Fiducia
Il racconto precedente: Impatto
Cinque Planeswalker sono giunti su Amonkhet per sconfiggere un drago. Sono i Guardiani, che hanno prestato giuramento di proteggere il multiverso dalle minacce che attraversano la Cieca Eternità, tra le quali il drago Planeswalker Nicol Bolas è probabilmente la più pericolosa. Questo è il motivo per cui sono giunti su Amonkhet, un mondo di sabbia maledetta e mostri terribili, esattamente lo scenario devastante che si immaginavano. Poi è apparsa una divinità, li ha salvati dai wurm sabbiosi e li ha guidati verso una città. Che tipo di città poteva prosperare nel regno di Bolas? E che tipo di divinità poteva sopravvivere sotto le sue grinfie opprimenti?
Divinità? Qui?
Gideon si era preparato per affrontare molte possibilità in questa tana planare di Nicol Bolas. Ritrovarsi delle divinità che camminavano tra gli orrori del deserto non era tra le possibilità che aveva preso in considerazione. Dove si trovavano le pedine di Bolas... era così potente da riuscire a manipolare forze divine? O forse erano una forza immortale che si opponeva a Bolas e alla sua egemonia su questo mondo e che combatteva con i mostruosi agenti del drago? Entrambe le possibilità erano ancor peggio degli avvertimenti di Ajani riguardo al potere del drago Planeswalker.
Si fermò a riflettere durante il suo cammino attraverso le mutevoli sabbie del deserto e si massaggiò e tempie. Jace e Chandra si stavano prendendo amichevolmente in giro, subendo anche gli occasionali commenti sarcastici di Liliana, mentre il rumore stava iniziando a penetrare nella sua mente. O forse si trattava del secco calore e della severa e inarrestabile luce del sole.
Aggrottò la fronte senza farsi vedere da Liliana che lo superò, tronfia per essere riuscita a far agitare Chandra e confondere Jace. Li aveva tirati fuori dai guai su Innistrad, non vi era alcun dubbio. Da quel momento, era però stata sempre in opposizione e con un atteggiamento derisorio. Non aveva alcuna idea su ciò che volesse dire far parte di un gruppo. Era semplicemente diretta negli stessi luoghi degli altri.
Che problema può causare?, pensò. Ognuno di noi è qui per un motivo personale. Tutto è così complicato... tutti noi, con tutte le nostre emozioni, motivazioni e obiettivi.
Sentì una mano fredda sul braccio e fece un respiro profondo prima di voltarsi e sorridere a Nissa. La pressione nella sua mente diminuì leggermente e, senza proferire parola, lui e l’elfa continuarono il loro cammino attraverso le sabbie.
La cupola scintillante che avevano visto in lontananza era ora vicina. La sabbia si accumulava intorno a essa, spinta dalla tempesta contro la barriera magica. Ancor peggio, al di fuori di quella parete invisibile si trovavano...
"Altri zombie!", esclamò Liliana. La sua voce suonò molto più entusiasta di quanto pensasse Gideon. Le creature essiccate si trovavano immobili sulla sabbia, intente e osservare l’interno della città protetta dalla cupola.
Gideon affrettò il passo per raggiungere gli altri. "Liliana, tu occupati degli zombie e io cercherò un modo per penetrare all’interno della cupola".
Jace inarcò un sopracciglio.
"Uh, questa è la mia idea. Ne avete altre?". Gideon ricordò a se stesso che non era il generale di questo piccolo esercito di Planeswalker. Jace, come minimo, si aspettava di avere diritto di parola sulle decisioni.
Liliana avrebbe agito per conto proprio in qualsiasi caso.
"Potremmo semplicemente riuscire a passare", rispose Jace. "Ma, in base all’esperienza che abbiamo avuto nel deserto, questa barriera potrebbe essere molto robusta. Partendo dal presupposto che il suo scopo sia di tenere i wurm sabbiosi all’esterno e non le persone all’interno".
"Ritieni di essere in grado di scoprire un modo per superare questa magia?", chiese Gideon.
"Ovviamente sì. Ma ne saprò di più solo dopo aver avuto la possibilità di esaminarla". Jace si voltò verso Nissa, poi i suoi occhi scintillarono di una luce blu, indicando che aveva appena iniziato una conversazione telepatica con Nissa, che Gideon non sarebbe stato in grado di udire.
