Elspeth accelerò il passo per raggiungere Koth e i due camminarono il più velocemente possibile, per quanto la piattaforma costellata di macerie glielo permettesse. Il sacrificio di Nahiri li aveva avvicinati al loro obiettivo. Li aveva anche rallentati (salvati, secondo Kaya) considerevolmente, dal momento che inciampare sulle macerie avrebbe significato una lunga caduta nelle profondità dello strato.

Lo squarcio nel cielo candido sopra di loro era ancora visibile, una ferita irregolare nella perfezione ineccepibile di questo luogo, fervente di tutti i colori di Phyrexia. Avevano attraversato una guerra e, seppur profondamente segnati dai suoi orrori, per un momento furono troppo piccoli per attirare l’attenzione.

Illustrazione di: Marc Simonetti

Elspeth lanciò uno sguardo d’odio ai guerrieri sopra di loro. Aspettate e vedrete, pensò con tutta la ferocia di cui era capace. Rimpiangerete di averci fatto subire tutto questo.

Non avrebbero avuto rimpianti. Lo sapeva. Anche se tutto fosse andato secondo i piani da quel momento in poi, se fossero riusciti a strappare un’incredibile vittoria da questo caos, i Phyrexiani non avrebbero mai rimpianto di aver distrutto Mirrodin. Non erano fatti per avere rimpianti. Phyrexia agiva per il bene superiore e per la gloria di Phyrexia, era l’unica cosa veramente importante. Tutto sarebbe diventato Uno, o non ci sarebbe stato più nulla.

L’alto ponte sul quale erano atterrati sembrava troppo fragile per aver resistito all’impatto con un enorme parte del Colosseo di Sheoldred. Anche se in condizioni normali il ponte sarebbe stato abbastanza resistente, la natura del loro arrivo li avrebbe dovuti rendere molto più pesanti, la grandezza del sacrificio di Nahiri li avrebbe dovuti far precipitare nelle interminabili bianche profondità. Sporgendosi e guardando verso il basso, Elspeth riuscì a vedere nello strato sottostante, più in profondità di quanto sembrasse possibile. Intorno a loro si estendeva un reticolo di piattaforme nivee, collegate da lunghi ponti di tendini scarlatti.

Dopo le scorie annerite di necrogeno delle Fosse di Dross, questo panorama ricordò a Elspeth gli schizzi di sangue sulle bianche spiagge di Theros, una corruzione di ciò che sarebbe dovuto essere immacolato. Koth, Melira e gli ingegneri goblin erano nati a Mirran. I Planeswalker erano forestieri qui, ma questo era Mirrodin, questo era il loro piano, non di Phyrexia, a prescindere da quanto olio scintillante vi fosse stato versato. Non si sarebbero mai dovuti sentire fuori posto nella loro terra.

Agglomerati di edifici sorgevano sulle piattaforme del reticolato come sculture organiche, in un equilibrio perfetto tra le curve eleganti del metallo lavorato e la naturale irregolarità delle ossa e dei tendini. Era tutto rosso su bianco, un intero piano fatto a immagine di Elesh Norn, come un sogno angosciante.

Per quanto i ponti fossero chiaramente realizzati per permettere il passaggio di numerosi Phyrexiani, erano anche una via di fuga libera per i Planeswalker. La battaglia in corso sopra di loro era troppo lontana perché potessero sentirne anche solo l’eco; era come se fossero soli. Poi l’aria venne riempita da una flebile canzone, come se fossero le strutture stesse a cantare per loro un inno Phyrexiano degli orrori.

“Nahiri ha compiuto un sacrificio enorme per noi” disse Koth. “Dobbiamo andare avanti e onorare la fine che ha scelto per se stessa.”

“Era stata infettata” disse Elspeth. “L’ho vista mutare proprio prima della fine. È impossibile che non si fosse accorta di cosa stesse succedendo. Ma non ha mai detto nulla.”

“Lo ha detto a me” intervenne Melira facendosi strada per raggiungerli. “Mi ha chiesto se l’avessi potuta aiutare quando eravamo alla Fornace.”

“L’avresti potuto fare?” le chiese Elspeth.

“Sì” rispose Melira e fece un respiro profondo. “L’avrei potuta aiutare, ma invertire il processo di phyresis è come estirpare i rovi da un terreno fertile. Distrugge centinaia di radici. Quando ne estrai uno, ne trovi altri, a centinaia. Per curarla dai danni già subiti sarebbe rimasta incapace per giorni. Sarebbe dovuta rimanere indietro.”

