Al limite della libera città di Nimana, un uomo dalle vesti di un color grigio cupo si aggirava nell’oscurità della notte in direzione dell’accampamento, tenendo stretto il colletto per proteggersi dalla brezza. Osservò con attenzione ogni persona lungo la via del mercato. Gli abitanti di quel luogo l’avrebbero immediatamente identificato come straniero, senza dover neanche vedere il volto, per la cautela con la quale si muoveva, come se avesse sentito le peggiori maldicenze su quella città. Gli occhi di alcuni ladri si spalancarono nel notare alcuni piccoli dettagli del suo aspetto: il peso dei sacchetti di monete nelle sue tasche e una pergamena tenuta stretta in una tasca interna delle vesti; il modo in cui si muoveva rivelava chiaramente che era al servizio di qualcuno che lo aveva pagato profumatamente, qualcuno di cui nutriva anche un grande timore.

Vicino alla fine del mercato si trovavano le tende in cui gli avventurieri mercenari del luogo svolgevano le loro attività. Laggiù, la ricostruzione era lenta, molte case erano ancora in rovina; l’unico risultato era stata la rimozione dei detriti, con il conseguente spazio in più per gli usuali commerci della città. L’uomo avvolto nelle vesti vide un tritone urlare contro i macellai per il prezzo delle carni ottenute dalle carcasse dei mostri e gli ambulanti intenti a narrare i possibili miracoli dei gingilli che stavano cercando di vendere. Al di là di questa zona si trovavano gli spedizionieri, intenti a scambiarsi storie e a controllare i propri strumenti alla fioca luce delle torce e della luna, in attesa che qualcuno si avvicinasse per proporre un lavoro.

Sapeva chi cercare. Colui che lo aveva assoldato gli aveva chiesto di trovare uno spadaccino che era solito frequentare il mercato e le sue taverne. Si trattava di un membro di una delle più crudeli ed efficienti compagnie di Guul Draz, una banda senza nome di viaggiatori che non erano attratti dal brivido dell’avventura o della scoperta, ma solo dal vile denaro. Questo era un dettaglio che lui e il suo cliente gradivano; non avrebbero voluto avventurieri pronti a sbandierare le loro imprese. Volevano solo che il lavoro venisse portato a termine.

Trovò rapidamente quell’uomo, di fianco a un paio di anziani conciatori che vendevano pelli di bestie esotiche, appoggiato a una parete e impegnato nella pulizia del filo di un piccolo pugnale sulla sua camicia. Lo sguardo dello spadaccino si sollevò e incrociò quello dell’uomo nelle vesti. "Hai bisogno di qualcosa, amico?"

"Il tuo nome è forse Tarsa?"

L’uomo sospirò e annuì. "Seguimi."


Anowon, the Ruin Thief
Anowon, il Ladro delle Rovine | Illustrazione di: Magali Villeneuve

Nessuno dei due si era accorto del vampiro dietro di loro, il quale aveva seguito l’emissario fin dal suo ingresso nel mercato. Per coprire la carnagione bianca, si era coperto il capo con il cappuccio dell’ampio mantello colore rosso sangue. Questo vampiro aveva ultimamente imparato come celarsi in modo efficace, per evitare di attirare l’attenzione. Era oggetto di odio nella maggior parte dei luoghi, un assassino e un ladro con più infamia che lodo, un bersaglio per le imprecazioni degli uni e gli assalti degli altri. Le compagnie di spedizionieri che gli permettevano di viaggiare insieme a loro mantenevano una grande attenzione e i pugnali sempre a portata di mano.

Ebbe l’impressione che pedinare questo delegato avrebbe posto fine a tutto quello. Anowon considerò quest’uomo come la via per la sua redenzione.

Una volta giunti alle tende, Tarsa fece un cenno ad altri due avventurieri, che si alzarono per accogliere i due in modo serio. Una Kor slanciata dalla chioma argentea gli offrì una tazza di ottone con una bevanda trasparente dall’aroma pungente. "Dove intendete inviare la migliore compagnia di spedizionieri che Nimana abbia da offrire, signore?"

L’uomo dalle vesti blu rifiutò la bevanda con un movimento della mano. "Non sono necessari convenevoli. Non sono una persona degna di nota... sono solo colui che pronuncia le parole di un benefattore che desidera assoldarvi."

Anowon rimase a distanza, ascoltando con attenzione da una via vicina. Aveva sperato di incrociare quell’emissario da solo, per offrirsi per una spedizione e poi reclutare altri membri della compagnia, ma ora i piani erano cambiati. Forse questa compagnia sarebbe stata sufficiente. A Nimana si narravano grandi storie del gruppo di Tarsa, del loro impassibile atteggiamento e delle loro abilità di viaggio. Era anche a conoscenza di fatti che l’emissario sicuramente ignorava. . .

"Sembra che uno dei membri della vostra compagnia non sia presente?", disse l’uomo portando all’indietro il cappuccio per grattarsi la chioma corvina e osservando meglio le tende intorno a loro. "Mi era stato detto che eravate un gruppo completo di quattro persone, ma..."

Tarsa lo interruppe rapidamente, con un sopracciglio aggrottato per il fastidio. "Abbiamo. . .perso uno dei nostri membri durante un viaggio a Ondu." Osservò la Kor, i cui pugni si erano stretti appena aveva sentito quella frase, che ridusse la tensione nel notare il suo sguardo. "Non c’è alcun motivo di preoccupazione riguardo alla nostra capacità di svolgere i compiti assegnati, signore."

Ondu. Anowon drizzò le orecchie a quel nome. Anche se non avesse ottenuto il lavoro, magari questa particolare compagnia sarebbe stata un piccolo colpo di fortuna.