Così complicato, pensò di nuovo Gideon.
Ciò che non fu complicato fu la loro efficacia nel collaborare, una volta raggiunto quello scintillante velo magico. Liliana e Chandra crearono un passaggio tra gli zombie, Jace e Nissa unirono le loro menti e lanciarono una magia, riuscendo ad aprire un passaggio poco più ampio delle braccia spalancate di Jace. Gideon fu il primo a oltrepassare quel passaggio e a entrare nella città, che, ancora una volta, andava ben oltre la sua immaginazione di come la tana di Bolas sarebbe potuta essere.
Si ritrovò nei sobborghi della città, dove i campi seducenti che si estendevano alla sua sinistra erano a pochi passi da maestosi edifici in pietra, ampie strade e slanciati obelischi. Non riuscì a vedere la divinità che avevano seguitò fino a lì, ma l’arrivo dei Guardiani aveva attirato l’attenzione di altri: una decina di persone, raggruppate a una certa distanza, li osservavano con cautela.
"Salve!", disse loro Gideon, sollevando un palmo e facendo un passo in avanti con un ampio sorriso, nonostante la sua mente si stesse ancora sforzando di immaginare che cosa avrebbe potuto dire a quelle persone riguardo alla loro presenza in quel luogo.
E riguardo alla presenza di Liliana, pensò. Come posso spiegare loro che lei è in grado di impartire ordini agli zombie con un solo gesto della mano?
Il suo saluto venne accolto non da quel gruppo di persone, bensì da un battito d’ali sopra di loro. Alzò lo sguardo e vide un uomo alato, con una testa a forma di gru su un corpo altrimenti umano... un aviano, pensò, sebbene non possedesse le fattezze di falco o di gufo che aveva visto su Bant molti anni prima. Invece di planare e di dirigersi verso di lui, l’aviano lo superò e si diresse verso la parete iridescente attraverso la quale erano passati.
Jace stava ancora mantenendo il passaggio aperto per Nissa, mentre Liliana si stava ancora dedicando agli zombie, per fare in modo che non li seguissero all’interno della città. Vennero colti tutti e tre dalla sorpresa quando l’aviano strillò "Che cosa state facendo?". Atterrò di fianco a Jace e lo spinse con il fondo del suo bastone... un bastone la cui estremità superiore aveva la forma di un paio di corna molto simili a quelle visibili all’orizzonte, vicino al secondo sole. "Spostatemi e lasciatemi riparare...".
Prima che potesse terminare la frase, Jace lasciò cadere le proprie mani lungo i fianchi e il passaggio che aveva creato nella parete magica si sigillò immediatamente.
"... l’Hekma", terminò l’aviano. Guardò verso Jace, sbatté lentamente le palpebre, per poi abbassare e risollevare il lungo becco, squadrando lo straniero, dalla pallida pelle e gli strani tatuaggi blu e agli altrettanto strani stivali blu. L’aviano indietreggiò e li analizzò tutti, soffermandosi in particolare sulla chioma rossa di Chandra e i brillanti occhi verdi di Nissa.
"Salve", ripeté Gideon. Dovette impegnarsi più intensamente per mostrare un sorriso, dato il bastone biforcuto dell’aviano.
"Che cosa state indossando?", chiese l’aviano.
Liliana si mise a ridere e Gideon le lanciò uno sguardo accigliato.
"Lascia fare a me", gli sussurrò mentalmente Jace, facendo un passo in avanti per attirare l’attenzione dell’aviano. "Credimi", gli disse, "questi vestiti sono l’ultima moda di...". Aggrottò la fronte. "... del distretto di Sef?".
Gideon si augurava sempre che Jace non si intrufolasse nella mente delle altre persone. In questa circostanza era però un grande vantaggio, che gli permise di dire esattamente ciò che l’aviano si aspettava.
"Che cosa stavate facendo nel deserto?", gli chiese l’aviano. "E che cosa avete fatto all’Hekma?".
Jace si voltò e osservò la barriera iridescente. "Sul serio? Non hai ancora imparato questa tecnica... che visir della... guardia dell’Hekma sei? Sono venuto qui, nel... distretto di Nitin proprio per insegnarvela. Con Kefnet. Certamente".
"F... forse io...", balbettò l’aviano.
"Forse è meglio che tu lo riferisca a Temmet", continuò Jace. "Lui saprà che cosa fare".
