Phyrexia: Tutto Diverrà Uno | Un guscio vuoto
Le Fosse di Dross emanano un odore fetido.
Ti trovi alla base del sotterraneo, con lo sguardo fisso in alto sulla parete fumante del condotto. Puoi avvertire l’odore del necrogeno da qui, in cima alla Basilica. I suoi fumi turbinano sopra di te in piccoli vortici, come figure che ti invitano a raggiungerle. Il passaggio tra le sfere è sorvegliato pesantemente, ma questo condotto è abbastanza lontano sui confini esterni da non attirare lo sguardo di nessuno. Almeno, nessuno che abbia la speranza di fermarti.
Spieghi le ali, assaporando la spinta nelle spalle mentre il tuo corpo fa ciò per cui è stato creato. Bastano pochi battiti per spingerti su nel condotto, squarciando le nubi di necrogeno e lasciando una scia dietro di te. Niente ti si para davanti, anche se un paio di rosicchiatori aggrappati alle pareti scivolose si voltano verso di te con grugniti rabbiosi, che diventano subito urla patetiche nel momento in cui spicchi le loro teste dai corpi con un rapido movimento della tua lancia. Senti l’odore dei loro fluidi mentre fuoriescono e piovono giù, sulla sfera sottostante... Proprio dove chi ti ha assegnato l’incarico attende notizie del tuo successo.
“Conosci il traditore Geth?”
Fai un cenno del capo e non dici nulla, il marmo freddo sotto le tue ginocchia. È una domanda che non ha bisogno di risposte. Tutti conoscono il lich, il Phyrexiano corrotto con la testa incompleta. Un marchio impuro su una tela immacolata.
“Scopri dove si trova, Ixhel. Metti fine alla sua esistenza.”
Alzi lentamente gli occhi dal pavimento.
Sopra di te si erge il trono, un podio coronato da una scintillante rifinitura di porcellana e ossa, di pura fattura Phyrexiana. Il seggio è vuoto; senza le richieste di una riunione del consiglio, Elesh Norn, Madre delle Macchine, si è ritirata in contemplazione. Invece, sei in ginocchio davanti ad Atraxa, la Grande Unificatrice, la ragione per cui respiri.
“Geth è uno dei sette Thane d’Acciaio delle Fosse di Dross, una sfera che ci ha già causato notevoli seccature,” dice Atraxa, la sua voce schioccante come una frusta. “Voglio che tu riduca quel numero a sei. Portami la sua sudicia testa.”
“Sarà fatto”, rispondi, cantilenando le parole. “Non prevedo difficoltà.”
Atraxa emette un rumore viscido che sembra provenire dal fondo della sua gola. “No,” dice. “Come potresti prevedere difficoltà? Sei la mia creazione più perfetta.”
Atraxa tende una mano verso di te e tu abbassi velocemente lo sguardo sul tappeto rosso sangue. Con la punta delle sue dita ti accarezza la guancia; senti una breve vampata di qualcosa dentro di te, nel punto in cui una creatura inferiore avrebbe il cuore. È qualcosa che va oltre la fedeltà, oltre il semplice desiderio di diffondere l’Ortodossia delle Macchine nel Multiverso.
Ignori quella sensazione e speri che scompaia.
Finora, è sempre stato così.
Cerchi di individuare un punto elevato, il che è più facile a dirsi che a farsi: se questa sfera è conosciuta come Le Fosse di Dross ci sarà un motivo. Il paesaggio è piatto, punteggiato da pozze luminose di necrogeno liquido, splendente e velenoso. Strutture protuberanti e grossolane di ossa nere e oro spezzano l’orizzonte. Senti le tue labbra arricciarsi. Sai che ogni sfera risponde a uno scopo ben preciso nella perfetta unità di Nuova Phyrexia, ma non puoi fare a meno di provare disgusto. Non quando il tuo metro di paragone è la serenità della Basilica Pallida.
Il lato positivo è che, secondo le tue previsioni, questo sarà un viaggio breve. Le parole con cui hai risposto alla richiesta di Atraxa non erano arroganza: hai abbattuto ogni creatura che si sia mai opposta a te.
Incontri poca resistenza mentre ti fai strada attraverso il paesaggio, inalando aria corrosiva lungo il cammino e tenendoti alla larga dalle pozze luminose.