"Immagino che sia un gran peccato", rispose l’emissario, "voglio dire che è ironico che io sia venuto a offrire un lavoro proprio in Ondu, un lavoro che il mio cliente sa essere enormemente pericoloso."

Un vero colpo di fortuna, sussurrò Anowon a se stesso.

I nervi della Kor si tesero di nuovo. "Quanto pericoloso?"

L’emissario inclinò la testa verso la Kor. "Nadino, presumo?" Non attese la risposta e continuò. "Avete avuto la possibilità di osservare l’enclave celeste dell’Isola Jwar?"

Nadino sussultò e Tarsa si voltò istintivamente verso di lei con uno sguardo rassicurante. "Sì, l’abbiamo vista", rispose delicatamente.

"Oh. . ." Ci fu un attimo di silenzio prima che l'emissario continuò. "Forse questo non è il..."

"No", disse Nadino a denti stretti. "Solo una questione di rischi sul lavoro. Vi stiamo ascoltando."

Tarsa fece una smorfia. "Non disdegnerei un’altra sfida con quella cosa."

"Lo chiamano Grakodon", aggiunse l’emissario. "La vostra preda è proprio lui. Sta creando problemi alle vie verticali di quell’area, causando problemi alle attività di spedizione. Il mio cliente è disposto ad accettare qualsiasi prezzo per una vostra vittoria in questa seconda sfida."

Nadino sogghignò. "Certo. E un extra per la decapitazione."

"Extra?" L’emissario sorrise. "Il mio cliente è disposto a un pagamento per ogni testa."

"E questo. . .cliente?"

"Non è una questione per voi. A voi interessa solo sapere che la paga è ottima." Afferrò una sacca di colore blu violastro e la lanciò. Tarsa la colse istintivamente al volo durante la discesa. Sembravano come minimo centocinquanta monete. "Questo è per le spese. Ovviamente potete tenere per voi tutto ciò che trovate; ricordate, siete pagati per occuparvi di quella bestia, non per esplorare."

Anowon mise una mano all’interno del suo mantello, alla ricerca di una delle sue carte. Quell’enclave celeste aveva qualcosa da offrire anche a lui, se solo fosse riuscito a proporsi...

Un elfo lo urtò da dietro e i suoi fogli si sparsero sulla strada, mentre lui sentiva sempre di più la stretta dell’elfo intorno al collo. "Capo!", urlò l’elfo per attirare l’attenzione di Tarsa. "Sembra che io abbia trovato una spia!"

"Toglimi le tue sporche mani di...!" Le parole che vennero in mente Anowon per terminare quella frase erano tutt’altro che gentili e rispettose. Stava però cercando di non essere scortese. Sapeva che si sarebbe trovato di fronte a molte situazioni come quella. Era il motivo per cui rimaneva nascosto, che, con il senno di poi, si era rivelata una pessima idea. Era anche il motivo per cui decise di non lottare per liberarsi, nonostante sarebbe stato molto facile sopraffarli tutti. Non era suo desiderio agire in modo ostile, soprattutto considerando che il suo volto era rimasto nascosto...

"Mostra il tuo volto, ombra!", urlò l’emissario con il finto coraggio di qualcuno che non aveva mai fatto parte di una rissa o non aveva mai dato ordini.

L’elfo sollevò il cappuccio di Anowon. La sola vista della pelle bianca e dipinta fu sufficiente a far afferrare ed estrarre la lama a Tarsa.

"No!", disse Anowon in modo quasi incomprensibile, unendo le mani in un gesto di sottomissione. "Non ho cattive intenzioni! Permettetemi di...", indicò i suoi fogli.

Nadino si inginocchiò per raccogliere il foglio più vicino, strizzando gli occhi prima di consegnarlo a Tarsa. "Appunti sulle enclavi celesti. . .sembra che sia il desiderio di tutti poter vedere l’interno di uno di quei posti."

Tarsa fece cenno all’elfo di lasciare libero il prigioniero; Anowon cadde a terra e iniziò a raccogliere le sue carte. "Immagino che tu stessi seguendo questo uomo per rubarci il lavoro?"

Il vampiro scosse la testa. "Il mio desiderio è. . .osservarla."

Nadino incrociò le braccia. "Non è una questione che ci riguarda."

Anowon attese alcuni momenti, in cui gli sguardi di tensione e di rabbia di tutti si posarono su di lui, poi si alzò, osservando direttamente Tarsa. "Qualsiasi idea voi abbiate di me, tutto ciò che chiedo è di poter studiare quel luogo. A voi potrebbe essere utile un altro membro della compagnia. Permettetemi di completarla." Si rivolse poi a Tarsa. "Offro i miei servizi alla vostra compagnia per una parte dei guadagni."

"E quale sarebbe il tuo vantaggio?", chiese Tarsa.

Fece una pausa, alla ricerca della parola giusta. "Conoscenza."


Il gruppo di Tarsa detestava quell’accordo, ma era gradito all’emissario, quindi fu deciso. Anowon avrebbe ricevuto solo il cinque per cento del bottino, ma avrebbe potuto impadronirsi di ogni pergamena che avessero trovato. Discorso diverso per le reliquie; il vampiro acconsentì a lasciar decidere a Tarsa, insistendo di non essere interessato a oro o armi. Alla domanda di cosa riteneva poter trovare oltre a quel bottino rispose "Qualcosa dal valore molto più elevato."

In seguito a quel tono arrogante, Eret, il chierico elfo di Tarsa, frugò tra i suoi averi durante la notte, alla ricerca di indizi di eventuali motivazioni più oscure.