L’aviano annuì rapidamente, spalancò le ali e si lanciò in volo verso il cuore della città.
"Chi è Temmet?", chiese Chandra.
"Una specie di autorità", rispose Jace. "Sono sicuro che ti piacerà".
Chandra grugnì.
"Ascoltate", continuò Jace. "La situazione è complicata. Il visir Eknet non aveva alcuna idea dell’esistenza di luoghi oltre questa città. Questo è il motivo per cui gli ho detto che proveniamo da un altro distretto. Non siamo arrivati da un altro luogo oltre il deserto... perché per queste persone non c’è nulla oltre il deserto. Figuriamoci una distesa infinita di altri luoghi".
"Magari è giunto il momento di aprire loro gli occhi", rispose Chandra.
Gideon scosse la testa. "No. Non dobbiamo attirare l’attenzione su di noi più dello stretto necessario, almeno finché non comprendiamo chi sono i nostri nemici. Arrivare e sconvolgere la loro intera visione del mondo non ci sarebbe di aiuto per scovare e sconfiggere Bolas".
"Per il nostro amico Eknet, è già sospetto", aggiunse Jace. "Non ho indagato abbastanza a fondo per verificare di che cosa sospettasse esattamente".
"E Bolas?", chiese Liliana.
"Non ho trovato nulla riguardo a Bolas", rispose Jace. "Non nei suoi pensieri immediati".
Nissa indicò la direzione verso cui l’aviano era volato via. "Penso che quello sia Temmet", disse.
"Non può essere", commentò Chandra. "Avrà, che ne so, quattordici anni?".
"Shh", sibilò Gideon, voltandosi verso la figura in avvicinamento.
Era giovane... probabilmente più vicino ai sedici, secondo Gideon... ma aveva un portamento sicuro di sé. E l’equilibrio di un soldato bene addestrato, pensò Gideon. O forse un ballerino, aggiunse.
"Salve", lo salutò Gideon con il miglior sorriso che gli era rimasto.
Per la terza volta venne quasi ignorato, in quanto il giovane uomo rivolse l’attenzione... come fanno spesso i giovani uomini... su Liliana. "Buongiorno", disse con un piccolo inchino. "Il mio nome è Temmet. Il visir Eknet ha detto... insomma, ciò che ha detto non aveva molto senso".
Gideon e Jace si guardarono. "Ho fatto del mio meglio", disse Jace nella mente di Gideon.
"Non è stato abbastanza", rispose Gideon con un ringhio, sebbene non fosse sicuro di essere sentito da Jace. "Si sta mettendo male".
Liliana rispose all’inchino di Temmet e iniziò lentamente a circuirlo. "No", rispose lei, "abbiamo avuto qualche difficoltà a spiegargli la natura particolare della nostra situazione. Sono grata che voi siate venuto ad aiutarci a risolvere il problema".
Il giovane uomo sporse leggermente in fuori il petto, ma, nonostante le lusinghe di Liliana, la sua voce mostrava una certa diffidenza. "Certamente. Qual è il problema?".
"Siamo dovuti andare nel deserto per un certo tempo", rispose lei, "per svolgere una missione speciale per il maestro dalle grandi corna". Fece un leggero cenno con la testa in direzione delle corna gigantesche che si stagliavano all’orizzonte.
Temmet strabuzzò gli occhi e si voltò verso le corna. "Che il suo ritorno sia prossimo", disse a bassa voce, come per riflesso.
Il suo ritorno?, pensò Gideon. Allora non è qui. Liliana ci ha mentito?
"Sembra che la situazione sia mutata durante la nostra assenza", continuò lei. "Sareste così gentile e farci da guida nella città?".
"Noi saremo degni di lui”, rispose Temmet, accigliandosi.
Liliana inclinò la testa all’evidente fatto di non aver risposto in modo automatico, ripetendo le parole del giovane uomo. "Vi porgo le mie scuse", aggiunse. "Il sole ha annebbiato le nostre menti".
"Si tratta di una frase che dicono", sussurrò la voce di Jace nella mente di Gideon. "Ogni volta che citano Bolas. Stai al gioco".
"Va bene", rispose Liliana. "Un motivo in più per contare sulla guida di un giovane uomo di tale conoscenza e importanza".
