Il racconto precedente: La condottiera dei rinnegati

Gli eteridi di Ghirapur sono una razza di edonisti che vivono alla continua ricerca di adrenalina. Hanno un ciclo di vita fino a quattro anni e considerano la città il loro habitat naturale e la sede ideale per le loro feste. Sebbene le loro vite siano brevi, possiedono capacità empatiche che permettono loro di vivere a pieno l’energia delle persone intorno a loro.

Yahenni, finanziatore, filantropo ed esponente dell’alta società sa che la sua vita è quasi giunta al termine. Durante una delle sue favolose e incredibili feste in occasione della Fiera degli Inventori, giungono tre ospiti imprevisti, alla ricerca di informazioni pericolose.


Illustrazione di Jonas De Ro

I

Adoro abbigliarmi a metà pomeriggio. C’è qualcosa di speciale nel prepararsi durante la giornata per una lunga notte, un livello di preveggenza e di preparazione che non si raggiunge quando ci si prepara all’ultimo minuto. Non mi sto vestendo per un’occasione che si presenterà tra due ore... mi sto vestendo per un’occasione che si presenterà tra due giorni.

Chi organizza una festa per poi avere un aspetto trasandato dopo solo sedici ore? Qualcuno che è scadente. Ecco chi.

Il pomeriggio risplende attraverso il sipario della mia camera privata, illuminando la dorata specchiera che domina la mia parete più grande. La luce scintilla filtrata e dorata sugli abbondanti gioielli, gingilli e tesori che si affacciano da ogni cassetto e splendono da ogni superficie dell’immenso scrigno. Sono un eteride; so quando morirò e so esattamente come trascorrerò il mio tempo e non perderò alcun secondo con gli idioti che non ritengo meritevoli della mia presenza.

Mentre mi abbellisco con i miei adorati fregi, posso quasi udire la confusione del personale addetto alla festa al piano di sotto. Il personale di sala sta utilizzando al meglio le cucine... questi esseri organici sono così schizzinosi riguardo al loro cibo. Per fortuna, il mio capo sala, Nived, non mi ha mai deluso. Si sta dando da fare in cucina per preparare il cibo per le persone dotate di stomaco; una fontana di vino di palma, vassoi su vassoi di samosa, pani puri, curry di melanzana e un imponente tavolata di dolci (lo shrikhand ha sempre la fila davanti, quindi deve avere un ottimo sapore). Il resto del mio personale è impegnato a montare le fronde sul tetto. Molto più tardi di quando le carnose e stanche masse di festaioli saranno andate a riposare, io e i miei fratelli di etere danzeremo nella notte, poi tutto il giorno e anche la notte successiva, persi nell’estasi dei festeggiamenti.

Ma quello sarà il dopo. Dopo due secondi e un quarto di considerazioni e ricerche nella specchiera, decido per un’essenza floreale di gelsomino ed etere per la notte. È il mio preferito. Il mio riflesso attira la mia attenzione. Mi pavoneggio. Non penso a ciò che mi riserva il futuro!

Anche da quaggiù posso percepire l’emozione e la trepidazione dal sapore di sandalo del personale della festa sul tetto. Ho imparato la compassione per le altre specie, non in grado di provare ciò che proviamo noi. "Risonanza empatica" è il modo in cui l’hanno chiamata, quando il mio genere è uscito dalle prime raffinerie di etere, cinquanta anni fa. "Una curiosa capacità di percepire con precisione lo stato emotivo degli esseri a breve distanza". Si sono presi i meriti di averci inventati, senza considerare neanche per un momento il fatto che eravamo stati noi a inventare noi stessi. Mi concedo una triste risata. Le nostre uniche invenzioni da quel giorno sono stati i modi per divertirci.

Mentre applico l’essenza floreale ai polsi e al collo, osservo un brandello della mia pelle svanire in un sottile filo di fumo. Più la mia dura pelle svanisce, più mi avvicino alla mia fine. Posso vedere il blu del mio etere fluire sotto l’apertura. Rimango stupefatto dalla sua bellezza. È adorabile. Un delicato promemoria che mi dice che il tempo trascorre. Lo copro con un altro braccialetto.