Il cliente dell’emissario aveva già commissionato il trasferimento via nave da Nimana a Jwar, con un solo mozzo che aveva il compito di riportare la nave dove era partita. La tensione per essere intrappolati in mezzo a un mare insieme a un vampiro invase i tre quasi immediatamente. Nadino non si fece alcun problema nell'esprimere i suoi fastidi direttamente ad Anowon, minacciandolo di ritorsioni in caso si fosse avvicinato troppo o si fosse espresso a sproposito. Eret fu più tranquillo, più cauto, sempre all'erta per evitare di essere pugnalato o morso. Tarsa preferì delegare qualsiasi attività pericolosa, facendo complimenti scherzosi per la forza e la resilienza che permettevano al vampiro di operare la nave da solo attraverso i forti venti di Fauci del Serpente, con le corde così tese nelle sue mani da far temere che la tempesta potesse strapparle via.

Anowon gestì la situazione in modo stoico. La sua reazione più infastidita fu quando Nadino minacciò di darlo in pasto a Jolly, il loro compagno gnarlid, nel caso si fosse comportato male. "Ti assicuro che non ho cattive intenzioni. Una volta ucciso Grakodon, le nostre vie non si incroceranno più."

Approdarono sulle rive dell’Isola di Jwar poche ore prima del crepuscolo. Anowon sussultò. Il calare del sole è sempre il momento peggiore per le scalate, ma Tarsa aveva insistito per accamparsi per la notte il più possibile vicino all'enclave celeste. Fu il primo a scendere dall’imbarcazione e a raccogliere gli strumenti, sollevandoli in modo quasi solenne mentre gli altri tre avventurieri e il loro animale dotato di corna mettevano piede sulla terraferma.

Dietro di sé, Anowon poté udire una tetra e roca voce lamentarsi in una lingua a lui sconosciuta. Suonava come una minaccia, come se stesse comunicando con la sua anima e promettendo sofferenze. Si voltò e vide due volti in pietra che sporgevano dalla sabbia e dall'erba, rivolti verso di loro e con fauci spalancate che rivelavano un leggero bagliore azzurro che sembrava aumentare e diminuire lentamente, come se fosse una lucciola.

Anowon rimase paralizzato. Più ascoltava quella voce, più era sicuro di poterne comprendere il significato, per poi vederlo svanire di nuovo in un rumore indistinto l’istante successivo. Il dolore era doppio; un suono pulsante nella sua mente e la rabbia per non riuscire a comprendere. Si voltò in direzione degli altri. "Lo. . .sentite..."

Eret gli diede un colpo deciso sulla nuca, risvegliandolo dallo stato di trance. "Guardate il volto di questo poveretto. Non mi dite che il nostro coraggioso saggio delle rovine si lascia spaventare dai faduun!"

Anowon si voltò e avanzò come se volesse colpire l’elfo. I loro sguardi si incrociarono e una mano di Eret si strinse immediatamente sull’impugnatura della lama appesa al suo fianco. Il pensiero di Anowon mostrò per un breve momento la pelle dell’elfo che diventava sempre più pallida mentre lui ne prosciugava ogni brandello di vita, con il suono della sua voce implorante che si faceva sempre più debole...

"Ci sono dei problemi?", disse Tarsa. Con la coda dell’occhio, Anowon vide la mano del guerriero stretta sulla spada.

"Nessun problema", rispose Anowon.

La notte scese prima del loro arrivo alla via più sicura verso l’enclave celeste. Tarsa inviò Anowon in avanscoperta, mentre il resto del gruppo recuperò il materiale e si preparò alla salita sulla scogliera di pietra. Grazie alla vista superiore a guidarlo nell’oscurità, sistemò le corde, aiutato solo dal leggero bagliore azzurro che si stagliava dalla spiaggia al centro dell’isola. Gli altri tre seguirono procedendo con cautela. Eret fu sul punto di porre una domanda al suo capitano, ma Tarsa lo bloccò.

Il peso di quei tre corpi aggrappati a lui e la forza di gravità che cercava di trascinarlo verso il basso sembrarono come una prova. Anowon si disse di nuovo di essere paziente. Una volta terminato tutto questo, tutte le follie passate sarebbero state dimenticate. Se avesse avuto ragione riguardo alle enclavi celesti, avrebbe posseduto il potere e la conoscenza che aveva ricercato così a lungo. Se fosse riuscito a mantenere un comportamento corretto e umile con quel potere, come aveva fatto nei giorni passati rovistando tra i documenti di Portale Marino, ce l’avrebbe fatta.

Lo gnarlid di Nadino era già salito fino in cima alla scogliera e, quando il trio di avventurieri finalmente divenne visibile, accolse i suoi compagni di viaggio con intense leccate sulle guance. La Kor si diresse verso nordest, senza sollevare la testa dai gesti di affetto del suo cucciolo. "Le rocce sollevate di questa scogliera sono vicine tra loro e sono anche collegate. Possiamo entrare laggiù. La luce è molto ridotta; dobbiamo affrettarci oppure aspettare l’alba."

Anowon stava a mala pena ascoltando. Era già balzato dal bordo della piattaforma più vicina e stava recuperando l’equilibrio. "Se voi lo desiderate, potete accamparvi", disse. "Io voglio vederla."

"Qual è il tuo problema, saggio?", urlò Nadino. "Ti sei dimenticato che il nostro compito è liberare quelle rovine dall’idra?"

"Sarò cauto..."

"... oppure morirai!"

"Allora morirò in modo cauto!" Si morse la lingua e fece un profondo e sibilante respiro. "Vi porgo le mie scuse. Non è mia intenzione creare disturbo. La mia ricerca..."

