"Quindi, quando avete detto che, se la chiave si fosse trovata a Thraben, sarebbe stata al sicuro. . ."

I gemiti dei cadaveri sconsacrati rispondono a Chandra prima di chiunque altro. Kaya si pizzica il naso. Teferi si è già tappato il suo; respira attraverso la bocca ma il fetore è comunque intenso. Nonostante il sole di mezzogiorno, le nuvole si addensano e proiettano la loro ombra su ciò che rimane della cattedrale. Anche il cielo si vergogna di ciò che si trova sotto di sé.

La vista fa chiudere lo stomaco ad Arlinn. La guglia dove aveva trascorso ore a leggere sotto il sole è ora un insieme di rovine sparse sul terreno e le sue adorate vetrate sono sporche e in frantumi. Quell'ammasso di non morti brulicanti dà la sensazione di un ulteriore tradimento. Non vuole pensare alla possibilità di poter riconoscere qualcuno che aveva incontrato in passato.

Deglutisce. Quegli zombie intorno alla cattedrale sono come formiche intorno al loro formicaio. Superarli non sarà un’impresa facile.

Light Up the Night
Illuminare la Notte | Illustrazione di: Wei Wei

"Potrebbe esserlo", dice Adeline. "Ma non lo sapremo finché non avremo terminato la nostra indagine."

Avevano portato avanti già abbastanza ricerche; per lo meno, Kaya lo aveva fatto. Era stata necessaria buona parte della settimana per giungere a Thraben... un sacco di tempo per raccogliere indizi. Il semplice presentimento non era sufficiente per lei. Appena arrivati a Thraben, aveva iniziato ad allontanarsi dagli altri per compiere le sue ricognizioni. Ovunque andasse, tornava dopo breve tempo con un qualche tomo impolverato tra le mani.

"Pagina settantasette", aveva detto.

Si trattava di una pagina illustrata con una xilografia molto dettagliata: una famiglia a cui veniva consegnata una cassa da una strega dall’aspetto identico a Katilda. L’iscrizione che accompagnava l’immagine conteneva il nome dei Betzhold, del Gavony.

Nel suo periodo alla cattedrale, Arlinn aveva conosciuto un uomo di nome Worrin Betzhold, un vescovo anziano estremamente severo. Le sue nocche provano dolore al solo pensiero. Ma anche il suo cuore le fa male perché sa che se lo avesse voluto cercare. . .lo avrebbe trovato proprio lì. In quell'orda. E chissà quanti altri dei suoi vecchi amici.

"Credo di vederlo." La voce di Adeline risveglia Arlinn dai suoi pensieri. Con la spada nel fodero, la catara indica le rovine della navata della cattedrale. Una figura dalle vesti sacre si trova di fronte al pulpito. Con orrore di Arlinn, sembra che stia facendo un sermone a una folla radunata. Le panche sono colme di zombie seduti che battono le mani, si inchinano e pregano.

L’effetto delle Tribolazioni su questo luogo è abominevole oltre ogni immaginazione. Un tempo, Liliana aveva risvegliato tutti questi zombie per combattere gli Eldrazi. Condividere il campo di battaglia con loro era stata un’esperienza sicuramente difficile... ma nulla in confronto a ciò che era venuto dopo. Aveva sentito qualcuno chiedere a Liliana che cosa fare con tutti gli zombie rimasti. Le voci narrano che la sua risposta sia stata "Possono essere utili in molti modi, dovete solo essere creativi."

Quel pensiero pesa su di lei. Questo luogo rappresenta un’onta per tutto ciò che per lei è sacro. Ricorda ancora come era un tempo.

E ricorda le vesti di quell’uomo. Annuisce stancamente. Si tratta proprio di lui.

"Non c’è scelta, quindi", commenta Kaya. "Qualcuno dovrà creare un varco."

Adeline sale sul suo cavallo... uno stallone bianco che probabilmente ha un nome come Rombodituono o Scudodileone o qualcosa di altrettanto eroico. Osservandola in sella, è difficile non provare un po’ di speranza.

"Puoi lasciarlo a me", le dice. "Io e i miei catari abbiamo combattuto con i non morti per anni. Voi quattro pensate ad arrivare a Worrin."

Chandra osserva l’orda e poi si volta di nuovo verso Adeline. "Come? E lasciare a voi tutto il combattimento? Non se ne parla proprio", risponde. "Vi copro le spalle. Voi tre pensate a Worrin." L’aria si increspa intorno a lei, riscaldandosi al calore dell’entusiasmo nel suo sorriso. Non ci sono altre possibilità con Chandra... la devastazione è la sua unica specialità.

