Neyali passò in ispezione la sua cellula di resistenza e fece l’inventario di ciò che aveva visto. Prese nota mentalmente di chi aveva scudi scheggiati e chi brandiva spade incrinate. Allo stesso tempo, fece il punto anche sui suoi alleati: chi di loro zoppicava, chi non poteva più fare affidamento sul proprio braccio dominante, chi respirava con affanno mentre camminavano attraverso le lande desolate ai margini della Fornace Silente.

Illustrazione di: Bryan Sola

Saheena, un’anziana vulshok dalla schiena dritta nonostante l’età, incedeva con austero orgoglio, con i due figli ai fianchi. Aveva un solo occhio a causa di un recente combattimento. La sua gola era ancora macchiata di sangue rappreso. Elham, la donna Auriok che era a capo prima di Neyali, camminava a passi pesanti dietro di loro trasportando più sacchi del necessario, permettendo ai suoi compagni di muoversi liberamente. Avevano pochissime risorse e quelle che avevano, indipendentemente dalla forma, venivano condivise senza riserve. Neyali promise a se stessa che avrebbe fatto del suo meglio per concedere loro qualsiasi sollievo possibile.

Non era passato molto tempo da quando vagava sola tra le rovine di Mirrex assieme alla sua pirofenice Otharri, alla ricerca di qualche segno, qualsiasi segno, minuscolo o improbabile che fosse, che indicasse la presenza di altri sopravvissuti al massacro del suo villaggio a opera dei Phyrexiani. Ora, la gente dipendeva da lei. Si fidava di lei. Neyali si chiedeva se tale onore avrebbe mai smesso di avere un peso così schiacciante.

Lo strillo acuto di Otharri la scosse dai suoi pensieri.

Allo strepito della pirofenice, i compagni di Neyali serrarono i ranghi in un solo movimento perfetto, nervosamente in attesa di un’imboscata. Non accadde nulla. Non c’era alcun segno di Phyrexiani in avvicinamento, nessuno stridio rivelatore degli artigli di un rosicchiatore sulla pietra, nessuno sbuffo di vapore da parte di un golia. Niente di niente.

Ma Otharri non avrebbe rischiato di rivelare la loro posizione se non fosse stato per qualcosa di importante. Con le pulsazioni che le martellavano in gola, Neyali guardò di nuovo la sua gente, cercando disperatamente di capire cosa c’era che non andava.

In quel momento capì.

“Reyana,” sussurrò Neyali.

Neyali si mosse prima ancora che qualcuno dei suoi compagni potesse rispondere, correndo indietro lungo il corridoio illuminato di rosso, e con Otharri all’inseguimento dall’alto. Reyana aveva assunto il ruolo di retroguardia, come sempre, ma non era lì. Neyali esaminò le varie possibilità nella sua testa. Forse Reyana era stata aggredita da uno dei caporottami? Se fosse andata così, il resto di loro sarebbe già stato accerchiato dai Phyrexiani. Non aveva senso che si fermassero a Reyana, per non parlare del fatto che Urabrask, da quel che si sapeva, aveva insistito affinché i Mirran venissero lasciati in pace.

Una raffica di vapore caldo fuoriuscì dalla parete più a destra, rivelando la presenza di uno stretto passaggio che prima non aveva notato: una crepa nella superficie metallica, grande appena da contenere una figura umanoide. Attraverso il varco, Neyali vide una sagoma familiare. Era Reyana, che retrocedeva lentamente verso una sporgenza, sopra un oceano di magma che bruciava di un colore arancione acceso. Di fronte a lei, un’imponente figura umanoide, con il braccio sinistro trasmutato in una falce di dimensioni fuori dalla norma, e il colore dorato della sua pelle originale quasi del tutto oscurato da piastre di ferro. Un tempo era stata una donna, una Auriok. Dimenticate, abbandonate, le armi di Reyana giacevano a terra. Neyali scorse sul volto dell’amica d’infanzia un’espressione che non le aveva mai visto, una profonda disperazione come se il suo cuore si fosse spezzato irreparabilmente.

“Sei infine pronta per essere resa perfetta,” disse l’aspirante con una voce femminile, bassa e quasi familiare. Poi raggiunse Reyana con un braccio teso: vi era una strana tenerezza nel gesto, e con la sorpresa di Neyali, Reyana soffocò un singhiozzo.