Tarsa incrociò lo sguardo infastidito degli altri due e imprecò silenziosamente, facendo cenno di seguirlo. Nel tentativo impaziente di alleggerire l’ambiente, Anowon continuò. "Aver trovato queste corde è provvidenziale. Pochi avventurieri le lascerebbero per coloro che seguono."

Nadino sussultò. ". . .era stato Orien a lasciarle."

"Orien?" Anowon attese. "Era il tuo..."

Tarsa si schiarì la gola rumorosamente. "Cammina, vampiro."

Annuì e si rimise a camminare.

La vista di ciò che era di fronte aveva già estasiato la parte egoista di Anowon. Una pietra dalla forma a semicerchio, su cui apparivano ancora la frastagliata ossidiana rossa e le tenui striature della terra in cui era caduta, si trovava davanti a loro, fluttuante e ricca di storie più antiche del giorno in cui Zendikar ruggì e si ruppe per difendere se stesso.

Anowon, the Ruin Thief
Colonnato dell’Enclave Celeste | Illustrazione di: Johannes Voss

Solo le enclavi celesti, pensò, avrebbero potuto insegnare qualcosa di tanto innegabile quanto se stessi. Una gran parte della storia di Zendikar costruita su un errore. Anche lui un tempo aveva pronunciato il nome della civiltà che aveva plasmato quella terra in base alle creature che l’avevano storpiata e quasi distrutta... le stesse creature che avevano cercato di far perdere il senno ai vampiri della casata Ghet e rivoltarli contro i loro simili. Per tutto quel tempo, Anowon era rimasto nascosto, aveva studiato la battaglia dall’ombra e aveva evitato di farsi coinvolgere. Poi si erano sollevate le enclavi celesti, modificando la storia e rivelando un percorso mancante nel passato di Zendikar. Poteva solo sperare che tra i tesori celati si trovasse la rivelazione di come quel mondo aveva visto nascere i clan... e i loro capi sanguinari... che gli Eldrazi avevano tentato di corrompere e controllare. Forse la risposta a questa domanda gli avrebbe dato un nuovo stato. Come minimo, gli avrebbe offerto l’assoluzione dalla sua passata codardia.

Giunto di fronte all’entrata dell’enclave celeste, prese una specie di libro dallo zaino. Stava cadendo a pezzi, un insieme di fogli che sventolavano appesi al rivestimento. Lo reggeva come un tomo antico, voltando impazientemente le pagine su cui era una serie di linee e schemi che si incrociavano.

Eret raggiunse Anowon e osservò il vampiro che analizzava le pareti dell’enclave celeste e le confrontava con i suoi appunti. Prima che l’elfo potesse chiedere, Anowon aveva già deciso che un gesto gentile gli avrebbe fatto ottenere un po’ di benevolenza.

"Ho studiato a lungo la disposizione dei tasselli di cui avevano scritto gli avventurieri delle altre enclavi e ho notato alcune piccole differenze. Ho l’impressione che si tratti di testi." Indicò con il bordo del suo libro. "Credo che gli antichi Kor abbiano scritto su queste pareti, rendendole una fonte di informazioni utile per scoprire lo scopo di questo luogo."

"Questo è il motivo per cui tu sei qui?" Nadino si mise a ridere, sedendosi di fianco all’ingresso per riposare. "Per studiare?"

"Io. . .ero un valido studente", disse lui a bassa voce. Subito dopo, la sua mente ritenne questa frase una menzogna. Aveva compiuto così tante azioni malvagie pur di portare avanti la sua ricerca della conoscenza, diventando poco più di un saccheggiatore. Ma prima... quando il suo desiderio era la sola conoscenza, quando si trovava a Portale Marino, quando Tenihas della casata Ghet lo aveva accettato e gli aveva insegnato a dare il giusto valore alla storia... era meglio, prima che perdesse quell’equilibrio a causa della sete di sangue. O, peggio, a causa della sete di potere.

"Più o meno, in base a ciò che hai detto." Eret osservò curiosamente gli intagli sulle pareti dell’enclave celeste. "Se c’è qualcosa che noi scalatori sappiamo di noi stessi è che l’unica cosa degna di essere conosciuta è il contatto con una solida corda e il bagliore di un bel gingillo. Sei sicuro di poter contare su di noi per"... fece un cenno verso la parete... "tradurre la lingua antica dei Kor?"

"Gli avventurieri non l’hanno tradotta. L’hanno semplicemente ricopiata. Schemi, linee, profondità. . .dettagli. Puoi vederlo tu stesso." Anowon indicò verso il profondo dell’enclave celeste, dove la notte era un’ombra troppo scura per continuare il cammino. "Lungo questa parete si trovano i laboratori."

Tarsa si mise una corda intorno al braccio per sicurezza e si avvicinò all’ingresso per osservare quegli intagli. "Quindi questi segni sono. . .indicazioni?", chiese.

"Più o meno." Anowon seguì con un dito una linea centrale dello schema di quella tassellatura, osservandola serpeggiare finché non deviò seccamente verso sinistra e intorno a un bordo. "Una caratteristica di questa lingua è che non è solamente testo. È anche una mappa."

Nadino sospirò. "Peccato che non ci aiuti a trovare..."

Un ruggito improvviso provenne dall’oscurità di fronte a loro. Tarsa schioccò delicatamente le dita e i suoi compagni presero posizione dietro le pareti scolpite. Nadino lanciò una sfera di luce appena sopra la testa di Anowon, attraverso il passaggio e lungo il corridoio. Il bagliore illuminò tre teste dal tenue colore giallo-verde e tre linee di denti che sembravano trappole appuntite.