Il mio genere ha una consapevolezza innata del passare del tempo e di quanto esattamente ci resta da vivere. È come aspettare un treno. Ogni rumore ci fa sollevare lo sguardo e ogni folata di vento ci fa spostare, anche se non è ancora giunto.

Sono vestito, scintillante e pronto. Ho ancora cinquantaquattro giorni di vita.


II

Dorato nel modo appropriato, salgo la scala verso il tetto e vengo investito da una parete di suoni. Non c’è sensazione migliore che venire schiaffeggiato dalla ferma mano della musica di una festa.

Le fronde creano una gradita ombra sul tappeto che il mio personale ha portato dal piano di sotto. I decoratori hanno posizionato delle magnolie sui tavoli, facendole ciondolare sui lati dell’edificio, delle splendide sete che corrono lungo le ringhiere e la decorata e scintillante filigrana al sole del tardo pomeriggio. Camminando, riempio con eleganza i bicchieri vuoti, schivo due umani intenti a baciarsi (osservo la coppia. Li ho fatti incontrare alla festa precedente... è sempre gradevole utilizzare i miei poteri a fin di bene), indico ad alcuni nani la direzione del bagno e regolo il volume del modello domestico di panarmonico.

Sostanze e feste a base di adrenalina sono il vizio più gradevole. Assaporo la sensazione del piacere dei miei ospiti. Non ho idea di ciò che si provi nel mangiare un animale arrosto, ma immagino che sia qualcosa di simile. Mi attardo nei miei doveri da padrone di casa e i miei ospiti mi riempiono di complimenti.

La mia cara amica e pilota provetta Depala (la Depala!) è seduta a suo agio su un divano più privato. La sua iena è al suo fianco e sta felicemente rosicchiando un osso, mentre Depala giocherella con un guinzaglio dorato.

Illustrazione di Greg Opalinski

"Depala, cara, le mie feste sono sempre più splendenti se ci sei anche tu", la abbraccio con calore e mi piego in avanti per grattare amorevolmente dietro un orecchio della iena. La iena si strofina contro la mia mano.

"Ti adora, Yahenni", mi dice Depala con un sorriso fiducioso. "Ti stai godendo i momenti di relax, adesso che ti sei ritirato?".

"Qualcuno si mantiene davvero aggiornato", la rimprovero mentre le riempio di nuovo il bicchiere.

"Di solito solo i risultati delle corse, ma mi informo anche sulle questioni più grandi".

La mia famiglia ha messo insieme una fortuna con i nostri finanziatori. Ho annunciato il mio ritiro appena ho saputo che avrei avuto meno di sessanta giorni di vita. Le strategie di investimento più ardite sono molto più facili da applicare, se non si è in grado di vederne i risultati.

Mi siedo di fianco a lei. "Verrai alla mia penultima festa tra un mese, vero? Sarebbe molto noiosa senza il miglior pilota di tutta Ghirapur".

Depala sorride, accarezzando distrattamente la sua iena. "Non me la perderei mai. Quelle degli eteridi sono le migliori".

"Sono completamente d’accordo. Non abbiamo semplicemente tempo per il resto, tesoro".

Depala stringe i denti. Le sue sopracciglia si aggrottano e i suoi occhi guardano intorno, alla ricerca di eventuali ascoltatori, "Allora... non ti scoraggerai?".

Mi viene spontaneo stizzirmi.

"So di cosa sei in grado, Yahenni", dice con uno sguardo significativo.

"Non è mia intenzione, Depala". Gratto la pelle che si sgretola sul mio braccio. So da tempo di essere in grado di risucchiare l’essenza, ma non è mia intenzione farlo. È un dono raro, che è meglio che non venga utilizzato. Non posso rubare la forza vitale di un altro essere senziente solo per rimanere aggrappato alla vita oltre la mia data. Che cosa penserebbero di me i miei amici?

"È una possibilità", mi risponde in modo poco serio. "Non so come funziona, quanta vita ottieni da... qualcun altro. Non so se la prenderei in considerazione".