Una donna meno impulsiva avrebbe atteso l’arrivo dei rinforzi o, come minimo, di avere una migliore comprensione delle circostanze. Ma nel bene e nel male, Neyali era una creatura istintiva e il suo ardore era pari a quello delle sue pirofenici. Così si lanciò in avanti, con le mani serrate in due pugni. I suoi guanti brillavano nella luce ardente. Emise un urlo di sfida, a cui fece eco Otharri un attimo dopo, quando la pirofenice sfrecciò oltre Neyali in un fremito di ali accese. Artigliò la faccia dell’aspirante nel momento stesso in cui questa si voltò. Mentre la Phyrexiana sollevava il braccio munito di lama per squarciare la fenice a metà, Neyali piegò le gambe per poi balzare di scatto, colpendo il punto in cui avrebbero dovuto esserci le ossa di un polso.

Il metallo andò in frantumi e piovve su di lei. L’aspirante, una Auriok più anziana dall’aspetto familiare, che doveva essere stata alta nella sua precedente vita di carne e ancora più alta appariva dopo il completamento, barcollò senza emettere un grido, limitandosi a guardare Reyana.

“Non esisterà più paura quando la tenera carne sarà resa perfetta.”

Neyali non rallentò. Afferrò l’aspirante per il braccio malridotto e si girò per trovarsi nella posizione di sferrarle una gomitata nel petto, mettendo tutto il suo peso nel movimento. Spinse fino a portare entrambe sull’orlo del baratro, mollando la presa solo all’ultimo secondo. La Phyrexiana cadde giù senza nemmeno un lamento.

“Neyali...”

“Stai bene?” Neyali tornò di corsa dalla sua amica e la esaminò alla ricerca di ferite. Un taglio era tutto ciò di cui i Phyrexiani avevano bisogno. Una sola goccia di olio scintillante e sarebbe stata una corsa contro il tempo per tornare all’accampamento e trovare a Reyana la cura necessaria, prima che la phyresis diventasse irreversibile. “Sei stata contaminata? Aveva olio? Mostrami...”

“Neyali...”

La donna vulshok prese la testa di Reyana tra le mani. “I tuoi occhi. Fammi vedere i tuoi occhi.”

“Sto bene. Te lo assicuro.” Reyana richiuse le sue mani su quelle di Neyali. Ed era di nuovo la sua amica, non il guscio che era stata poco prima, mentre i suoi ampi lineamenti espressivi si riempivano di nuovo di colore. Sorrise calorosamente, nonostante la spossatezza. “Non mi ha fatto nulla.”

“Perché non ti sei difesa? Cos’è successo alle tue armi?”

La luce sembrò scomparire di nuovo dal suo volto.

“Neyali, lei era... mia madre.”


La colonia risplendeva della luce fioca delle pirofenici a riposo, le loro fiamme attenuate mentre cantilenavano e mormoravano tra di loro, conferendo una sfumatura blu-verde alle ombre tremolanti. Era uno spazio più piccolo di quanto Neyali avrebbe voluto per loro. Se ne avesse avuto il lusso, avrebbe costruito qualcosa di più robusto, progettato per ospitare generazioni di pirofenici. Non sarebbe stato così fatiscente, e avrebbe fatto costruire piattaforme e scatole per nidi con materiali migliori dei rottami metallici.

Neyali solleticava Otharri sotto il becco.

“Un giorno,” promise al suo amico piumato... La compagna di Otharri si addormentò al suo fianco, e la loro nidiata riposava sotto la sua ala. “Costruiremo una colonia sulle ceneri della Forgia di Urabrask, e i tuoi piccoli vi cresceranno felici e al caldo, e così sarà per i loro uccellini e per la generazione che seguirà la loro.”

In risposta, Otharri sbatté le ali e premette la guancia contro il palmo di Neyali, il collo teso con un moto di speranza e indolenza. Neyali gli lisciò le piume con affetto prima di voltarsi e dedicarsi a Reyana, mentre la donna Auriok si occupava delle sue fenici. Avevano avuto fortuna. Nonostante tutto il caos (circolavano sempre più storie di disordini tra i sacerdoti, voci secondo cui Urabrask stava pianificando qualcosa di gigantesco) che si era abbattuto sulla resistenza negli ultimi tempi, le pirofenici avevano avuto una buona stagione degli amori. Ognuna delle femmine aveva la sua nidiata, una rarità. Se anche solo la metà delle uova riuscisse a sopravvivere, cambierebbe così tanto.

“Come stanno le tue fenici?” chiese Neyali, facendosi strada tra le pirofenici addormentate accanto a Reyana.

“Senza piccoli,” rispose Reyana in un tono piatto.

Poi si scostò per rivelare ciò che la sua alta corporatura nascondeva: un nido di uova frantumate, da cui filtrava un tuorlo fosforescente. Era un bene che non ci fossero tracce dei piccoli perduti e che la madre fosse abbastanza giovane da provare indifferenza per la sua nidiata, più preoccupata di ricambiare la corte di un maschio nelle vicinanze.

“Cos’è successo?” sussultò Neyali. L’ultima cosa che desiderava per la sua amica era un’altra tragedia.