Adeline le risponde con un sorriso. "D'accordo. Io guiderò l’avanguardia e tu ti occuperai delle retrovie, Chandra Nalaar", le dice.

Le risponde con un esagerato gesto di obbedienza. Se la situazione non fosse così grave, sarebbe un motivo per far sorridere Arlinn. Nelle loro condizioni, riesce a provare un pizzico di felicità di fronte al loro spirito di gruppo, che però svanisce appena si volta di nuovo verso le rovine della navata.

Non c’è tempo da perdere.

Adeline e i catari guidano la carica, abbattendosi come un martello sacro sull’incudine dei non morti. Gli ordini di Adeline giungono decisi, come anche i colpi della sua lama. Le teste cadono dai corpi come frutti dagli alberi. Uno zombie tenta di saltarle addosso dall’alto, ma la sua caduta risulta rallentata. Filamenti azzurri si propagano dal bastone di Teferi e modificano la velocità del movimento del non morto di fianco al pilastro centrale. Non dura a lungo, lo rallenta solo per un attimo, ma sufficientemente per permettere ad Adeline di scagliarlo indietro con lo scudo e affondare la spada nella sua gola.

Il passaggio non rimarrà aperto a lungo.

Entrano nel varco conquistato a fatica, con Kaya che alterna la forma corporale e quella spettrale e con Arlinn che si trasforma. Le invadenti braccia dei morti hanno un sapore sgradevole alla bocca; li evita il più possibile, colpendo i loro volti, denti e piedi con gli artigli che la natura le ha donato. La loro bava cade sulla sua pelliccia; i loro grugniti si fanno strada nelle sue orecchie; il loro fetore invade la sua gola.

Fino al momento in cui Chandra non giunge con la retroguardia, Arlinn non riesce a sentirsi al sicuro. Due enormi fiammate fuoriescono dai palmi delle sue mani e vanno a sostituire le barriere della magia di Teferi con qualcosa di più solido. Anche i morti temono il fuoco, come Thalia aveva mostrato a tutti loro: urlano all’unisono, ritirandosi dal calore bruciante e aprendo ancor di più il varco tra gli eroi e i non morti. Ma Chandra non ha ancora terminato; una volta passati tutti gli altri, si volta verso l’orda ed evoca fiamme come se fossero il respiro che la tiene in vita. Di ciò che prima formava gli zombie rimane ora solo un insieme di ceneri mosse dal vento.

Adeline dà una rapida occhiata dietro alle proprie spalle, verso Chandra che illumina la scena di una luce arancione, una piromante nel cuore del proprio elemento, circondata da una distruzione salvifica.

Arlinn non può sapere cosa stia pensando Adeline, ma ha le idee ben chiare: mai, in nessuna circostanza, far arrabbiare Chandra Nalaar.

Arrivare fino alla cattedrale non è facile, ma protetti da spade e fiamme è sicuramente più semplice. Le pareti si ergono intorno a loro e poi svaniscono, distrutte dalle Tribolazioni e contorte in qualcosa di diverso. I lamenti incomprensibili di Worrin si fanno sempre più vicini. Le fiamme lambiscono le mura che un tempo erano sacre e, per quanto questa visione causi dolore ad Arlinn, si augura che tutto questo possa rappresentare una sorta di purificazione.

"L’hai preso?", urla Chandra. È difficile udire le sue parole al di sopra del ruggito delle fiamme, ma Arlinn la sente. Scatta in avanti.

Adeline ha messo Worrin con le spalle al muro, dove questi recita silenziosamente le preghiere che un tempo aveva insegnato ad Arlinn. Riprende la forma umana e gli occhi di lui, umidi e non morti, si concentrano su di lei. Le sue labbra di muovono, disegnando il suono del suo nome. Indica la sua vecchia amica... o forse sta indicando le sue carni gustose. Arlinn si sforza di credere che l’opzione giusta sia la prima.

"Worrin, sono io", dice Arlinn. "Mi riconosci, vero?"

"Dennick?", giunge come risposta. Arlinn si volta e vede Chandra che si avvicina, con il resto della compagnia. Adeline e i catari si posizionano in cerchio intorno ad Arlinn e Worrin.

