La guarnigione del Forte Adanto era ormai abituata agli attacchi costanti, alle violente tempeste e alle avversità del territorio selvaggio circostante, ma non poteva immaginare chi sarebbe incappato nella sua imponente barricata dalla costa.

Guardie e sacerdoti scrutarono la figura emaciata dall’aria folle oltre le alte e massicce pareti del forte. Era un gerofante, un vampiro del clero, ricoperto di sabbia e con le guance scavate dalla fame. Lo sguardo delirante e la barba ruvida gli conferivano l’ambiguità tipica dei dissennati. Sbraitò verso i volti che lo fissavano dall’alto: “Ho conquistato le onde e la morte, sia lodata Santa Elenda!”

Le guardie si scambiarono occhiate esitanti. L’uomo aveva strappato la sua tunica e si era inginocchiato, le mani dalle lunghe unghie giunte per impartire una benedizione. Pregava a gran voce, come se non avesse alcuna consapevolezza di sé. Le guardie mortali indietreggiarono sconcertate: chiunque fosse, era sotto l’effetto dell’Astensione dal sangue.

“Incredibili miracoli! Arterie vuote e lingue avide... Lei ci ha dato la vita! Gioite, stolti dal sangue caldo!”

Le guardie umane non osarono aprire la porta. Un vampiro in piena Astensione dal sangue era terribilmente pericoloso. In quello stato di alterazione, non sarebbe stato in grado di distinguere il sangue dei fedeli da quello dei peccatori. Una delle guardie decise così di chiedere l’aiuto di una sacerdotessa.

Le invocazioni del famelico vampiro all’esterno del forte si fecero più concitate. “Ho rinunciato a nutrirmi per avvicinarmi alla benedetta Santa Elenda ed eccomi qui!”

Iniziò a frugare in una borsa ammuffita che portava a tracolla e gettò a terra un cumulo di oggetti di metallo. Le guardie riuscirono a intravedere un sestante ammaccato, una bussola rotta e vari altri strumenti di navigazione rovinati.

“Sapevo che non avremmo avuto bisogno di questi congegni ingannevoli!”, gridò il vampiro. “È stata la mia fede in Elenda a condurci qui!”

La sacerdotessa del Forte Adanto, nel frattempo, si era avvicinata all’ingresso. Si rivolse al vampiro, da cui la separava uno spesso strato di legno. “Oggi non è arrivata nessuna nave. Che imbarcazione ti ha condotto qui?”

“Il sacrosanto veliero della fede inviolabile!”, strillò il vampiro. “Il miglior vascello della Legione del Vespro! Sono giunto a bordo del Coraggio di Sua Maestà!”

La sacerdotessa vampira si rivoltò le maniche e fece cenno alle guardie di aprire. Le sentinelle sollevarono il chiavistello e tirarono le pesanti catene che serravano il cancello, lasciando entrare il vampiro affamato.

La sacerdotessa rimase a bocca aperta. “Gerofante Mavren Fein?”

“Santa Elenda è stata la prima!”, farneticò Mavren. “Il suo sacrificio è valso la nostra sopravvivenza, il suo altruismo ha reso possibile la nostra ascesa! Mi sono sottoposto al rito duecento anni fa e con la guida di Santa Elenda la Prima troveremo la strada verso l’immortalità senza alcun bisogno del sangue!”

La sacerdotessa si inginocchiò e raccolse quel che rimaneva dell’armamentario di Fein. Poi lo guardò, turbata. “Questi erano gli strumenti di navigazione della tua nave?”

“Sapevo che non sarebbero stati necessari!”, rispose Mavren Fein con sdegno.

Poi ammutolì, iniziò improvvisamente ad annusare l’aria e guardò in alto, verso le guardie in cima alle pareti del forte.

Le guardie indietreggiarono dal bordo, ma non furono abbastanza rapide.

Mavren Fein emise un sibilo e corse verso le pareti con lo sguardo fisso sugli umani sopra di lui. Cominciò ad arrampicarsi con spietata determinazione, conficcando gli artigli nel legno e facendo volare schegge ovunque. Il suo volto si trasformò in una maschera mostruosa dai denti scoperti e gli occhi spalancati. Ringhiava e avanzava carponi, poi afferrò la guardia più vicina con le unghie affilate come coltelli.

L’uomo gridò sorpreso e Mavren Fein addentò con ferocia il metallo della sua armatura tra la mascella e la clavicola. Nessuno riuscì a reagire in tempo per bloccare il vampiro assetato di sangue, ma l’attacco non ebbe il risultato sperato: i denti non riuscirono a perforare la corazza e le altre guardie si fecero avanti, spingendolo oltre il parapetto. Cadde a terra con un tonfo e la sacerdotessa del Forte Adanto balzò su di lui, immobilizzandolo al suolo onde prevenire un altro assalto.

“La tua devozione è innegabile, Mavren Fein”, bofonchiò a stento la sacerdotessa, “ma se vuoi restare qui nel Forte Adanto, la tua Astensione dal sangue deve terminare. Devi porle fine, Gerofante. La tua venerazione è inconfutabile, ma la tua missione richiede piena consapevolezza”.

La sacerdotessa rimise in piedi il vampiro a fatica e lo accompagnò alle celle della prigione.

Le prigioni erano superflue per la Legione del Vespro, ma erano comunque necessarie delle celle temporanee in cui custodire i prigionieri per rimetterli in forze prima della sentenza.

Mavren Fein fu condotto nei sotterranei proprio sotto la chiesa, al centro del forte. Le pareti erano ricoperte da pannelli di legno e illuminate da lampade a petrolio che proiettavano una luce tenue. La sacerdotessa aprì una porta di ferro e guidò Mavren all’interno. Attraverso le fessure tra le pareti si sentiva il piagnucolio di un uomo solitario.

“Manuel ha ucciso un compatriota in una rissa scoppiata per una partita a carte”, disse la sacerdotessa a Mavren Fein, indicando la cella accanto. “Grazie a lui, al crepuscolo potrai mettere fine al tuo digiuno. Mi occuperò io stessa dei preparativi per la cerimonia.”

L’ecclesiastica chiuse la porta a chiave e si diresse ai piani superiori.

Mavren cominciò a percorrere il perimetro della sua cella: lo stomaco gli brontolava e i denti battevano dall’emozione.

“Sai chi è Santa Elenda, criminale?”, chiese attraverso il muro.

Dall’altra parte si udì un gemito. Il vampiro chiuse gli occhi e sollevò le mani.

“Santa Elenda, la più fedele tra i fedeli, la Prima e Grande Devota. Mortale alla nascita, era una suora guerriera, incaricata insieme ai suoi fratelli e alle sue sorelle di fede di proteggere il Sole Immortale sulle montagne di Torrezon. Ascolta!”