“Rosicchiatori, forse,” disse Reyana, sempre con una voce cupa mentre passava al setaccio i frammenti. “Non mi sorprenderebbe se si trattasse di topi. E comunque non ha importanza. La nidiata è morta. Proprio come mia madre.”

Neyali deglutì. “Se l’avessi saputo...”

“Non potevi. Nemmeno io lo sapevo. Non finché non mi ha chiesto di unirmi a lei.”

“Avrei potuto chiedertelo,” disse Neyali, incapace di scrollarsi di dosso la certezza di aver fallito miseramente e che avrebbe pagato quel fallimento a caro prezzo. “Avrei potuto pensare prima di agire. Avremmo potuto cercare di salvarla. Avremmo potuto fare qualcosa.”

La sua voce si incrinò all’ultima parola.

“Non sarebbe stata felice,” rispose Reyana, guardando Neyali negli occhi. La sua voce si addolcì. “Mia madre... era una donna timida. Vetro piuttosto che acciaio. Aveva paura di tutto. E tutto per lei era presagio di morte, o peggio. Glielo potevo leggere negli occhi, il forte desiderio che tutto avesse fine.”

Reyana deglutì rumorosamente.

“A volte desideravo solo che morisse,” disse Reyana, con una terribile dignità. “Non perché fossi stanca dei suoi lamenti, e nemmeno per il fatto che mi picchiasse. Io volevo...”

Neyali guardò la sua amica con un’aria di sorpresa. “Ti picchiava?”

“Non lo faceva con cattiveria. Credo che avesse soltanto bisogno di una valvola di sfogo. Un modo per mitigare le enormi pressioni che stava affrontando. Doveva buttare fuori quel che aveva dentro, altrimenti sarebbe esplosa.”

“Anche così, mi sembra crudele che...”

“Io le volevo bene, capisci?” disse Reyana, e Neyali avvertì un rimprovero in quelle parole pronunciate con voce calma. “Gliene voglio ancora. Ad ogni modo, pensavo che sarebbe stato più facile per lei semplicemente cessare di esistere in questo mondo. Volevo che il suo tormento avesse fine. Questo fa di me una cattiva figlia?”

“No,” disse Neyali, chiudendo e riaprendo le mani, come se potesse strappare le parole giuste dall’aria intorno a sé. “Non lo sei. Capisco perfettamente. I Phyrexiani ci hanno tolto così tanto. È questo il motivo per cui lottiamo. Per assicurarci che quello che è successo a tua madre non accada a nessun altro.”

Reyana inalò un po’ d’aria, con il respiro tremante. “E se Phyrexia avesse ragione?”

“Non dirlo nemmeno per scherzo,” rispose Neyali.

“So che le loro azioni sono peccati, violazioni dell’anima. Ma avresti dovuto vedere mia madre, Neyali. Era serena. Non lo era mai stata. Non l’ho mai vista godersi un giorno di pace. Persino nel sonno borbottava, piangeva e gemeva. La versione che ho incontrato oggi... era in pace. Io credo che...”

Neyali fu scossa da una sensazione di orrore. Poteva immaginare la conclusione di quella frase e il solo pensiero che venisse pronunciata ad alta voce, che Reyana potesse proferire quelle parole, le faceva venire voglia di urlare. Per un breve istante e attanagliata dal senso di colpa, si scoprì a desiderare che Reyana fosse stata infetta dall’olio scintillante, per addossare la colpa di questa terrificante prospettiva alla corruzione Phyrexiana. Perché l’alternativa era molto peggiore: il pensiero che Reyana era arrivata a tali conclusioni da sola. “La pace,” disse Neyali scegliendo con cura le parole, “che i Phyrexiani sentono è fallace. Nasce dalla perdita della propria coscienza. Quella cosa non era tua madre. Non più. Nella migliore delle ipotesi, era un burattino. Una bugia fatta di acciaio e carne.”

“È davvero così?”

Neyali annuì.

“Ognuno dei loro aspiranti è un’esca. Il loro scopo è di allettare, di convincere coloro che sono rimasti che la phyresis è l’unica scelta logica. Esistono per spezzarci il cuore e lo spirito. E per quel che vale,” la sua voce si addolcì, “penso che tu abbia sopportato quell’incontro con più grazia di quanto avrei potuto fare io. Io sarei impazzita dal dolore.”

“Chi ti dice che io non sia impazzita?”

Neyali appoggiò una mano sulla spalla destra dell’amica. “Se lo sei, sappi che non sarai sola mentre, ridendo, andremo incontro all’oscurità. Ti ho fatto una promessa quando ci siamo conosciute. Non ti abbandonerò. Qualunque cosa accada, io sarò sempre al tuo fianco.”