"Worrin", dice Arlinn, costringendo la propria voce a mantenere un tono tranquillo di fronte a questa aberrazione che un giorno era l’uomo che conosceva, "stiamo cercando la chiave di Selenargento. Sai dove si trova?".

I suoi occhi si chiudono e si riaprono, uno dopo l’altro. Le sue mandibole senza denti battono tra loro.

Silenzio.

Il clangore della spada di Adeline contro i morti, il ruggito del fuoco. Gli sguardi di Kaya e Teferi fissi su di lei.

"La chiave, Worrin", dice Arlinn. Che l’angelo la salvi, mette le mani sulle spalle di lui. Lui ora non può distogliere lo sguardo da lei.

"Dennick", ripete.

"Arlinn, non abbiamo molto tempo!", urla Adeline.

"La chiave", ripete Arlinn.

"D. . .Dennick. . ."

Arlinn impreca a bassa voce. "Penso che abbiamo ottenuto il massimo da lui!"

"Splendido", commenta Chandra. "Questa volta, Addy, mi copri tu le spalle!"

Mentre le fiamme avvolgono di nuovo la cattedrale, Arlinn dona a Worrin l’unico riposo che è in grado di offrirgli, un sonoro crack, una preghiera, la speranza che possa arrivare in un posto migliore.


Pensi di conoscere una persona, ma spesso ne conosci solo una parte. Worrin, in vita, era un istruttore molto severo. Arlinn non ricordava di aver parlato con lui di nient’altro che teologia e, sebbene le sue risposte fossero sempre ben misurate, lo immaginava sempre come un tipo di uomo che avrebbe dato la vita per la chiesa. A volte accennava alla sua infanzia nel Gavony, ma non si spingeva mai oltre.

Le persone sono raramente così semplici e, arrivato nel tranquillo distretto di Gavony che i Betzhold chiamavano casa, il gruppo inizia a porre delle domande.

"Worrin e Dennick?", chiede una donna, intenta a spazzare via la brina dalle zucche che aveva fatto crescere per tutta la stagione. L’età avanzata non le impedisce di prendersi cura dei raccolti e le sue mani si muovono con precisione ed esperienza. "Oh. Immagino fosse ora che qualcuno arrivasse e ne chiedesse."

Arlinn si inginocchia vicino a lei. "Davvero? Beh, mi spiace che ci abbiamo messo così tanto. La neve ci ha rallentati."

"Non c’è così tanta neve", risponde la donna. "È solo brina. Sei abbastanza grande da sapere che non ha senso usare questa come scusa."

Arlinn si concede un leggero sorriso. Nonostante tutti i mondi in cui era stata, non c’è nessun posto come casa. "Hai ragione, sì, hai ragione", risponde. La neve è leggera... si scioglie al semplice tocco. "Ma magari puoi darmi comunque una risposta."

La donna anziana osserva Arlinn in modo intenso. "Sei arrivata troppo tardi."

"Troppo tardi?", ripete Arlinn, aggrottando le sopracciglia.

"Se anche non era morto prima delle Tribolazioni, ora lo è di sicuro", risponde. "Si è rinchiuso nella vecchia dimora di famiglia. Per sicurezza, ha detto. Non l’ho visto da quel giorno. Quel luogo è davvero infestato."

Arlinn guarda dietro di sé. La dimora dei Betzhold si trova in cima a una collina e si riescono a distinguere le finestre spalancate. "Perché andare in quel luogo se è così infestato?"

La donna anziana sbatte le mani per pulirle. "Perché Dennick è il figlio di Worrin."


Le Tribolazioni hanno devastato ogni cosa su Innistrad, ma alcune sono state ricostruite. Mani ferme e disperate avevano riparato i simboli contorti di Avacyn per farli tornare alla loro antica forma, abbandonando la pietra per affidarsi al legno o al ferro grezzo. Il gruppo supera case realizzate con pezzi delle case vicine, come se fossero state realizzate da cucitori. Le persone sembrano le stesse: alcune portano cicatrici invisibili, altre tengono d’occhio i loro bambini, altre ancora si tengono strette le protesi degli arti al passaggio in città di quegli stranieri.

Innistrad in rovina. Innistrad in ricostruzione. Innistrad ancora in vita.

Un bel pensiero che viene smentito dalla dimora dei Betzhold, fatiscente e malvagia fino alle fondamenta. Malvagia è la parola più adatta per descriverla, Arlinn ne è sicura, per il modo in cui le finestre incombono su di loro, per i tagli formati dai rampicanti sulle mura di pietra e per la porta socchiusa come fauci.