“E per lei significava perdere del tempo che non avevamo” disse Elspeth.

Riuscirono a raggiungere Kaya mentre parlavano. Kaya li guardò e ascoltò prima di chiedere “Potresti curare così anche Jace?”

“Solo se volesse” rispose Melira.

Kaya guardò indietro verso Jace che camminava da solo, chiuso in se stesso, con il Sylex nella borsa che gli rimbalzava sul fianco. La ferita sul suo braccio era mutata: ora la scottatura era illuminata da fili e metallo lucido. La carne rimasta era aperta e umida e si stava annerendo man mano che il tessuto si trasformava in cavi.

“Non credo che ce lo permetterà” disse con voce flebile.

“Allora mi conosci meglio di quanto credi” disse la voce di Jace nella sua testa. Melira, che aveva poca esperienza con la telepatia rispetto agli altri, sembrò sorpresa. “Davvero credevi che non vi avrei ascoltato discutere del mio futuro? Non voglio mettere a rischio la vita di tutti per salvare la mia, non dopo aver già perso Vraska. È più di quanto possa sopportare.”

“Che bello sapere che sei ancora tra noi, Jace” commentò Kaya.

“Per ora” rispose cupo. La sua voce mentale tornò in silenzio e focalizzò tutte le energie per andare avanti.

“Onoreremo la storia di Nahiri e il finale da lei scritto uscendone vincitori” disse Tyvar che stava camminando poco più dietro con Kaito. “Un grande sacrificio deve essere tramandato con un grande racconto.”

“Spero solo che sia morta” disse Kaito.

Elspeth si voltò per guardarlo, attonita. “Spiegati” disse.

Il Planeswalker longilineo alzò le spalle e il tanuki si mosse di conseguenza. “Devi ammetterlo, probabilmente è la più forte di tutti noi.”

“Sì” disse lentamente Elspeth.

“Ha viaggiato così a lungo che credo nessuno di noi sarebbe in grado di sconfiggerla” continuò. “Nessuno. Ritrovarsi faccia a faccia con un potere così puro? Io ne uscirei sconfitto e anche tu. Non voglio ritrovarmi contro di lei sul campo di battaglia. Ha scelto di darci la possibilità di proseguire, anche se ha significato allontanarsi dall’unica persona che l’avrebbe potuta salvare. Spero sia andata fino in fondo con il suo sacrificio e che non si ritrovi a dover lottare contro le persone che ha cercato di proteggere.”

“A volte è meglio piangere un compagno che rischiare di doverlo affrontare” disse Tyvar con tono insolitamente abbattuto.

Questa idea la turbava ed Elspeth non voleva soffermarcisi, consapevole che in realtà fosse inevitabile. Non avevano trovato un corpo tra le macerie. Nonostante Nahiri si fosse sacrificata per loro, sarebbe potuta ritornare sotto un’altra forma, come un nemico instancabile.

“Beh è terribile” disse Kaya. “Te ne siamo grati.”

“Non mi sembra il posto giusto per illusioni piacevoli.” Kaito scrollò le spalle. “Quando non vediamo le cose per come sono realmente, finiamo solo per farci male.”

“Cosa diamine è quello?” chiese Kaya paralizzandosi in mezzo al sentiero e fissando a bocca aperta un colosso immobile che incombeva dal basso sopra di loro.

La testa era una goccia al contrario fatta di metallo bianco, divisa a metà da una sola orbita rossa, come se qualcosa di più grosso fosse arrivato e gli avesse strappato l’occhio. Il corpo era curvo e allungato, impossibile da paragonare a un qualunque altro corpo normale. Non sembrava essere stato costruito seguendo la struttura degli insetti né dei rettili, né degli umani o di qualunque altra forma nota. Era tutto ricoperto di rosso e bianco, come se fosse stato creato per rispecchiare perfettamente l’ambiente. Prima che Kaya lo notasse, Elspeth lo aveva scambiato per un altro edificio monumentale.

“A Elesh Norn non piace rinunciare ciò che le appartiene” disse Koth con tono cupo. “I suoi preferiti, quelli che si rivelano essere i servitori migliori o che combattono con più ferocia, li fa ossificare. Li trasforma in ossa e li aggiunge alla sua Basilica Pallida.” Indicò la statua. “Dovremmo comunque prestare attenzione. Ho visto strutture simili prendere vita e uccidere dei Mirran che si erano avvicinati troppo.”