Non molto tempo dopo, la tua avanzata viene interrotta. La fortezza di Geth è visibile oltre l’altura successiva, ma il cammino è bloccato da una scogliera a strapiombo di lucente roccia nera. Potresti scalarla, ma ci vorrebbe troppo tempo. Potresti superarla in volo, ma in questo modo annunceresti la nostra presenza all’intera sfera, un’evenienza che ti è stato ordinato di evitare, quando possibile. Non è certo il momento di ricorrere a un’eventuale ultima risorsa.
Appena metti piede nell’ombra della parete rocciosa, scorgi il profilo di un cancello. Sembra quasi una formazione naturale, come se l’atmosfera soprassatura avesse fornito alla roccia una volontà propria, come un Dominus. Non si intravedono chiavistelli, né serrature. Invece, trovi una fila di calchi arrotondati, disposti a forma di ventaglio all’altezza delle spalle. Premi il palmo contro uno di essi.
Un tono grave risuona dalle profondità della pietra. Fai un passo indietro. Svanisce così velocemente da toglierti quasi la certezza di averlo davvero sentito. Premi di nuovo il calco. Risuona lo stesso tono. Premi ogni calco a turno e ognuno emette un suono leggermente diverso.
Inclini la testa e li premi di nuovo. Qualcosa nei suoni ti provoca una sensazione di prurito in fondo al cervello. Non ti piace.
“Devi premerli nell’ordine giusto.”
La voce è un sibilo alle tue spalle, viscido e untuoso, ma alla fine si strozza quando ti giri e scaraventi la figura che aveva parlato contro il terreno scosceso, stringendo le dita sul suo collo.
“Per favore,” rantola.
Questo, assieme alla facilità con cui si piega sotto di te, trattiene la tua mano abbastanza a lungo da dargli un’occhiata.
“S-So cosa stai pensando,” farfuglia la figura. Stringi ancora di più la mano sul suo collo, persino mentre registri la tua lieve sorpresa per il fatto che abbia un collo. Un volto. Un torace. Mani nude e sgraziate. È un aspirante, un maschio umano o elfico. Forse originario del Labirinto del Cacciatore, una sfera che si trova diversi livelli più in alto, a giudicare dal suo odore e da colore e forma del suo completamento.
“Pietà!” Grida nelle tue orecchie. “Pietà!”
Sogghigni. “Identificati, creatura.”
“Belaxis!” riesce a dire con voce acuta. “Mi chiamo Belaxis. Non puoi uccidermi.”
“Sì che posso,” è la tua risposta.
“No! Voglio dire, ti credo, certo che sì!” L’aspirante trema. La sua voce diventa lievemente nasale per la paura. “Volevo dire che... non dovresti uccidermi! Ti prego, non uccidermi!”
Inclini la testa. “Perché no?”
“Perché non voglio morire!”
Inclini ancora un po’ la testa. “Perché?”
“Giusto, è...” L’aspirante respira affannosamente, la sua gabbia toracica fragile e indifesa si muove su e giù. Il movimento è sgradevole, ma pressante. “Giusto, è un’ottima domanda! Filosofica. E tu? Perché non vuoi morire?”
Consideri la questione. Sai qual è la risposta esatta. La risposta che ogni Phyrexiano dovrebbe dare. Perché si dovrebbe temere la morte quando nessun individuo ha alcun valore? Ogni vita in ogni sfera esiste esclusivamente per diffondere la verità di Phyrexia nel Multiverso. Non esiste altro motivo per essere vivi.
Eppure, il pensiero turba qualcosa nel profondo di te. Cerchi di valutarne i motivi.
“Perché la mia esistenza è necessaria,” decidi di rispondere.
L’aspirante sbuffa aria attraverso i disgustosi forellini che ha in volto. “Non avere un’alta opinione di te,” mormora. “Non perché non dovresti!” aggiunge frettolosamente, nel momento in cui riprendi a stringere. Prima che tu possa schiacciare del tutto la sua voce, urla: “Non puoi uccidermi! Ho un contratto con Lord Geth!”
A queste parole, ti fermi. “Cosa?”
“L-Lord Geth.” L’aspirante respira affannosamente. È attanagliato dalla paura. Cosa ci fa una creatura così debole e non ancora completata in un posto come questo? Avrebbe dovuto essere ridotto a brandelli nel Labirinto del Cacciatore in un giorno. “Lord Geth stringe accordi. Ecco perché lo chiamano il Thane dei Contratti.”
“Chi lo chiama così?” Questo non c’era nelle direttive che hai ricevuto.