"Ci ho pensato, ma preferisco andarmene nel modo tradizionale", mi obbligo a rispondere.

In quel momento, Nived, il mio capo sala, ci porta una bottiglia della bevanda preferita di Depala. Che premuroso... quasi quanto me.

"Sei una buona persona, Yahenni", mi dice Depala, una volta che rimaniamo da soli. "Alcuni giorni in più non valgono il senso di colpevolezza".

Non sono sicuro che abbia ragione.


III

Tre donne si trovano all’esterno del mio appartamento. Riconosco istantaneamente la Signora Pashiri (uno degli inventori più famosi del mondo, oltre a essere la più impetuosa appassionata di giochi da tavolo che io conosca). Alla sua destra si trova una donna dalla chioma rossa, con addosso vesti fuori moda (quello stile è di anni fa... ma esce di casa oppure no?).

Dall’altro lato si torva la persona più affascinante che io abbia mai visto.

Illustrazione di Willian Murai

I suoi occhi sono profondissimi, di un verde brillante in ogni loro parte, una bellezza evidente che viene tradita da una sensazione di disagio. È tragico che qualcuno che appare così interessante sia così inquieto. Il suo abbigliamento è decorato con fiori brillanti (sono veri?) con un taglio tale da essere adatto solo a lei. Se io avessi un qualche interesse sentimentale, sarei tentato, ma, per me, il suo fascino è solo relativo a un vantaggio nella società. Il mio obiettivo è ovviamente solo soddisfare i miei ospiti, ma essere visto in intimità con persone interessanti è sempre un vantaggio in più.

"Yahenni, amico mio", dice la Signora Pashiri, "ti presento Chandra e Nissa. Chandra, Nissa, vi presento Yahenni. È un finanziatore di giovani inventori bisognosi e uno dei filantropi più generosi che io conosca. Possiamo unirci ai festeggiamenti?".

"Assolutamente, Signora Pashiri". Che presentazione. Sto arrossendo anche sotto pelle.

Tengo la porta aperta per l’elfa. "Splendidi occhi, tesoro", mi complimento con Nissa. Mi offre un debole sorriso.

La donna dalla chioma rossa rimane con imbarazzo all’esterno. La osservo e poi mi volto verso la Signora Pashiri.

"Lei è la figlia di Pia Nalaar, Chandra", mi dice.

Mi faccio da parte e lascio entrare la figlia della persona più pericolosa di Ghirapur. "La festa è al piano di sopra, quindi andiamo a chiacchierare in un luogo più tranquillo", dico.

Le guido verso il mio patio, nel retro del pianterreno. Mentre camminiamo, la Signora Pashiri mi si avvicina all’orecchio.

"Pia Nalaar è stata catturata". Non lo sapevo. Questo è un fatto insolito per me.

"Pia non compie questo tipo di errori. Dimmi ciò che sai".

Continuiamo a camminare e la Signora Pashiri mi spiega la situazione. Piante in vasi e una graziosa fontana contornano lo spazio in cui troviamo quattro sedie stagionate. I suoni della festa sul tetto gocciolano e offrono un’ottima copertura per la nostra conversazione. Li faccio accomodare e chiedo a un membro del mio personale di portare bevande ai miei ospiti, mentre la Signora Pashiri termina di aggiornami sulle novità. Rifletto sull’arresto di Pia Nalaar.

"Temo di essere confuso", dico, "non so dove il Consolato possa portare prigionieri del calibro di Pia".

La Signora Pashiri annuisce, "Capisco".

"Mi dispiace. Sono orgogliosa delle mie conoscenze, ma in questo caso non so nulla di più".

Percepisco un’ondata di intensa rabbia alla mia destra. "Se fosse uno dei tuoi genitori, ci aiuteresti", dice Chandra in modo deciso.

"Non ne ho", dico con una frivola alzata di spalle. Il cipiglio di Chandra diventa più intenso. Si sente sciocca. Non dovrebbe sentirsi così... per me non è un problema.