Quindi quello poteva essere una statua o un Phyrexiano pronto ad attaccare non appena si fossero avvicinati. Posizionato accanto al ponte, poteva rappresentare una minaccia. Elspeth fece una smorfia e mise la mano sull’elsa della spada.

“Possiamo passare su un ponte più sicuro?” chiese Kaito.

“Non se vogliamo raggiungere l’altare di Elesh Norn” disse Koth. “Da lì possiamo arrivare ai Giardini di Micosinti. Là avremmo accesso alla Germessenza, ovvero dove si trova il Frangireami. È lì che dobbiamo andare.”

“Non riesco ancora a capire come abbia potuto piantare anche solo un’imitazione di un Albero del Mondo” commentò Tyvar. La dimensione della Basilica Pallida tolse un po’ di vigore alla voce sua solitamente sonora, facendolo sembrare più piccolo.

Erano tutti più piccoli qui. Era la presenza di Phyrexia a rimpicciolirli.

Tyvar continuò: “L’Albero del Mondo cresce nel Cosmo collegando i reami di Kaldheim. Esiste dentro e fuori dalla realtà. Se anche qualcuno fosse riuscito a rubarne un seme, il primo germoglio avrebbe dovuto dividere il piano in due. Il fatto che non sia successo è miracoloso e terrificante.”

“Non avevamo mai visto una cosa simile prima” disse Koth. “Molti non l’hanno ancora visto. Melira è l’unica nostra spia che è riuscita ad arrivare all’albero e tornare.”

“Solo perché non posso essere infettata” disse Melira. “Tutti coloro che sono venuti con me ai giardini e sono sopravvissuti abbastanza a lungo da uscirne, hanno ceduto prima di riuscire a tornare a casa. L’albero di Norn si trova sotto la Germessenza, dove tiene prigioniero Karn. Quell’albero è terribile. Tyvar ha ragione, guardandolo pensereste che avrebbe dovuto dividere in due il piano. Le radici si sviluppano in profondità e i rami vanno così in alto da penetrare nei Giardini di Micosinti.” Aggrottò la fronte. “A un certo punto, guardandoli sembra di guardare sott’acqua. I rami sono curiosi e deformati e hanno qualcosa di strano.”

“Vie dei presagi” disse Tyvar. “In qualche modo sta creando vie dei presagi sui rami di un albero che non dovrebbe esistere.” Aggrottò la fronte, prima verso il nulla, poi verso il gigante immobile che incombeva lì accanto. “Dobbiamo porre fine a tutto questo.”

“È per questo che siamo qui” disse Kaya. Guardò Koth. “Possiamo riprendere il cammino?”

“Se deve attaccarci, ci attaccherà” rispose. “L’altare di Elesh Norn non è lontano.” Indicò un edificio più grande degli altri, più raffinato, che si innalzava verso il cielo come una fortezza di bianco brillante e rosso violento, naturale e meccanica allo stesso tempo. Era bello nella sua severa austerità. Un monumento per celebrare una Phyrexia unificata.

Guardandolo troppo a lungo, Elspeth sentiva dolore agli occhi. Strinse la presa sulla spada e annuì. “Riprendiamo il cammino.”

Tornarono a muoversi, più compatti di come erano quando avevano iniziato ad attraversare il ponte. Kaya continuò a mantenersi dal lato opposto del gruppo rispetto a Jace, ma qualunque cosa avesse detto per farsi dare il Sylex, aveva smesso di lanciargli occhiatacce.

Il gigante non si mosse. Passarono sotto il suo sguardo vuoto senza problemi, avvicinandosi all’agglomerato di edifici alla fine del ponte. Kaya rimase in testa al gruppo, attraversando le rovine che trovava lungo il cammino anziché aggirandole, lasciandosi alle spalle piccole scintille violacee.

Koth, Elspeth e i Mirran la seguivano, con Kaito poco più dietro a metà strada tra loro e Tyvar, mentre Jace chiudeva il corteo con il Sylex. Tyvar continuò a guardare indietro verso di lui finché non disse “Forza, amico Jace. Non vogliamo perderti.”

“No, immagino di no” disse Jace con una punta di ironia. “Non potete salvare il Multiverso senza di me.”