“Lord Geth salva la gente. Con i suoi accordi!” Gli occhi dell’aspirante hanno uno sprazzo di luce. Iniziano a riempirsi di uno strano olio trasparente.
“Lui fa cosa?”
“Accordi! Protezione. Può farti spostare tra le sfere. Beh...” L’aspirante ti lancia una rapida occhiata nervosa. “Non lui, esattamente. Ha stretto un contratto con me e mi ha tirato fuori dal Labirinto del Cacciatore. Mi ha salvato. E ora custodisco il cancello che porta ai suoi possedimenti."
“Se ti uccido, questo cancello si apre?”
“Sì. Aspetta! No!” Il respiro dell’aspirante accelera di nuovo. “Non è così che funziona. Se mi uccidi, non si aprirà mai! Mai e poi mai! Inoltre, Lord Geth lo saprebbe e verrebbe a cercarti!”
Ti sposti all’indietro, con un’aria lievemente perplessa. Sono tutti sono così vivaci gli aspiranti? Non ti sei mai ritrovata nella posizione di scoprirlo. “Se ti uccido, Lord Geth lo saprà?”
“Sì!”
“In che modo?”
“Non ne sono sicuro. Uccidimi e lo scoprirai.”
Sollevi la tua lancia.
“Scherzavo, scherzavo! Lo saprà e basta!”
Consideri questa nuova opzione. Potresti semplicemente uccidere l’aspirante e così stanare il lich? I tuoi ordini sono diversi. Tuttavia, questa soluzione potrebbe essere più rapida.
No. Non puoi allontanarti dalle tue direttive.
“Io posso aiutarti!”
“Tu? Non dire sciocchezze, creatura.”
“Te l’ho detto, il mio nome è Belaxis.” Almeno adesso quello strano liquido non sembra più filtrare nei suoi occhi. “Qual è il tuo?”
“Ixhel,” rispondi. “Della Basilica Pallida.”
Belaxis ti fissa. Forse non avresti dovuto offrire il tuo nome a questo essere indegno. Ma nemmeno sei disposta a negarlo.
“Ixhel.” Belaxis l’aspirante se lo rigira intorno alla sua strana bocca rosa. “Ixhel. Io posso aiutarti. Vuoi oltrepassare quella porta, non è così? Io posso aiutarti.”
“Cosa?”
“L’enigma! Posso aiutarti a risolvere l’enigma che apre la porta.”
Ti alzi bruscamente. “Posso farcela da sola.”
Questo, temi, potrebbe essere un atto di arroganza.
I suoni non hanno alcun senso, o non a sufficienza per decodificarli. Ti irrita. I suoni ti pizzicano il cervello; hai la sensazione che dovresti sapere cosa significano, riconoscere lo schema che costruiscono.
Alle tue spalle, Belaxis mantiene un flusso costante di chiacchiere.
“Mmh, vedi... sei abbastanza alta da arrivare a tutte le piastre! È utile per qualcosa del genere, ma la tua schiena potrebbe iniziare a darti noia. Oh! Inizia con quella all’estrema sinistra...”
“Immagino che l’altezza sia meno utile quando voli: quelle ali funzionano? Scommetto che non dev’essere facile stare in posizione verticale quando sei in aria. Puoi combattere mentre voli? Oh, le due piastre al centro vanno premute insieme...!”
“Wow, la Basilica Pallida... Non l’ho mai vista. Certo, dove avrei potuto vederla, eh? È bella come te? Lì, a destra!”
Digrigni i denti, ma segui il consiglio, usando i suggerimenti per mettere insieme i suoni. I Phyrexiani fanno tutti la loro parte per raggiungere un obiettivo comune. Ignorare un aiuto perché chi lo offre ha una voce irritante e acuta sarebbe controproducente.
“Ah, ce l’hai fatta!”
La porta lampeggia di una sottile luce blu, il cancello si aziona e si apre. Provi un brivido di calorosa vittoria che di solito associ alla soddisfazione di squarciare una creatura a metà. Ti viene quasi voglia di girarti e affondare la lancia nella gola dell’aspirante.
Ti volti e lo trovi in piedi, che guarda in lontananza. La fredda luce radioattiva delle fosse risplende sulla corazza verde e argento che gli riveste il busto e le cosce. Le parti nude e non ancora completate del suo corpo sono flaccide, quasi oscene. Di sicuro tu non sei mai apparsa così fragile.