Il piagnucolio si convertì in uno strillo.

“Pedron il Malvagio li uccise tutti. Reo, avido, impuro traditore del suo popolo!”, proseguì Mavren con tono sprezzante. “Ma lei, lei sopravvisse; era immensa! I suoi capelli sembravano ali di corvo e le sue unghie erano affilate come lame! Corse fuori per affrontare Pedron, ma il Sole Immortale era stato rubato da una bestia alata discesa dal cielo.”

Il piagnucolio nella cella accanto era cessato. A quanto pare, Manuel lo stava ascoltando.

“La bestia portò il Sole Immortale a ovest e Santa Elenda la seguì! La sua era devozione assoluta, benedetta sia Santa Elenda!”

“... Come divenne la prima vampira?”, sussurrò Manuel dalla sua cella. Mavren Fein si scaraventò contro il muro comunicante e il criminale urlò terrorizzato.

“Era un genio! Una visionaria! Ricorse alla magia oscura e si fece carico del fardello dell’immortalità affinché il Sole Immortale potesse essere di nuovo recuperato! Magnifica, benedetta, divina Santa Elenda, la Prima e Grande Devota. L’ha cercato per secoli ed è tornata, ebbene sì, è tornata a Torrezon per insegnare il rito ai nobili, affinché possiamo compiere il suo stesso sacrificio e unirci a lei nella ricerca. Un genio! Una visionaria! Benedetta dalla Notte in persona!”

Mavren Fein raschiò le unghie sul muro di legno.

“Io fui uno dei primi. La guardai mentre navigava verso ovest e attesi il giorno in cui avrei potuto seguirla. C’è voluta pazienza, tanta pazienza... Ma sono molto bravo ad aspettare.”

Mavren tacque improvvisamente. L’unico rumore che si sentiva era il respiro affannoso di Manuel nella cella accanto.

Il vampiro si inginocchiò, le mani tremanti per l’Astensione dal sangue.

Introdusse rapidamente le dita nella fessura della parete che lo separava dall’umano.

Manuel lanciò un grido disperato.

Con un movimento fulmineo, il vampiro si ritrasse e divelse il muro. Squarciò i pannelli di legno, lanciandosi sulla preda attraverso le assi spezzate.

Un istante dopo, i suoi canini erano già affondati nel collo del criminale e l’aria impregnata dell’odore metallico del sangue.

Mavren Fein consumò l’umano con abbandono.

Allarmati dal rumore improvviso, la sacerdotessa e le guardie si precipitarono verso le celle, fermandosi alla vista della scena che si trovarono davanti. Osservarono con reverenza il banchetto di Mavren Fein. Il vampirismo era una maledizione, un castigo autoinflitto per un bene superiore. La condizione di vampiro era autoimposta e tanto triste quanto necessaria. Ciò che apparteneva loro non sarebbe stato restituito senza sacrifici come questo.

Mavren Fein riprese fiato e si pulì la bocca con la manica. Sembrava essere tornato in sé e il suo corpo si paralizzò.

“Sacerdotessa, dimmi qual è il tuo nome.” La sua voce era calma e pacata, l’esatto opposto del vampiro che vaneggiava poco prima.

“Mardia”, rispose la chierica inchinando il capo. “Mi dispiace di non essere riuscita a portare a termine la cerimonia per l’interruzione dell’Astensione dal sangue...”

“Non preoccuparti, devota Mardia”, disse Mavren Fein. Finì di pulirsi e si mise in piedi con le mani giunte davanti al petto: “Porgo le mie scuse per il disastro che ho combinato”.

“Il resto dell’equipaggio è morto, quindi?”, chiese Mardia, facendo con le mani un rapido gesto di benedizione.

Mavren sospirò e annuì. “Sì. Siamo stati scaraventati a riva quando gli strumenti di navigazione sono andati distrutti. Un vero peccato. Ma intendo proseguire comunque la mia missione.”

“Che risorse possiamo offrirti, Gerofante?”

Mavren Fein abbozzò un sorriso: “Dei vestiti puliti e un bastone... Un’altra bussola invece non mi serve”.


VONA

Vona di Iedo, sterminatrice di peccatori, macellaia di Magan, si era guadagnata la sua reputazione attraverso secoli di conflitti. Le guerre apostatiche l’avevano tenuta piuttosto impegnata: la sua spada era sempre insanguinata e la sua sete sempre placata. Tutti i regni del continente di Torrezon erano caduti per mano della chiesa e della corona unite, e Vona aveva assaporato ogni conquista.

Ora, sul ponte della sua nave, era impaziente di raggiungere il vascello dell’Alleanza di Bronzo che si profilava all’orizzonte.

Il giorno più importante della vita di Vona era stato, naturalmente, quello della sua rinascita: l’aveva trascorso inginocchiata in una chiesa, praticando la magia che avrebbe legato la sua vita alla religione e alla corona per l’eternità. Pensava spesso alla prima volta che aveva assaggiato il sangue di un eretico e alla promessa fatta mentre lanciava la magia: “La nostra sete sarà la nostra penitenza. Il nostro servizio sarà la nostra vita. Ora e per sempre, il sangue dei peccatori ci sosterrà fino a quando non scopriremo la vera immortalità”. Vona ricordava l’impulso di una nuova vita, i morsi della fame nelle sue viscere. Era incredibilmente dotata: poteva camminare in silenzio come una predatrice e uccidere con la stessa abilità. Non aveva mai paura di camminare da sola di notte, poiché l’anima della notte batteva nel suo cuore e scorreva nelle sue vene. Perché mai la chiesa avrebbe voluto porre fine alla sete di sangue?

Ovviamente aveva tenuto questo pensiero per sé nel corso dei secoli... Quando la Legione del Vespro assunse finalmente il controllo di Torrezon, Vona ebbe seri problemi ad adattarsi alla vita in tempo di pace. Divenne una nobile proprietaria terriera, ma i suoi poderi erano aridi e rocciosi, e fu presto evidente che non era un’abile amministratrice. La sua noia durò per circa un decennio. Poi una notte, esasperata dal tedio, decise di porre fine alla monotonia con un divertente passatempo, innocente come un gioco da bambini. Inseguì i suoi servitori umani in camera da letto e nei campi e, nel corso di un’elettrizzante settimana, li uccise uno a uno. D’altronde, faceva parte del gioco... Vona si sentì come rinata e abbandonò la sua umile tenuta.

Era accaduto cinquant’anni fa.

Non appena la Regina Miralda aveva annunciato l’intenzione di riunire una flotta per andare in cerca di Santa Elenda (già, Santa Elenda in persona!), Vona si era offerta volontaria per capitanare la prima nave che sarebbe salpata dal porto. Era assetata come non mai. Non le importava che le sue prede fossero colpevoli o no: lungo la strada avrebbe placato la sua sete.