Solo più tardi, mentre si rannicchiava nella sua branda, Neyali si rese conto che Reyana non aveva quasi parlato, non come accadeva di solito nei loro botta e risposta, e si addormentò con la preoccupazione di non sapere cosa questo significasse.


Neyali si svegliò la mattina seguente in presenza di un giovane vulshok, il più grande dei figli di Saheena (aveva gli occhi della madre e, come qualcuno aveva detto a Neyali, la corporatura di un padre scomparso da tempo), che si schiariva la gola. Si alzò di scatto in posizione seduta, strofinandosi l’occhio destro con il palmo della mano. O l’età iniziava a farsi sentire, o si stava abituando troppo all’idea che ci fossero persone di cui poteva fidarsi. Neyali sperava ardentemente che fosse la prima. L’autocompiacimento significava morte.

“Cosa c’è?”

L’infelicità nell’espressione del ragazzo crebbe. Le porse un biglietto.

“Si tratta di Reyana,” disse in un tono dolente. “Se n’è andata.”


Se n’era andata, a quanto pare, significava questo: un biglietto nella sua branda e i suoi effetti personali intatti. Era come se avesse semplicemente scelto di allontanarsi per un momento. Nessuna delle loro razioni era stata toccata. Se non fosse stato per il biglietto e se Neyali fosse stata una persona più ottimista, avrebbe potuto scegliere di credere che Reyana si trovasse nelle vicinanze. Ma Neyali conosceva abbastanza il loro mondo da non potersi permettere quell’illusione.

Girò il biglietto, sperando di trovare qualche indizio.

Incontriamoci al Complesso di Recupero.

Perché mai Reyana era andata lì?

Neyali si chiese se non fosse una trappola, se Reyana fosse stata presa contro la sua volontà e poi costretta a scrivere il messaggio, attirando Neyali verso la sua stessa cattura. Ma perché questa possibilità si rivelasse verosimile, avrebbero dovuto esserci più segni di lotta, qualche indicazione che i Phyrexiani avessero sfondato le difese dell’accampamento.

Neyali soffocò una vocina che sussurrava: forse, è andata di sua volontà.

“Lì comanda il goblin, vero?” chiese Elham, il bianco dei suoi capelli reso ancora più incandescente dalle chiazze bianche e dorate della sua pelle.

“Credo di sì,” rispose Neyali, riponendo di nuovo in tasca il biglietto. Controllava irrequieta il suo equipaggiamento: l’armatura alla ricerca di difetti, i guanti alla ricerca di ruggine. Otharri osservava dal suo trespolo. Neyali aveva già visto Slobad una volta, ma solo da lontano: un goblin mostruosamente grande, con gli arti gonfi di acciaio nero.

“È un capo fornace?” chiese il più giovane dei figli di Saheena. Qual era il suo nome? Con sua vergogna, Neyali non riusciva a ricordarselo, non con il terrore che le martellava le costole.

“No,” disse Elham. “Si occupa dello smaltimento dei rifiuti. Urabrask gli invia i Phyrexiani obsoleti per riadattarli a un nuovo scopo.”

Nulla andava sprecato nello Strato della Fornace. Ciò che non poteva essere utilizzato veniva ridotto in componenti, smontato e ricostruito affinché tornasse ad avere valore.

“Cos’ha a che fare con Reyana, allora?” La voce di Neyali era incrinata dalla frustrazione.

“Manodopera?” disse la donna Auriok. Saheena e suo figlio minore girarono l’angolo, il sangue era sparito, l’occhio bendato. “Non può gestire il complesso da solo.”

Neyali annuì. Più facile questo che l’introspezione. Più semplice nominare l’avversario e poi fiondarsi all’attacco. Sbatté il pugno sul palmo aperto e sorrise apertamente ai suoi compagni.

“Giusto”, disse Neyali. “Troverò Reyana. Nessuno è obbligato a unirsi a me in questa missione. Reyana è mia amica e...”

“Fa parte della famiglia,” disse Elham, caricandosi l’ascia da battaglia sulla spalla, assumendo una posizione che non ammetteva obiezioni. Il suo polpaccio brillava d’oro lucido; una protesi abbastanza semplice, ben articolata e ancor meglio realizzata.

“Forse sto commettendo un errore.”

“Abbiamo tutti perso qualcuno,” disse Saheena con una voce più tesa. I suoi figli distolsero lo sguardo, le loro espressioni rattristate. Tutti nella cellula conoscevano la storia: erano gli ultimi di una famiglia numerosa, brulicante di zie e zii. “Se siamo fortunati, possiamo assicurarci che Reyana non sia passata dalla loro parte.”