Gideon intravide il sospetto negli occhi del giovane uomo. Non va affatto bene, pensò. Da un istante all’altro potrebbe ordinare di arrestarci.
Alla fine, Temmet annuì. "Con piacere. Ma ritengo che troverete che la situazione non è cambiata molto dalla vostra partenza. Tutto è come ha ordinato il Dio Faraone... che il suo ritorno sia prossimo...". Ripeté la formula in modo deciso, aspettando la nostra risposta.
”Noi saremo degni di lui", mormorò Jace, seguito dagli altri.
"... prima di andarsene, saremo pronti".
"Sono lieta di saperlo", rispose Liliana con un sorriso.
Temmet li guidò lungo ampie vie, di fianco a dimore dalla forma quadrata, alti obelischi e imponenti monumenti che sembravano spesso sfidare la gravità. In ampi canali veniva distribuita acqua da un enorme fiume visibile in lontananza e verdeggianti giardini prosperavano facendosi beffe del deserto oltre la barriera magica. La città aveva l’aspetto di un parco e il profumo di acqua fresca e pietre riscaldate dal sole. Sempre all’orizzonte, le corna gemelle di Nicol Bolas... chiamato il Dio Faraone... si ergevano a ricordo del motivo per cui Gideon si trovava in questo luogo, con il secondo, più piccolo sole che rimaneva impossibilmente immobile alla loro sinistra.
I popoli della città erano diversi tra loro. Oltre agli umani e ad altri aviani, erano visibili esseri dalla testa a forma di ariete, simili ai minotauri di Theros, persone dal capo a forma di sciacallo ed esseri serpentini senza gambe e con la testa a forma di cobra. Ciò che attirò maggiormente l’attenzione di Gideon fu però la loro attività. Non vide alcun negozio, alcun artigiano al lavoro, alcun lavoro manuale svolto da nessuno. Vide solo persone impegnate in sessioni di combattimento, allenamento fisico e studio... l’addestramento dei soldati... e sempre in gruppi formati da almeno una decina di membri. Ognuno sembrava essere al massimo della forma fisica.
Era di questo che parlava Temmet quando ha detto che si stavano preparando per il ritorno del Dio Faraone?, si chiese Gideon.
"Per che cosa si stanno addestrando?", disse Chandra mentre passavano di fronte a un gruppo suddiviso in coppie che lottavano.
Temmet seguì il suo sguardo. "Credo che quegli iniziati si stiano allenando per l’Ordalia della Forza", rispose lui. Annuì in segno di gradimento. "Immagino che Rhonas considererà degno ognuno di loro".
Con un’occhiata severa, Gideon bloccò Chandra prima che potesse porre altre domande. La risposta di Temmet mostrava in modo evidente che si aspettava che gli stranieri conoscessero il motivo delle azioni di quelle persone.
Poi, alla fine, Gideon vide alcuni al lavoro... più o meno. Temmet stava raccontando qualcosa sul maestoso monumento che stavano costruendo, ma l’attenzione di Gideon era sulle figure che stavano sollevando un enorme blocco di arenaria rossa verso un edificio in costruzione. Avvolti dalla testa ai piedi in un tessuto bianco, quelle figure erano talmente avvizzite da fargli pensare che non potessero essere ancora vive.
Altri zombie?, pensò, immaginando il piacere che Liliana stava probabilmente provando. Mummie, essiccate e preservate?
In effetti, Liliana non riuscì a trattenere la gioia, "Sono sempre stata affascinata da questo saggio utilizzo dei morti".
"Assolutamente!", esclamò Temmet. "Sono i Consacrati a svolgere tutti i lavori, in modo che i vivi possano dedicarsi all’addestramento. Potrebbe mai esistere in sistema più perfetto?".
"Non riesco a immaginarne alcuno", rispose Liliana, sorridendo beffardamente a Gideon.
Svoltarono in un viale e, ancora una volta, Gideon si ritrovò di fronte a una divinità.
Ancor prima di vederla con i suoi occhi, percepì la sua sensazione di disagio e di ansia svanire e una sensazione di serenità riempire il suo cuore, accompagnata da un caldo brivido lungo la schiena, che si propagò in ogni nervo del suo corpo.