Il mio servitore torna e io verso una tazza di vino di palma alla Signora Pashiri e un bicchiere di alcol di foresta all’elfa. Ho scoperto che gli elfi tendono ad apprezzare le bevande più forti... un tratto che ammiro e invidio molto.

"Potrebbero esserci ancora persone utili per noi qui", aggiunge la Signora Pashiri, prendendo la tazza con le sue delicate mani stagionate.

Rifletto sugli invitati che si trovano al piano di sopra e inizio a passare in rassegna i miei contatti.

All’improvviso, sento confusione alla porta principale. Nissa sobbalza e Chandra si volta in modo curioso. Dalla nostra posizione nel patio, vedo un gruppetto di eteridi entrare attraverso la porta principale, trasportando una sedia con un eteride in rapida dissoluzione. L’eteride sulla sedia risplende della lucentezza precedente la morte. La sua pelle sta svanendo e la sua forma è più fumo che altro ormai. È imbarazzante. Distolgo lo sguardo.

"Questa è la mia penultima festa!", urla con entusiasmo. Quel gruppo variegato solleva la sedia e lo trasporta su per le scale, verso il tetto.

Chandra mi osserva divertita, "Lo conosci?".

"Preferisco di no", dico, battendo nel punto del mio polso che avevo coperto precedentemente. Un sottile filo di fumo sfugge. Detesto vedere me stesso morire così.

Chandra mette le mani sul tavolo con decisione e si alza. "Bene. Vado a fare un po’ di domande in giro. Nissa...".

"Sto bene", risponde dolcemente l’elfa. La sua energia è fredda e amara, a disagio. Vedo che non sta bene e decido di intervenire.

"Nissa, giusto? Seguimi; devi dirmi dove hai trovato quell’insieme".


IV

Saliamo le scale e raggiungiamo il piano appena sotto il tetto. Guido Nissa sulla balconata. Che razza di padrone di casa sarei, se lasciassi a disagio uno degli ospiti della mia festa?

"Mi è sembrato che volessi una via di fuga", le faccio notare.

L’elfa incrocia le braccia. "Sto bene", ripete. Non sta ancora bene, ma la sua curiosità straripa, "Che cos’è la penultima festa?".

"L’ultima azione degli eteridi è la morte, quindi la penultima è una festa alla quale è obbligatoria una certa partecipazione. Se uno non possiede abbastanza amici, si unisce alla festa di un altro". Faccio un cenno verso il tetto, con i suoni della festa e dell’eteride provenienti dal piano di sopra. "Lo sfortunato è, purtroppo, il benvenuto".

L’elfa non risponde. Non parla molto, ma la sua energia è molto facile da leggere.

"Bene. In una scala da uno al desiderio di morire, quanto detesti le feste? Dimmi la verità".

"Otto. Nove. Al livello di un baloth che mi rosicchia una gamba".

Emetto un verso vago. "Così tanto, eh?".

Quegli occhi incredibili vagano nell’aria. Si ricorda qualcosa e l’aura intorno a lei assume una vena agrodolce.

"Organizzavamo delle feste a casa".

Riempio di nuovo la sua tazza, discretamente, "E tu che cosa facevi?".

"Parlavamo, formavamo connessioni. A volte facevamo una passeggiata verso alcuni luoghi".

"Vai ancora spesso alle feste in quei luoghi?".

Gola Morente | Illustrazione di Jung Park

Nissa rimane in silenzio. Percepisco che quei luoghi non esistono più. "D’accordo. Che cosa posso fare per rendere più gradevole questa festa?".

"Possiamo andare da un’altra parte?".

"Tesoro, andrei da un lato all’altro della città per te. Platonicamente. E solo se tu me lo chiedessi con cortesia. E solo se non piovesse o qualcosa di simile". L’elfa è divertita. Percepisco che si sta rilassando. La sua energia muta insieme alla musica al piano di sopra. Che tenera. Le piace la musica. Ignoro lo sbuffo della mia pelle che si dissolve sulla mia nuca. "Andiamo sul tetto. Stai vicina a me... osservare le persone è squisito".