Se ne sta seduto qui tutto il giorno, in attesa che arrivi qualcuno come te a cercare di aprire il cancello. Chissà cosa si prova? Come fa a restarsene immobile con tutto quel vocio nella sua testa? Deve davvero piacergli il tempo che trascorre qui se è così deciso a restare in vita. Singolare.
Ti volti di nuovo verso il cancello aperto, il tunnel illuminato solo da un sottile flusso di necrogeno che scorre nel mezzo. Arricci il naso, ma ti fai strada all’interno.
“Addio, Lady Ixhel!” Senti le parole di Belaxis alle tue spalle. “Porta i miei saluti a Lord Geth!”
Non incontri nessuno di altrettanto strano o loquace mentre attraversi la tenuta di Lord Geth, ma noti la presenza di più aspiranti di quanti tu ne abbia mai visti da molto tempo. Creature provenienti da tutta Nuova Phyrexia. Da tutte le sfere. Alcune a metà del completamento, altre il cui completamento era andato storto. Avrebbero dovuto essere demolite prima ancora di emettere il loro primo respiro; Geth aveva stretto accordi anche con loro?
Strano. È strano il modo in cui funzionano le menti di queste mezze creature. Legarsi a una creatura mostruosa e blasfema per una misera promessa di continuità della propria inutile vita? Non riesci a comprendere. L’unica ragione di esistere è diffondere la perfezione nel Multiverso. Se non puoi farlo, perché non permettere a te stesso di essere smontato, di essere completato in qualcosa in grado di farlo?
Non incontri molta resistenza nel tuo viaggio, ad eccezione di qualche altro rosicchiatore che tenta la sorte, come fanno sempre. Individui la fortezza di Geth con relativa facilità: è una piaga che si staglia all’orizzonte. Una colossale struttura di ossa nere e tendini rossi, sorta dalla terra ardente del suolo consacrato dal necrogeno della sfera.
Questo cancello non è sorvegliato, né ha uno stupido enigma da risolvere. La porta è aperta davanti a te. Nessuno si oppone a te sulle scale, né mentre varchi la soglia della grande sala. Tutto è immobile come in un sepolcro.
Attraversi un arco basso e nero, e la collera inizia a montarti dentro. Questa è una sala del trono. La luce fioca delle torce illumina un’imitazione alta e torreggiante del trono di Elesh Norn. È vuoto.
Come osa? Come osa paragonarsi alla Madre delle Macchine? È un’insolenza inconcepibile.
“Folle.” La tua voce riecheggia nell’ampia sala. “Lich. Abominio! Dove sei?”
“Sei più piccola di quanto pensassi,” dice una voce nel tuo orecchio. “Che strano.”
È la seconda volta che qualcosa di inquietante riesce a coglierti di sorpresa. Stavolta sollevi la lancia, roteandola a mezz’aria. L’urto è così violento da propagare una scossa fin nelle profondità del tuo corpo. Riesci a rimanere in piedi, per un pelo.
“Bene. A quanto pare la tua non è solo spavalderia.”
Davanti a te compare Lord Geth.
Il suo corpo ansante incombe sopra di te, con i suoi numerosi arti e le zampe di aracnide piantate nel pavimento di marmo. Il suo volto orribile scruta in basso. Non possiede l’energia o la grazia flessuosa di Belaxis, ma per qualche motivo non puoi fare a meno di pensare a lui mentre guardi negli occhi Lord Geth. Trattiene la tua lancia tra due delle sue tenaglie.
“Presumo che la Madre ti abbia mandato per la mia testa, finalmente”, dice. “La odia così tanto.”
Impugni la spada e allarghi la tua posizione. Geth è più grande di quanto ti aspettassi, il suo corpo completato alla perfezione. Di fatto, solo la testa è ancora organica. Una massa orribile e in decomposizione al centro di un corpo altrimenti efficiente. Lo odi più di quanto tu abbia odiato Belaxis, perché almeno in quel caso non era colpa sua. Invece, sai che su questo Geth aveva insistito, rifiutandosi di sottomettersi del tutto.
“È ributtante,” sogghigni. “Diventa te.”
Geth ride. I suoi occhi bruciano. “Devo essere davvero caduto in basso ai suoi occhi, se ha inviato un soldato semplice, piuttosto che un pretore. Nemmeno l’Unificatrice. Come sta Atraxa, a proposito?”
Ardi dalla collera. Un soldato semplice? Tu? Quanti cadaveri hai recuperato per il completamento?
