volta, gli viene in mente l’idea di commettere un omicidio.
Ma si rende conto delle conseguenze di quel gesto, così circondato da persone che non vedono l’ora di vederlo in rovina. Tutto ciò che Olivia deve fare è impartire un ordine. A quel punto, tutti si scaglierebbero contro di lui, come corvi su una carcassa, e tutta l’ematomanzia del mondo gli offrirebbe solo pochi momenti in più. Nel frattempo, la traballante coalizione di Arlinn non ne avrebbe alcuna notizia all’esterno.
Decide quindi di non uccidere colui che aveva annunciato il suo ingresso e neanche coloro che si erano voltati a guardarlo. Quanti sguardi si sono posati su di lui in questo momento? Non comprende, ma può sentire ognuno di loro come se fossero lame di pugnali che gli attraversavano la carne.
Ma il paletto conficcato nel cuore giunge quando sposta lo sguardo verso il palco.
Non ci sono dubbi, quella è la bara di suo nonno.
E la donna vestita con un abito formato dalle anime in tumulto delle sue vittime è Olivia Voldaren.
Il silenzio cala nella casa dell’abbandono.
Anche da qui, anche dall'altro lato della sala, riesce a percepire il sorriso di lei.
"Mio adorato Sorin", lo chiama. "Che delizia! Sei arrivato proprio al momento giusto."
Lui aggrotta la fronte. Un’ondata di risate trattenute si diffonde nella folla. Lui si toglie il mantello, lo appoggia su una spalla e si incammina nel corridoio centrale verso la bara trafugata del nonno.
"Olivia, sempre un enorme piacere", le risponde. "Vedo che non hai badato a spese."
"Perché avrei dovuto? Questa felice occasione merita solo il meglio, non sei d’accordo? Non vorrei svegliare tuo nonno per nulla di meno del meglio."
Lui non riesce a non stringere i denti.
Ma continua a camminare come se nulla fosse. Un passo dopo l'altro. Tra i petali che scendono sugli invitati. E tra i bicchieri che tintinnano.
Olivia schiocca le dita. Uno dei thrall le porge un pugnale decorato.
"Puoi porre la stessa domanda a lui, se lo desideri", continua lei. "Ci vorrà solo un istante."
"Ciò che stai facendo è follia."
"Follia? Oh, ragazzo mio, questa è la scelta più saggia che io abbia mai fatto", gli risponde.
I pugnali si muovono e l’attenzione del pubblico si sposta su Olivia. Con un gesto breve ma plateale, si passa il pugnale su un braccio. Un sangue antico, potente e oscuro come la notte intorno a tutti loro inizia a colare sulla bara di Edgar Markov.
Il rosso lampadario al di sopra, i rossi tappeti al di sotto, la donna in abito da sposa rosso, il sangue rosso sulla bara bianca.
Ogni goccia fa salire la sua rabbia. Ogni istante in cui il sangue ripugnante di quella donna scorre lungo gli intagli delle storie della sua famiglia è un insulto per lui. Suo nonno... suo nonno, che aveva creato tutto ciò che queste persone possedevano! Suo nonno, che li aveva creati, utilizzato come semplice strumento politico.
Sa ciò che sta per accadere. Gli incavi corrono fino alle decorazioni interne della bara. Tra pochi istanti il sangue di quella donna andrà a sfiorare le labbra del nonno. La sensazione che genererà sarà prorompente e, ancor peggio, i ricordi di lei si fonderanno con quelli di lui.
Sorin aveva sempre fatto attenzione al modo in cui risvegliava il nonno. Attendeva che la tempesta di emozioni si placasse, lo avvolgeva di ricordi piacevoli e faceva il necessario per permettergli di destarsi in modo sereno. Anche se nessuno lo ammette, risvegliarsi da un letargo è un’esperienza terrificante.
E ora suo nonno si sarebbe risvegliato per il sapore del sangue di quella donna, denso di ambizione, e circondato da quegli insetti
Questo è, alla fine, un pensiero infantile. Forse il pensiero più infantile che abbia mai avuto, sicuramente il pensiero più infantile che ricordi.
Ma quel pensiero è lì, al centro di tutto, un singolo pensiero che riecheggia nella sua mente.
Non vuole perdere suo nonno.
Non vuole che venga fatto del male al nonno.
Tra tutte le persone di tutti i piani, era la persona che lo conosceva da più tempo. Nessuno conosce la storia della sua vita come lui, dall’infanzia alla supremazia, dai fallimenti ai trionfi.
Nessun altro si ricorda. Tutti gli altri sono morti.
Quella consapevolezza è la fiamma e la rabbia è la polvere da sparo. L’istante in cui quel pensiero si crea nella sua mente è l’istante in cui tutto cambia. L'esplosione incenerisce tutte le cautele.
Sorin scatta.
