Akiri falling from Trailer

Akiri conosceva intimamente tanto la sensazione della caduta quanto la forza delle proprie mani. Non ebbe alcuna paura del vento che le schiacciava il volto o dello stomaco che le risaliva in gola. Era la migliore lanciafuni di tutto Zendikar e aveva imparato molto tempo prima che, a volte, per riuscire a salire è necessario anche cadere.

Ma non era mai caduta da così in alto e così a lungo prima. Soprattutto, non era mai caduta senza alcuna speranza.

Mentre precipitava, poteva vedere l’enclave celeste di Murasa rimpicciolirsi sopra di lei. Chiudendo gli occhi avrebbe anche visto l'espressione fredda e indifferente di Nahiri e il nucleo nella sua mano, in quel terribile momento prima che la spingesse oltre il bordo della rovina fluttuante.

In quei primi disperati istanti, Akiri lanciò funi e ganci verso ogni piattaforma fluttuante o edro inclinato a cui passava vicino. Invece di sgretolarsi, i pezzi dell’enclave celeste di Murasa erano in movimento. Si stavano avvicinando tra loro per combinarsi in un puzzle impossibile e i suoi ganci persero i possibili ormeggi o vennero colpiti prima che Akiri riuscisse a mettersi in salvo.

Dopo pochi secondi, tutto ciò che rimase intorno ad Akiri fu il cielo sconfinato.

Questi sono gli ultimi momenti della mia vita, comprese. Afflizione e rabbia la colpirono duramente. Akiri non era riuscita a salvare o proteggere nulla e nessuno di ciò che amava in quei minuti disperati prima che Nahiri la scagliasse verso il terreno.

Zendikar. Zareth. Chiuse gli occhi e pensò all’amico e amato, ricacciando indietro l’immagine di quel volto congelato e urlante nel momento della sua morte, ricordandolo invece sorridente e impegnato a lanciare funi insieme a lei, con occhi scintillanti che nascondevano le sue malefatte.

Akiri si strinse a quel ricordo, in attesa di giungere al suolo. Si sarebbe presto ricongiunta con Zareth.

L’impatto le tolse il respiro. Il suo collo e i suoi arti vennero dolorosamente spinti in avanti. E poi rimbalzarono all’indietro.

All’improvviso, Akiri non stava più precipitando.

Strano, pensò. La morte è più delicata di quanto immaginassi. Prevedeva che le sue ossa sarebbero state spezzate dai rami di harabaz o magari di non sentire nulla del tutto. Aprì gli occhi aspettandosi una totale oscurità, ma si ritrovò ad osservare il cielo azzurro. Si guardò intorno e, un centinaio di metri sotto di lei, vide Baia dello Sfascio e i suoi alberi che ondeggiavano e si dimenavano contro le implacabili onde.

"Ma come?", sussurrò. Era sospesa a mezz'aria. Impossibile.

"Presa!", urlò qualcuno dall'alto.

Akiri alzò lo sguardo e, una volta che la sua vista si fu adattata alla luce del sole, intravide una sottile figura appoggiata a un bastone. Si trovava su quella che sembrava una scala di rami. Anche quello sembrava impossibile.

"Ma come?", sussurrò di nuovo.

Forest
Foresta | Illustrazione di: Tianhua X

Akiri si sentì sollevare e comprese che un insieme di ramoscelli la stava avvolgendo intorno al petto.

Avvicinandosi alla figura sulla scala, vide che la sua salvatrice era una donna elfica con una lunga chioma nera e con un abbigliamento verde. Più in basso nella scala, stava salendo con cautela un uomo con una chioma mossa dal vento e degli occhi splendenti.

I rami si mossero e appoggiarono delicatamente Akiri sulla scala, a mezzo metro dall’elfa.

"Grazie", le disse Akiri dopo un istante. Fu tutto ciò che riuscì a esprimere.

"Ti senti bene?", le chiese colei che l’aveva salvata.

"Sì". Akiri guardò verso l’enclave celeste. Era quasi tornato integro, come se nulla avesse fatto scattare la trappola. Come se Akiri e la sua compagnia non avessero appena lottato per sopravvivere. Come se Zareth fosse morto per nulla. "No", sussurrò con le ginocchia che cedevano sotto il suo peso.

"Piano", l’elfa la sorresse mettendole un braccio intorno alle spalle e raddrizzandola, "ti tengo."

"Chi sei?", chiese Akiri.

"Il mio nome è Nissa", rispose e, con un timido sorriso, aggiunse "E quello che sta salendo lentamente si chiama Jace."

Jace gemette e le raggiunse. "Sono fuori forma. Non abbiamo labirinti nel cielo su Ravnica."

Akiri li analizzò per un momento. C’era un qualcosa in quelle due persone che non sarebbe stata in grado di riconoscere pochi giorni prima, un qualcosa che aveva sempre considerato una favola da raccontare intorno a un falò. Una sensazione di potere implicito e di segreti vasti come il mondo. Una sensazione come se avessero un piede in quel luogo. . .e l’altro da un’altra parte.