Le porte dell’altare si aprirono di fronte a loro, le temibili fauci di una bestia inarrivabile e divoratrice. Sembrava fosse stato fermato tra la vita e la morte, come se fosse allo stesso tempo una struttura immobile e un cadavere pietrificato. Guardandolo, a Elspeth si accapponò la pelle delle braccia. Ma proseguirono, attenti e pronti al peggio, nell’ingresso vuoto.

“Ho la sensazione di star entrando in una trappola” disse Tyvar a bassa voce, non tanto per rispetto nei confronti del luogo, quanto per non attirare attenzioni. Le pareti erano costellate di Phyrexiani congelati: i soggetti più amati da Elesh Norn.

Illustrazione di: Nino Vecia

“Probabilmente perché è così” disse Kaya. “Prima veniamo sparpagliati per tutta la superficie, poi troviamo Vraska viva e ancora in forze, abbastanza da chiedere disperatamente aiuto a Jace? Con Ajani dalla loro parte sono riusciti a prevedere il nostro piano d’attacco. Sa troppe cose su di noi. Questa Elesh Norn di cui continuate a parlare sembra abbastanza intelligente da usarlo contro di noi.”

“Intelligente sì, onnisciente no” disse Melira. “Le sue forze sono distratte dalla ribellione. Dobbiamo andare avanti.”

Si addentrarono ancora di più nel silenzioso palazzo, superando colonne fatte da corpi immobili. Le pareti piangevano tralci di tendini simili a edera e vantavano file e file terrificanti di quelli che sembravano essere denti umani, e migliaia di altri incubi Phyrexiani. La Basilica Pallida non aveva fine e l’avrebbero vista tutta.


Per raggiungere le scale a chiocciola che dalla Basilica Pallida scendevano verso i Giardini di Micosinti, bisognava passare per una camera sotto il trono di Elesh Norn. Nemmeno questo era sorvegliato, così i Planeswalker si fecero ancora più compatti perché la sensazione di star entrando in una trappola si stava facendo sempre più forte. Tyvar fece passare tra le dita il pezzo di metallo del Nulla Scintillante, pronto ad attivarlo non appena avesse avuto la necessità di trasformare il suo corpo in qualcosa di più duro e resistente. Conservare la magia per il memento in cui ne avrebbe avuto bisogno si rivelò più difficile di quanto credesse perché questo luogo gli faceva venire voglia di tenere sempre l’armatura.

Erano tutti eroi, grandi alleati contro un nemico terribile, ed era infinitamente grato che la sua storia lo avesse portato a ritrovarsi al loro fianco. Nei racconti, più tragiche sono le perdite più epica è la vittoria che le segue. Ma era difficile tenerlo a mente ora, sotto il peso di Phyrexia e del futuro.

In fondo alle scale c’era una piattaforma lucida di metallo bluastro, una piccola parte della Basilica Pallida che si estendeva nella sfera sottostante. La scala che avevano usato per scendere era racchiusa in una colonna dietro di loro che risaliva fino all’alto soffitto.

La prima metà della colonna, quella vicina alla Basilica Pallida, era di metallo bianco. Scendendo diventava sempre più grigio-bluastra, con una strana superficie, quasi come fosse ricoperta di sassolini. Kaya sbatté le palpebre e alzò la mano come per toccare la parete.

“No” intervenne Melira con tono severo. Kaya la guardò sorpresa e abbassò la mano. Melira lasciò andare un po’ di tensione e spiegò “Sono micosinti. È così che Phyrexia ci ha presi all’inizio. Hanno invaso il nucleo di Mirrodin e inviato spore infette ovunque fossimo.”

Kaya guardò di nuovo la parete, poi si avvicinò a Koth e alla sua squadra di brillatori. “Buono a sapersi” commentò.

“Scusami Melira, ma io non vedo nessun albero” disse Tyvar.

Jace gemette.

Si girarono di scatto e lo videro stringersi lo stomaco, la pelle già ferita iniziò a dilaniarsi ulteriormente mentre le “vene” di metallo che si dimenavano al di sotto lottavano per il dominio sul suo corpo. Riuscì a tirarsi su, gli occhi emanavano una lieve luce blu e la sua voce risuonò nelle loro menti.

“Melira ha detto di raggiungere la Germessenza. Dobbiamo scendere più a fondo.”

“Più a fondo” fece eco Koth. “Sì. Elesh Norn impedisce di accedere alla Germessenza.”

“Ma c’è ancora un modo” disse Melira. “Elesh Norn non riesce ad attraversare la materia come fa la vostra amica, qui.” Puntò un pollice in direzione di Kaya. “Dobbiamo solo raggiungere la porta. E attraversarla.”