In confronto alle divinità lontane di Theros o anche ai titani Eldrazi, la divinità dal capo felino era di dimensioni ridotte, ma torreggiava sulle persone intorno a lei, le cui teste non arrivavano neanche alle ginocchia. Indossava vesti di colore bianco e oro e in mano aveva un enorme arco dorato. All’inizio, Gideon credette che il volto felino fosse una maschera realizzata in oro, ma poi i pallidi occhi blu si chiusero e si riaprirono, le labbra si piegarono in un caldo sorriso e la divinità si inginocchiò a terra.
La divinità...
Si inginocchiò.
Di fronte a lei vi era un gruppo di bambini, non più di dieci. Ognuno di loro reggeva un bastone con entrambe le mani e aveva una posizione come di combattimento. La divinità spinse gentilmente il piede di uno dei ragazzini... in effetti, la sua posizione era troppo larga.
"Oketra saprà cosa fare con voi", disse Temmet, con lo sguardo verso la via in cui si trovava la divinità. La sua voce suonava come una minaccia, ma Gideon non percepì alcuna minaccia alla presenza di quella divinità.
In gioventù, Gideon aveva incontrato una volta il dio del sole, Eliod, il quale aveva appoggiato una mano sulla spalla del giovane uomo e gli aveva chiesto di diventare il campione del dio del sole. Ma quella non era stata la vera forma di Eliod... la sua divinità era coperta da un velo, la sua maestosità era ridotta. Gideon non lo aveva riconosciuto, finché un giorno non aveva confrontato le fattezze dell’uomo con quelle di una statua della divinità.
Questa divinità era diversa. Se anche questo corpo torreggiante non fosse stato la sua vera forma, la sua essenza divina non sarebbe stata in alcun modo velata. Gideon lo percepì in ogni parte del corpo; quando guardava verso di lei, scintillava ai lati del suo campo visivo; quando lei parlava, risuonava nelle sue orecchie. Temmet li guidò più vicino e Gideon vide l’adorazione e la devozione sui volti delle persone intorno alla divinità... i bambini che si stavano addestrando, gli adulti che controllavano le esercitazioni e tutti quelli che sembravano essersi radunati solo per godere della presenza della divinità.
Se io riuscissi a provare di nuovo una tale devozione... scosse la testa. Come posso fidarmi di nuovo di una divinità?
La missione che Eliod gli aveva assegnato aveva causato la morte dei migliori amici di Gideon, i suoi Irregolari. Il dio della morte, Erebos, li aveva distrutti con un semplice gesto del polso, come punizione per la supponenza di Gideon. L’idea di riporre nuovamente la fiducia in un tale essere divino sarebbe sembrata come un tradimento nei confronti del suo passato.
Poi lei spostò il suo sguardo verso di lui. D’istinto, lui si aprì al suo sguardo e lei lo vide. Ancora appoggiata su un ginocchio, si gli avvicinò e gli toccò il petto con un dito.
"Tu sei uno dei miei, Kytheon Iora", gli disse. Lo paralizzò con lo sguardo e lui percepì il proprio spirito bruciare di un incandescente bagliore. In quel momento, non ci fu nient’altro, nessun altro luogo, nessun altro essere nei piani sconfinati del multiverso; esistevano solo lui e quella divinità... Oketra, ne conosceva il nome come lei conosceva quello di lui, quello era il suo nome originale. Lei era l’unione, l’ordine, la fratellanza; lei era l’unione di cuori per uno scopo comune e l’unione di corpi diversi per un’azione comune. Nulla di lei era complicato. Lei era esattamente ciò che doveva essere ed era giusto che lei si trovasse in quel luogo, in quel momento, con lui.
Poi lei spostò lo sguardo e lui rischiò di perdere l’equilibrio. Spostò lo sguardo verso gli altri suoi compagni e il suo sopracciglio dorato si aggrottò leggermente. "Per quanto riguarda voi altri, il vostro destino non è stato deciso. Non ancora".
Non disse altro. Con perfetta eleganza, si rialzò in piedi e, contemporaneamente, Gideon e tutte le persone intorno a lei caddero a terra e si misero ad adorarla... non a causa di paura o coercizione, ma per l’amore che traboccava dai loro cuori.
Se ne andò e l’aria sembrò improvvisamente più fredda. Gideon rimase in piedi a osservarla finché non scomparve dietro un angolo. Osservò meravigliato un tempio imponente che non aveva visto prima, dalla forma delle sue fattezze divine, finché Chandra non lo scosse.