Come Nahiri.

"Voi potete viaggiare verso altri reami, vero?", chiese Akiri allontanandosi dalla presa di Nissa.

Nissa e Jace si scambiarono uno sguardo. "Tu conosci i planeswalker?", chiese Jace.

Nelle favole vengono chiamati semplicemente viaggiatori. Planeswalker. Il mio demone ha un nome, pensò Akiri mentre una stretta di dolore le strinse il cuore. "Ho incontrato Nahiri. È stata lei a spingermi." Indicò l’enclave celeste.

Si accorse che nessuno dei due appariva sorpreso. Stavano entrambi scrutando l’enclave celeste.

"È in possesso del nucleo?", chiese Nissa, le cui mani si serrarono in un pugno.

"Sì". L’immagine del volto crudele di Nahiri si materializzò di nuovo nella mente di Akiri. E anche del volto defunto di Zareth.

"Possiamo ancora fermarla", commentò Jace, iniziando a risalire. "Mettiamoci in marcia."

"No, Jace!", rispose Nissa. "Guarda!"

Akiri osservò nella direzione in cui stava indicando Nissa. In lontananza poté scorgere una figura dai capelli bianchi che correva a mezz'aria, come se stesse scendendo di corsa una rampa di scale. Akiri riconobbe colei che era in grado di plasmare la pietra. La vista di Nahiri fece torcere le budella ad Akiri.

Nissa spinse in avanti una mano e decine di frecce spinate scattarono verso Nahiri. La distanza tra loro era però troppo grande. Nahiri ebbe tutto il tempo necessario per bloccare l’attacco con uno scatto del polso e un macigno ben piazzato.

Akiri sussultò e afferrò le funi. Aspetta, pensò. Non ancora.

Udì Jace espirare dietro di sé e, voltandosi, vide che aveva lo sguardo fisso su Nahiri. Jace stese tre dita in direzione della plasmatrice di roccia, come in un attacco, e Akiri trattenne il fiato.

Non accadde nulla.

Poi Nahiri cadde a terra e si portò le mani al capo. Le labbra di Jace fecero un piccolo movimento.

Nahiri recuperò l’equilibrio dopo pochi istanti e arrestò la sua discesa su quelle scale di pietra. Si voltò verso Jace.

Anche a quella distanza, la malvagità nello sguardo di Nahiri fece venire la pelle d’oca ad Akiri.

"Attento!", urlò Akiri, spingendo Jace lontano dalla traiettoria di un macigno che gli era stato scagliato contro.

In quel momento, iniziò di nuovo a precipitare. Questa volta aveva Jace stretto a sé.

Akiri era meritatamente la migliore lanciafuni di Zendikar e aveva previsto un attacco da parte di Nahiri. Dopo pochi istanti, afferrò una fune e serrò il gancio su quella scala di rampicanti. Grazie allo slancio, riuscì a evitare un altro macigno e, con tre movimenti delle mani, riportò se stessa e Jace sulla scala di rami.

Sollevò di nuovo lo sguardo verso il cielo, ma Nahiri non c’era più. Akiri sospirò, sia per il sollievo per essere sfuggita a Nahiri che per la rabbia che le fosse scappata.

"Sei stata. . .", disse Jace ad Akiri rimettendosi in piedi, "notevole."

"C’è un buon motivo per cui Nahiri ha assoldato la mia compagnia. Siamo. . .eravamo. . .i migliori al mondo", rispose Akiri. Con una fitta per la preoccupazione, si chiese che fine avessero fatto Kayza e Orah.

Per favore, siate vivi, pensò lei.

"Dobbiamo inseguirla, subito!", disse Nissa, iniziando a scendere lungo i rami.

"Oh, se è una discesa veloce ciò che vuoi", disse Akiri con una gelida sicurezza. Lei era Akiri, la viaggiatrice impavida, e quello era il suo dominio. Quella era la sua dimora. Iniziò a srotolare un’altra fune.

Tra le funi di Akiri e i rampicanti di Nissa, volarono verso il terreno, oltrepassando Baia dello Sfascio e le fronde degli alberi di harabaz, verso le rinomate imponenti scogliere di Murasa. Nonostante dovesse reggere Jace, Akiri volteggiava come un uccello da quelle frastornanti altezze. Questa volta la caduta fu studiata e controllata, nonostante il suo cuore fosse stritolato dal dolore.

Non poteva permettersi di lasciar andare via Nahiri.

Ma erano ancora troppo lenti nel loro movimento. Nel momento in cui lei, Nissa e Jace misero piede sull’altopiano verdeggiante oltre le scogliere, Nahiri era già scomparsa.

Nissa strinse i pugni e si appoggiò a un enorme albero di jurworrell. Rimase immobile, chiuse gli occhi e piegò leggermente la testa da un lato.