Percepisco l’ansia di Nissa e faccio strada nella folla. Salendo, incontro un nuovo ospite e passo rapidamente un fazzoletto a un altro con dei pezzi di samosa sul volto. La festa ha raggiunto una calma naturale e gli ospiti chiacchierano piacevolmente tra loro. Porto l’elfa all’estremità delle fronde, suddivise da una barriera di piante in vaso posizionate strategicamente.

Uno dei servitori si avvicina appena ci sediamo. Accetto la fiala di essenza floreale che mi passa e mi avvicino al suo orecchio, "Fai abbassare il volume del panarmonico e fai suonare qualcosa di lento". Non c’è nulla di più prezioso di un servitore accogliente.

"Potrebbe sembrare arrogante, ma non sembri una ragazza di questa città", le dico gentilmente. Un leggero sorriso appare sul volto dell’elfa. Mi metto comodo sul divano, "Non hai mai incontrato eteridi, vero?".

"No. Parlami della tua specie", dice Nissa dolcemente e con sincerità. È l’ascoltatrice più attiva che abbia mai visto. Il suo sguardo è solo leggermente sconcertante.

"Siamo un prodotto secondario senziente del ciclo dell’etere. Le nostre famiglie rivendicano le aree in cui i giovani appaiono e poi adottano chiunque venga fuori. Siamo pienamente formati fin dal primo giorno e abbiamo un periodo di vita tra quattro settimane e quattro anni".

"Ciò che mi descrivi mi ricorda gli esseri elementali che ho incontrato", dice Nissa incupendosi.

"Allora ne hai incontrati più di me. Tutto ciò che so è ciò che sono io".

"Non capisco".

"Capire che cosa?."

Compie un gesto, ma il significato mi è oscuro.

Provo una sensazione spiacevole. "C’è qualcosa di sbagliato?".

Compie un altro movimento, poi si ferma e riflette sulle parole. Pronuncia infine una frase. "Non capisco come un essere della natura possa essere indigeno di una città".

"Noi siamo la città. Io sono composto da etere e un giorno tornerò all’etere. La natura è tutto intorno a noi; potrebbe semplicemente avere un aspetto diverso rispetto a quello a cui sei abituata".

Nissa emette un leggero verso. Non l’avevo mai vista in questo modo.

Durante la pausa della nostra conversazione, indico silenziosamente a un altro ospite la direzione per il bagno.

Il silenzio continua e vedo Nissa chiudere gli occhi. Che cosa sta facendo? Il suo volto sembra confuso. Le sue orecchie si inclinano come se stesse ascoltando. Sente qualcosa che io non riesco a sentire? Un angolo delle sue labbra si alza in un sorriso.

Illustrazione di Wesley Burt

"Lo sento. Questo mondo ha una struttura. Ciclica".

In qualche modo, questa elfa è in grado di percepire la natura della mia dimora.

Mi siedo all’indietro, a mio agio. "Il Grande Flusso è sempre presente, anche qui a Ghirapur. Il nostro popolo ne è la prova. La nostra essenza selvaggia non si cura della folla di questa città e continua indisturbato".

Un pieno sorriso si dipinge sul volto di Nissa.

Sollevo una brocca elfica vicino a me. "Ancora?".

"Sì, grazie", risponde Nissa automaticamente. Le riempio di nuovo la tazza. Potrebbe non voler svelare molto, ma la sento ronzare dalla meraviglia. Devo essere pieno di rivelazioni questa sera.


V

Sento confusione in basso e mi alzo. Nissa posa la sua tazza e mi guarda con una domanda nei suoi occhi profondissimi. L’età ha affinato i miei sensi, permettendomi di percepire all’istante ciò che non va e dove non va.

Mi trattengo dallo scendere le scale di corsa (mi dissolvo di più in questo tipo di sforzi) e mi avvio deciso verso il bagno al piano di sotto. Gli ospiti si fanno da parte e comprendo che Nissa e ora anche Chandra mi stanno seguendo.