Il suo piano, però, avrebbe funzionato solo se non avesse rivelato a nessuno l’irrilevanza che attribuiva alle regole che le erano state imposte. Questo segreto rendeva tutto più entusiasmante.

E ora, Vona aveva avvistato una nave dell’Alleanza di Bronzo.

La vampira si trovava a prua e osservava il mare con i suoi penetranti occhi disumani. Questa missione la esaltava, teneva a bada la noia.

Su un fianco della nave era scarabocchiato il suo nome, “La Belligerante”, e la ciurma era distratta dalla riva nelle vicinanze. Un sirenide volava sopra l’albero maestro e doveva aver notato il vascello di Vona, ma era solo un puntino nero che si stagliava sul cielo sempre più cupo.

La capitana era affamata e senza dubbio, data la natura della ciurma, La Belligerante era piena di rei traditori pronti per essere consumati. Abbordare una nave pirata era piuttosto ironico, ma al tempo stesso indispensabile per saziare la sua fame.

Un’onda improvvisa inclinò violentemente la barca in avanti e Vona si aggrappò alla battagliola per recuperare l’equilibrio.

“Da dove viene questa tempesta?!”, gridò all’ufficiale di rotta.

L’umano posizionò il suo sestante in direzione della riva. “Deve essere stata evocata! Gli Araldi del Fiume di Ixalan sono famosi per i loro elementali...”

“Non m’importa per cosa sono famosi! Concentrati sulla nave dell’Alleanza di Bronzo, siamo quasi alla distanza giusta per l’abbordaggio!”

Vona osservò il suo sacerdote sollevare il pastorale per evocare un fumo nero che avrebbe avvolto il veliero. La Belligerante era pericolosamente vicina e per giunta Vona aveva una gran fame.

Ma il cielo, prima di un grigio piovigginoso, era diventato nero come la notte e il mare sollevò la nave della vampira fino alla cresta delle onde per poi farla sprofondare di nuovo. I membri dell’equipaggio cercarono di issare le vele e far girare la nave, ma le onde incessanti minacciavano di capovolgerla.

Vona vide la sottile linea bianca che separava la spiaggia da un affioramento roccioso. I suoi occhi si spalancarono e li richiuse proprio nel momento in cui la nave si schiantò contro il faraglione.

La capitana cadde in mare, in balia delle onde: il suo corpo era inerte, come una bambola di pezza trascinata dalla violenta furia dei flutti, ma alla fine riuscì a tornare a galla.

Incagliare il Relitto
Incagliare il Relitto | Illustrazione di Dimitar

Alle sue spalle era arenato il relitto della nave, intorno a lei giacevano i corpi della ciurma, sparsi come puntini sulla sabbia candida, e dinanzi si ergeva una giungla fitta e oscura.

Vona barcollò nella secca, con l’acqua alla cintola, e sentì il piede scivolare sulle rocce prima di trovare un punto d’appoggio.

Camminò sulla spiaggia e incespicò su pezzi di legno aggrovigliati tra le alghe. Un tonfo dietro di lei indicò che non era l’unica sopravvissuta: sicuramente alcuni membri della ciurma, per quanto malridotti, stavano annaspando, muovendosi a fatica tra le acque. A lei importavano quanto degli sconosciuti al mercato: erano vivi e avevano i propri interessi, obiettivi e compiti, ma in fin dei conti erano marginali.

Per Vona, l’equipaggio non era che un mezzo per raggiungere un fine. Erano approdati sulle rive di Ixalan, quindi avevano conseguito il loro scopo. E lei, invece? Il suo incarico era di natura divina e le era stato affidato dalla regina in persona.

Un sentimento arcaico sconvolse il suo cuore: Vona di Iedo, la macellaia di Magan, ora era più vicina a Santa Elenda di quanto non lo fosse mai stata.

Sul suo viso si spalancò un sorriso selvaggio. “Finalmente.”

Si trascinò a stento fuori dalla secca. Alcuni membri della ciurma chiedevano aiuto o si dimenavano pateticamente tra le onde, ma Vona li ignorò. Avevano inseguito la nave dell’Alleanza di Bronzo per giorni: la capitana aveva avvisato l’ufficiale di rotta di prepararsi ad abbordarla per nutrire i vampiri in preparazione alla spedizione via terra che li attendeva. Dopotutto, i suoi simili avrebbero dovuto essere in forze. Ora, mentre guardava la nave pirata incagliata accanto alla sua, si rese conto che si trattava di un caso di serendipità.

Vona era euforica. “Se le voci sono vere, la sconosciuta in possesso della bussola è la capitana di quella nave.”

La vampira fece una pausa per decidere sul da farsi: avrebbe potuto attendere che la condottiera emergesse dalle acque... o tenderle un’imboscata nel fitto della giungla. Sul suo volto tornò un sogghigno. Era passato troppo tempo dall’ultima caccia.

Alcuni pirati raggiunsero la riva dietro di lei e la vampira fiutò l’aria.

Un uomo, traumatizzato, era seduto sulla sabbia e si cullava il braccio appena rotto. I suoi vestiti erano i tipici stracci di un poveraccio dell’Alleanza di Bronzo e il suo volto era rugoso come le pieghe di un cencio sgualcito. Incrociò lo sguardo di Vona e cadde all’indietro, sprofondando nella sabbia mentre tentava di allontanarsi affidandosi alle gambe esauste.

“No, per favore! Non sono un criminale!”

Vona si avvicinò a lunghi passi e guardò il pirata dall’alto in basso. “Sei un suddito della Regina Miralda?”

“S-sì! È la mia sovrana!”

La vampira sogghignò. “Allora dovresti sapere cosa pensa sua maestà dei bugiardi. Sei colpevole di inganno, perciò sei un criminale agli occhi della chiesa.”

La sua sentenza fu intercalata da un rumore misto a sabbia e Vona soffocò con efficienza il grido che emerse dalla gola del pirata.

Bevve avidamente e sentì che il sangue del peccatore la riempiva di rettitudine. Era consapevole del disastro che stava combinando, ma il pensiero non la turbava affatto: il mare avrebbe ripulito tutto.

La vampira, ormai sazia, afferrò una spada che era stata portata a riva dalla corrente accanto a lei.

Poi marciò verso la rigogliosa vegetazione.

Non era mai stata molto paziente. Sapeva che l’equipaggio avrebbe seguito le sue orme non appena si fosse rimesso in sesto.

E comunque, non aveva bisogno del loro aiuto per la missione che l’attendeva: era la macellaia di Magan e il Sole Immortale sarebbe stato suo.


JACE

Per fortuna, Jace non aveva dimenticato come nuotare.