Temmet stava parlando a lui, non più a Liliana e, per la prima volta, il ragazzo gli sorrise. Gideon cercò di ricordare ciò che Temmet stava dicendo, mentre lui continuava a parlare: "... due stanze qua vicino che sono appena tornate disponibili. Mi dispiace non avere altro spazio in questo momento. Seguitemi, per favore".
La mente di Gideon era alla deriva. Erano giunti su questo mondo per abbattere un drago e avevano invece incontrato una divinità. Jace, Liliana e Ajani avevano descritto Nicol Bolas come il più malvagio dei malvagi e questa era la dimora che ritenevano si fosse costruito, ma sembrava impossibile che avesse creato anche lei. Non se era malvagio come dicevano.
Temmet li guidò verso un edificio vicino. Indicò una specie di sala per gli incontri all’interno, invitandoli a raggiungere gli altri residenti in quel luogo durante i pasti. Poi li condusse lungo una serie di scale in pietra all’esterno che portavano a una balconata che correva intorno all’edificio. Aprì le due porte e indicò l’accogliente stanza all'interno. "Sono sicuro che sarà di vostro gradimento".
Liliana entrò in una delle due stanze e chiuse la porta senza dire nulla. Jace, Nissa e Chandra entrarono nell’altra, con Jace che si lamentava ad alta voce. Gideon, ancora disorientato, rimase sulla balconata a osservare la città. Il suo cuore batté forte alla vista di Oketra che si aggirava lungo le strade. Le persone si spostavano per lasciarla passare, alcuni di loro lanciavano fiori ai suoi piedi e altri gridavano il suo nome. Per la seconda volta, Gideon la osservò finché non entrò nel tempio e le grandi porte non si chiusero dietro di lei.
Si soffermò, godendosi la vista della città, con la luce dei due soli che scintillava sulle acque del fiume e dei canali e sul barlume iridescente della cupola protettiva, l’Hekma. Le grandi corna all’orizzonte, vicine al secondo sole, erano il promemoria più evidente dell’apparentemente assente Nicol Bolas, ma da questo punto di osservazione poteva vedere altre espressioni dello stesso simbolo: un intaglio in cima a un obelisco, lo spazio vuoto tra le due metà di un enorme monumento e anche una fila di corna lungo l’esterno della balaustra su cui era appoggiato. Non riusciva a connettere l’evidente devozione della città al Dio Faraone con le informazioni che aveva ricevuto riguardo al drago Planeswalker... e ciò che aveva trovato in Oketra.
"Ehi, Gid". Chandra uscì dalla stanza e si appoggiò alla ringhiera, di fianco a lui.
Con un sorriso, le appoggiò una mano sulla spalla e insieme osservarono la città.
Lei si tirò indietro e lo osservò con un sorriso. "Allora... come ti ha chiamato?".
"Kytheon", rispose lui. "Kytheon Iora". Il nome suonò sconosciuto tra le sue labbra. "Era... il mio nome. Su Theros. Molto tempo fa".
"Kytheon, Gideon. Non è molto diverso".
"No. I popoli di Bant l’hanno udito in modo scorretto o non riuscivano a pronunciarlo e lo hanno modificato. Ora il mio nome è Gideon".
"Nah, per quanto riguarda me, il tuo nome è Gid".
Gideon si mise a ridere, scosse la testa e diede le spalle alla città.
La voce di Chandra si fece improvvisamente più seria. "Che cosa è una divinità?". Lui sbatté le palpebre e lei continuò. "Voglio dire, sono come gli angeli? O come gli Eldrazi? O sono semplicemente persone più grandi? Liliana ha detto che lei e Bolas erano come divinità, un tempo... sono allora dei Planeswalker?".
Gideon aggrottò la fronte. Non aveva visto alcun segno di divinità su Kaladesh, almeno non del tipo presente su Theros, quindi era sensato che lei ponesse quelle domande. Era comunque una domanda difficile a cui rispondere. Si sporse sulla balaustra e si grattò una basetta.
"Nissa parlava spesso dell’anima di Zendikar", rifletté lui.
"Lei parlava spesso a quell’anima. Penso che le manchi. Era una divinità?".