Osservarla è un dolore per Arlinn. Ma non ha scelta.

Tra i cinque, è Kaya che sembra essere la meno turbata. Non mostra alcun timore nell’avvicinarsi a quella casa. La porta spalancata del palazzo non la disturba affatto. La osserva in tutta la sua altezza, con la fronte corrugata e portandosi un pollice al naso. "Lo troveremo qua dentro?"

Arlinn annuisce.

"Insieme a tanti spiriti malvagi, giusto?"

"Di sicuro l'aspetto fa pensare così", aggiunge Chandra.

"Io ho alcuni simboli sacri...", inizia a dire Adeline, ma Kaya la zittisce.

"Non serviranno a nulla", le dice. "Datemi solo cinque minuti e poi seguitemi."

Thraben Exorcism
Esorcismo di Thraben | Illustrazione di: Matt Stewart

Come prevedibile, Kaya non attende di ricevere il permesso. Si lancia in quelle fauci. Il naso di Arlinn viene stuzzicato dall'aroma pungente della magia di Kaya, seguito da quel leggero ronzio che ha imparato ad associare a lei. Adeline si dirige verso una delle finestre rotte, per sbirciare all’interno, e Chandra la segue. Giudicando dalla loro reazione, c’è molto da vedere.

A volte è difficile resistere alla tentazione. Con amarezza, si rende conto che anche Tovolar avrebbe pensato così. L’autocontrollo è una caratteristica umana, non della natura selvaggia. Lasciati guidare dalle tue passioni e dal tuo istinto, ti porteranno sempre nella giusta direzione. Questo era ciò che lui le aveva insegnato.

La chiesa le aveva però insegnato diversamente.

Arlinn preme il volto contro la finestra. All’interno, una scia di un colore misto tra bianco e grigio mostra la forma spettrale di Kaya. Ma non è l’unico spettro in quella stanza. La donna anziana aveva ragione, quel luogo è dannatamente infestato, ma non lo sarebbe stato a lungo. Kaya li abbatte con una rapidità incredibile. È difficile seguire i suoi movimenti, da uno spettro a un altro, affondando la sua lama in uno e poi tagliando la gola all'altro. Arlinn non può fare altro che chiedersi dove vadano a finire gli spiriti dopo la loro morte, se il sonno benedetto li accolga oppure se esista qualcosa di diverso.

Magari lo chiederà a Kaya più tardi.

La stanza è ora priva di minacce sovrannaturali. Chandra è la prima a entrare, seguita da Adeline e poi da Arlinn. Teferi chiude il gruppo. Gli spettri non sembrano infastidirlo e si muove con la sicurezza di sempre.

C’è però un altro piano.

Si avviano lungo le scale, con passi che fanno scricchiolare gli scalini in legno, cercando di non far rumore col respiro, accompagnati da un ronzio crescente dietro una porta decrepita. Chandra fa per aprire la porta, ma Adeline la ferma mettendole una mano su una spalla.

"Lascia fare a me", le dice. "Sei più al sicuro dietro di me."

Adeline era forse uscita da un qualche racconto? Galanteria, senza dubbio, ma anche il modo in cui sfonda la porta lanciandosi con tutto il proprio peso... All’interno trovano Kaya di fianco a uno degli spettri. Accoglie gli altri con un inchino sarcastico alla loro entrata poderosa.

"Questa è la persona che state cercando", dice loro. "Un gioco da ragazzi."

La reazione di Teferi è divertita. "Sono passati meno di cinque minuti."

"Notevole, detto da te", commenta Kaya. "Non eri tu quello che poteva decidere quanto rapidamente passasse il tempo?"

"Se solo fosse così facile", risponde lui. Teferi la osserva, con un sorriso di compassione. Poi indica il fantasma fluttuante, un uomo sulla trentina accanto a uno scheletro ricoperto da detriti, probabilmente il suo. Indossano le stesse vesti. "Dopo di te."

Arlinn non indugia. Gli si avvicina, resistendo all’impulso di stringergli la mano. "Dennick? Il mio nome è Arlinn Kord. Ero un’amica di tuo padre."

Vedere un fantasma strabuzzare gli occhi offre una sensazione bizzarra. "Mio padre? Vi ha inviati lui?"