"Che cosa sta facendo?", sussurrò Akiri a Jace. Jace alzò le spalle.

"Sto ascoltando", rispose Nissa. Dopo un istante, riaprì gli occhi. "È andata verso nord, ma non so dire esattamente dove. Nahiri ti ha detto dove era diretta?", chiese a Akiri.

Akiri scosse la testa. Ora che si trovava di nuovo a terra, i ricordi di Zareth la braccarono. Aveva trascorso troppo tempo con questi misteriosi planeswalker. Comprese in quel momento che erano pericolosi quanto gli Eldrazi. "Vi ringrazio per avermi salvata di nuovo", disse raccogliendo le funi.

"Dove stai andando?", chiese Jace, allarmato.

"Devo trovare Orah e Kayza."

"Chi?".

"I miei amici. Mi auguro che Nahiri non abbia ucciso anche loro." Akiri deglutì con difficoltà. Non sapeva che cosa avrebbe fatto se avesse perso la sua seconda intera compagnia di avventurieri. La sua seconda famiglia.

"Potresti esserci di aiuto", la invitò Jace.

"No, non potete contarci", rispose Akiri. "Lavorare al servizio di Nahiri è stato uno dei miei più gravi errori. Ha utilizzato il nucleo. . .Zareth", Akiri inspirò profondamente, "Non ho più intenzione di aiutare coloro che provengono da altri reami." Non era sicura delle origini di Nahiri, ma sicuramente non dallo Zendikar che lei amava.

"Io non vengo da un altro reame", rispose sommessamente Nissa. "Sono nata qui. A Bala Ged. La mia tribù. . .la mia tribù è stata quasi spazzata via dagli Eldrazi. E riesco a percepire la devastazione in ogni angolo di questo mondo." Si sollevò e guardo Akiri negli occhi. "Questa è casa mia e lo sarà sempre. Mi rifiuto di permettere a Nahiri di modificarla nella sua inanimata visione di pietra." Parlò a voce bassa, ma con una impetuosa determinazione.

Per la prima volta, Akiri si accorse di come l’intera foresta sembrasse avvolgersi intorno a questa elfa minuta. Come se fosse in attesa di un suo ordine.

"Devi allora sapere che", rispose Akiri, "il nucleo corrompe e uccide. Animali, alberi. . ."

persone, non riuscì a completare la frase.

L’espressione di Nissa era colma di dolore, ma non di sorpresa. "Quindi non sai dove potrebbe essere diretta?", le chiese.

"No", rispose Akiri.

"Io potrei avere un’idea", commentò Jace con un’espressione colpevole. Entrambe le donne lo guardarono, sorprese. "Ho sbirciato nei suoi pensieri", ammise. "Si sta dirigendo alla Città Canora."

Akiri conosceva le leggende sulla Città Canora. Si diceva che chiunque si imbattesse nelle sue rovine fosse destinato a perdere il senno.

"Penso che scrutare nella sua mente sia stata la mossa giusta", commentò delicatamente Nissa. Poi aggrottò un sopracciglio. "Perché vuole andare in quel luogo?"

"Perché è stata costruita dagli antichi Kor", rispose Jace.

"Come?", risposero all’unisono Nissa e Akiri.

"La conclusione è logica", disse Jace. "Le città antiche di questo mondo sono state costruite da loro." Gli occhi di Nissa erano di nuovo chiusi, in ascolto.

"Posso arrivarci più velocemente da sola", commentò.

"Nissa, aspetta", le disse allarmato Jace.

Fu chiaro ad Akiri che Nissa non avrebbe atteso nessuno. Sotto di lei si era già formato un groviglio di radici di jurworrell che la stava sollevando. "Fermerò Nahiri e distruggerò il nucleo", disse con lo sguardo diretto verso Akiri. "Ve lo prometto". Questa volta, dietro a quella pacata determinazione, Akiri percepì rabbia.

Akiri fece un cenno con la testa. "Fai in fretta."

"Nissa", disse Jace, ma nessuna delle donne lo ascoltò.

Come una fune che veniva lanciata, le radici si gonfiarono e la spinsero nel fitto della foresta.

In un istante, Nissa sparì.

"Nissa!", cercò di urlarle Jace. Nel punto in cui si trovava un istante prima non ci fu altro che il ronzio della foresta e gli alberi avvolgenti. Jace si voltò verso Akiri. "Puoi accompagnarmi fino alla Città Canora?"

"Potrei, ma non lo farò." Akiri agganciò una fune a una spessa radice di jurworrell sopra di sé. Doveva trovare i grifoni che avevano trasportato lei e i suoi compagni fino a Murasa. Si augurò che Kayza e Orah si trovassero a Baia dello Sfascio e la stessero aspettando.

Vi prego di essere là, pensò.

"Per favore, Akiri", le disse Jace avvicinandosi da dietro.

"Non sei bravo ad ascoltare, vero?", gli rispose Akiri, sollevandosi da terra. "Oggi ho già perso abbastanza."