Non ha importanza, ripeti a te stessa. Non ha importanza quel che pensa di te. Tu non hai affatto importanza.
“Non hai il diritto di pronunciare il suo nome,” sibili. “Neanche solo di pensarlo.”
Geth ride di nuovo. Elude il tuo attacco successivo con un pigro colpo di artiglio, deviandolo senza alcuno sforzo apparente. Il colpo risuona ancora dentro di te. Stringi i denti per non mostrargli la tua sorpresa.
Stupido da parte tua. Stupido da parte tua presumere che non avrebbe opposto una strenua resistenza. Ti sei abituata a combattere piccole e inutili creature organiche incomplete che non avevano alcuna possibilità contro la potenza di un vero Phyrexiano.
“Sei arrugginita, vedo,” dice Geth. “Hai combattuto contro creature che non erano in grado di opporre una vera resistenza.” Ti legge come se avesse accesso ai tuoi pensieri. “Hai fatto la voce grossa con coloro che hanno firmato un contratto con me, non è così?”
“Davvero credi che intaccherei la mia lama su nemici così inutili?” sogghigni.
“Sì, mi aspettavo una risposta del genere.” I colpi di Geth diventano sempre più potenti mentre parla. Li senti fischiare nell’aria mentre ti passano di poco accanto. “Ma questo è ciò che tu e la tua razza non capirete mai. L’unica vera fedeltà è quella che si può comprare.”
“Che assurdità.” Sono tutte sciocchezze volte a ingannarti, proprio come le farneticazioni di Belaxis. Patetico, che un thane condivida un’afflizione con una mezza cartuccia incompleta. Non c’è da stupirsi che i tuoi comandanti lo vogliano morto.
Eppure, il suo potere è innegabile.
“Dubiti di me? Per quale motivo combatti, allora, creatura dell’Ortodossia delle Macchine?”
“Mi chiamo Ixhel,” rispondi digrignando i denti.
Geth sogghigna. L’elasticità del suo viso è disgustosa. Non sei abituata a vedere certe cose. “Ixhel. Un bel nome per l’ennesimo burattino di Phyrexia.”
Sei fuori di te. “Pensi di insultarmi?”
“Il disinteresse del pubblico non rende uno scherzo meno divertente.”
Scherzi. Ah. Adesso gli mostrerai cos’è uno scherzo. Soprattutto ora che stai iniziando a capire che ha molto più senso schivare i suoi colpi piuttosto che cercare di pararli. Su una cosa ha ragione: combattere contro delle nullità ti ha rammollito. Non eri preparata per affrontare qualcuno con il suo genere di forza.
“E ora corri in giro come un topo,” dice Geth con la sua voce profonda e sonora. “Hai paura di affrontarmi e combattere?” Rotea i suoi arti per un altro ampio affondo, costringendoti a saltare all’indietro in un movimento sgraziato. Il marmo osseo sotto i tuoi piedi ti è sconosciuto; continui a scivolare. Avresti dovuto costringerlo a uscire e a combattere contro di te all’aperto.
“Non c’è da stupirsi che tu sia debole,” dice Geth con un’altra risata. “Nessuno di voi riesce a comprendere la vittoria nata dalla vera lotta. La lotta per la sopravvivenza.”
“Tu non sai niente!”
“Io so più di quanto pensi.” La brutta faccia di Geth ora ti sorride, stravolta in un’orribile smorfia. “So cosa rende un guerriero davvero tale: è la consapevolezza che una sconfitta equivale alla morte. E non che, se vieni sconfitto, ci saranno migliaia di altri esseri senza volto che prenderanno il tuo posto. La tua ubiquità ti rende debole.”
“Ti sbagli,” gridi di rimando.
“Ma davvero?” Le fiamme delle torce bruniscono la schiena dura e corazzata di Geth. “Allora perché non deponi le armi e ti rassegni alla morte? I tuoi superiori potranno semplicemente inviare una versione avanzata di te.”
Belaxis aveva detto più o meno la stessa cosa, pur se in meno parole. Hai il timore, per una frazione di secondo, che siano stati in comunicazione. Che Belaxis sia un subalterno diretto del thane, invece di un mero servo senza valore. Respingi quel pensiero. Non ha importanza.
Geth ha smesso di attaccare, quindi ti fermi anche tu, facendo tutto il possibile per nascondere il tuo sfinimento.
Geth, in un modo o nell’altro, sta ancora parlando. “Quando avrete vinto, cosa vi legherà alla vostra gente? Dopo che la vostra ombra sarà arrivata in ogni angolo del Multiverso?”