Dennick, Pious Apparition
Dennick, Apparizione Devota | Illustrazione di: Chris Rallis

Per quanto sia terribile, è sempre meglio dire la verità. "Non esattamente. Tuo padre è morto. L’ho aiutato io a trovare il meritato riposo, ma devi sapere che ha pronunciato il tuo nome fino alla fine."

"Aiutato a trovare il meritato riposo?", il fantasma muove le dita in modo preoccupato. "Ciò significa che è un. . .non morto?"

"Lo era", gli risponde lei. "Meglio non pensarci più. Sono venuta a chiederti di qualcosa di molto importante, qualcosa che è custodito dalla tua famiglia..."

"Oh. Questa non è una visita di cortesia?"

"No, non lo è", gli risponde Arlinn. "Ti prego. Se sei a conoscenza di qualcosa sulla chiave di Selenargento, Innistrad ne ha bisogno. Le notti si stanno facendo sempre più lunghe; ci serve per un rituale che ristabilisca l’equilibrio."

"Con tutte queste persone, pensavo fosse una visita", riprende Dennick. Le sue dita continuano a muoversi incessantemente. "Tutti vogliono quella chiave. Io non l’ho mai vista. Mio padre mi diceva che io non ero un vero Betzhold."

"Immagino che stesse esagerando", gli dice Arlinn. "Ti trovi in questa casa, proprio come tutti gli altri Betzhold. Se potessi dirci qualcosa sulla chiave, ecco, renderesti onore alla tua famiglia più di chiunque altro."

A modo suo, il fantasma sospira. "Sì, credo di sì", risponde. "D'accordo. Allora. . .ho indagato un po’, perché ne ho sentito parlare e. . .non mi risulta in nostro possesso. Il mio bisnonno l’ha consegnata a uno dei vampiri, affinché la tenesse al sicuro. Non sembra assurdo?"

Kaya si pizzica il naso un’altra volta.

Chandra inspira rapidamente. Poi alza un dito. "Chiedo scusa, ma potrei sapere quale vampiro?"

Dennick sospira. "Mi permetterai di riposare?"

"Se è ciò che desideri", gli risponde Arlinn. "Ma il tuo riposo sarebbe ancora migliore sapendo che Innistrad è fuori pericolo, vero?"

Inclina il capo come se ci stesse riflettendo. E poi dice "Si tratta dei Markov. Il loro principe, l’ha presa lui. Mio padre ha detto che sentiva la mia mancanza?"

"Ecco, questa è una pessima notizia", commenta Chandra dirigendosi verso la porta, mentre Arlinn rimane al suo posto.

Dennick desidera qualcuno con cui parlare. Il minimo che lei può fare è ascoltarlo, almeno per un po’.


Innistrad rinasce.

Anche per i vampiri.

Nonostante la distruzione che hanno causato, per quanto il suo stomaco brontoli al loro odore, sebbene provi un forte odio nei loro confronti, Arlinn deve ammettere che è un pensiero rassicurante. Le Tribolazioni non hanno risparmiato nessuno. Quando le forze oscure hanno tentato di spazzare via l’umanità non molto tempo fa, tutti si sono uniti per combattere fianco a fianco.

Arlinn si augura che possano farlo di nuovo.

Gli altri si mettono in marcia. Chandra è apatica e non si rende conto di essere diretta verso la tana del serpente. Kaya si trova nella stessa situazione. Arlinn coglie invece qualcosa di diverso: quello era un luogo in cui un tempo le persone trovavano la speranza. Anche gli altri lo sanno, ma non riescono a comprenderlo. Non del tutto. Provare una fame profonda e resistere a quell’istinto primordiale per il bene comune. . .neanche a lei piace Sorin Markov, ma riesce a provare rispetto per lui.

Nello stesso modo, rispetta il ricordo dell’angelo che le aveva donato la speranza, quando questa era sembrava sfuggente come quel cervo bianco.

Gli altri continuano sul loro cammino e Arlinn si ferma un istante appena fuori dai cancelli. I rampicanti hanno conquistato entrambe le metà del simbolo di Avacyn. Li rimuove con le unghie affilate, raddrizza il simbolo e inizia a pregare.

"Proteggici al giungere della notte, angelo. . ."

Per sua sorpresa, un’altra voce si unisce alla sua, quella di Adeline.

Teferi si aggiunge a loro pochi secondi dopo, il tempo necessario per imparare le parole.

Anche la voce di Chandra si unisce al coro, un po’ troppo rapida e con qualche errore, ma con buone intenzioni.