Un’intera vita. Zareth.

"Ti porgo le mie scuse", disse Jace. "Di solito sono un ascoltatore accettabile. Sono stati. . .anni complicati."

Sì, per tutti. Akiri si sollevò sulla radice e cercò l’appiglio successivo.

"Aspetta, i tuoi amici sono Kayza e Orah, vero?", le disse Jace.

Akiri si fermò e osservò intensamente quell’uomo dalle vesti blu. "Cosa sai di loro?"

Jace chiuse gli occhi e appoggiò le dita ai lati delle tempie per un istante. "Percepisco due figure alla baia. Immagino che siano i membri della tua compagnia. Non posso esserne sicuro."

Akiri afferrò la corda e scese al suolo. "Come riesci a farlo?"

Jace alzò le spalle. "Sono un mago. Ho un talento per le illusioni e i pensieri."

"Questo è il modo in cui sei riuscito a leggere nella mente di Nahiri?", gli chiese lei. Jace apparve colpevole e Akiri indietreggiò all’idea che i suoi pensieri venissero letti da quello straniero proveniente da un altro mondo.

La mia mente è solo mia, pensò intensamente, nel caso in cui Jace fosse in ascolto. Non ti permettere di entrare. .

Iniziò quindi a risalire.

"E se io promettessi di portare il nucleo altrove? In un luogo lontano da Zendikar?", le disse Jace nel tentativo di fermarla.

Che cosa significa questo? Akiri avrebbe voluto chiederglielo, ma il suo pensiero si fermò in un sussulto. Gli Eldrazi erano giunti da un luogo lontano da Zendikar. Forse era meglio non sapere.

"E il nucleo non sarebbe più un pericolo?", chiese.

Jace annuì.

Quella domanda fece fermare Akiri. Zareth avrebbe voluto che salvassi Zendikar. Il pensiero la ferì al cuore. Rubare quel pericoloso oggetto e spedirlo su un altro mondo? A Zareth l’idea sarebbe piaciuta molto. Akiri doveva ammettere che sarebbe stata una valida soluzione. Con un sospiro, si voltò di nuovo verso Jace.

"Ti porterò all’ingresso della città, in modo che tu possa aiutare Nissa", gli rispose con cautela, "ma non oltre."

"Grazie, Akiri", rispose Jace con sollievo.

Durante il viaggio verso la Città Canora, Akiri non ebbe alcun segno di un’eventuale lettura dei suoi pensieri da parte di Jace.

Fu solo molto più avanti, dopo aver ritrovato Orah e Kayza a Baia dello Sfascio, che Akiri si rese conto di non aver mai detto il proprio nome a Jace.


Jace seguì Akiri attraverso gli annodati e torreggianti alberi di jurworrell, fino a una foresta avvizzita dagli Eldrazi. In quel luogo, il nauseante e annerito panorama fece stringere la bocca dello stomaco a Jace, nonostante ci fossero segni evidenti di una nuova e tenera vita che lottava per emergere in quella desolazione.

Continuarono sulla loro strada.

Lui la seguì fino al termine degli alberi e si trovarono di fronte le imponenti scogliere, alte come la parete di Murasa. Scalarono lungo la roccia fessurata, tra i cupi ringhi di bestie invisibili provenienti dall’interno di cunicoli della scogliera, che in alcune occasioni facevano vibrare la roccia sotto le loro mani.

Jace seguì Akiri sull’altopiano Na e la densa foresta al di là di esso. Fu contento di non dover intraprendere quel viaggio da solo, quando gli alberi di jaddi divennero più fitti e più tetri in prossimità della città.

Akiri rimase in silenzio per l’intero tragitto, tranne alcuni sussurri come "Attento ai wurm" o "In questa zona ci sono goblin. Avanza più silenziosamente possibile."

Jace vide chiaramente che stava portando dentro di sé l’afflizione e la preoccupazione e, nonostante cercasse di non mostrare le proprie emozioni, il dolore era molto evidente. Forse questa consapevolezza era dovuta ai dolorosi segreti che lui doveva trasportare.

Si fermarono nella foresta. Davanti a loro era un cimitero di una città antichissima. Era come se una delle enclavi celesti si fosse sviluppata a terra. Le sue torri in pietra erano in rovina e rovesciate e le pareti erano ricoperte di flora e muschio. L’aria aveva un aroma umido e polveroso e tutto sembrava mormorare in modo sinistro. Il cancello di ingresso era in marmo, oscuro, contorto e splendido, con linee ricurve che si intrecciavano in uno schema complesso come le radici di jaddi. L’atmosfera avvolgeva profondamente Jace e Akiri.

"Qualche consiglio?", chiese lui.

"Non impazzire", rispose lei.

"D’accordo". Jace distese il mantello. "Ti ringrazio per il tuo aiuto. E. . .mi dispiace per il tuo amico. So cosa si prova a perdere una persona vicina."