Prima che Anowon potesse riflettere sul nome di quell’essere, Eret lo spinse di lato, verso una colonna esterna. Tarsa fece un fischio a Nadino e la Kor scattò verso destra, attirando lo sguardo della testa di destra dell’essere e colpendola con ondate di fiamme e ghiaccio. Fu una strategia sufficiente; le sue teste rimasero divise da una colonna, con le fauci che si chiusero a pochi metri da loro.

”Hai un piano in mente, capo?", chiese Eret.

Tarsa scosse la testa. "Quell’affare è in grado di distruggere la pietra con il collo. E noi siamo un motivo valido per farlo."

Anowon rifletté rapidamente. L’emissario li aveva informati che l’idra aveva affinato la sua vista nelle viscere della terra prima che l’enclave celeste si sollevasse e che era in grado di percepire il calore in maniera molto evidente, seguendo i movimenti lungo i corridoi più cupi. Avvisò subito Tarsa. "Dovete raffreddarvi!"

"Raffreddarci?" Il capitano comprese l’idea e poi si rivolse a Nadino. "Abbiamo bisogno di ghiaccio!" Indicò il corridoio, oltre Grakodon. "Crea un po’ di neve su quella parete!"

Anowon seguì la sua mano. "Così vicino alla creatura?"

"Sì." Tarsa si mise una mano sulle tempie. "Vicino da sfiorarlo. Scompariremo al di sotto." Schioccò di nuovo le dita e gli sguardi dei suoi compagni divennero di attesa del prossimo segnale. Contò mentalmente fino a tre e poi scattò con la spada tra le mani, seguito dagli altri verso la parete interna.

Anowon scivolò per lo slancio generato dal movimento del pavimento. Con la coda dell’occhio vide Nadino roteare il bastone uncinato durante la corsa, mentre strati di ghiaccio si formavano sopra il corridoio. Un istante prima che gli avventurieri si scontrassero con la parete, la bestia colpi con un artiglio la pietra sopra di loro, sfiorando Anowon sulla fronte sufficientemente da spingere la sua testa contro il pavimento in pietra. La ferita lo inondò di un dolore ardente e lui si chiese quanto profondamente fossero riusciti a penetrare gli artigli. Udì un gemito dalla sua destra e, appena prima di voltarsi, una spessa coltre di neve lo ricoprì, coprendo il suono di una collisione alla sua sinistra.

Rimase immobile in quella tetra copertura di neve, portandosi solo una mano alla testa. L’essere ruggì verso il cielo e poi si fermò per la confusione. Anowon attese alcuni minuti, che sembrarono lunghi inverni per la sua pelle. Il rumore del respiro della creatura sembrava far tremare le pareti. Poi, sicuro che tre caldi pezzi di carte e il loro vampiro chiacchierone fossero scomparsi dalla sua vista, l’essere si allontanò alla ricerca di un nuovo pasto.

Anowon rimase immobile e udì la neve muoversi intorno a lui, poi la voce di Nadino. "Ottima idea, capitano. Ora. . .chi è che sta tingendo il ghiaccio di rosso?"


Anowon impiegò alcuni istanti per rialzarsi. In quei momenti, sentì come se quell’isola gli stesse parlando di nuovo. Lo stava rassicurando? O forse generando dubbi? Erano forse gli imperscrutabili faduun che si facevano beffe di lui? Rabbia e confusione crebbero dentro di lui, stordendolo.

Tarsa sollevò il proprio corpo ferito dalla pozza lasciata dalla neve e iniziò a curarsi, quando vide Anowon cercare qualcosa nel proprio zaino. Anowon prese due fiale di sangue e le strinse nella mano con cautela.

Tarsa arretrò. "Di chi è questo sangue?"

"I vermi e gli insetti che strisciano tra le rovine sono facili da spremere", grugnì Anowon, "e io ho bisogno di sangue." Tolse il tappo da una e se la portò avidamente alle labbra. Le prime gocce furono sufficienti a far chiudere le sue ferite e ridargli consapevolezza. Si guardò intorno e vide gli altri due avventurieri dormire l’uno sull’altro, con Jolly dietro le loro teste come un ondeggiante cuscino gnarlid e con Tarsa inginocchiato di fianco, intento ad avvolgere un braccio in un tessuto.

"Aspetta", gli disse Anowon rialzandosi. "Nella mia casata, ho imparato a..."

"Non curarmi con nessuna delle tue magie Malakir, vampiro", sibilò Tarsa. A causa del suo sdegno, strattonò troppo intensamente la benda e sussultò.

"Allora nulla." Anowon ripose nello zaino la seconda fiala e sollevò una mano avvicinandosi. "Lascia che ti aiuti a stringerlo."

Tarsa si tese all’avvicinarsi del vampiro, ma poi riuscì a rilassarsi. Anowon afferrò il bordo della benda e lo avvolse delicatamente intorno al braccio, coprendo la ferita. Per pochi centimetri l’idra non gli aveva strappato il braccio. Anowon fece un respiro intenso alla vista del sangue, placando la sua sete istintiva. "Troppo stretto?"

Tarsa scosse la testa. "Grazie."

"Figurati." Anowon sorrise in modo sgraziato. "Gli avventurieri si prendono cura gli uni degli altri."

Qualcosa nei suoi occhi attirò l'attenzione di Tarsa. "Perché ti trovi qui?"

"So che è una scocciatura. All'alba, potremo trovare..."

"No." Tarsa si alzò. "Che senso ha viaggiare con noi? Qual è il motivo della tua ricerca? Ogni grande casata ti odia e ti teme... sia gli spedizionieri che i vampiri ti odiano. La maggior parte delle persone normali non sopporta i vampiri. Cosa c’è di così importante per te qui?"