Per ultima e con un leggero sospiro, Kaya si avvicina quando sono quasi al termine.

Una volta completata la preghiera, si scambiano leggeri sorrisi e si rimettono in marcia.

Nessuno le chiede come mai preghi un angelo che non è più in grado di udire le sue parole.


Le persone che dicono che affronteranno il problema al momento giusto non si sono mai trovati di fronte il maniero Markov. La sottile striscia di roccia che porta a quel luogo può incutere timore già in tempi normali, sovrastando una terribile voragine, ma le Tribolazioni sono giunte anche qui. Il ponte fluttua mentre cade a pezzi. Saltare da una roccia all'altra è l’unico modo per raggiungere il castello in rovina. I volti spezzati degli antichi Markov formano dei terrificanti appigli.

All’interno la situazione non migliora. I calici sono ricoperti da uno strato di polvere, gli spallacci di armature che un tempo seminavano terrore nei villaggi sono ora sparsi a terra; i ritratti non strappati sono sbiaditi. La cosa peggiore è l’assenza del fetore di morte, di putrefazione o di sangue; non è presente il purché minimo aroma.

"È possibile che non ci sia nessuno?", chiede Chandra.

"Estremamente improbabile", risponde Kaya. "Questo luogo è in rovina, ma non un tipo di rovina dovuta all’abbandono." Indica il lampadario sopra di loro. "Qualcuno ha sostituito le candele."

"Probabilmente un thrall", commenta Adeline. "Kaya ha ragione, non dobbiamo abbassare la guardia."

"E se semplicemente non si trovasse qui? In quel caso, potremmo impossessarci della chiave senza dover interagire con lui."

"Possiamo augurarci che non sia qui", risponde Arlinn, "ma è meglio agire immaginando che ci sia. Comunque, penso che saremo in grado di parlare con lui."

Nel momento in cui pronuncia quelle parole, il gruppo supera una particolare sporgenza rocciosa, diversa dalle altre intorno. Le altre sono affilate e contorte, come pugnali diretti verso un nemico invisibile, mentre questa è come una ferita aperta nel maniero di Markov. In questa, i solchi sono più profondi e si concentrano in due lunghe linee su entrambi i lati. Il profilo è altrettanto grezzo, con i bordi da un aspetto inquietante, come se fossero stati rosicchiati. Chiazze di sangue secco rendono l’immagine ancora più raccapricciante.

"Non mi piace l'aspetto di quello", commenta Adeline.

"Non hai tutti i torti", risponde Teferi.

Kaya emette un leggero suono. I suoi occhi si stringono. "Qualsiasi cosa fosse, non morde più."

"Sorin sarà a conoscenza di ciò che è successo. Magari non siamo gli unici alla ricerca della chiave", aggiunge Arlinn.

"Se mai è qui", aggiunge Chandra.

Ma lui lo è. Deve esserci. Dopo tutto questo, sfuggire loro. . .Arlinn stringe i denti. Troverà quella chiave, a qualsiasi costo. Tovolar ha l’obiettivo di strappare il cuore dal petto di Innistrad e lei non può permettere che accada.

"Se c’è un posto in cui possiamo trovarlo, è la sala del trono", dice Arlinn.

"Dovrebbe essere più avanti", risponde Kaya. "Tutti i ritratti di questa sala. Non possono portare in nessun luogo diverso dalla sala del trono."

Il ragionamento è corretto. Non ci sono molte immagini rimaste, ma offrono un indizio sufficiente. Per non parlare dell’imponente porta di fronte a loro: immane, enorme, con incisi volti di pipistrelli, ancora parzialmente sui suoi cardini. Per aprire quella porta, Arlinn ha bisogno di passare alla forma di lupo. Una volta tornata in forma umana, Adeline la osserva con attenzione. Arlinn risponde a quello sguardo con un sorriso.

"Non ti preoccupare, non mordo i divani", le dice. Scherzarci sopra mette più a proprio agio le persone, anche se non è questo il momento ideale per questo tipo di battuta. Quando era nei boschi, aveva corso il rischio di perdersi.

Ma oggi è Arlinn e il suo obiettivo è rimanere se stessa, anche dopo aver trovato il principe di quella impolverata sala del trono ad aspettarli.