Akiri annuì e i denti si serrarono per l’emozione soppressa. Si voltò e iniziò a camminare, ma poi si fermò.

"Mi auguro che Nissa abbia più fortuna di me", gli disse senza voltarsi. Poi si incamminò verso l’ombra degli alberi.

"D’accordo", ripeté Jace, seguendola verso il cancello.

Era aperto.

All’interno si trovava un labirinto di rovine. Il muschio ricopriva le stanze e i corridoi sembravano non avere fine. Jace provò un colpo al cuore. Comprese che quel cammino non sarebbe stato facile. Per quanto fosse attratto dalle sfide, non era quello il momento di perdersi.

Da ogni direzione proveniva un mormorio leggermente stonato che Jace non riusciva a ignorare.

Qualcosa si mosse alla sua destra. Jace creò immediatamente una protezione magica intorno a sé. Seguì il rumore dietro l’angolo e vide una figura dai capelli bianchi di schiena.

"Ciao Jace", disse Nahiri senza voltarsi. "Ovviamente sei venuto."

"Vengo da parte di Nissa", rispose lui.

"Certo."

"Dice che il nucleo distruggerà Zendikar."

Nahiri si voltò con un’espressione accigliata. "Belle parole dalla persona che ha liberato gli Eldrazi su questo piano."

Jace strinse i denti. Anche lui era uno dei planeswalker che aveva liberato per sbaglio gli Eldrazi. "Pensava di agire per il meglio."

"Pensa di fare lo stesso ora?" Nahiri sollevò un sopracciglio e Jace non ebbe risposta. "Diversamente da quella goffa abitante degli alberi, io sono nel giusto."

"Nel giusto come quando hai intrappolato gli Eldrazi qui?", rispose Jace.

L’espressione di Nahiri divenne feroce. "Come osi?"

"Non comprendiamo il nucleo litoforme", rispose lui con tono piatto, mantenendo sempre saldo il suo scudo protettivo. "Dammi il nucleo, Nahiri, e cercheremo di scoprire i suoi segreti insieme. Su Ravnica."

Nahiri si arresto e, per un istante, Jace ebbe una speranza.

Poi la postura di lei si fece più ampia.

"Mai", ringhiò. Con un gesto della mano, scagliò dei massi contro di lui da entrambi i lati.

Le pietre si scontrarono con la barriera di Jace e rallentarono la loro corsa, permettendogli di schivarle. Jace scattò di nuovo in piedi e si preparò per l'attacco successivo creando una decina di Jace illusori intorno a sé.

Nahiri scattò invece lungo il corridoio. Imprecando, Jace lasciò dissolvere le illusioni e la inseguì.

Corse lungo gli antichi corridoi, notando arcate a spirale e corti in rovina. Seguì le impronte che Nahiri lasciava nella polvere, lungo stretti passaggi e saloni sinuosi.

Poi giù per contorte scale spezzate. Fino al cuore di quella antica città kor.

Fu in quel luogo che quello strano mormorio divenne una melodia inquietante. Era un requiem per qualcosa che Jace non riuscì a comprendere, con un’armonia melodiosa e profonde vibrazioni che lo riempirono di una tristezza e di un forte desiderio di abbandonare la sua impresa.

No, devo fermare Nahiri, pensò udendo il rumore dei passi di lei. Il ritmo rallentò. Lui continuò sulla sua strada.

Nel profondo della città la melodia divenne più intensa, più complessa, più distorta, più insistente. Jace strinse i denti. Poteva scorgere il contorno di Nahiri in lontananza. Quella melodia ossessionante gli faceva dolere le articolazioni.

Devo raggiungere Nahiri. Jace continuò barcollando lungo il corridoio ricurvo.

Ogni passo era più arduo del precedente. La musica cresceva, la melodia ossessionante si faceva più intensa, la sua attenzione era completamente deviata. Jace barcollò e gemette.

Devo trovare. . .

Si accorse di una serie di archi azzurri di magia intorno a lui, la cui luce pulsava al ritmo della musica. La melodia copriva tutti i suoni e tutti i pensieri. Jace cadde in ginocchio e si portò le mani alle orecchie.

Devo. . . devo. . .

Cercò di ritrovare la concentrazione su un singolo pensiero. Non. Devi. Impazzire.

Sarebbe stato rischioso, mai provato prima, ma Jace era in una situazione disperata. Smise di concentrarsi sulle orecchie e cercò di lanciare una magia, una nuova magia che avrebbe voluto provare, ma che non aveva trovato il tempo e l’occasione per farlo. Una magia delicata e pericolosa. Una magia che avrebbe impedito a qualsiasi suono di entrare nelle sue orecchie.

Maddening Cacophony
Cacofonia Dissennante | Illustrazione di: Magali Villeneuve

La melodia raggiunse un impossibile crescendo. Ogni fibra del suo corpo fu presa da spasmi, la sua mente urlò alla ricerca di un sollievo e iniziò a perdersi.