Alla fine della sala, di fronte al bagno, si trova un imponente membro delle truppe di sicurezza del Consolato. La porta del bagno è evidentemente chiusa e lui sta cercando di forzarla. Questo gendarme è alto... quasi quanto l’albero vicino alla porta. Le sue vesti sono antiche, ma i bordi sono nuovi; quest’uomo è abituato allo scontro fisico. Le armi ai suoi fianchi non sono quelle di un controllore del traffico e il mazzo di chiavi contro la sua armatura ne tradisce la posizione. Deve operare nel sistema delle prigioni.

Faccio cenno a Chandra e Nissa di nascondersi dietro l’angolo, poi mi avvicino all’uomo, da solo.

"Signore, posso aiutarvi?".

Il gendarme lascia la presa sulla maniglia della porta e mi squadra. "Un ricercato si trova barricato dietro questa porta. Verrà con me indipendentemente dalla vostra volontà".

"Siete quindi giunto alla mia festa... nella mia casa... senza un invito?".

Il gendarme fa un passo avanti e mi osserva dall’alto.

"Volete che la vostra festa risulti in violazione dell’ordinanza relativa alla quiete?".

"... no...".

"Allora non vi immischiate delle questioni del Consolato".

Non dubito che questo gendarme sia capace di interrompere la mia festa solo per mettere le mani su chi si trova dietro quella porta. Il Consolato riesce a essere così meschino. Io disprezzo ciò che è meschino.

Do le spalle a quel ceffo e torno da Chandra e Nissa. C’è una soluzione semplice. Queste due hanno una struttura salda... possono combattere... e per il loro favore potrei offrire qualcosa in cambio. "Vi fornirò le informazioni che vi servono, se mi aiutate".

"Di che cosa hai bisogno?", chiede Nissa delicatamente.

"Nissa, devo scortare all’esterno questo ospite indesiderato".

L’elfa sorride. "Con piacere", dice con tranquilla decisione. Solleva una mano e una luce delicata splende in quegli occhi profondissimi.

Qualcosa nel mio petto risuona, ma non per me. La mia mente mi dice di ignorare lo strano ronzio che sento in lontananza. Mi volto verso Chandra.

"Chandra, ho bisogno del tuo aiuto per abbattere la porta, dopo che se n’è andato".

La figlia di Pia Nalaar mi osserva con sorpresa genuina. Dice con una voce stranamente sottile, "Davvero?".

"Sì, certo. Il mio corpo si sta indebolendo e non sono in grado di farlo io. Puoi farlo tu per me, cara?".

L’unica risposta di Chandra è un leggermente allarmante e malamente contenuto entusiasmo. È molto sconcertante udire quei suoni provenire da una giovane donna umana.

Un tonfo dietro l’angolo... mi sporgo e non riesco a trattenere un verso di allarme. La pianta è inspiegabilmente avvolta intorno alla gamba del gendarme e l’uomo è a terra, disorientato. Penso sia meglio... non chiedersi come potrebbe essere avvenuto. In ogni caso, non ho il tempo per occuparmene... balzo intorno all’angolo e mi piego di fianco al volto dell’uomo.

"D’accordo", sussurro. "Pia Nalaar. In quale prigione viene tenuta?".

Il gendarme geme. Penso che si sia rotto un dente nella caduta. Nessun problema... non è necessario che parli per rivelarmi dove sia. Apro i miei sensi e parlo rapidamente.

La "Prigione di Kohali?".

L’uomo geme e la sua energia ha il pessimo odore dell’irritazione.

"Penitenziario di Gupha?".

Impazienza.

"Prigione di Dhund?".

Un distante allarme speziato e salato, che diventa panico quando i nostri sguardi si incrociano. Se io non fossi stato in grado di leggere la sua energia, non sarei mai riuscito a ottenere la risposta dal suo volto. Non è male. Do una pacca sul volto dell’uomo. "Vi ringrazio per la vostra collaborazione".

Mi volto verso l’elfa. "Nissa, prego".

Si avvicina e solleva facilmente l’uomo sopra le sue spalle e lo trasporta all’esterno con naturalezza. Accidenti.