Sorin Markov è seduto con una gamba accavallata sul bracciolo del trono fatiscente. Sta leggendo un vecchio libro senza segni apparenti, una specie di diario. Un’apertura nel soffitto proietta un raggio di luce di luna direttamente sulla sua pelle grigia. Circondato dal vuoto sfarzo del maniero abbandonato, rappresenta una visione alquanto bizzarra.

Sebbene non li osservi nel momento in cui entrano nella sala, Arlinn può sentire del rancore provenire da lui. La sua voce è imponente e arrogante. "Offrite una valida ragione per disturbarmi oppure mi occuperò personalmente di accompagnarvi fuori dalla mia dimora."

"Sorin", inizia a parlare Teferi. Ovviamente è lui a farsi avanti. Ovviamente non mostra alcun segno di riverenza. Il maldestro inchino che compie farebbe vergognare qualsiasi aristocratico. "Sono lieto di incontrarti di nuovo. Abbiamo una faccenda da discutere. Sarò breve."

Il vampiro solleva lo sguardo oltre il bordo superiore del suo libro. "Non sono così sciocco da credere alla tua definizione di breve. Parla chiaramente, subito."

Le spalle di Teferi si sollevano in una scrollata, come a indicare un tentativo andato a vuoto. "Siamo alla ricerca della chiave di Selenargento. Le notti si stanno allungando..."

Sorin chiude il libro con un gesto secco. "No."

"Che vuoi dire con questo no?", risponde Chandra. "L’abbiamo cercata per un tempo interminabile. Il minimo che tu possa fare è ascoltarci."

Lo sguardo di lui si fissa su di lei. Chandra si zittisce. C’è un qualcosa di predatore in quell’uomo e, contemporaneamente, qualcosa di affascinante. Arlinn aveva incontrato tantissimi succhiasangue in passato, ma nessuno come lui. Sembrava come la differenza tra cani e lupi.

Vero, la sua postura aveva un qualcosa di penetrante, come anche il modo in cui aveva riposto il libro, il modo di camminare e la posizione della sua mano sull’elsa della sua spada. "Non riesco a immaginare che una persona così irruente riesca a comprendere ciò che ho sacrificato per questo piano fino a oggi. Se la mia famiglia", parola accompagnata da un ruggito, "desidera così tanto sprofondare nell’insulso edonismo della notte eterna, posso assicurarvi di aver fatto abbastanza per tentare di impedirlo. Che ora si delizino."

Teferi solleva le mani, mettendosi proprio davanti a Chandra. "Se non hai intenzione di ascoltare lei, ascolta le mie parole. Questo piano è la tua famiglia, Sorin, lo sappiamo tutti. Hai sacrificato più di quanto ti fosse richiesto. Ti chiediamo la chiave in modo da poter fare la nostra parte. Arlinn non vuole vivere una notte eterna tanto quanto te."

"Siamo davvero sicuri?", risponde Sorin. "Preda, dimmi, che cosa hai fatto per il tuo piano? Ti ascolto." Avanza, con la spada che fuoriesce dal fodero, spingendo la bestia che si trova nel sangue di Arlinn a trasformarsi.

Ma lei resiste. Non è il momento. Punta i piedi sul pavimento di pietra. "Potrei non avere vissuto la tua storia, ma negli ultimi anni ho viaggiato su questo piano e ho ascoltato le persone. Ho pensato che tu, meglio di chiunque altro, avresti compreso perché gli umani devono sopravvivere. Tu hai dato vita ad Ava..."

Non finisce di pronunciare il nome che la lama è già libera in aria. Solo grazie ai suoi riflessi sovrannaturali riesce a evitare il colpo; solleva un braccio e blocca il piatto della lama. L’acciaio penetra nelle sue carni e un rivolo rosso cade a terra; vapori oscuri le pungono gli occhi. Nella sua bocca, i denti iniziano ad allungarsi. I suoi occhi dorati ardono nell’oscurità.

"Tu", ruggisce Sorin, "non hai il permesso di parlare di lei."

"Ti sei dimenticato il motivo per cui l’hai creata?", gli chiede. Chandra è già in fiamme e si fa sentire alle spalle di Arlinn. Basterebbe una sola parola per chiamare in soccorso gli altri quattro e aggredirlo, ma non è questo ciò che desidera. Non ancora. "Abbiamo bisogno degli angeli. Abbiamo bisogno di speranza, di fede. Abbiamo bisogno del giorno... e della chiave."

"Fuori", ruggisce lui. Le vuote pareti creano una feroce eco. "Subito."