Nel caos della tempesta, era caduto in mare insieme a Vraska. Afferrò un pezzo di legno tra le onde nel tentativo di conservare le energie e iniziò a spingersi a riva. Sospirò sollevato, ingoiando una sorsata di acqua salmastra, quando avvistò Vraska che tornava in superficie. La gorgone nuotò verso di lui con sicurezza e i due si avvicinarono alla costa.

“La tempesta è stata provocata”, osservò Jace mentre sputava acqua salata.

“C’era un’elementalista a riva, su quella roccia laggiù”, rispose Vraska. “Ora non la vedo più.”

Jace guardò l’affioramento nelle vicinanze. Alla sua sinistra era incagliata la nave della Legione del Vespro che li aveva seguiti. Si era infranta contro le rocce, ma una delle imbarcazioni più piccole era intatta. Stava galleggiando, inclinata su un lato, nella secca vicino a un delta più ampio.

“Vedi quella barca? Possiamo usarla per risalire il fiume fino all’interno del continente”, commentò la gorgone. “Vado a controllare come sta la ciurma. Tu cerca di non morire.”

Jace annuì con riluttanza e s’incamminò sulla spiaggia. Era appena sopravvissuto a un naufragio e non aveva alcuna intenzione di morire proprio adesso.

La costa qui era molto più aspra rispetto all’Isola inutile: era disseminata di rocce irregolari e cumuli di alghe, e la marea diffondeva il fetore dell’oceano. L’aria era densa per la tempesta evocata e la brezza che aveva portato con sé era carica di umidità.

L’effetto era sconcertante: sarebbe stato meglio andarsene prima che le cose si mettessero male. Jace si sentiva alla linea di partenza di una gara, come se all’improvviso da qualche parte dovesse sbucare una lepre da rincorrere.

Si avviò verso l’imbarcazione arenata. Ora che si trovava fuori dall’acqua, riusciva a vedere i tremendi danni causati dalla tempesta. La Belligerante era a pezzi accanto alla nave della Legione del Vespro. Da ogni vascello spuntavano parti dell’altro e le loro chiglie di legno formavano un unico intricato groviglio. Jace intravedeva dei corpi nell’acqua, ma non osava guardare da vicino per distinguere quelli dei suoi amici da quelli dei nemici.

Il respiro si mozzò nel suo petto: Malcolm, Braghe, Gavven, Amelia. Erano le uniche persone che ricordava di aver mai conosciuto.

Jace avvertì nella sua testa un sussurro che si faceva sempre più intenso. Sembrava affamato, furioso, come se provenisse da un animale inferocito. Guardò alla sua destra e vide un vampiro avvolto in un’armatura lucente lanciato verso di lui a tutta velocità sulla sabbia.

In un primo istante il panico offuscò la mente del telepate, ma quando l’istinto prese il sopravvento, il tempo sembrò rallentare quasi fino a fermarsi.

Vide la mente del vampiro, un intreccio di spirali di vetro e fragili filamenti di energia. Jace cercò il contatto e, avvertendo l’immensità del suo potere, si sforzò per trattenersi e convogliare solo una minuscola parte di esso verso il bersaglio. Incanalò in quella piccola espressione di potere un semplice comando: “Dormi”.

Il tempo riprese il suo corso e Jace rimase a bocca aperta. Il vampiro di fronte a lui inciampò nella sabbia e crollò a terra, cominciando a russare.

Il mago mentale si bloccò e guardò il vampiro ai suoi piedi, piacevolmente sorpreso.

“Jace!”

Vraska stava correndo verso di lui.

“Chiudi gli occhi”, gridò mentalmente la gorgone con forza affinché lui potesse sentirla.

Jace chiuse gli occhi, li mantenne serrati e udì qualcosa, come un tonfo nella sabbia dietro di lui.

Si voltò e guardò a terra: ai suoi piedi giaceva un vampiro pietrificato. Sembrava un reperto da museo. Il vampiro era stato impietrito mentre correva: i suoi vestiti erano solidificati con una sottigliezza impossibile da scolpire, la sua espressione catturata fin nei minimi dettagli, erano addirittura visibili i pori sul suo viso. Se Jace non avesse conosciuto le abilità di Vraska, avrebbe pensato che si trattasse dell’opera maestra di uno scultore. Era quasi commovente.

Vraska si fermò davanti a lui.

“Abbiamo perso Edgar”, disse inquieta, dirigendosi di nuovo verso la nave. Jace la seguì, lasciandosi il vampiro dormiente e il suo compare di pietra alle spalle.

I sopravvissuti al naufragio della Belligerante si stavano riprendendo dalla tragedia e preparando per la battaglia. Diversi vampiri stavano nuotando a riva senza il minimo accenno di fatica, nonostante l’evidente peso delle armature. Chiaramente le loro abilità non si limitavano ai banchetti.

Braghe corse agilmente sulla sabbia verso Vraska, con la coda che strisciava dietro di lui.

“Noi combattiamo, voi andate!”, gridò. Vraska si inginocchiò per mettersi alla sua altezza.

“Siamo una ciurma e resteremo uniti”, rispose lei senza esitazione.

Braghe scosse la testa. “Noi combattiamo il Vespro, voi trovate il Sole! Ci vediamo più tardi!”

“Come ci troverete?”, chiese la capitana.

Braghe puntò il dito verso Jace: “Seguiamo belle illusioni!”

Vraska annuì: “Jace creerà qualcosa di alto non appena scenderemo da quell’imbarcazione sul fiume. Di’ a Malcolm di volare alto ogni ora per cercarci”, incalzò la gorgone, annuendo con decisione a Braghe.

Il goblin annuì a sua volta e tornò dai superstiti, camminando e agitando due piccoli coltelli con ognuna delle mani, come una bambola di pezza assassina.

“Braghe!”, lo chiamò Vraska un’ultima volta. Il goblin si girò e il resto della ciurma dietro di lui ascoltò attentamente la capitana.

“Non siamo qui per restare. Lasciate in pace gli abitanti del luogo”, disse la gorgone, “ma uccidete tutti i vampiri su cui riuscite a mettere le mani.”

Il goblin sogghignò e i membri della ciurma della Belligerante estrassero le proprie armi e andarono all’assalto dei vampiri rimasti.

Jace tremava nonostante il caldo estivo. Era contento di essere dalla parte dei pirati.

“Beleren! Tu vieni con me!”, disse Vraska prima di precipitarsi verso la piccola imbarcazione nel fiume.

Jace e Vraska corsero a fatica nella sabbia per raggiungere la barca nei pressi del delta del fiume. Il terreno sotto i loro piedi cambiò gradualmente, passando da una superficie liscia e umida a una sabbia asciutta e grumosa, che si attaccava alle suole mentre avanzavano. Passarono davanti al corpo di un pirata completamente inzuppato nel suo stesso sangue e Vraska imprecò. Dal cadavere partiva una scia di orme insanguinate dirette nel fitto della giungla.