Anowon cercò le parole giuste. "Queste pietre sono più antiche dei nomi di alcune delle tue città. Quando pensiamo a Zendikar, pensiamo alle cicatrici più profonde della terra... ma gli antichi Kor hanno costruito questo luogo prima di tutto ciò. Qui potrebbero essere nascoste conoscenze che non immaginiamo. Ciò che sapevano e ciò che impararono potrebbe cambiare il destino di Zendikar."

Quella era una parte della verità. Questo era ciò che sperava di imparare, qualcosa che si augurava segretamente lo aiutasse a riottenere una posizione nel mondo. Forse le enclavi celesti nascondevano segreti di Zendikar che lui avrebbe potuto confrontare con i racconti sugli Eldrazi, in grado di rivelare un’antica magia relativa al Torbido o addirittura svelare il segreto della creazione di nuovi capi sanguinari. Forse il loro sollevarsi sarebbe stato l’inizio di una nuova era di cataclismi che lui avrebbe potuto impedire, come espiazione per il suo fallimento con gli Eldrazi. Rimase avvinghiato al pensiero della gloria che avrebbe ottenuto dall’essere la prima persona a scoprire tutto quello. . .e si sentì molto, molto stanco. Bramava così intensamente guarire il mondo e non vederlo soffrire mai più. Voleva poter essere in grado di studiarlo senza che ogni verità facesse emergere una nuova ferita della terra. Desiderava trovare la pace... con se stesso, con i suoi studi, con la terra stessa di Zendikar.

". . .Molto bene." Tarsa appoggiò il peso sulla lama per potersi mettere a seder comodo contro la parete del corridoio. "Comprendo che il tuo desiderio sia lo studio, ora. Hai un talento. Poi, qualcuno deve rimanere di vedetta e credo che non sarebbero contenti se fossi tu." Indicò il corridoio. "Vai. E, per il tuo bene, chiamaci in aiuto quando tu lo vedi, non quando lui vede te."

Il vampiro annuì, raccolse solo gli strumenti essenziali dallo zaino e li avvolse in un panno che legò al petto, poi si avventurò nell’oscurità, seguendo le linee sporgenti dalla pietra.


L’alba successiva riempì Anowon di una allegra emozione. Il solo trovarsi all’interno di un enclave celeste era per lui una fonte di gioia. Non si stava più sforzando per cogliere un singolo nome o parola dalle incisioni... erano diventate intere frasi. Il bordo esterno sinistro dell’enclave celeste di Ondu era in sé un intero trattato della sua creazione, dell’opera che gli antichi Kor portarono avanti sulla terra stessa. Ogni sala era una preziosa raccolta di raffigurazioni sulle pareti. Il linguaggio era una lunga linea con dei segni sui lati formati da percorsi paralleli e intersezioni che davano forma alle lettere. Riuscì a individuare i bordi dei fogli, le citazioni dei nuovi composti chimici, i metodi alternativi e i risultati inattesi. Era un peccato che così tanti di quegli scritti fossero pietrificati o illeggibili. Dopo aver letto tutto il possibile e aver finalmente trovato un po’ di pace nella sua mente, gli fu chiaro il passo successivo.

Tornò fino al corridoio iniziale e fece segno a Tarsa di seguirlo. Gli altri membri della compagnia erano svegli e si unirono a loro, con Eret che continuò a occuparsi delle ferite del capitano durante il cammino. "Stavamo per venire a cercarti", gli disse il guerriero, dando un’ultima occhiata alla spada prima di riporla nel fodero. "Cerchiamo Grakodon, così non avremo più motivo di rimanere qui un’altra notte."

"Le pareti potrebbero esserci d'aiuto", rispose Anowon, splendente dalla gioia delle sue nuove conoscenze.

Nadino aggrottò la fronte. “Non è questo il momento di gongolare all’idea delle storie. Dobbiamo concentrarci sulla nostra missione..."

"Io mi sto concentrando sulla missione." Osservò Tarsa in modo sicuro. "Fidati di me."

Li guidò lungo il corridoio, in quelle bizzarre intersezioni perpendicolari che si dividevano in sale di pietra con pareti più spesse degli spazi liberi. Alcune erano antiche sale dedicate alla preparazione di pozioni, in cui ora si trovavano solo cocci e zolle di terra che brulicavano di insetti. Altre erano ampi saloni macchiati di tutto ciò che poteva essere avvenuto prima del crollo dell’enclave celeste. Lungo il cammino, Anowon seguì con attenzione il percorso delle incisioni e lesse a voce bassa ciò che comunicavano: "La struttura sul continente di Ondu è costruita nel tentativo di migliorare gli armamenti e gli strumenti d’assedio in vista di potenziali conflitti con forze esterne. . ."

"Quali forze esterne?", si ritrovò a sussurrare Nadino.

Anowon poté immaginare una risposta... una forza giunta da un altro mondo. Ma la storia narrò qualcosa di diverso. "Questa è l’enclave celeste che si è ribellata all’antica capitale Kor di Makindi. Quando cadde, portandosi dietro la capitale, pose fine all’intera civiltà."

"Quindi questa è un’arma?" Tarsa sbatté le mani impazientemente. "Non vedevo l’ora di provare la sensazione di un’antica lama Kor tra le mani. Sembra che tu non potrai portarti via alcuna reliquia, Anowon."

Anowon mostrò un insieme di pergamene ricoperte da pietra e avvolte in un tessuto. "Io ho la mia ricompensa sufficiente. Dobbiamo solo portare a termine il nostro compito."

"Quindi. . .verso dove ci stai guidando?" Eret osservò la tassellatura, come nella speranza di svelarne i segreti.