I Planeswalker si guardarono intorno nell’ambiente ricoperto di metallo con colonne di delicati micosinti, ma non videro altre strutture oltre quella alle loro spalle.

Illustrazione di: Andrew Mar

“Dove?” chiese Elspeth.

“Da questa parte” rispose Melira e iniziò ad attraversare il terreno accidentato.

Gli altri la seguirono facendo attenzione a non toccare i pilastri di micosinti e rimanendo vicini per evitare sorprese. Li condusse fino a una struttura di filamenti fungini ammassati, attorcigliati intorno a una sorta di viscere, che ricordava i resti di una grossa bestia sventrata.

Indicando la pila, Melira disse “L’entrata per la Germessenza. Infetta tutto ciò che tocca. Immagino che dal punto di vista di Elesh Norn, qualunque Mirran abbastanza forte da arrivare fin qui meriti di essere completato. Per fortuna io sono immune alla phyresis, anche l’olio scintillante non mi rimane addosso per molto.”

Avvicinandosi alla pila, questa si gonfiò e iniziò a pulsare per poi aprirsi in uno spaventoso passaggio verso l’oscurità avvolto da tralci irrequieti. Un’entrata nascosta sotto forma di anemone mostruoso. I tralci si allungarono quasi dandole una carezza e lasciandosi dietro una luminosa scia di olio scintillante. Lo ripulì e si girò verso gli altri.

Koth aggrottò la fronte. “Molti di noi non hanno la tua resistenza speciale, Melira. Dovremo far saltare in aria la terra.”

“Perché fare rumore? Perderemmo quel poco di copertura che abbiamo” disse Kaito. “Non c’è altro modo per scendere?”

“Io potrei avere un’altra soluzione” disse Tyvar. Mostrò il suo frammento di metallo del Nulla Scintillante. “Nel Colosseo, Kaito mi ha rimosso l’olio di Phyrexia dalla pelle prima che potesse penetrare. Se riuscisse a farlo abbastanza in fretta, io potrei propagare la mia magia a voi mentre scendiamo verso la Germessenza. Ma dobbiamo essere rapidi. Trasmutare così tante persone è un’abilità difficile da mantenere anche per me. Ma dovrebbe darci una certa protezione, abbastanza da permettere a Kaito di fare la sua parte.”

“Posso farlo, ma questa sostanza oppone resistenza alla mia telecinesi e mi darà un forte mal di testa” rispose Kaito mettendosi in posizione.

Melira aggrottò la fronte. “Immagino potremmo provare” disse. “Come funziona?”

“Datemi un secondo” rispose Tyvar. “Nessuno di voi potrà usare la sua magia finché sarà sotto l’effetto della mia, ma significa solo che ci sposteremo in fretta.”

Kaito sembrò preoccuparsi. “E io come farei a ripulire l’olio se non posso usare la magia?”

“Il Nimbo che hai bevuto prima dovrebbe essere sufficiente a proteggerti per un paio di secondi” disse Koth. “Non possiamo darti più di così”

Kaito annuì e il gruppo si strinse intorno a Tyvar che fece un respiro profondo. L’odore di vita verde li avvolse, facendosi strada nell’effluvio fungino e oleoso dei micosinti. Tra tutti, solo Kaya riconobbe essere l’odore dell’aria di Kaldheim. La pelle di Tyvar iniziò lentamente a coprirsi di metallo, poi sempre più velocemente, fino a diventare una statua di metallo del Nulla Scintillante.

Il metallo continuò a coprire anche gli altri senza alcun problema. Jace fu l’ultimo ad essere trasformato completamente. La ferita sul braccio sembrava opporre resistenza al processo, come se Phyrexia non volesse cedere il controllo nemmeno per un momento.

Terminato il processo, Tyvar alzò la mano e disse “Andiamo”.

Si spostarono in gruppo nella massa di tralci sinuosi mentre questi si strusciavano sulla loro pelle indurita, lasciando scie di olio ma senza attaccare. Di fronte a loro c’era una piccola saletta che terminava in un atrio aperto connesso a quello che sembrava essere un ponte singolo. Accelerarono il passo, determinati a non scoprire i limiti della magia di Tyvar prima di essere arrivati alla saletta.

Infine vennero accolti non dall’orribile paesaggio Phyrexiano che avevano ormai imparato a conoscere, ma da qualcosa di vivo e vitale e ancora più raccapricciante perché animato. Tyvar guardò Kaito. Kaito annuì e Tyvar interruppe la magia.