La gorgone si voltò verso il telepate mentre correvano: “Jace, devi mimetizzarci in qualche modo”.

Lui chiuse gli occhi e proiettò immediatamente un velo di invisibilità su se stesso e Vraska. Nascose i loro movimenti mentre correvano sulla spiaggia e plasmò un’illusione per camuffare le loro impronte.

Vraska saltò nelle acque basse dell’estuario e salì sulla barca. Jace la raggiunse e cercò di riprendere fiato.

Al sicuro sotto il velo dell’illusione, la capitana si diede da fare per issare le vele.

La barca era piccola, probabilmente veniva usata come imbarcazione da pesca o da perlustrazione. Le sue vele scure ondeggiavano e un’improvvisa brezza proveniente dall’interno la spinse su per il fiume, verso la giungla.

“Faremmo meglio ad approfittare del vento finché c’è. A remare c’è sempre tempo”, commentò Vraska.

Osservarono l’inizio dell’incombente battaglia sulla spiaggia, ma mentre attraversavano un groviglio di alberi, persero di vista la Belligerante per sempre. Il fragore della battaglia e delle onde fu sostituito dal brusio degli insetti e dai richiami dei piccoli rettili volanti sopra di loro.

Questa giungla era diversa da quella dell’Isola inutile e Jace rimase meravigliato di fronte alle dimensioni degli alberi. Sulla sua isola erano striminziti a causa dei limiti di spazio, ma qui erano grandi e alti. Si sentì rimpicciolito, come se una versione in miniatura di se stesso fosse stata gettata in un giardino immenso.

Vraska era occupata a cercare di catturare la poca brezza rimasta con le vele. Dopo un po’ si arrese ed estrasse i remi. Aggrottò la fronte, visibilmente preoccupata.

“Sei in pensiero per la nostra ciurma, vero?”, chiese Jace. Vraska annuì.

“Sì, ma sanno badare a se stessi”, disse. “Sono la loro capitana, non la loro madre. Ci ritroveranno dopo aver neutralizzato la minaccia.”

La volta di rami e foglie che li sovrastava si infittì.

Foresta
Foresta | Illustrazione di Min Yum

L’imbarcazione fu circondata da ombre e vegetazione e il fiume si tramutò in un canale profondo. Sopra le loro teste si intrecciava un groviglio di rami attraverso i quali non filtrava neppure un raggio di sole. L’aria era densa, afosa e profumava di terriccio umido.

Jace diede un’occhiata oltre il lato della barca: un banco di pesci guizzava con vivacità. Attraverso l’acqua melmosa, riusciva solo a intravederne la forma.

Guardò verso l’alto e vide che Vraska lo osservava in modo strano, ma non riuscì a decifrare la sua espressione enigmatica. Sembrava rosa dall’esitazione.

“Cosa c’è?”, le chiese.

Vraska fece un respiro profondo.

“Nessuno di noi due è originario di qui”, sbottò.

Jace sbatté le palpebre. “Beh, mi sembra ovvio... Hai detto che veniamo da Ravnica...”

Vraska aveva una strana smorfia sul viso, sembrava riluttante a parlarne, ma ancor più riluttante a tenerselo per sé. “Ravnica non si trova su questo piano.”

Jace inarcò le sopracciglia stupito. “Questo piano?”

Vraska faticava a trovare le parole adatte per ciò che voleva dire. Ripose la bussola che Jace le aveva restituito e iniziò a gesticolare.

“Mi hai detto che il tuo corpo è scomparso e riapparso quando sei arrivato la prima volta, e sopra la tua testa è comparso un simbolo, giusto?”

Jace annuì.

Vraska sospirò e tacque: una strana ombra si proiettò sulla barca e il suo corpo svanì.

Jace balzò in piedi così in fretta che per poco non cadde in acqua.

Udì un tonfo improvviso e si girò: Vraska era riapparsa all’altra estremità della barca (nello stesso punto in cui era sparita, se la barca non avesse viaggiato controcorrente), e sulla sua testa aleggiava lo stesso simbolo composto da cerchio e triangolo.

Jace rimase a bocca aperta.

La gorgone fece un cenno con le mani: “Anch’io sono come te. E di solito, quando facciamo così...”, disse indicando lei e Jace e gesticolando, “possiamo viaggiare su altri piani di esistenza. Siamo Planeswalker.”

Erano troppe informazioni nuove da assorbire tutte in una volta. Jace le fece la prima delle trenta domande che immediatamente gli vennero in mente.

Vraska lo fermò con un braccio teso: “Fammi finire! Adesso, quando cerchiamo di viaggiare tra i piani, qualcosa ci frena, impedendoci di andarcene. Capisci? Io credo che Orazca non racchiuda solo il Sole Immortale. Cela anche un incantesimo che ci confina qui. Mi è stato detto di lanciare una magia per contattare un altro piano dopo aver trovato il Sole Immortale, poi credo che potremo andarcene.”

“Ma è imposs...”

“È stato un drago che mi ha insegnato a navigare, Jace. A questo punto, qual è il confine tra il possibile e l’impossibile?”

Jace era elettrizzato all’idea di rimettere insieme tutti i pezzi. Incrociò lo sguardo di Vraska e pensò ad alta voce, entusiasta. “Pensavamo che la bussola puntasse solo alla città, ma in realtà punta a fonti di potente magia.” Fece un cenno alla tasca della gorgone. “Non indica il nord magnetico, bensì un nord eterico, e punta anche ad altre sorgenti di magia simile. Ecco perché puntava verso di me quando mi avete trovato e probabilmente adesso starà puntando verso di te. Ho tentato di dirtelo sulla nave prima del naufragio.”

Vraska estrasse la bussola: puntava verso di lei, ma cambiò lentamente direzione quando il simbolo sopra la sua testa svanì.

Jace annuì, sicuro di sé, e iniziò ad armeggiare con un interruttore laterale affinché il secondo raggio indicasse ciò di cui ora era certo: il nord eterico. Lo attivò e lo disattivò, mentre la punta che indicava Orazca rimaneva immobile. “Possiamo usarla per pianificare accuratamente la nostra rotta, calcolando l’angolo tra il nord eterico e Orazca... o possiamo semplicemente seguire la direzione che punta a potenti concentrazioni di magia, come hai fatto tu finora. È un po’ meno elegante, ma funziona lo stesso.”