"In questa enclave celeste esiste una sala in cui svolgevano gli esperimenti. Molti di essi non erano proprio. . .inanimati."

"Facevano esperimenti su bestie. . ." Nadino scosse la testa. "Devono aver scoperto modi per distorcere la fauna selvatica. Grazie alla magia della terra stessa oppure attraverso le loro invenzioni. Questa enclave celeste. . .potrebbe essere stata il luogo in cui è stato creato Grakodon."

"E molti altri esseri. Avevano scoperto grazie alla scienza ciò che gli Eldrazi erano invece in grado di creare con la forza bruta", commentò Anowon quasi inconsciamente. "Avevano scoperto che questo mondo è grezzo e selvaggio. Che ha una propria volontà, che noi continuiamo a distorcere invece di ascoltarla."

Giunsero infine a una coppia di porte in pietra enormi quanto l’enclave celeste stessa, tenute socchiuse da liane che si erano intrufolate attraverso il centro e le avevano aperte quanto bastava per il passaggio di una figura snella. Nadino utilizzò la sua lama per liberare un passaggio attraverso la barriera di liane, che si contorsero e resistettero al dolore. Il mago scivolò delicatamente, mentre Tarsa e Eret spinsero a forza per allargare il passaggio, sollevando polvere e facendo stridere la pietra a lungo immobile contro le pareti.

Una volta entrati, Nadino si fermò ad osservare un mucchio di vesti. Erano del colore della loro compagnia, vi era uno scialle kor, di dimensioni appena sufficienti a coprire una mano. Si voltò verso Tarsa, trattenendo a fatica le lacrime. "Quel maledetto. . .essere. . .lo ha trascinato qui. . .lo ha fatto a pezzi. . ."

Tarsa mise una mano decisa sulla sua spalla. "So che è un dolore molto intenso. È proprio per questo che siamo qui. Per prenderci la rivincita. Ritrova la tua forza."

Anowon osservò quella scena mentre studiava l’enorme sala. Eccola. Ampia e alta a sufficienza da permettere a un’idra di seminare distruzione tra gli ignari pasti... o i rari elfi... con balconate che permettevano ai ricercatori di studiare il tutto dall’alto. Al tempo, l’idra doveva essere molto più piccola... quella che avevano incontrato era di dimensioni tali da poter afferrare coloro che si trovavano sulla balconata. Forse anche una versione più ridotta ci sarebbe riuscita. "Siamo pronti."

Tarsa fece schioccare le dita. "Quando arriva qui, Nadino, portati in alto e colpiscila continuando a muoverti. Io cercherò di fare lo stesso. Eret, sii di supporto a Nadino e pronto ad aiutarci a fuggire, se necessario. E Anowon..."

Il vampiro li ignorò, perso nel saccheggio degli armadi di quella sala, alla ricerca di qualsiasi cosa fosse sopravvissuta alla rovina di quel popolo. Trovò decine di fiale e pergamene intatte e ne infilò il più possibile nel suo zaino.

"Dannato saggio!" Tarsa andò verso di lui. "Dopo tutto ciò che ci hai detto, lo sai che non possiamo permetterti di andartene con tutte queste pozioni."

"Abbiamo un accordo, Tarsa." Parlò con calma, senza la derisione del passato. "Questo è solo per le mie ricerche, ti assicuro che..."

"Non mi interessa. Se una sola persona può diventare in grado di compiere ciò che avveniva qui, il rischio di disastri per interi villaggi. . .vuoi che la gente scopra proprio questo? Come creare degli orrori?"

"Nelle mani giuste, questi studi possono essere utili. A Portale Marino o..."

"Qualsiasi mano impari a storpiare Zendikar è la mano sbagliata."

Si udì uno stridulo cinguettio dall’alto. Tarsa schioccò le dita e i suoi compagni presero posizione, con i ganci ancorati ai bordi della balconata e pronti a lanciarsi. "Anowon!", urlò Tarsa. "Sii pronto a salire."

Sospirò e annuì, sistemando i ganci sulle sue vesti e dicendosi che avrebbe sistemato le corde più tardi. "E poi?"

"Poi la attiriamo qui."

Grakmaw, Skyclave Ravager
Grakodon, Rovina di Enclave Celesti | Illustrazione di: Filip Burburan

Nadino lo prese come un segnale ed Eret la seguì. Grakodon rispose con un grido e si lanciò dall’alto dell’enclave celeste, penetrando attraverso il soffitto della sala. Durante quella caduta, la compagnia si mise in azione; Nadino la colpì al ventre con taglienti punte di ghiaccio e con i bordi dei loro ganci da arrampicata e Tarsa si lanciò verso l’alto e, portandosi di fianco alla compagna Kor, attaccò la creatura.

Anowon fece del suo meglio. Non era mai stato un valido cacciatore. Riusciva a diventare feroce solo lasciandosi andare alla propria sete: una volta morta, questa preda sarebbe stata un’ottima fonte di sangue e magari avrebbe assaporato qualche sorso anche da viva. Mirò verso un collo con la propria corda, nella speranza che la gravità e il peso svolgessero la maggior parte del lavoro. Invece di abbattere una delle teste e renderla un facile bersaglio, il risultato fu solo un leggero spostamento.

Tarsa usò la spada per incidere un taglio sotto il mento, pronto per il colpo finale al volto. Sapeva che quella ferita sarebbe bastata per breve tempo e una fila di denti taglienti e un paio di occhi penetranti volsero la loro attenzione su di lui. Nadino ebbe lo stesso problema con la testa più lontana; con una palla di fuoco squarciò una gola, rivelando altre due mascelle che si contorsero e si chiusero a breve distanza dal suo bastone. Jolly, da parte sua, poté solo mordicchiare gli artigli posteriori, ma non mollò la presa.