Il metallo del Nulla Scintillante svanì facendoli tornare esseri di carne, la pelle illuminata dall’olio. Kaito incurvò le spalle: l’olio si sollevò dai loro corpi radunandosi in una sfera che si spinse oltre il bordo del ponte.

“Grazie” disse Kaya. “Ehi, Tyvar, bel lavoro... Tyvar?”

Non rispose. Stava fissando qualcosa in lontananza, avvicinandosi al ponte con occhi sgranati e guance pallide.

Kaya si voltò e osservò l’Albero del Mondo Phyrexiano. Il Frangireami.

Era evidente che Elesh Norn l’avesse curato, nutrito e corrotto. La corteccia era fatta di bianco metallo lucido, quello che avevano visto sopra, e dove, crescendo, si erano create delle aperture sulla superficie, era possibile vedere un agonizzante bagliore rosso vivo. Al posto della linfa scorreva olio scintillante e sulla superficie si muovevano delle strane ombre difficili da distinguere, finché Kaya non alzò un altro po’ lo sguardo. Delle lunghe forme oblunghe pendevano a mezz’aria accanto ai rami più alti dell’albero surreale, quasi scomparendo e deformandosi in lontananza man mano che si avvicinavano alla Cieca Eternità.

“Navi da invasione” disse Koth cupo. “Sono quasi pronte.”

“Questa è un’aberrazione dell’anima stessa di Kaldheim” disse Tyvar. “Sapevo che sarebbe stato terribile, ma questo. . .va oltre ogni immaginazione.”

L’aria era immobile, in maniera quasi sinistra, come se tutto il reame fosse con il fiato sospeso. In alto, nei lontani rami dell’imponente albero, si accese una luce bianca e iniziò a lampeggiare, diffondendosi in un'inquietante rete simmetrica nella parte superiore del cielo.

“Dobbiamo muoverci” disse Jace.

Si misero a correre. Il ponte che collegava i giardini al nucleo di Nuova Phyrexia era una stretta linea sopra un abisso eterno. Dall’altro lato del ponte, nel groviglio di radici dell’albero, si trovava un’apertura buia. I Planeswalker erano quasi arrivati quando il cielo lampeggiò di nuovo, questa volta con maggiore intensità, come se in lontananza fosse esploso un sole.

La devastante esplosione riempì l’aria di scintillanti distorsioni colorate, seguite dall’indescrivibile luminosità della Cieca Eternità. Jace emise un gemito. Elspeth inciampò rischiando di cadere dal ponte, ma Koth la prese per la spalla e la tirò indietro.

Kaya non faceva che guardare in alto con volto inespressivo. “È troppo tardi” disse.

“Kaya...” cercò di intervenire Kaito.

Si girò di scatto per guardarlo. “È stato tutto inutile” gridò. “L’Albero del Mondo è connesso al Multiverso. Elesh Norn può accedere alla Cieca Eternità. Abbiamo fallito.”

“Mi rifiuto di lasciare che il nucleo di Kaldheim diventi l’arma che distruggerà il Multiverso” disse Tyvar. “Possiamo ancora fare del nostro meglio per evitare che succeda.”

“Forza” disse Jace ansimando. “Dobbiamo muoverci.” Riuscì a fare solo qualche altro passo barcollando, poi cadde a terra.

“Tyvar” disse Koth.

Tyvar annuì e, toccando il frammento di metallo del Nulla Scintillante, si ricoprì di metallo e prese il compagno tra le braccia. Insieme, il gruppo avanzò verso l’apertura, in direzione dell’oscurità.


L’entrata portava a una cavità nell’albero, una grande sala sormontata da una cupola di radici intrecciate. Dalla stanza si diramavano vari passaggi e il più largo, proprio di fronte a loro, sembrava essere il principale. Al centro, su una piccola pedana, si trovava Karn.

Illustrazione di: Kasia 'Kafis' Zielińska

Il grande golem d’argento era stato dilaniato, vivisezionato e disseminato su tutta la piattaforma. La cosa più agghiacciante fu che, appena udì i loro passi, girò la testa e gracchiò “Non sareste dovuti venire qui. Questo posto non è per voi.”

"Karn!" Koth ed Elspeth corsero verso di lui, ma si fermarono poco prima di toccarlo, esterrefatti.

“Cosa ti hanno fatto?” chiese Elspeth.