Poi, all’improvviso, tutto si interruppe.

Jace emise un sospiro. La sua magia aveva funzionato.

Nel giro di pochi secondi, la sua mente tornò libera e le sue articolazioni di nuovo mobili. Vide Nahiri accasciata davanti a lui, con le mani a coprirsi le orecchie. Si alzò in piedi e corse verso di lei, muovendo le mani e ingrandendo la portata della sua magia in modo da includere Nahiri.

Lei gemette e si coprì gli occhi. Jace titubò, chiedendosi quale sarebbe stata la reazione della litomante, preparandosi a resistere a un attacco.

Si collegò telepaticamente alla mente di lei. Stai bene, Nahiri?

Nahiri si alzò a fatica, si sgranchì le spalle e osservò Jace. Ti aspetti un ringraziamento?

Ovviamente no, sorrise internamente Jace.

Lei aggrottò la fronte e guardò i propri piedi. Non udivo nulla. La melodia. Poi, quando è iniziato, pensavo di essere abbastanza potente da resister.

Jace annuì. Quel piano era sempre stato pieno di sorprese. .

Io e il nucleo non andremo via da Zendikar, Jace. La sua frase venne confermata da un’espressione decisa e ribelle sul suo volto.

Va bene. Jace comprese che avrebbe dovuto usare una tattica diversa per convincere Nahiri. Dove sei diretta?

Al centro della città. Per attivarlo. .

Jace attese, a braccia conserte.

Nahiri alzò gli occhi al cielo. Le rune dicono che esiste un punto focale in grado di incanalare l’energia del nucleo su tutto Zendikar, attraverso le leyline.

Questa informazione attirò l’interesse di Jace. Una trasformazione universale?

Nahiri annuì, con un’espressione circospetta.

Jace si rese conto di come Nahiri credeva che dovesse funzionare la guarigione del suo piano. Voleva trasformare Zendikar. Ampie e splendide città, con migliaia di persone intente a produrre, vendere, prosperare. Arcate scolpite in modo intricato e complesse architetture mozzafiato in ogni angolo del pianeta. E, soprattutto, stabilità. Sicurezza.

A Jace venne in mente Ravnica.

Non ti ostacolerò, Nahiri, se mi prometti che non utilizzerai il nucleo finché non avremo studiato i suoi meccanismi nel dettaglio. .

Nahiri non rispose, rifletté e poi annuì. Non ho alcun desiderio di ferire la mia dimora.

Jace era però in grado di leggere i pensieri di lei e sapeva che la definizione di ferita di Nahiri non era la stessa di Nissa. Vide che avrebbe spazzato via città ed eserciti pur di raggiungere i suoi obiettivi.

Si rese anche conto che, se anche fosse riuscito a svelare i misteri del nucleo, avrebbe comunque dovuto comprendere come attivarlo. Affinché potesse essere un'arma utile per le battaglie future, il suo potere avrebbe dovuto come prima cosa essere quantificato.

Sapeva che avrebbero avuto bisogno di ogni arma che ogni piano potesse offrire nel giorno in cui avrebbero dovuto affrontare di nuovo Nicol Bolas.

Con un sorriso amichevole, si voltò verso Nahiri e pensò Dopo di te.


Nahiri e Jace attraversarono il labirinto che era la Città Canora, con quella pesante tregua a riempire gli spazi tra loro. Nahiri camminava di fianco a Jace, per restare in ogni momento all’interno della portata della sua magia protettiva. Non avrebbe voluto sentire quelle voci tormentanti mai più.

Mentre procedeva, Nahiri tenne sempre una mano a contatto con le pareti in pietra ricoperte da muschio per chiedere loro la giusta direzione verso il centro della città e l'altra nella sacca appesa al fianco. Il nucleo le trasmetteva una sensazione di calore e una specie di battito di potere. Una sensazione che la fece sorridere.

Erano però presenti anche i sussurri, a un volume appena sopra la soglia del percepibile. Quando avesse avuto un momento di pausa, dopo aver riportato Zendikar alla sua antica bellezza, avrebbe cercato di decifrare il significato di quei sussurri.

Fortunatamente, Jace rimaneva in silenzio, forse scrutando nei suoi pensieri rabbiosi, colmi di un continuo mai più, mai più. .

Le vibrazioni delle pietre li guidarono lungo gli apparentemente interminabili corridoi, attraverso le vuote corti e di nuovo in salita per le contorte scale crepitanti. Era finalmente così vicina. Così vicina a quel punto focale nel centro della Città Canora. Così vicina a rimediare finalmente al danno che aveva aiutato a generare tanto tempo prima.

Una volta emersi dall’ultima tornata di scale, si ritrovarono nel mezzo di un antico giardino, ora ricoperto da radici di jaddi, felci, muschio e fiori dal brillante colore viola. Si intravedevano ancora i graticolati in pietra e le fontane asciutte e le ombre dei collegamenti tra loro.