"Forse, una specie. Non ne sono sicuro. Penso che le divinità siano parte dell’essenza di un piano o qualcosa del genere. Incorporano un aspetto del piano, come il sole o il raccolto. Però sono anche persone. Pensano, parlano...". Si fermò e ripensò alla sua esperienza con Eliod. "Su Theros, per lo meno, possono essere meschine, vendicative e capricciose come gli umani. E disinteressarsi del valore della vita degli umani"
"Pensi che quella divinità felina sia diversa?".
"Certamente".
Lei si mise a ridere. "Non so, descrivi le divinità di Theros proprio come dei felini".
"Oketra è... lei incarna un ideale, non qualcosa come il sole. Lei è fratellanza... collaborazione, essere parte di qualcosa di più grande di una singola persona".
Chandra si voltò e appoggiò i gomiti sulla balaustra, osservando le stanze dove i loro compagni stavano discutendo sulla sistemazione per la notte. "Questa parte la riesco a capire".
Gideon annuì. Si trattava dell’ideale dei Guardiani... una consapevolezza che essere un Planeswalker significasse qualcosa in più rispetto a esercitare il proprio potere e seguire i propri capricci tra un piano e l’altro del multiverso.
"Ma se le divinità fanno parte di un piano", continuò Chandra, "e Bolas ha creato questo piano come ha detto Liliana, non capisco come tu possa avere questa idea sulla divinità felina".
"Tu non hai provato nulla? Nel momento in cui l’abbiamo incontrata".
"Sono sicura che sia stato un momento speciale tra voi due".
I loro sguardi si incontrarono, poi lei si voltò e Gideon rimase nuovamente colpito riguardo a quanto complicate e confusionarie potessero essere le persone.
Delle urla nella strada attirarono la sua attenzione. Analizzò il panorama della città, alla ricerca della fonte... così apparentemente fuori luogo in questa tranquilla e adorabile città. Gli altri Planeswalker lo raggiunsero sulla balconata.
Fu Nissa a individuare la fonte della confusione. Una figura umana isolata, una donna, stava correndo tra la folla verso di loro, spintonando le persone e quelli che Temmet aveva chiamato Consacrati, generando più confusione possibile. Dietro di lei, un gruppo di soldati (tra cui un enorme minotauro) la stavano per raggiungere. La maggior parte delle urla proveniva dalla donna e Gideon non riuscì a comprendere alcuna parola da così lontano.
Chandra stava già correndo giù per le scale. "Dobbiamo aiutarla!".
Gideon balzò davanti a lei e le bloccò il cammino. "Fermati, testa calda". Lei non si fermò e lo superò passandogli sotto una delle braccia spalancate. Lui si voltò e la afferrò dalla vita. "Ti ricordi ciò che abbiamo detto sul non attirare l’attenzione su di noi?".
Lei gli diede un calcio sugli stinchi e lui la appoggiò delicatamente a terra. "Ma lei è in pericolo", rispose lei.
"Probabilmente per un buon motivo. Non lo sappiamo. Non ha senso mettere a repentaglio la nostra missione, quando non sappiamo neanche che cosa stia succedendo".
La donna si era avvicinata e i suoi inseguitori le erano quasi addosso. "È tutta una menzogna!", urlava correndo. "Le ordalie sono una menzogna! Le divinità sono una menzogna! Le ere sono una menzogna! Ritrovate la libertà!".
Gideon mise una mano su una spalla di Chandra prima che scattasse di nuovo giù per le scale. Ritirò di scatto la mano, quando la spalla divenne improvvisamente rovente.
"Stai ascoltando le sue parole?", disse Chandra. "Lei combatte per la libertà!".
"Non siamo più su Kaladesh", disse Gideon con delicatezza.
"No, siamo nella tana di Nicol Bolas!".
Uno degli inseguitori riuscì ad afferrare un piede della donna con un bastone ricurvo, facendola cadere a terra. Un istante dopo, i soldati le furono addosso, bloccandole le braccia e rimettendola a forza in piedi.
"Ve ne accorgerete!", urlò contro di loro. "Il ritorno porterà solo devastazione e rovina!". La mano del minotauro le coprì la bocca e le urla si interruppero.
Chandra rimase sulle scale, ma Gideon poté percepire il calore della sua rabbia che veniva sprigionato a ondate. "Avremmo dovuto aiutarla", borbottò.
"Ascolta", le disse Gideon mettendosi di fronte a lei. "Raccoglieremo informazioni. In modo cauto. Scopriremo che cosa sta avvenendo e di quali menzogne stesse parlando; poi, se decideremo che è la scelta giusta, la aiuteremo. Te lo prometto".