“Non è ovvio? Hanno rifiutato il loro Padre delle Macchine.” Karn scosse la testa. Sembrava non essere in grado di compiere altri movimenti. “Sbrigatevi. L’invasione è agli albori. Potreste ancora riuscire a salvare alcuni piani. A meno che. . .no. Il Sylex è andato distrutto. È tutto finito.”

“Ne abbiamo creato un altro” disse Elspeth. “Possiamo ancora porre fine a tutto questo.”

Karn fece una pausa, chiaramente intento a pensare. “Dovrete raggiungere la fonte e farlo esplodere.”

“Ma...” iniziò Melira, fermandosi non appena Koth le lanciò un’occhiata severa.

“Vi toglierei questo fardello se potessi” disse Karn. “Me ne sarei dovuto occupare io fin dall’inizio. Voi dovreste essere liberi di tornare alle vostre case e proteggerle da ciò che succederà.”

“Però non puoi” disse Kaya. “Non puoi nemmeno muoverti.”

“Per me è troppo tardi” disse Karn.

“Non solo per te” intervenne Jace allontanandosi dal petto di Tyvar. L’elfo lo appoggiò e lui si avvicinò a Karn girando le braccia per mostrargli quanto si fosse propagato il danno della ferita. “È troppo tardi anche per me. Lascia che sia io a riprendere il Multiverso.”

Zoppicò verso la porta l’altro lato della sala. Dopo un silenzio imbarazzante, Tyvar e Kaya lo seguirono.

Melira si avvicinò e si mise in ginocchio accanto alla testa di Karn, rimosse un po’ di olio scintillante e cercò di spostarlo in una posizione più comoda. Koth e la squadra di brillatori si distribuirono intorno a lui e iniziarono a posizionare le cariche esplosive per liberarlo dalle catene. Elspeth, ferma davanti alla porta senza seguire gli altri Planeswalker o aiutare Karn, si voltò per guardarlo.

“Dovrei, loro hanno bisogno... ma vuoi che resti?” gli chiese.

“Egoisticamente vorrei dire di sì, ma non posso” rispose con voce stridula. “Non avrei mai pensato che avresti rivisto questo piano. Mi dispiace tanto. Vorrei non dovessi morire con noi.”

“È stata una mia scelta, Karn.”

“Dovresti andare con i tuoi amici e poi fuggire da questo piano. Trovare un posto migliore per la fine.”

“No” rispose Elspeth. “Non voglio più scappare.”

Karn sospirò, sembrava esausto.

“Noi rimarremo qui per sistemare le cariche e aiutare Karn una volta liberato” disse Koth. "Vai.”

“Vorrei non doverlo fare.”

“È tutto a posto” disse Melira e le rivolse un sorriso. “Abbiamo fatto più strada insieme di quanto pensassi.”

“Ci vediamo presto” disse Elspeth e attraversò la porta in direzione della fonte.


L’ultimo ponte era lungo, bianco e costellato di rosso.

Molti amici morti o dispersi. Ajani, la mente deformata e il corpo condannato all’eternità dopo essere stato assorbito da Phyrexia. Karn, ferito tanto da non poter essere forse più curato. Sentiva dentro di sé una rabbia immensa e ancora più straziante perché nuova. Aveva perso più di quanto credesse possibile. Le sembrava di essere una vecchia ferita riaperta, divenuta più grande e incurabile.

Elspeth iniziò a correre.

Raggiunse gli altri a metà del ponte, mentre si avvicinavano a una spaventosa replica dell’altare di Elesh Norn. Questo era fatto dalle radici intrecciate del Frangireami anziché da corpi Phyrexiani ossificati, ma la funzione era evidentemente la stessa. Faceva male agli occhi e ammaliava il cuore allo stesso tempo ed Elspeth provò un odio che non credeva possibile.

Jace si reggeva di nuovo sui suoi piedi; la guardò riunirsi al gruppo e le rivolse un cenno di benvenuto senza dire nulla. Questo luogo era vivo come la Basilica era immobile: un mormorio riempiva l’aria di un misterioso coro di voci dissonanti, sovrapposte in un’armonia di parti indefinite e non in una cacofonia come ci si sarebbe aspettati.

“I Phyrexiani sanno creare un’armonia?” sussurrò Kaya.