Le guardie si fanno avanti per contrastarlo, in quattro, con le loro lance incrociate. Dei topolini di fronte a un gatto avrebbero più probabilità di sopravvivere. Sorin si avventa su una di loro e ne taglia la gola ancor prima che i piedi tocchino di nuovo terra. Due degli altri rimangono paralizzati, con il sangue immobile all’interno dei loro corpi. Si prepara a scattare di nuovo verso Olivia...
Ma nella fretta si dimentica dell’ultimo uomo.
Una spessa e pesante catena intorno al suo collo lo rallenta e lo strattona all’indietro come un cane al guinzaglio. Se riuscisse a compiere un solo altro passo, potrebbe fermare Olivia e il suo rituale.
Ma la guardia lo trascina indietro e lo fa inciampare sui corpi degli altri.
Sorin ringhia. Il suo sguardo è fisso su ciò che ha davanti: la bara, il sangue, il volto sorridente di Olivia.
Un
Un’altra guardia si unisce alla prima e un’altra catena di argento benedetto lo avvolge al petto.
Si sforza per avanzare.
Una terza guardia. Poi una quarta. E poi tante altre, più velocemente di quanto la sua magia possa permettergli di disfarsi di loro.
Tutto ciò che può fare è rimanere ad assistere.
Assistere all'apertura della bara e all’uscita del nonno. Edgar Markov non si cura della folla riunita o del nipote imprigionato; il suo sguardo è diretto solo verso Olivia Voldaren.
Le sorride.
Sorin cerca di ricordare quando abbia visto il nonno sorridere in questo modo prima d’ora. Estatico e puro, quindi ancora più orripilante. Sorride come un ragazzino.
"Signore, signori, Sorin", annuncia Olivia, "vi presento il mio magnifico e perfetto promesso sposo: Lord Edgar Markov."
Lui le stringe la mano. Per lunghi e spaventosi momenti, beve sangue dal suo polso. Solo dopo alcuni secondi esce completamente dalla sua bara.
Terminato quel pasto, si pulisce il volto con un fazzoletto. Poi si volta verso la folla e osserva tutto ciò che si trova intorno a loro.
"Nonno!", urla Sorin. "Nonno, ti sta controllando..."
Solo in quel momento Edgar si accorge di lui e il suo sguardo è come quello di un uomo nei confronti di un animale domestico insubordinato. Il sorriso di pochi istanti prima si trasforma in compassione. "Sorin, per favore. Stai rovinando i festeggiamenti."
"I festeggiamenti?", ripete Sorin. Non riesce a farsi venire in mente altro da dire. Dentro di lui era presente una piccola speranza, una speranza di cui non aveva preso consapevolezza, la speranza che la magia di Olivia non facesse presa su suo nonno. Poteva essere davvero così semplice?
Il nonno non mostra alcun segno di cambiamento. Olivia schiocca le dita e un gruppetto di thrall si mette in azione. Come ragni che tessono una ragnatela, si riversano su di lui e lo vestono un elemento dopo l’altro fino a completare il suo abito da cerimonia.
Lo stomaco di Sorin ha un sussulto. Comprende che le guardie hanno stretto la presa su di lui. Non riuscirebbe a muoversi neanche se volesse.
Non riesce ad attingere alla propria forza.
Non mentre Olivia stringe il nonno a un braccio, non mentre gli invitati lo osservano e sorridono.
"Perché quel muso lungo? Non è che sarai solo dal lato dello sposo", gli dice Olivia.
Si sente troppo logorato per riuscire a rispondere.
Ma non lo sarà, solo.
Sono presenti altre bare. Esistono altri parenti e sarebbe impossibile conservarli tutti al maniero Markov. Molti erano assopiti nelle loro proprietà.
E non erano sfuggiti ai preparativi di Olivia.
Olivia si sposta da una bara all'altra come un'ape impazzita. Poche gocce sono sufficienti per iniziare il processo di risveglio degli antichi. Per qualche motivo, nonostante fosse Edgar il suo promesso sposo, Olivia sembra non spostare lo sguardo da Sorin.
Lui si chiede quanto lei sappia. Si chiede se abbia scelto i progenitori che lui più detestava. Gli viene il sospetto che ci abbia pensato. Non sarebbe stato difficile, dato che lui raramente manteneva un rapporto amichevole con il resto della famiglia.
Non è sicuro quando accade, ma accade, forse nel momento in cui la terza zia si sveglia dal letargo e lo osserva sogghignando.
Sorin Markov distoglie lo sguardo.
Uno dopo l'altro, i membri della sua famiglia gli passano davanti. Uno dopo l’altro, lo baciano sulle guance e pretendono lo stesso saluto. Il tutto senza dire nulla, perché non c’è nulla da dire.
Si sta svolgendo un matrimonio e, in fondo, parlare con Sorin è sempre stata la causa del pessimo umore al maniero Markov.