Vorresti poterti coprire le orecchie. Emetti un lungo grido, brandendo la tua lancia. Geth, in un’esplosione di velocità superiore a qualsiasi cosa abbia mostrato finora, ti coglie alla sprovvista, afferrandoti alla gola con una tenaglia. Ti irrigidisci.
Mentre ti trascina a sé, avverti il suo alito caldo e fetido. “E tu, piccola emissaria? Quando avrai bruciato il resto del piano, cosa resterà per sostenerti oltre la tua ortodossia? L’amore di una madre indifferente e severa?”
La domanda risuona dentro di te. Qual è la tua ragione di vita? Perché esisti?
Con una forte esplosione di rabbia, fai scivolare la gola lungo la lama, aprendola in un bagno di sangue caldo e olio. Con uno strappo, ti liberi dalla presa di Geth e affondi la tua lama con un solo colpo, spiccandogli la testa dal corpo. La afferri, mentre la tua voce gorgoglia nella gola squarciata.
“Marcisci nella polvere, creatura indegna. I tuoi contratti non valevano più della tua patetica vita, alla fine.”
Il dolore è lancinante, ma non è niente in confronto all’estasi della vittoria. E man mano che l’estasi cresce, così anche un desiderio. È opprimente. Ti mette in ginocchio.
Questo folle, questo mostro. Non merita la serenità della morte. Lo odi. Con tutte le tue forze, lo odi! Eppure, mentre la tua gola si ricuce da sola, senti il cedimento della carne sotto la punta delle dita, gli occhi debolmente luminosi che si appannano. Sprigionano quasi una sorta di bellezza adesso, come il luccichio verde e argento che avvolge la carne vulnerabile.
La testa di Geth farfuglia qualcosa che ritieni poco più che parole senza senso. Cosa sarebbe potuto diventare se solo si fosse sottomesso? Se solo avesse compreso la verità.
Forse, in questo, puoi aiutarlo.
Le Fosse di Dross sono una pozza sporca e poco raccomandabile, certo, ma a volte non sono affatto male.
A dominare il paesaggio, più imponente persino della torre di Lord Geth, si staglia il Dominus del Dolore. Quando i Phyrexiani colonizzarono per la prima volta questo piano, e l’olio scintillante, in tutta la sua gloria, iniziò a trasformarlo nella sua versione più vera e giusta, parti della terra si risvegliarono. Si mossero, si agitarono e iniziarono a vagare.
Nessuno sa veramente cosa siano i Domini, se sono capaci di pensiero e se provano desideri allo stesso modo degli altri Phyrexiani. Se ambiscono, com’è giusto, a portare tutto sotto il dominio dell’Ortodossia delle Macchine.
Ma sai cosa desidera ardentemente questo Dominus, e un monolite imponente e affilato come un rasoio che si staglia contro il cielo è completamente attrezzato per raccoglierlo. È a un breve volo di distanza dalla torre di Geth, e se pure qualcuno dovesse scorgerti non avrebbe più importanza. Tuttavia, le parole di Geth rabbrividiscono ancora dentro di te, pulsanti e singolari.
Il Dominus riposa. Non guarda verso di te. Si sposta e mormora, con le ossa brunite che sussurrano al vento. Un odore di putrefazione si diffonde nell’aria. Corpi di tutti i tipi, dai rosicchiatori agli aspiranti fino a un prete cencioso, pendono ondeggianti nella brezza, trafitti dalle feroci spine del Dominus. Ognuno di loro sarà stato scelto e collocato con cura, le loro urla e le loro contrazioni sorseggiate con dedizione estatica.
Non puoi comprendere il Dominus, ma puoi usarlo.
Un lamento penetrante risuona attraverso la desolazione circostante, mentre inchiodi il corpo che si contorce tra le tue braccia su uno spuntone affilato come un rasoio sul lato orientale del Dominus. Il sangue scintillante risplende scuro nella fredda luce necrogena. Ne senti il calore acceso sulle tue mani.
“Perché?” gracchia Belaxis. La schiena dell’aspirante si inarca in una linea perfetta e pulita. Lo sperone osseo sporge dal suo addome, più bianco persino della sua carne incompleta.
“Perché?” La sua voce si incrina. “Io ti ho aiutato.”