Interferenze brillavano nell’aria con un intenso sentore di etere. Il soffitto sopra di loro si aprì mentre si avvicinavano al tronco e un tappeto di piccole radici fece salire il loro sguardo verso la parte centrale dell’Albero del Mondo. Si attorcigliava nell’apertura verso la Cieca Eternità, stralci di altri piani erano visibili nella nebbia. I rami più alti scricchiolavano per l’energia che Tyvar aveva chiamato “Vie dei presagi”. Da qui riuscivano a vedere dei lunghi corridoi che collegavano le oblunghe capsule bianche delle navi da invasione all’albero. Phyrexiani disposti lungo i corridoi pronti per l’assalto al Multiverso.

Le navi rilasciavano un fumo rosso. Rosso come il sangue, rosso come il contagio.

“Quanti sono?” chiese Kaya. “Ce ne saranno migliaia” rispose Kaito terrorizzato.

“Ci hanno mostrato solo quelli che secondo loro avremmo potuto affrontare” disse Jace. Le navi bianche arrivavano fino ai rami più alti, dei frutti spaventosi pronti per essere raccolti. “Tutto questo tempo sono stati qua sotto a prepararsi per la vera battaglia.”

Alle loro spalle, sul ponte, sentirono dei passi fermi e sicuri. Si voltarono tutti con le armi in mano, a eccezione di Jace che strinse il Sylex a sé e indietreggiò per allontanarsi dall’imminente scontro.

Lì, passeggiando con calma come se si stessero incontrando per un piacevole pomeriggio al parco, videro Ajani e Tibalt, ma erano diversi da come se li ricordavano. Ajani indossava un’armatura di metallo rossa e bianca che sembrava essere stata forgiata dal suo stesso corpo. Era una copia della Basilica Pallida, il che lo rendeva una delle creature di Elesh Norn. Aveva un’enorme ascia a due teste con le lame rovesciate in suo onore.

Vedere il suo mentore indossare l’armatura della sua nemesi le fece ribollire il sangue d’ira, ma non tanto quanto il ghigno che gli accese il volto appena la vide. “Benvenuta” disse con la stessa voce di un tempo. “Elspeth, mia cara, che gioia rivederti. Sono felice che tu sia sopravvissuta per unirti a me.”

“Non sono qui per unirmi a te” gridò portando la spada di fronte a sé serrando la presa. “Sono qui per fermarti.”

“E perché vorresti farlo?” chiese, sinceramente incuriosito. “Ora potremo rimanere insieme per sempre, in perfetta armonia. Niente più differenze, conflitti o dolore. Sarai a casa. Avremo la pace che abbiamo sempre cercato. Tutto diverrà uno.

“Mai” disse Elspeth.

Al suo fianco c’era Tibalt, un abominio di scaglie ossee ed escrescenze tenute insieme da tendini vivi intrecciati, l’unico aspetto riconoscibile era il sorrisetto sulla parte ancora di carne del suo volto. La coda, che aveva sempre avuto la punta biforcuta, era stata lacerata fino in fondo e ora culminava in due perfidi pungiglioni che stavano rilasciando olio scintillante sul sentiero dietro di lui.

“Eri un mostro a Kaldheim e ora, finalmente, si rispecchia nel tuo aspetto” disse Tyvar con tono sorprendentemente calmo.

“Povero principino, troppo stupido per sapere quando avere paura” sogghignò Tibalt. “Saresti comunque morto per mano mia.”

“Kaito, tu pensa agli altri” disse Tyvar senza togliere gli occhi da Tibalt. “Io ed Elspeth ci occuperemo di questi vermi.”

“Tyvar...”

Vai” gli gridò l’elfo senza voltarsi. “Siamo noi a dover vincere queste battaglie. Gli skald narreranno le nostre gesta di oggi, ma solo se qualcuno sopravviverà per raccontarle. Vai."

“Se è questo che vuoi” disse Kaito e gli rivolse un saluto triste, poi si voltò per offrire il braccio al claudicante Jace e accompagnarlo fino alla porta in fondo alla stanza. Kaya li seguì rivolgendo agli altri un ultimo sguardo addolorato, poi i tre svanirono, lasciando Tyvar ed Elspeth da soli con i loro nemici trasformati.

“Molto bene” disse Tyvar con tono quasi formale. “Iniziamo?”

Illustrazione di: Filipe Pagliuso

Ajani ruggì appena Elspeth gli corse incontro e Tibalt balzò verso Tyvar mentre il metallo del Nulla Scintillante si diffondeva sulla pelle di quest’ultimo: lo scontro ebbe inizio.

Poco dopo si udirono delle urla.