“Ma è... incredibile!”, esclamò Vraska, ammirando la bussola taumaturgica. Sorrise e poi scoppiò in una risata. “La barriera si basa sulla stessa magia che utilizziamo noi per viaggiare tra i piani! È per questo che la bussola punta in quella direzione! E tu sei riuscito a capirlo!”

Jace abbassò lo sguardo timido e rispose con un’alzata di spalle. Vraska proseguì: “Ero davvero convinta che la persona che mi ha inviato qui mi avrebbe fatto fuori, se non avessi scoperto a cosa puntava la bussola. Ma adesso possiamo farcela, grazie a te!”

“Ognuno di noi ha i suoi talenti”, replicò Jace umilmente.

La gorgone sogghignò. “E i tuoi sono straordinari!” Si fermò per un istante e qualcosa nella sua espressione cambiò, si addolcì. “Jace, mi spiace di non averti parlato prima dei viaggi tra i piani. Non sapevo se potevo fidarmi di te quando ti ho trovato. Niente più segreti da adesso in poi.” Le onde lambivano le fiancate della barca mentre la gorgone remava. “Non ho mai avuto l’occasione di ringraziarti per le parole che mi hai detto quella notte, quando eravamo ormeggiati alla Secca. Nessuno ha mai ascoltato la mia storia come l’hai fatto tu. Grazie.”

Jace sorrise. “È una storia che vale la pena di essere ascoltata. Grazie per avermela raccontata.”

Il gentile sorriso con cui Vraska rispose paralizzò Jace per un istante. Era vulnerabile e onesto. I loro sguardi si incrociarono.

Vraska aveva smesso di remare.

La giungla era molto luminosa e straripante. Tutto si caricò di significato. Jace aveva in mente un sacco di domante, molto diverse le une dalle altre, un’accozzaglia di interrogativi sia triviali che chimerici. Le piaceva leggere? Quali erano le proprietà metafisiche dello spazio tra i piani di esistenza? Che differenza c’era tra viaggiare tra i piani e lanciare una normale magia? Qual era il suo dolce preferito?

Ma qualcosa nei meandri della mente del telepate catturò la sua attenzione.

Osservò attentamente le rive del fiume. Rimase seduto in silenzio per diversi secondi, ricorrendo al suo potere per cercare di capire se qualcuno li seguiva. La barca era ancora invisibile. Non si scorgeva nulla nel raggio di un miglio, ma c’erano alcune impronte sul bordo esterno. Si concentrò con tutte le forze per ampliare il suo campo di percezione.

Vraska lo fissò, lievemente preoccupata. “Avverti qualcuno?”

Jace annuì. “Un’umana, una vampira, una tritona... e un minotauro.”

Dallo sguardo accigliato di Vraska traspariva la sua confusione. “Un minotauro?”


HUATLI

Le fitte mangrovie lasciarono spazio a una soffice sabbia: Huatli sentiva la sua cavalcatura affondare leggermente a ogni passo che muoveva sulla spiaggia incontaminata. Si girò e fece un breve cenno al suo vicecomandante: quella era l’area in cui la tritona era stata avvistata l’ultima volta.

Qui avrebbe trovato la guida per raggiungere la città dorata.

L’animo di Huatli si risollevò mentre meditava sulla sfida che l’attendeva.

Il suo zampartiglio rispose con un piccolo grido di esaltazione.

Il dinosauro e la cavaliera avevano una forte connessione. Alcuni cavalieri preferivano allevare le proprie cavalcature dal momento della nascita. Altri invece catturavano bestie selvagge, che poi domavano con la magia. Huatli era una donna molto pratica: le sue cavalcature non erano figli e nemmeno animali domestici. Erano semplicemente strumenti da trattare con rispetto, un’estensione del suo ruolo di guerriera.

Il cielo dinanzi a lei era di un grigio cupo e onde agitate si infrangevano contro un affioramento roccioso a strapiombo sul mare. In prossimità delle rocce, Huatli intravide due navi malridotte: sulla prima campeggiavano i colori dell’Alleanza di Bronzo, mentre dall’albero maestro spezzato della seconda penzolavano le vele nere tipiche della Legione del Vespro.

Una strana figura catturò la sua attenzione. Aveva le sembianze di una persona, ma era diversa da chiunque Huatli avesse mai incontrato fino ad allora.

La sua pelle verde smeraldo ricordava quella di un rettile e i suoi scintillanti occhi dorati, spalancati alla ricerca di eventuali sopravvissuti, erano enormi. Dalla testa spuntava un groviglio di liane che danzavano nell’aria ed era in tenuta da capitano.

Huatli sapeva che avrebbe fatto meglio a non avvicinarsi alle navi. La tempesta che i tritoni avevano scatenato era stata sufficiente per arenare le imbarcazioni, ma evidentemente non abbastanza da eliminare tutti i membri dei due equipaggi. Nonostante il suo addestramento da guerriera la spingesse ad allontanare gli invasori, Huatli preferì evitare distrazioni.

Inti si avvicinò, fermandosi a destra di sua cugina. Montava un dentelama, una cavalcatura robusta e ben più grande dell’agile zampartiglio di Huatli. Inti guardò la sua comandante e indicò la roccia a strapiombo accanto alle navi affondate. Con le dita dell’altra mano picchiettò la rete fissata a un lato della sella della guerriera.

Huatli annuì. “Deve essere riuscito a vedere l’Araldo del Fiume che ha generato quella tempesta.”

Si girò verso Teyeuh. “Torna in città e raduna le nostre forze per respingere i superstiti.”

Teyeuh annuì e spinse il suo cornofrangiato verso l’oscuro verde della giungla.

Huatli e Inti si posizionarono paralleli alla spiaggia e si addentrarono nella fitta foresta, proprio nel punto in cui la natura selvaggia incontrava la sabbia. Si fecero strada tra le mangrovie e l’acqua salmastra, diretti verso l’affioramento in cui Inti aveva avvistato il loro obiettivo.

Dalla spiaggia alle loro spalle, udirono l’urlo di un uomo. Huatli non si voltò a guardare; sapeva che non poteva perdere la concentrazione. Continuò a guidare il suo agile zampartiglio, addentrandosi nella giungla sotto i caldi raggi del sole. L’urlo si interruppe bruscamente e la cavaliera vide un corpo disteso sulla roccia davanti a lei. Huatli spinse il suo destriero in quella direzione per dare un’occhiata più da vicino.

Laggiù, sulla scogliera che dominava il vasto e interminabile oceano, giaceva una tritona priva di sensi.

Sembrava anziana; le pinne erano lunghe e sbiadite alle estremità e dei riccioli di giada le incorniciavano il viso. Chiunque fosse, doveva essere stata lei a generare la tempesta che aveva affondato le due navi. E se era così importante come Huatli credeva, di certo sapeva dove si trovava Orazca.