Le tue dita si abbassano per afferrargli il mento, tirandolo su. La sua faccia è contorta in una sofferenza eloquente, tremante per il dolore. Il suo corpo, ricoperto da una pelle morbida e violabile, è molto più sensibile del tuo.
“Lo so,” rispondi, mentre lo guardi contorcersi. “E te ne sono grata.”
Dopo l’oscurità delle sfere superiori, il bianco candido della Basilica Pallida è quasi accecante. In piedi nella sala del trono, con lo sguardo rivolto in alto verso il seggio della Madre delle Macchine, la grandiosità ti fa quasi venir meno le ginocchia.
Hai trascorso gli ultimi giorni nel freddo velenoso della Baia Chirurgica, seduta a guardare mentre la tua creazione veniva resa manifesta. Quella sfera appartiene a Jin-Gitaxias, un inventore e visionario, ma chi potrebbe mai impedirti di usarne le attrezzature? Nessuno è stato così sciocco da provarci.
Alla fine del procedimento, rimani a guardare la tua creazione, e una strana sensazione sgorga dentro di te, non dissimile dall’esperienza di fare a pezzi un nemico arto dopo arto. Solo che questa volta hai creato qualcosa.
Hai creato qualcosa e lo porti a casa con te.
“Ixhel.” Elegante e retta, Atraxa è l’espressione dell’ideale Phyrexiano. La Grande Unificatrice, l’arma perfetta in battaglia. Infonde vita all’Ortodossia delle Macchine. Sparge l’olio scintillante attraverso il Multiverso. Lei è l’unica vera voce a cui risponderai sempre e comunque.
E ora guarda ciò che le hai portato con un tale disprezzo... Ti sembra che il piano si sia spaccato.
“Ixhel. Cos’hai fatto?”
Il silenzio si fa pesante intorno a te. In lontananza, un canto si alza come un vento sinistro che sibila attraverso ossa pendenti. I tuoi respiri sembrano coltelli.
“Comandante...”
“Rispondimi.”
Cadi in ginocchio. “Io... Io volevo solo creare qualcosa.” Ti arrischi ad alzare lo sguardo, mentre senti il tuo corpo bruciare. “Come tu hai creato me.”
Atraxa ha gli occhi fissi su di te. “Io ho modellato un’arma. Questo è ciò che sei.”
“Lo so, lo so. Ho solo pensato che...”
Atraxa emette una risata sprezzante che le hai sentito usare solo con i suoi nemici. Con gli incompleti. "Hai pensato?”
La parola si propaga nella sala e infrange la serenità come se fosse una lastra di vetro. Ti dilania dentro. Di fronte alla certezza, non c’è spazio per i pensieri. Ne sei conscia. Non hai bisogno di sentire le cose che ti sta dicendo.
“Sbarazzati subito di quella cosa, è un...”
“Vishgraz.” Una voce pronuncia il nome. Un attimo dopo, ti rendi conto che non può che essere la tua. Nessun altro ne è a conoscenza.
“Cosa?” La parola si schianta su di te come un colpo.
“Il suo nome.” Stai per sprofondare nel pavimento. Non hai mai provato niente di simile a questo senso di colpa soffocante. Non hai mai fatto niente per meritarlo. Un oggetto che segue gli ordini è un oggetto che non può mai deludere. “Il suo nome è Vishgraz.”
Atraxa resta in silenzio così a lungo che pensi che abbia lasciato la sala. Alzi lo sguardo. È ancora lì, ma non ti sta guardando. “Sbarazzatene subito,” ringhia.
Ti lascia inginocchiata sul pavimento, a fissare un trono vuoto.
Accanto a te, una voce familiare inizia a ridere. Una risata leggera e musicale. Si adatta a questo posto luminoso, ma ti graffia le viscere.
“Ti aspettavi qualcosa di diverso?”
Per la prima volta da quando hai abbassato gli occhi davanti alla tua comandante, volgi lo sguardo su di lui.
Quel volto, un tempo rabbioso, ora ti riempie di una misteriosa tenerezza. È irriconoscibile, ricoperto dal duro rivestimento metallico del completamento, ma tu sai cosa si nasconde sotto. La testa del traditore che hai tenuto tra le mani. Zampe di aracnide spuntano da un corpo bulboso, reso potente dalla placcatura verde e argento. I suoi penetranti occhi verdi non hanno nulla della vivacità del loro precedente proprietario, e nulla del suo tormento.
Due di quegli arti erano un tempo delicate ali di un osso bianco e rosso. Il punto in cui l’hai preso dalla tua stessa schiena divampa ancora di un dolore rovente.