"Quanta parte di questo luogo devo lasciare in piedi?", interrompe Chandra, abbassando gli occhialoni.

"Idealmente tutto, tranne questa porta?".

Chandra annuisce, con un sorriso da un orecchio all’altro, e scioglie rapidamente il chiavistello con un dito incandescente. Scuoto la testa. Gli umani e i loro trucchetti.

Sento Nissa avvicinarsi da dietro, mentre Chandra termina il suo compito. Il fetore dell’eccessiva essenza floreale fuoriesce dallo spazio tra la porta e la parete.

"Chiunque sia dotato di polmoni torni alla festa", annuncio al resto degli spettatori, rivolgendomi agli invitati. La Signora Pashiri si era unita a loro e osserva con preoccupazione. Mi avvicino a loro.

"La prigione di Dhund è dove troverai Pia", sussurro.

La Signora Pashiri sussulta. "Non quel posto", dice, "ti prego dimmi che non stava dicendo la verità".

Scuoto la testa. La Signora Pashiri si volta verso Chandra, "Laggiù si trova Baral".

La temperatura dell’aria intorno a me aumenta istantaneamente. "Dobbiamo andare", dice Chandra con fermezza. La Signora Pashiri annuisce e le due si incamminano verso le scale. Nissa rimane indietro e guarda verso di me.

"Grazie, Yahenni, per la conversazione".

Le faccio un cenno con la testa. "Prego, cara. Se tra un mese sarai libera, torna. Organizzerò la festa più grande della mia vita. Non te la vorrai perdere neanche tu".

Sorride e dopo un attimo è svanita.


VI

Apro la porta non più bloccata e vengo assalito da un’ondata di fetore. La porta si richiude dietro di me e mi volto per vedere chi si era chiuso dentro. Avevo percepito angoscia da prigionia e ne vedo la fonte. Alla fine del bagno, seduto sul pavimento con la schiena contro la parete, si trova l’eteride in fin di vita di prima. La sua pelle è quasi completamente dissolta e il bagliore blu della sua essenza si unisce in modo strano alla luce del sole nascente che filtra attraverso la finestra. Ai suoi piedi ci sono bottiglie di essenza vuote.

Illustrazione di Ryan Yee

"Ti tieni il meglio per te", dico come un balsamo di ironia. So molto bene che la mia battuta è come un tessuto di seta su una ferita insanguinata e spalancata.

"Mi rimane un minuto", ansima, "ero inseguito dal Consolato e non volevo andarmene di fronte a tutti".

"Sei fuggito di prigione o qualcosa di simile?", chiedo, notando una cavigliera di sicurezza rotta. L’eteride geme.

Mi siedo di fianco a lui. So che, se fossi nella sua situazione, vorrei compagnia. "Qualcuno al piano di sopra conosce il tuo nome?", chiedo.

"No. Loro sono qui solo per la festa".

"Caro, è l’unico motivo per cui siamo qui".

Inspiro un’esalazione di essenza che si trova nell’aria intorno. Mentre l’altro eteride continua a dissolversi, la sua energia si mescola all’essenza floreale. Ho visto molti del mio genere nei loro ultimi momenti ed è sempre con un’espressione di trionfo. Hanno lottato, scalciato, graffiato e fatto baldoria nella gloria della vita e sono giunti sulla linea del traguardo.

Reggo ciò che rimane della sua mano.

Percepisco la sua energia che pulsa sotto il mio palmo.

"Hai avuto una buona vita?".

L’altro eteride si volta verso di me e mi osserva. Fa fatica a parlare, ma riesce a pronunciare una singola frase. "Ci puoi scommettere".

In quel momento vengo invaso da invidia. Mi rimane così poco tempo. La mia vita, questa vita da eteride, tutte le vite del mio genere vengono trascorse alla ricerca di ogni esperienza possibile, in un periodo pateticamente ridotto. Non è giusto essere costretti a svanire così in fretta.

Non è giusto che io sia il prossimo.