Il petto di Huatli si strinse in una morsa di angustia. Questo piano le era sembrato terribile in un primo momento, ma vedendo la tritona davanti a lei, ora le sembrava addirittura... inconcepibile.

“Come farò a convincere il nemico più antico dell’Impero del Sole ad aiutarmi?”

Si fece coraggio e la determinazione prese il sopravvento. “Troverò il modo!”

Huatli si avvicinò e scese dalla sua cavalcatura. Mentre si dirigeva verso di lei, la tritona iniziò a muoversi, cercando a fatica di rialzarsi da terra. L’anziana tritona si mise in equilibrio, incrociò gli sguardi di Huatli e Inti accanto a lei, e le pinne sul suo viso si ritirarono repentinamente in un’espressione di sorpresa.

“Non sono qui per attaccarti”, affermò Huatli con fermezza.

La tritona chiuse gli occhi.

La cavaliera si irritò: cosa stava facendo?

La tritona inalò, esalò, poi incontrò di nuovo lo sguardo di Huatli. “Lui sta arrivando. Levati di mezzo o lo farò io.”

“Di cosa diavolo sta parlando?” Huatli afferrò saldamente la sua lama. Gli Araldi del Fiume erano noti per la loro ottusità. Sapeva che negoziare con uno di loro per assicurarsi una guida sarebbe stato difficile, ma il suo istinto le diceva che trattare con questa tritona in particolare sarebbe stato come chiedere a uno sciamano dell’Impero del Sole consigli su cosa mangiare quel giorno. Non avrebbe ottenuto una risposta concreta.

“Sono Huatli, futura poetessa guerriera dell’Impero del Sole. Dimmi qual è il tuo nome.”

“Sono Tishana degli Araldi del Fiume”, rispose cautamente la tritona, “e Ixalan è in pericolo.”

Sollevò una mano e un’onda si infranse sulla roccia dietro di loro.

“Una tattica intimidatoria.” Ma Huatli non si spaventava facilmente. Insistette: “Perché Ixalan sarebbe in pericolo?”

Le pinne di Tishana si agitarono tutt’intorno al suo viso. “Un Araldo del Fiume ha tradito la mia causa e si sta dirigendo lì in questo momento. Kumena ha intenzione di spezzare l’equilibrio di interconnessioni radicali.”

La tritona sembrava a Huatli il risultato dell’unione tra una sciamana dell’Impero del Sole e una donna attempata un po’ fuori di testa. Una mistica saggia e perspicace con il vocabolario di un eccentrico locale.

“Voglio andare a Orazca, ma ho bisogno di una guida.”

Le pinne della tritona si contorsero. “Cosa?”

“È stata lì”, la interruppe Inti, guardando Huatli.

Le pinne della tritona si ingrandirono a dismisura.

Huatli scelse attentamente le parole che stava per pronunciare: “Ho padroneggiato una strana magia e ho visto una città dorata”.

Tishana la guardò impassibile. “Hai visto una città dorata.”

“Sì.”

“Ma non era la città dorata?”

Huatli aggrottò la fronte, imbarazzata. Questa conversazione le suonava un po’ troppo familiare. “Ho visto Orazca”, rispose con fermezza.

Inti la interruppe con tono calmo: “La città dorata dev’essere trovata se vogliamo proteggere entrambi i nostri popoli”. Indicò la confusione sulla spiaggia.

Tishana si girò verso Huatli e si protese in avanti come per chiedere qualcosa. Il suo volto era serio e schietto, con lo sguardo tipico dei predatori. “E voi dovete semplicemente recarvi lì? Non dovete prenderne possesso? Non dovete rivendicare la città per il vostro popolo o in nome del vostro impero?”

La bocca di Huatli era serrata in un’espressione severa. Si inginocchiò, posò a terra la sua arma e guardò la tritona con occhi pieni di rispetto.

“Qualcosa dentro di me mi ha fatto vedere la città. È una prova del fatto che la mia missione è cruciale per la sopravvivenza sia dell’Impero del Sole, sia degli Araldi del Fiume, ne sono certa. Non siamo nemici.”

La tritona si soffermò a osservare il viso di Huatli. Sembrava che guardasse dentro di lei e la guerriera si sentì infinitamente giovane mentre rispondeva allo sguardo di Tishana inginocchiandosi in segno di sottomissione.

Tishana abbassò le palpebre e contorse le labbra mentre pensava a una risposta. Abbassò una mano e la posizionò davanti alla fronte di Huatli.

La poetessa avvertì una strana sensazione di calore, come se qualcuno le avesse acceso un fuoco nel petto.

Tishana riaprì gli occhi. “Ho percepito la tua presenza giorni fa”, disse.

Huatli non poté evitare di guardarla con un misto di sorpresa e repulsione.

La tritona si allontanò, ignorando la sua reazione. “Ho avvertito una scossa tremenda all’energia del nostro mondo, come un delfino che cercava di saltare fuori da un fiume.”

Tishana stava cominciando a diventare snervante. Huatli sapeva bene cosa fossero le metafore, ma la tritona operava a tutt’altro livello.

“Sai cos’era?”, sussurrò insistente Huatli.

Le pupille della tritona si fecero più piccole. “So solo che la superficie del nostro mondo è invalicabile, una volta dentro. Alcuni possono cadere al suo interno, ma una volta sommersi non possono uscirne.”

Huatli non aveva idea di cosa volesse dire Tishana.

“Stamattina ho avvertito una scossa simile”, disse, “in direzione del mare. E anche due mesi prima, molto più lontano, al di là dell’orizzonte. Ma quell’energia non apparteneva a te.”

La tritona si inginocchiò e guardò Huatli dritta negli occhi. “Se dici ci aver visto una città mentre esploravi i confini del nostro mondo, ti credo.”

Inti guardò Huatli e sorrise, orgoglioso. Sua cugina era grata di poter contare su di lui.

“Ma voglio che tu mi dia la tua parola, Huatli.” Tishana la guardò con aria di sfida. “Ci recheremo nella città per mantenere Kumena alla larga, perché la sua presenza è una minaccia per voi così come lo è per noi. Se cercherai di rivendicare Orazca per il tuo popolo, non esiterò a ucciderti.”

Huatli sentì un’incredibile incertezza sull’esito dell’esplorazione. Il viaggio si prospettava intrigante a dir poco, ma non aveva altra scelta.

“Grazie, Tishana.”

La cavaliera balzò in sella al suo zampartiglio e tese la mano alla tritona per aiutarla a salire.

Tishana guardò la mano con ribrezzo. “Io viaggio da sola”, disse accigliata.

La tritona estrasse un piccolo oggetto di giada da una borsa che si trovava accanto a lei e lo posò a terra.

Sollevò una mano e la giada si illuminò da dentro, come una lucciola racchiusa in un contenitore verde screziato.