La cellula era pronta a muoversi in meno di un’ora. La maggior parte si diresse verso est, trasferendo il grosso delle loro provviste in un accampamento vicino, con le pirofenici al seguito. Solo Otharri rimase con Neyali, riluttante a separarsi dall’amica.

Dopo qualche austera frase di commiato, ciò che restava della cellula di Neyali, ridotta ai più coraggiosi e ai più ostinati, si avviò in direzione del Complesso di Recupero. Il percorso non era così insidioso come in altre circostanze: le gallerie che conducevano al complesso erano lontane dalle arterie principali dello Strato della Fornace, dipanandosi proprio intorno ai suoi confini. Sebbene non incrociasse nessuna delle forge, la strada era lunga, una caratteristica che da sola comportava rischi di incontri indesiderati.

Tuttavia, non ne avvennero.

La strada rimase deserta, e in modo snervante.

Quasi come se fosse stata spianata apposta. Come se qualcosa attendesse il loro arrivo. Avrebbero avuto i nervi a pezzi se non fosse stato per gli accampamenti Mirran che trovarono lungo il percorso: uno annidato in quelle che un tempo dovevano essere rovine di una fabbrica, o l’addome sventrato di un golia invaso dalla vegetazione, con guglie contorte di acciaio nero che si ergevano come costole spezzate; uno in fondo a un piano rialzato brulicante di catene di montaggio inutilizzate; l’ultimo in un cimitero di bizzarre strutture fatiscenti. In ogni accampamento, Neyali e il suo equipaggio ascoltavano storie simili di persone care che scomparivano, senza alcun segno a indicare che venissero prese con la forza.

È andata di sua volontà, insistette di nuovo quella vocina, che Neyali trovò sempre più difficile ignorare; tuttavia, prima che potesse riconsiderare la sua lealtà, raggiunsero l’affioramento sopra il Complesso di Recupero.

Un tempo doveva essere una struttura carceraria. Gabbie deformate si ergevano in torri instabili, le sbarre dilaniate, sporgenti in alcuni punti, come se qualunque cosa fosse stata al loro interno avesse disperatamente cercato di scappare. Molte erano occupate da figure accasciate: Mirran catturati, in attesa della loro unzione con l’olio scintillante. I macchinari serpeggiavano tra i recinti, avvolgendosi su di essi in una parodia della vita vegetale. L’attenzione di Neyali fu attirata dal pozzo al centro del Complesso di Recupero, una ziggurat al rovescio venata di enormi tubi neri. Ogni livello brulicava di aggeggi strampalati, parti mobili il cui scopo Neyali non riusciva a decifrare.

E corpi, si rese conto.

Innumerevoli corpi Phyrexiani, fatti inginocchiare prima che gli venisse strappato il metallo, la carne lasciata indietro. Ce n’erano file su file, come un pubblico silenzioso con lo sguardo in basso, fisso sulla piattaforma proprio alla base. Una sola figura occupava lo stretto cuneo di metallo. Neyali sentì il suo cuore sobbalzare: era Reyana, incatenata e china.

“Osserva i cieli per me, amico mio,” sussurrò Neyali, posando un bacio sulla guancia di Otharri. A una sua contrazione del braccio, la pirofenice si levò in volo. Neyali rivolse dunque l’attenzione ai suoi compagni. “È altamente probabile che si tratti di una trappola e che io sia una sciocca, ma Reyana è mia amica. Le avevo promesso che non l’avrei abbandonata. E intendo mantenere la mia parola. Ma nessuno di voi ha fatto lo stesso sciocco giuramento. Non giudicherò né biasimerò nessuno, se scegliete di andarvene. Chi va via ora, lo farà con onore.”

I Mirran riuniti si scambiarono uno sguardo, ma nessuno proferì parola finché Saheena disse infine con voce annoiata:

“Vuoi continuare a perdere tempo o iniziamo a controllare il perimetro?”

Illustrazione di: Marta Nael

Completarono tre giri del Complesso di Recupero prima che Neyali si arrendesse. A tutti gli effetti, il luogo era incustodito. Il loro rilevatore di purezza dell’aria non rivelò alcun aumento chiaro di particelle tossiche, il tipico segnale di Phyrexiani nascosti. Non c’era nessuno, ad eccezione di Reyana e di quell’ammasso di cadaveri.

“E adesso?” disse Elham dopo aver fatto ritorno al punto di osservazione originale.

Neyali guardò in basso dove si trovava Reyana, sconvolta. Non lo so, avrebbe voluto rispondere, solo che non poteva. Facevano tutti affidamento su di lei. Elham aveva lo sguardo su di lei, in attesa dei suoi ordini. Quella donna era stata un’eroina, una mentore, e quando aveva deciso di fare un passo indietro ripose la sua fiducia in Neyali per prendere il suo posto.