"E se scoprissimo che la tua preziosa divinità felina è una menzogna?".
"Non lo è".
"A che cosa serve cercare informazioni. Sembra che tu conosca già la verità".
"Non ho informazioni sulla donna, sulle ordalie o sulle ere. Ma so che non c’è alcun inganno in Oketra".
"Ne sembri molto sicuro", commentò Jace, unendosi a loro nelle scale.
"Non sei d'accordo?", chiese Gideon. "Le stavi sicuramente leggendo la mente".
Jace scosse la testa. "Ho preso l’abitudine a non infilarmi in menti... più grandi della mia, a meno che non sia proprio necessario".
"Chandra ha ragione, impavido condottiero", aggiunse Liliana con un ghigno. "Le uniche divinità che io abbia mai conosciuto sono state i Planeswalker con la presunzione di essere degli dei. Un sacco di menzogne".
Gideon li superò e risalì le scale. "Non sapete di cosa state parlando", rispose lui. "Nessuno di voi lo sa".
Si fermò in cima alla scala, di fonte al giovane Temmet.
"Mi dispiace per il disturbo", disse Temmet. "Si è trattato di uno sfortunato incidente".
Chandra fu di fianco al giovane uomo in un lampo, lo afferrò per una spalla e lo voltò verso di lei. "Uno sfortunato incidente? Di che cosa si è trattato? Che cosa ha fatto quella donna?".
Questo è il tuo concetto di raccogliere informazioni in modo cauto?, pensò Gideon.
Temmet alzò le spalle. "Lei non ha mostrato di essere degna di vivere tra noi".
"Che cosa significa?", chiese in modo deciso Chandra.
Gideon vide gli occhi di Temmet stringersi e il sospetto apparire di nuovo sul suo volto. Chandra aveva ovviamente capito... non si trattava di un caso isolato.
"Temo di non essere a conoscenza dell’esatta natura del suo crimine", rispose Temmet. "Ma quelli che la inseguivano erano visir di Bontu e, se non mi sbaglio, la sua messe avrebbe dovuto affrontare l’ordalia di Bontu proprio oggi. Forse c’è stato un incidente al tempio". Scosse la testa. "La sua messe sembrava così promettente".
Gideon allontanò Chandra dal giovane uomo. "Ti ringraziamo", disse a Temmet. "Penso che adesso sia per noi il momento di riposare".
"Sono d’accordo", rispose Temmet.
Gideon spinse Chandra nella loro stanza e gli altri li seguirono.
"E ora?", disse Nissa. "Non so che cosa sia meglio fare".
"Abbiamo molte cose da risolvere", rispose Gideon.
"La sua messe", disse Liliana. "Come se dovessero venire raccolti?".
Jace annuì. "Stava pensando a un gruppo di circa una decina di persone, che avevano lavorato insieme per un lungo periodo. Avevano superato tre ordalie insieme, qualsiasi significato abbia".
Chandra si buttò a faccia in giù su uno dei tre letti della stanza.
"Un po’ di riposo sembra essere una buona idea", commentò Nissa. Si sedette su uno degli altri letti.
"Giusto", disse Gideon. "Decideremo il da farsi domani mattina".
"Ai tuoi ordini, signor generale", disse Liliana. Uscì dalla porta ed entrò nella stanza vicina.
"Sono io l’unico che si chiede perché Liliana debba avere un’intera stanza?", chiese Jace.
Gideon alzò le spalle e si sedette in un angolo, lasciando il terzo letto a Jace.
Gideon si mise a riflettere su quella situazione complicata e non riuscì a dormire... la rivolta su Kaladesh, Tezzeret e il suo ponte planare, Nicol Bolas e il piano che si riteneva essere stato creato da lui, il ritorno del Dio Faraone, le menzogne delle ere. Rifletteva sempre meglio camminando, quindi uscì silenziosamente dalla stanza e si avventurò lungo le vie della città, alla strana e debole luce del secondo sole.
Trovò Oketra all’esterno del suo tempio, proprio nel momento in cui il sole più grande scompariva sotto l’orizzonte.
"Che cosa vai cercando, Kytheon Iora?", gli chiese, inginocchiandosi di nuovo.
Risposte, pensò lui. Scopo. Stabilità. Fede.
"Te", le disse lui.
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