La roccia e le liane che rivestivano l’affioramento su cui si trovavano cominciarono a vibrare, attratte dal totem di giada come il ferro da una calamita. Le pietre e il bosco si incurvarono e si espansero, inglobando il totem, e un elementale cominciò a prendere forma. In pochi istanti, dove prima si trovava uno splendido oggetto intagliato a mano prese vita un fiero elementale, alto quanto lo zampartiglio di Huatli.

Tishana allungò un piede mentre parte del legno si piegava a formare un appiglio. Salì e prese le redini del suo nuovo destriero elementale.

“Seguitemi”, disse.

Huatli deglutì. Quella donna aveva un potere immenso.

Girò il suo dinosauro e guardò verso la distesa di sabbia, dove ora regnava il caos assoluto. Alcuni sopravvissuti stavano abbandonando lentamente i relitti delle due navi e un’immensa chiazza di sangue si stagliava sul bianco della spiaggia. Una vampira stava correndo verso la giungla.

Huatli indicò la succhiasangue in fuga. “Inti, stalle dietro! Dopo che l’avrai cacciata, vieni a cercarmi nella foresta pluviale.”

Inti si precipitò lungo le rocce verso la giungla.

Huatli fischiettò una melodia diretta a Teyeuh. La ringraziò senza proferire parola per essersi ricordata del suo addestramento; Teyeuh riconobbe il comando e seguì immediatamente Inti e la vampira nella giungla.

“Di sicuro starà correndo verso Orazca”, pensò Huatli, ridendo tra sé e sé. “Sanguisuga patetica...”

Mentre trottava con il suo zampartiglio verso l’altro lato dell’affioramento, le venne in mente quello che avrebbe potuto essere l’inizio di un poema. Guardò le navi affondate e mormorò tra sé come avrebbe potuto iniziare il suo componimento su questa spedizione.

“Una nave di sanguisughe ne inseguiva una di pulci...”

“Fermati. Dirigiti verso il fiume”, gridò Tishana, chiaramente al comando. La tritona girò l’elementale che stava cavalcando e si avviò verso il fiume. Huatli la seguì e si fermò accanto a Tishana.

La tritona sospirò con l’impazienza tipica di uno studioso occupato. “Qualcuno sta plasmando un’illusione lì, in quelle acque.”

Huatli guardò oltre la mano della tritona, lontano, dove le acque dell’oceano si mischiavano con quelle del fiume, e si sentì paralizzata. Il fiume si muoveva lentamente, con dolcezza. Le onde non turbavano le sue correnti, ma si poteva intravedere una lieve scia nell’acqua. Pareva non avere origine alcuna e non c’era niente che nuotasse sotto la superficie.

“È... strano. Sei sicura che si tratti di un’illusione?”, chiese Huatli.

Tishana rispose con scherno: “Plasmo illusioni da prima che tu nascessi”.

“Credi sia opera di uno dei superstiti della Legione del Vespro?”

La tritona scosse la testa. “Loro non sono capaci di plasmare illusioni come questa. Temo che si tratti di una minaccia ben peggiore.”

Senza avvisare, la tritona girò il suo elementale e si diresse verso la foresta pluviale.

Huatli brontolò, frustrata, e spronò il suo zampartiglio ad accelerare il passo per seguirli. Si addentrarono nel profondo della foresta, senza perdere di vista la strana scia sul fiume.

Foglie e liane sfioravano il viso di Huatli, mentre il suo cuore si riempiva di speranza. Forse, dopotutto, era predestinata a fare proprio questo. Questa situazione era completamente nuova e non particolarmente gradevole, e Huatli era riluttante ad ammettere che si sentiva inquieta, anche se per il momento sembrava che le cose stessero andando per il verso giusto. Per quanto ne sapesse, nessun Araldo del Fiume aveva mai collaborato di sua spontanea volontà con un guerriero dell’Impero del Sole.

Tuttavia, l’aiuto di Tishana continuava a sembrarle incredibilmente strano. La cavaliera non poteva fare a meno di chiedersi se la tritona tramasse di approfittare di lei. Il fatto che non riuscisse a interpretare Tishana non aiutava di certo.

Lo zampartiglio di Huatli emise uno strillo entusiasta. Le sue zampe cominciarono a martellare a ritmo serrato la vegetazione della giungla.

“L’Impero del Sole ha udito i bisbigli?”, gridò Tishana, coprendo il rumore delle foglie e dell’umida brezza della giungla.

“Parli di veri e propri bisbigli o ti riferisci alle dicerie?”

La tritona ignorò la richiesta di chiarimenti. “Uno dei nostri ha sentito di sfuggita una conversazione in un locale della Secca. La notizia è stata poi corroborata da uno dei vostri. C’è una capitana dell’Alleanza di Bronzo che è in possesso di una bussola in grado di localizzare la città dorata”, disse Tishana. “Ha la pelle di smeraldo e...”

“...e i capelli che sembrano liane?”, proseguì Huatli.

La tritona tacque. Il silenzio era rotto solo dai piedi di roccia e legno del suo elementale che calpestavano il suolo della giungla.

“L’ho vista tra i relitti”, disse Huatli. “Se è davvero in possesso dello strumento di cui parli, quella scia è decisamente opera sua.”

“Dev’essere un’abile illusionista.” Gli occhi di Tishana erano fissi sulla scia nel fiume.

Huatli strinse le redini del suo dinosauro. “Allora dobbiamo essere pronte. Quando il fiume si restringerà e non potranno proseguire, li colpiremo.”

“La loro bussola ci serve molto più dei loro cadaveri”, rispose Tishana.

“Non intendo ucciderli”, replicò Huatli, irritata.

Tishana schioccò la lingua con disapprovazione. “Le imprescindibili foschie mattutine”, disse con un saggio cenno.

Huatli si morse le labbra per la frustrazione. “Cosa intendi per foschie?”

“Nemmeno noi sappiamo dove si trova Orazca.”

La sicurezza di Huatli vacillò.

“Non sapete dove si trova?! Nemmeno una vaga idea?”

La tritona rispose al suo sguardo. “Ne conosciamo approssimativamente la posizione.”

Huatli serrò i denti. Respirò profondamente e fece del suo meglio per nascondere la sua crescente frustrazione. “Si trova oltre il territorio dell’Impero del Sole, vero?”

“Si trova oltre la catena montuosa che separa Pachatupa da Quetzatl, dall’altra parte del lago.”

Huatli ripassò la geografia della zona mentalmente. “A nord o a sud della Valle Perduta?”

“A sud.”

“Ed è tutto quello che sai?”

“Sì.”

Huatli annuì. Non riusciva a crederci...

“Abbiamo proprio bisogno di quella bussola.”


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