“Di cosa stai parlando?” La tua voce esce aspra.
Vishgraz ti offre una mano con un gesto leggermente ironico. Lasci che ti aiuti a rimetterti in piedi.
“Pensi che ti ringrazieranno per aver creato qualcosa come me?”
“Lei ha creato qualcosa come me,” insisti, anche se sai quanto poco significhi. Cos’è un’affermazione di ipocrisia di fronte all’Ortodossia delle Macchine? Elesh Norn decide cosa è vero e Atraxa parla con la sua voce.
“Io volevo...” Non termini la frase. Questo è il punto cruciale: lo senti prima ancora che ti esca di bocca. Tu volevi, e in quel volere, hai fallito.
Stavi per dire che volevi salvarli, dare loro quello che tu hai, quello che tutti presto avranno... mettere a tacere la stupidità di Geth e aumentare l’attenzione nervosa di Belaxis, ma
Odiavi Geth, le parole che pronunciava risuonavano nella tua testa come campane discordanti. Ti piaceva Belaxis, o almeno ti piacevano le linee eleganti della sua carne incompleta, il modo in cui la luce rifletteva nei suoi occhi luminosi e sul suo corpo pallido.
Non sai perché. Volevi soltanto che nessuno dei due scomparisse. Volevi portarli con te. Sei una creatura miserabile.
“Io volevo salvarti,” è tutto ciò che riesci a pronunciare ad alta voce.
Quando Vishgraz risponde con la stessa risata musicale di prima, entrambi ve l’aspettate e non riesci a sopportarla. Ti allontani da lui. “Silenzio!”
“Salvarmi?”
Alzi una mano. “Ti ho detto di fare silenzio!” Non sussulta, non cerca di fermarti. Questo è ciò che trattiene la tua mano. Non puoi fargli davvero del male, non più.
“Mi hai salvato?” Si avvicina a te, gli arti tintinnanti, gli occhi che luccicano. “Dentro di me, posso sentire questo corpo che smania di farsi a pezzi. Sento le diverse parti di tutte le cose che ero.”
Incombe su di te, il suo corpo così enorme da oscurare la luce. Potrebbe schiacciarti se ci provasse.
“Io non ricordo cosa ero una volta”, dici. Ti appoggi a lui in una parodia di un abbraccio. Rabbrividisci. Hai la sensazione di essere stata trapassata, come Belaxis sullo spuntone.
Ti allontani da lui, rapidamente. “Vieni con me.”
Vishgraz rimane in silenzio per un momento. “Dove andiamo?”
Ti guardi indietro. “A sbarazzarci di te.”
Le Fosse di Dross emanano un odore fetido. Ti trovi sotto lo stesso condotto e guardi in alto, attraverso la nebbia vorticosa del necrogeno. È lo stesso posto, ma ti senti come se fossi a chilometri di distanza. Non è il piano a essere cambiato.
Accanto a te, Vishgraz emette un brontolio interrogativo, come se si aspettasse di essere colpito.
“Vai,” gli dici.
Niente.
“Vai!”
Una lenta espirazione. “Dovresti venire con me.”
Queste parole ti fanno alzare lo sguardo. Ridi. “No.”
Vishgraz fa un passo incerto verso di te. “Tu lo sai, Ixhel. So che lo sai. Sostengono di leggere le stelle, di sapere che il Multiverso è destinato a cadere sotto il dominio di Phyrexia. Che l’armonia del completamento si diffonderà sempre di più e che è cosa buona e giusta.” Un altro passo. “Ma sai che tutto questo non è altro che cenere. Tu, la tua gente, i disegni che vi siete imposti di portare a termine... tutto esiste solo per il capriccio di un’autorità dispotica.”
Dovresti negare.
Non dici nulla.
“La tua Ortodossia delle Macchine non ha più valore dei miei contratti.”
“Tu non sei lui,” ringhi.
“Allora cosa sono?”
Fissi il terreno accidentato. “Tu sei il mio primo atto di disobbedienza. Ora vai.”
Rimane in silenzio a lungo, e quando risponde, è solo con lo scricchiolio silenzioso dei suoi arti, quelli che tu gli hai donato.
Rimani alla base del condotto per molto tempo dopo che è svanito nell’oscurità. Dentro di te, nel profondo, c’è una sofferenza che vorrebbe spingerti a seguirlo.
Ma non lo fai.
Non ancora.