Jace sollevò le mani e poi le abbassò lentamente, rimuovendo la magia silenziante. Il misterioso ronzio ricominciò, ma a un volume ridotto.

"E adesso?", chiese Jace.

Nahiri prese il nucleo litoforme dalla sacca. Brillava nella sua mano con la sua promessa di potere. I suoi sussurri si fecero frenetici e furiosi.

"Sei in grado di sentirli?", chiese Nahiri, sollevando il nucleo.

"Sentire cosa?”, chiese Jace aggrottando le sopracciglia.

"Nulla", rispose rapidamente Nahiri. "Andiamo."

"Dove?"

Nahiri indicò una grande struttura in pietra simile a un padiglione davanti a loro. Anche dalla loro posizione era evidente che fosse crollata e in rovina. Ma non lo era forse tutto su Zendikar?

Rimise il nucleo nella sacca e si incamminò.

C’era qualcosa che non andava. La sensazione diventava più forte man mano che si avvicinavano all'edificio in rovina e Nahiri comprese che il padiglione era completamente crollato su se stesso, schiacciando tutto ciò che si trovava al suo interno.

"No", disse Nahiri correndo in avanti e appoggiando le mani su quella che un tempo era l’entrata. Le vibrazioni della pietra le rivelarono che quel danno era recente.

"Che cosa stai facendo?", chiese Jace.

"Lo sto sistemando!", rispose Nahiri mentre le rocce intorno a lei iniziavano a muoversi. Avrebbe potuto rimediare a quel danno. Doveva farlo.

"Inutile perdita di tempo", disse una voce dietro di loro. Nahiri si voltò e vide Nissa tra le rovine di un antico giardino, con una mano a reggere il bastone e l’altra stretta a pugno lungo un fianco. Schiena dritta ed espressione decisa, con un sereno ma pericoloso luccichio nei suoi occhi.

"Il punto focale", disse Nahiri a denti stretti, "era qui."

"Sì, era qui", rispose freddamente Nissa, "prima che gli elementali lo distruggessero."

"Hai chiesto alle tue creature di fare questo?", urlò Nahiri. Avrebbe avuto bisogno di giorni, se non di settimane, per guarire il danno a quei canali magici.

"Io non chiedo loro di fare nulla", rispose Nissa. "Io li aiuto e loro aiutano me. Sono la guardiana di Zendikar e loro sono le incarnazioni viventi di questo piano." Dietro di lei apparve un gigantesco elementale. I suoi arti erano composti da radici e foglie e la sua testa era dotata di imponenti corna che avevano l'aspetto di ali ripiegate all’indietro. "Sei d'accordo, Ashaya?"

Ashaya, Soul of the Wild
Ashaya, Anima delle Terre Selvagge | Illustrazione di: Chase Stone

Nahiri aggrottò la fronte, ma l’apparizione di quel formidabile elementale arrestò la sua foga. Sia Nahiri che Jace fecero un passo indietro.

"Nissa." Jace sollevò una mano in un gesto pacificatore. "Ti prometto che non utilizzeremo il nucleo e non permetteremo a nessun altro di utilizzarlo", disse rivolto verso Nahiri, "fino al momento in cui lo avremo compreso."

"Che valore ha la tua parola quando l’altra persona non la rispetta?", rispose Nissa. Stava osservando proprio Nahiri.

"Se non la rispetterà", disse Jace con una calma esasperante, "si ritroverà in un’illusione enormemente veritiera della Città Canora. L’unica differenza è che io non sarò presente per silenziare la melodia."

"Manipolatore", sibilò Nahiri. Giurò silenziosamente di non fidarsi mai più di nessuno.

"Non ho intenzione di combattere con voi. Davvero", disse Nissa a Jace e Nahiri. "Tutti noi abbiamo combattuto abbastanza. Meritiamo un po’ di pace."

"Sono completamente d'accordo, ma. . ." disse Jace, "penso che Nahiri abbia ragione su un aspetto. Lo Zendikar antico era splendido. L’ho visto nei suoi ricordi."

"Vedi, anche il manipolatore è d'accordo con me", commentò Nahiri con soddisfazione. Finalmente qualcuno stava iniziando a ragionare.

"Jace, ne abbiamo parlato. Gli elementali..."

"Ricresceranno. Tutto ricresce."

"Non tutto", rispose Nissa con tono sommesso.

"Lo Zendikar che conosco è forte e indistruttibile", aggiunse Nahiri.

"Pensa alla stabilità", ragionò Jace. "Pensa a quanto i popoli di questo piano potranno prosperare senza la paura del Torbido successivo."

Nissa fece un passo indietro. Poi un secondo. "Mi fidavo di te", disse a Jace. Il terrore e il dolore sul suo volto erano evidenti.

"Nissa", la implorò Jace.

"Non ti conviene combattere con me", disse Nahiri portando una mano al nucleo nella sacca.