Neyali deglutì a fatica.

“Vado laggiù da sola.”

Elham trasalì. “È una scelta sconsiderata.”

“È una scelta strategica,” ribatté Neyali. “Se ci è sfuggito qualcosa e questa è davvero una trappola, l’attenzione sarà tutta su di me, e voi avrete il tempo di contrattaccare.”

“E se dovessimo ritrovarci in inferiorità numerica?”

“In quel caso fuggite.”

Neyali...”

“Avete i miei ordini,” disse Neyali, sperando che sentissero solo la sua autorità, e non il tremito nella sua voce. Sapeva quali potevano essere le conseguenze della sua spavalderia: completamento. Neyali si chiedeva spesso cosa rimanesse dell’organismo originale dopo che la phyresis iniziava a fare il suo corso, se restasse abbastanza delle capacità intellettive da urlare all’infinito a quella trasformazione a cui il corpo veniva costretto.

E lei? Avrebbe urlato?

“Una guardia d’onore,” ringhiò Saheena, seguendola alla sua destra, testarda come il ferro.

“Va bene,” esclamò Neyali. “Tre di voi. Con me. Tutti gli altri, ai vostri posti.”

I Mirran le resero onore e si sparpagliarono, ad eccezione della matriarca vulshok e dei suoi due figli, che avevano un aspetto così dolorosamente giovane alla luce rossastra. In formazione serrata, la seguirono giù fino al pozzo: Saheena fungeva da avanguardia, mentre i suoi figli affiancavano Neyali.

Proprio come il loro viaggio verso il Complesso di Recupero, la spedizione per raggiungere Reyana non conobbe incidenti. I Phyrexiani morti rimasero inerti, simili a statue, nonostante Neyali avesse la sensazione che da un momento all’altro sarebbero saltati su loro quattro come una massa ululante di carne mutilata. Non accadde nulla di tutto ciò.

Arrivarono sulla piattaforma. Oscillava sotto il loro peso, anche se non abbastanza da essere motivo di preoccupazione. Reyana non si mosse. Invece rimase sdraiata lì, voltata dall’altra parte, il suo respiro corto e irregolare.

“Reyana,” sussurrò Neyali, inginocchiandosi accanto alla sua amica.

Con cura, girò Reyana sulla schiena. L'Auriok, nonostante la sua immobilità, era sveglia: aveva gli occhi aperti, fissi nel vuoto, l’espressione annebbiata dalla stessa infelicità che Neyali le aveva visto quella notte, prima che la sua amica si allontanasse nell’oscurità.

“Reyana,” disse di nuovo Neyali, come se il nome della sua amica fosse un incantesimo. “Sono io. Ti portiamo via da qui.”

La donna Auriok sbatté le palpebre una volta, ciglia lunghe e nere come l’olio. Il suo sguardo si fece più concentrato. L’agonia nella sua espressione si rafforzò. “Mi dispiace, Neyali. Ero così esausta.”

Illustrazione di: Josh Hass

Neyali scosse la testa.

“Non c’è niente di cui scusarti. Siamo una famiglia...” disse Neyali: era la prima volta che esprimeva a parole quel sentimento, con la voce impastata dall’emozione. La sua attenzione era attratta dalle catene annodate attorno ai polsi e alle braccia di Reyana: erano di una fattura insolita, più lucide di quelle che usavano spesso i Phyrexiani, meno simili a tendini ossidati, più belle. “E una famiglia resta unita.”

“Mi dispiace,” disse di nuovo Reyana in tutta risposta, con le dita che sfioravano quelle di Neyali, percorrendo i suoi avambracci: qualcosa di contemplativo nei movimenti, come se stesse valutando la sua amica o, più precisamente, una decisione che lei rappresentava. “Mi dispiace davvero.”

L’aria intorno sembrò ravvivarsi. Un bagliore di luce rosso arancione risalì lungo le braccia di Reyana, sopra le sue catene e attraverso le nocche di Neyali, che scattò istintivamente all’indietro. Una frazione di secondo dopo, la luce si oscurò e si materializzò in un nodo di catene, atterrando sulla piattaforma con un tonfo. Reyana, non più legata, si sedette placidamente, e osservava i suoi compagni come se fossero estranei.

“Lo sapevo,” ringhiò la matriarca. “Traditrice.”

“Cosa ti hanno promesso, Reyana?” Neyali abbaiò, furiosa che le sue paure (quella vocina, quella che le aveva sussurrato più e più volte È andata di sua volontà) si fossero dimostrate fondate. Neyali esaminò i dintorni. Era troppo tardi per fuggire, ma loro quattro potevano ancora far guadagnare tempo agli altri compagni. Doveva solo dare il segnale, assicurarsi che gli altri sapessero di non tentare inutili atti eroici. Il suo sguardo si alzò verso il cielo soffocato dal fumo; Otharri non si vedeva da nessuna parte.