Anowon comprese che la strategia non stava funzionando. Un gesto troppo temerario avrebbe potuto farli diventare carne da macello. Tagliò la propria corda e si portò in una posizione in cui l’idra non lo potesse vedere, per cercare nello zaino qualcosa che potesse aiutarli.

"Ti pentirai di averci abbandonati, maledetto...!" Nadino non poté distrarsi a lungo per insultarlo a dovere. "Che cosa stai facendo?"

"Sto cercando una soluzione!", urlò, controllando i colori delle fiale che aveva trafugato in precedenza. Rosso scuro, blu pallido, verde brillante e altre ancora più lucenti; le pozioni risplendevano attraverso il vetro. Si ricordava di aver letto di alcune di quelle composizioni con cui i Kor avevano ottenuto risultati. Una di esse sarebbe stata proprio adatta a loro.

Alla fine, riuscì a individuarla. Un giallo torbido in una piccola bottiglia delle dimensioni di una delle sue dita, che sembrava modificare il suo stato da filamenti gassosi a una solida pietra d’ambra. Le pergamene la descrivevano come un potenziale strumento di sottomissione, un qualcosa in grado di paralizzare le belve. Non le aveva lette fino in fondo da scoprire in quale modo agisse. "Più in alto!"

Mise una mano nella propria sacca ed estrasse un’altra corda con un gancio, che lanciò verso la balconata. L’idra si sarebbe accorta presto di lui, che si trovava più vicino ai suoi denti rispetto agli altri membri della compagnia. Salì il più rapidamente possibile, tenendo ben stretta la fiala.

Tutte le teste di Grakodon si voltarono verso di lui, con le centinaia di denti ben visibili. Le prime fauci si chiusero a pochi centimetri dalla sua corda. Un leggero tocco su un braccio fece quasi cadere il vampiro, che fu però costretto ad allentare la presa sulla pozione. Imprecò osservando la fiala che stava precipitando. Nello stesso momento, una lama apparve e frantumò il vetro proprio contro un labbro di una delle teste dell’idra, terminando la traiettoria conficcandosi in una guancia. Anowon si voltò nel momento in cui Nadino stava riportando indietro la mano.

La fiala si ruppe e la pozione si trasformò in una nuvoletta di polvere che avvolse il muso dell’idra, diffondendosi lentamente lungo il collo come la nebbia che si muove fino a ricoprire una collina. Tutto ciò che toccava prese un colore grigio e un aspetto frastagliato, come se stesse facendo ribollire la pelle e pietrificando le carni; il pugnale conficcato rimase intrappolato in un lato del muso. In pochi secondi, le teste della bestia diventarono delle taglienti pietre orientate verso la compagnia, con le fauci ancora spalancate. Il corpo al di sotto si agitò come per sfuggire a quel destino in cui era intrappolato, per poi soccombere sotto il peso delle teste che crollarono al suolo, frantumandosi con un frastuono che riecheggiò attraverso il soffitto aperto.

La sola onda d’urto abbatté Anowon. Si rialzò e cercò di recuperare parte del contenuto di quella fiala, ma la sua magia aveva già terminato il suo devastante effetto. L’unico risultato fu che quella polvere iniziò ad agire su una delle sue dita, terrorizzandolo e facendolo rimanere senza fiato. L’effetto svanì dopo la prima falange e lui cadde in ginocchio, sfinito ma rincuorato.

Nadino urlò dall’alto delle corde, ghignando. "Non avevi parlato di morire in modo cauto, dannato vampiro?!"


Quelle teste non sarebbero mai più ritornate carne.

"Stesso accordo dell’andata", lo avvisò Tarsa, preparandosi a legarle allo zaino di Anowon'.

Il vampiro sospirò, immobile. "Capisco."

In quel momento, Eret gli diede un colpo con un gomito. "Ovviamente no. Dividiamo il peso. Dopo tutto, è il modo per scendere più velocemente."

Eret e Nadino strinsero le corde all’ingresso dell’enclave celeste, scendendo fino a terra grazie allo slancio delle teste pietrificate dell’idra dietro di loro.

Lungo il tragitto verso la spiaggia, Tarsa mise una mano sulla spalla del vampiro. "Hai sopportato il nostro comportamento senza lamentarti. Siamo stati duri con te. E tu hai comunque deciso di salvarci." Indicò il mucchio di vesti sullo zaino di Nadino, i resti del loro perduto Orien, e aggiunse, "Ci hai permesso di vendicare e di porgere un ultimo saluto al nostro compagno." Sorrise calorosamente. "Grazie. Potrai essere il nostro quarto ogni volta che vorrai."

Anowon annuì, sorridendo internamente. Iniziò a rendersi conto che quella era la sensazione che aveva cercato per tutto quel tempo. Non gloria, non prestigio, bensì. . .far parte di una compagnia. Sapere che qualcuno apprezzava la sua conoscenza. Si augurò che questa sensazione potesse durare per sempre, poter scoprire di più sul lontano passato dei Zendikar e condividere quella conoscenza per altre dosi di quella sensazione.

Nel frattempo, dietro di lui, Nadino trattenne una risata e accarezzò sul capo Jolly che stava rosicchiando un gruppo di pergamene che penzolava dallo zaino di Anowon. Una volta accortosene, Anowon si chiese se ciò che aveva potenzialmente perso fosse paragonabile a ciò che aveva invece già trovato.

Una volta decisa la risposta, sorrise e si voltò per grattare la gola dello gnarlid.