Nissa guardò direttamente verso di lei. "Non ci provare."

Ma Nahiri non sopportava più di attendere. Aveva affrontato draghi antichi e vampiri immortali. Non si sarebbe lasciata fermare. Non ora. Non da una persona così piccola, sensibile e insicura. Non dopo essere arrivata così vicina al suo obiettivo.

Con uno scatto dei polsi, Nahiri creò decine e decine di spade fiammeggianti. Una per ogni momento di rabbia degli ultimi mille anni. Con un secondo movimento, le scagliò direttamente contro Nissa.

Prima che quelle armi potessero raggiungere il bersaglio, un qualcosa di fulmineo le intercettò tutte in volo.

Nello stesso istante, colpì Nahiri e la lasciò senza fiato, sbattendola a terra.

Nahiri rotolò e si rimise in piedi, preparandosi a contrattaccare. Ciò che vide la lasciò a bocca aperta. Di fianco a lei, udì Jace rimanere senza fiato.

Nissa stava fluttuando a un metro da terra, con la chioma mossa dalla brezza dietro di lei e un’energia color verde che fuoriusciva dal suo corpo. Anche da lontano, Nahiri poté percepire la rabbia di Nissa e il suo desiderio di proteggere quello Zendikar, per quanto fosse contorto, a ogni costo. Davanti a Nissa si trovava Ashaya, al massimo del suo potere.

L’Anima delle Terre Selvagge sembrava strabordare di forza e di determinazione nel suo compito di proteggere. Il suo sguardo era fisso su Nahiri e i suoi occhi erano di un verde brillante di energia; sollevò quattro dei suoi contorti arti simili a rami e li abbatté su Nahiri con un sonoro schiocco.

Nahiri si tuffò di lato appena in tempo per evitare quell'attacco. Con un movimento del braccio, sollevò le pietre intorno a sé e le scagliò contro l’elementale. Le rocce si frantumarono sui rami come vetri delicati, senza neanche sbilanciare la creatura. Ashaya girò la sua testa imponente verso Nahiri.

L’elementale sollevò di nuovo le sue enormi braccia.

"Scappa!", urlò Jace dietro di lei.

Nahiri aveva sempre ritenuto che la fuga fosse un gesto da codardi. Ma Ashaya era inarrestabile. Devo proteggere il nucleo. Più di ogni altra cosa.

Decise di fuggire.

Insieme, lei e Jace scattarono, saltarono e corsero attraverso l’antico giardino, proteggendo la loro fuga con tutte le illusioni e i contrattacchi che conoscevano. Non fu comunque sufficiente. Ashaya era troppo imponente e troppo veloce. Jace e Nahiri vennero colpiti e rallentati da radici che spuntavano da ogni direzione e l’unica scelta fu dirigersi verso le scale, di nuovo in direzione del cuore della Città Canora.

Le melodie ossessionanti inondarono di nuovo le loro orecchie. Jace lanciò immediatamente la sua magia per bloccare quei suoni e insieme corsero lungo i corridoi ricoperti di muschio. Alcuni elementali di muschio si misero sul loro cammino, ma erano più piccoli e più deboli e vennero facilmente annullati dalle contromagie di Jace o da precisi pugni di roccia.

La furia di Nahiri fu la spinta in più della loro fuga. Per la prima volta dopo molto tempo, provò anche una sensazione di paura. Aveva sottovalutato quell’elfa.

Raggiunsero l’ingresso della città e videro l’antico cancello di marmo; Nahiri sospirò e corse più veloce. Era quasi arrivata.

Poco prima di raggiungerlo, vide una figura familiare davanti all’entrata. Questa volta, Nissa e Ashaya erano accompagnate da decine e decine di altri elementali.

Nahiri e Jace arrestarono la loro corsa.

"Come", disse Nahiri con il fiato corto. "Come puoi spostarti. . .così velocemente?"

"Io appartengo a Zendikar. È il cuore dei miei poteri e della mia forza", rispose Nissa. "Conosco tutti i passaggi e il modo per utilizzarli. Al contrario, voi due...” Sul suo volto si dipinse un’espressione di furia e, dietro di lei, gli elementali nati dalla flora di Murasa iniziarono a sollevarsi, "voi non comprenderete mai. Andate via da casa mia."

"Nissa, aspetta!", urlò Jace.

"Questa è la mia casa, abitante degli alberi." Nahiri si preparò, evocò le pietre intorno a sé e sentì la Città Canora tremare. "Questa è stata la mia casa per migliaia di anni. E non ti lascerò vincere."

Nahiri spalancò le mani e sollevò le pietre, richiamando tutto il suo potere per l’attacco.

Gli elementali furono però più veloci e scattarono in avanti come un’orda furiosa verso Jace e Nahiri. In quel momento, Nahiri comprese.

La battaglia per l’anima di Zendikar aveva avuto inizio e sarebbe stato uno scontro implacabile.