"Non senza la chiave", risponde Arlinn altrettanto decisa. "Forse te lo sei dimenticato, non è in mio possesso."

Solleva la spada e si lascia trasportare dalla rabbia. Arlinn solleva di nuovo il braccio.

Poi si accorge di non averne bisogno. Una piuma scende tra i due, dorata e luminosa, seguita un istante dopo da una falce dalla testa di airone. La lama di Sorin si infrange contro l’arma angelica, spingendolo a indietreggiare per osservare chiunque si fosse intromesso.

Può essere il cuore della notte, possono essere tempi gelidi e oscuri, può essere l’inizio della fine di Innistrad, ma quella luce dorata che inonda la sala del trono riempie Arlinn di speranza. L’effetto viene amplificato dal calore sacro dell’angelo che si trova di fronte a lei.

Avacyn non è più in grado di udire le sue preghiere.

Ma Sigarda sì.

Sigarda, Champion of Light
Sigarda, Campionessa della Luce | Illustrazione di: Howard Lyon

"Sorin Markov", gli dice. La sua voce rimbomba di un’eco che la rende superiore a una voce umana. "Quanto in basso sei caduto. Esci dalla tua tomba in pietra solo per nutrirti."

Quella roccia... era stato lui? Che strana sensazione, provare compassione per un principe vampiro centenario.

Ancora più strana quando lo stesso uomo punta la spada contro un angelo. "E cosa pensi che io debba fare? Dato che sembra che tu abbia tutte le risposte, forza, spiegami. Spiegami oppure unisciti a loro e andatevene da qui."

Gli occhi dorati di Sigarda si fanno più piccoli. Non distoglie lo sguardo da Sorin, ma le sue parole sembrano provenire dal fianco di Arlinn. "Arlinn Kord, è stata la tua fede a evocarmi. Il tuo cuore è puro. Troverai la chiave di Selenargento nelle stanze private di Sorin, al terzo piano. Ora vai. Io devo parlare con lui della sua vecchia creazione."

Chandra e Kaya non hanno bisogno di farselo dire due volte e scattano verso la scalinata. "Grazie, Sigarda!", urla Chandra con i piedi già sul morbido tappeto che ricopre gli scalini. Teferi le segue a breve distanza, fermandosi solo il tempo per un inchino di ringraziamento.

Arlinn e Adeline rimangono invece nella sala del trono, anche dopo che la falce di Sigarda si abbatte su di lui, anche dopo che i lineamenti di lui si fanno selvaggi di fronte a quel pericolo. Una paura divina le paralizza. Non è forse il momento in cui i fedeli offrono il loro aiuto ai propri idoli? Le due si scambiano uno sguardo. Adeline solleva lo scudo.

"Andate!", ordina l’angelo, mentre la spada di Sorin penetra nella sua armatura. "Se avete mai avuto fede in me, questo è il momento di andare!"

Arlinn deglutisce a fatica. Vuole essere di aiuto. Adeline le afferra un braccio. "Saremmo solo d’intralcio", sussurra, abbattuta quanto Arlinn.

Forse ha ragione.

Ma non migliora la sensazione.

Arlinn sale le scale di corsa, seguendo i passi di Adeline, cercando di non lasciarsi distrarre dalle grida di dolore dietro di loro e di non contare quante di esse appartengano all’angelo e quante al vampiro. Questo è, a tutti gli effetti, un atto di fede.

È Chandra a individuare la stanza, piena di librerie e armi antiche; Teferi, a sua volta, individua dove si trova la chiave. Di fronte a loro, nelle mani di una statua. Sorin deve averla decapitata, ma l'armatura e le ali mostrano in modo evidente chi rappresenti. Una Avacyn senza testa si trova tra il ritratto di un giovane Sorin e quello di suo nonno, abbigliati elegantemente.

Moonsilver Key
Chiave di Selenargento | Illustrazione di: Joseph Meehan

Arlinn afferra la chiave.

Per la seconda volta quel giorno, sussurra una preghiera.

Questa volta chiede che Sigarda riesca a mettersi in salvo e che loro riescano a tornare in tempo per il Raccolto.

Pregare un angelo per la sua stessa salvezza è una richiesta strana, così come lo è chiedere un rallentamento dello scorrere del tempo.

Nulla è garantito su Innistrad, ma loro faranno tutto ciò che è nelle loro possibilità per sopravvivere e lottare ancora una volta per la sacra luce del giorno.