Era stato catturato?

No. Impossibile. L’unico modo in cui Phyrexia avrebbe potuto prendere Otharri era da morto, e questo non sarebbe mai accaduto senza un combattimento che avrebbe echeggiato attraverso lo Strato della Fornace. C’era un motivo se i Mirran vedevano le fenici come un simbolo di speranza, e i Phyrexiani come un presagio di morte. Era lì da qualche parte nello smog, Neyali ne era sicura. Vai lontano, rivolgendosi alla pirofenice dentro di sé. Fuggi. Conduci gli altri alla salvezza. Non fatevi prendere.

“Pace!” strillò Reyana, mentre si rimetteva in piedi barcollando. Piangeva mentre parlava, singhiozzando a ogni parola. “Non siamo tutti come te. Non voglio morire attanagliata dalla paura, Neyali. Non voglio una vita come quella di mia madre. Voglio che smetta. Non capisci? Voglio che abbia fine. Voglio la pace perfetta che è stata data a mia madre. Slobad... mi ha promesso che ci sarà la pace. Che mi ricongiungerò con le persone che amo e che mi mancano.”

“E così sarà,” disse una nuova voce alle spalle di Neyali, una voce sorprendentemente normale considerate le sue origini.

Neyali si voltò e vide Slobad sull’orlo del pozzo. L’aveva già visto una volta, ma solo da lontano, e allora non le fece una grande impressione: era solo un altro orrore Phyrexiano in un esercito di milioni. Ora, era abbastanza vicina da trasalire in tutta la sua presenza. La sua piccola figura goblin era incastonata in un massiccio costrutto di cavi e fasci di placcatura metallica, recava una spallina ornata da un trittico di teste di goblin urlanti, e Neyali poteva vedere in che punto gli arti di Slobad erano stati recisi, dove erano stati amputati all’articolazione e saldati all’esoscheletro del suo corpo Phyrexiano, simile a un golem.

Illustrazione di: Chris Seaman

“Non siamo vostri nemici,” disse. “Là fuori, il mondo è duro e freddo e si prende tutto. Amici, familiari. Ma qui? Siamo al sicuro. Siamo una famiglia. Abbiamo tutte le persone che amiamo, eh?”

Slobad volse lo sguardo alla sua mano massiccia e poi al quartetto.

“Tu sei Neyali.”

I suoi compagni presero posizione, armi pronte. La morte prima del completamento, pensò Neyali. “Non ho paura di te.”

“Perché dovresti? Non c’è niente di crudele qui, eh? Non vogliamo far del male a nessuno di voi. Vogliamo solo che tu ti ricongiunga con le persone che amavi,” disse dolcemente Slobad. “I Mirran si rivolgono a te come loro leader. Non li condurrai a casa da coloro che li amano?”

“Padre?” piagnucolò uno dei vulshok più giovani, con la lancia che gli risuonava fra le mani.

Accanto a Slobad c’era un aspirante: un uomo vulshok, con le corna, quasi interamente rivestito d’acciaio.

“Restate concentrati,” Neyali avvertì i suoi alleati. “Non cedete.”

“Ti offro una scelta. Voi quattro,” disse Slobad. “In cambio di tutti gli altri Mirran che si nascondono.”

Neyali sentì un tuffo al cuore.

Slobad sapeva.

“Noi siamo con te, qualunque cosa tu decida,” disse piano Saheena. “Se il tuo ordine è di morire con te, noi lo faremo. Fino alla fine, Neyali.” C’era una sottile incrinatura nella tranquillità della sua voce, e Neyali si chiese se avesse giurato quelle stesse parole all’uomo che credeva morto, che ora era lì sopra di loro, o almeno, il suo guscio. “Siamo con te fino alla fine.”

Neyali si voltò a guardare Reyana. Era in ginocchio, le mani intrecciate in preghiera, dondolandosi sul posto. Stava piangendo lacrime, non olio, ed era molto peggio che se fosse stata corrotta. Sapere che Reyana aveva scelto tutto questo. Sapere che aveva scelto di fare da esca.

Neyali, da sciocca qual era, era finita dritta nella trappola, sebbene ogni suo istinto l’avesse implorata di non cedere. Ma poteva ancora salvare qualcosa da questa situazione.

“Perché dovremmo fidarci di te?” disse Neyali. “Chi mi assicura che non ci prenderai comunque tutti? Urabrask ha impartito i suoi ordini. Non dovresti avere cose migliori da fare che farci del male?”

“Male? Perché dovrei farvi del male, eh? Non è mia intenzione. Io voglio solo aiutarvi.”