L’altro eteride viene preso dalle convulsioni ed emette un fumo oscuro. La sua pelle si sfalda e l’etere in essa contenuto sfugge e si solleva in una delicata nuvoletta verso il soffitto.

Rimango seduto in silenzio, sotto quella concentrazione di etere sopra di me. È adorabile.

Dopo un attimo, mi alzo e apro la finestra. Il fetore e l’energia si disperdono nell'aria, nel mondo, nel Flusso. Mi volto verso il mucchio di vesti rimaste sul pavimento e le raccolgo insieme ai gioielli e gli accessori. Un borsello, un mantello, un insieme di documenti del Consolato. Li controllo rapidamente... una piccola infrazione, un piccolo furto. Per prima cosa, non sarebbe dovuto essere finito in prigione.

Accartoccio i documenti per la rabbia. Quei bastardi del Consolato ci stanno uccidendo più in fretta.

Mentre analizzo i gioielli dello sconosciuto e indosso uno dei braccialetti, mi viene un improvviso pensiero.

Se lasciassi la festa e uscissi? Se dessi la caccia a quella feccia del Consolato che ha imprigionato l’eteride e gli dessi ciò che si merita? Avevo già risucchiato l’essenza (una volta, per sbaglio) e mi ero sentito alla grande. Avrei potuto farlo di nuovo. Avrei potuto farlo altre cento volte, se qualcuno l’avesse meritato.

Osservo un sottile filo di fumo che si solleva dalla mia pelle e si dirige verso la finestra.

Il mio pensiero va al gendarme svenuto, di fianco alla strada, appena fuori dalla mia casa.

Sarà ancora là tra qualche ora.

Potrei uscire per pochi minuti.

Nessuno se ne accorgerebbe.

No. Ci sarà tempo per quello. Quando sarò io a trovarmi sul pavimento di un bagno, circondato da flaconi vuoti e in procinto di svanire... forse, in quel momento, lo farò.

Devo occuparmi di altre cose nel tempo che mi rimane.

Afferro una delle bottiglie di essenza floreale infusa di etere mezze vuote e me la verso addosso. Cedro intenso. L’ondata di energia mi attraversa, il luccichio di un nuovo oro splende nel mio collo e il rimbombo della fiera riecheggia dal tetto.

Corro di sopra ed emergo nel sole appena sorto e nel bagliore delle lanterne nei supporti in filigrana. La folla si divide, rispettosa della mia posizione di potere nell’ecosistema della mia creazione, e il panarmonico diventa silente. Mi incammino in modo deciso verso le fronde principali, con le braccia sollevate. I miei ospiti tacciono e spostano la loro attenzione verso di me.

Urlo, "Fate un segno sui vostri calendari a un mese da oggi, distinti ospiti e anonima gentaglia!".

I miei amici e gli ospiti esultano. Mi adorano. Assaporano la loro classe elevata e le ridotte proibizioni.

"Organizzerò la festa della vita qui, dopo la conclusione della Fiera degli Inventori. Mi aspetto che ognuno di voi sia presente e che dica a chiunque che sarebbe uno sciocco a non partecipare".

Esultano. Mi sembra di poter vivere per altri dieci anni.

"Adesso basta. Non è necessario che udiate nient’altro su di me, vero?".

La festa urla, "Lo desideriamo!".

"Allora peccato! sono stufo di parlare! Scendete in pista, alzate il volume e qualcuno apra un’altra botte per tutti quelli che hanno un fegato!".

La folla impazzisce. Il brivido collettivo dei bagordi mi attraversa e mi lascio trascinare dalla sua corrente. Mi lascio nel mucchio di persone che danzano e vengo colpito da una nuvoletta di essenza floreale di etere che qualcuno ha lanciato in aria. Il volume della musica sale, il suo pulsare guida il movimento dei corpi intorno a me e tutto sembra vivo. Il brillare degli eteridi riflette fiocamente il sudore delle persone che ballano, leggeri filamenti di etere vengono dissipati nel cielo sopra di noi e io sono vivo sono vivo sono vivo e in questo momento festeggio la mia esistenza.


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