Neyali deglutì a fatica, guardando coloro che aveva portato alla rovina.

“Se davvero è così, allora lascia andare loro tre.”

“Affare fatto.”

“Neyali...”

Andate,” disse Neyali. “Prima che cambi idea.”

Poteva sentire l’anziana vulshok irrigidirsi, e i suoi figli tremare: un piagnucolio represso da uno, un sibilo di frustrazione inghiottito dall’altro. Poi, Saheena annuì, quasi impercettibilmente. I tre marciarono davanti a Neyali. Fedele alla sua parola, Slobad e i suoi tirapiedi non fecero nulla, limitandosi a osservare con i loro occhi luminosi.


Era stato un gesto di clemenza da parte di Slobad, decise Neyali, quello di rinchiuderla in una gabbia molto al di sopra del punto in cui Reyana avrebbe accettato l’olio luccicante. Da questa posizione, Neyali poteva quasi fingere che la sua amica fosse un’estranea, una traditrice con cui non condivideva alcun legame. Almeno il resto della cellula è al sicuro, Neyali pensò tra sé, aggrappandosi alle parole come un’ancora di salvezza. Almeno Otharri è al sicuro.

Si sarebbe aggrappata a quel pensiero il più a lungo possibile. Con un po’ di fortuna, quando sarebbe arrivato il momento, quel pensiero l’avrebbe rallentata abbastanza da permettere a un combattente della resistenza di abbatterla.

Con sorpresa di Neyali, non fu un sacerdote a dare inizio alla trasformazione di Reyana, ma lo stesso Slobad. C’era una sorta di tenerezza nel modo in cui il goblin invitava l’amica di Neyali a mettersi in ginocchio, e una grazia nel modo in cui lei si lasciava cadere, il cerchio bronzeo del suo viso sollevato come per ricevere una benedizione.

Neyali distolse gli occhi, incapace di sopportare quella vista.

Almeno il resto della cellula è al sicuro, Neyali ripeté ancora una volta tra sé. Almeno Otharri è al sicuro.

Poi sentì un leggero schiocco di artigli che si posavano sulle sbarre sopra la sua testa. La pirofenice cinguettò una serie di note basse in segno di saluto, il becco spinto tra le aste metalliche.

“Cosa ci fai qui?” sussurrò Neyali, cercando senza riuscirci di trattenere il sollievo dalla sua voce. “Devi andartene.”

La pirofenice la fissò con un occhio incredulo e inspirò.

“Io sono solo una persona. Non vale la pena. Tu...”

Neyali si lasciò andare a una risata delirante, incapace di trattenersi, colpita dalla sua stessa ipocrisia. Tutto questo era successo a causa di una persona. Aveva sacrificato tutto per salvare Reyana, credendo che una vita fosse in effetti davvero così importante.

Otharri espirò.

L’aria sulfurea passò da un sudicio arancione a un incandescente bianco-azzurro nel momento in cui le fiamme della pirofenice incenerivano le sbarre. La cenere, ancora venata d’oro, si sfaldò nella brezza. L’uccello si lanciò in picchiata sulla gabbia successiva, ripetendo lo stesso procedimento più e più volte, mentre un allarme si levava nel Complesso di Recupero. Otharri intonò una chiamata alle armi con aria di sfida.

E Neyali rispose con un suo grido di gioia.

“Qui...” tuonò. La magia balzava da lei su ogni Mirran liberato da Otharri, una macchia di fuoco che si attaccava alla loro pelle. Neyali guardò in basso dove Slobad era in attesa, con in mano il suo martello. “... non è dove moriremo.”

Se si fossero mossi abbastanza velocemente attraverso le imponenti strutture, i Phyrexiani non avrebbero avuto alcuna possibilità di raggiungerli. I pochi che si arrampicavano sulle gabbie venivano tenuti a bada dal fuoco di Otharri. Neyali cercò Reyana in mezzo al caos e la trovò nelle retrovie a osservare il clamore. Nonostante tutto, le tese una mano in un ultimo tentativo.

Reyana si voltò,

chiudendo ogni porta. Neyali deglutì. Cosa avrebbe dato per avere il tempo di discutere con Reyana, il tempo di insistere che non c’era motivo di arrendersi, che Reyana doveva combattere... Ma avevano entrambe preso le proprie decisioni. Le loro strade si erano ormai separate. Neyali salutò quella che un tempo era sua amica. In lontananza, poteva vedere la sua cellula (non solo chi aveva scelto di seguire Neyali in questa missione ingenuamente spavalda, ma tutti loro) caricare nel Complesso di Recupero per aprire un varco alla loro fuga. Più tardi, avrebbe avuto il tempo di rattristarsi.

Ora, doveva portare via la sua gente.

Illustrazione di: Lie Setiawan