Stensia dorme profondamente. Dorme il sonno degli indisturbati e degli spensierati, il sonno di coloro che sono privi di preoccupazioni... e allo stesso modo dormono i vampiri all’interno delle loro guglie. Non hanno una vera necessità di dormire, ma i contadini ne hanno bisogno e questo aspetto lo rende una novità. Non sarebbe forse delizioso, ora che ci troviamo al culmine del nostro potere, poter dormire?

Non è necessario che sia lungo. Magari solo una o due ore. Un pisolino. Uno scherzo, un gesto, un’attrazione passeggera.

Ma è la migliore ora che gli umani di Stensia hanno avuto nelle ultime settimane. Con la luna alta nel cielo, nonostante i loro corpi bramino un momento di tregua, è tutt’altro che facile trovarla.

Quando i vampiri si destano dal loro piccolo scherzo, saranno senza dubbio affamati; quando sono affamati, vanno a caccia; quando vanno a caccia, qualcuno muore.

Illustrazione di: Lucas Graciano

Grigori preme la lama nel polso della madre. Lei, addormentata, non si muove e non si agita... ed è così da un certo tempo. Due notti (ora è difficile distinguerle) dopo il massacro del Raccolto, sua madre si è semplicemente. . .addormentata. Si è rifiutata di svegliarsi. Lui l’aveva vista in passato, piena di speranza, intenta a scolpire la propria effigie da bruciare nelle strade. Poi l’aveva vista in un momento successivo, quando la luna non voleva saperne di tramontare, con la pelle ricoperta di ferite e qualcosa in lei che si era lacerato.

"Innistrad sopravviverà", gli aveva detto lei. Un’altra preghiera che gli angeli non si degnavano di ascoltare.

E oggi continua a vederla, dopo settimane, ancora addormentata. Con la pelle giallognola che racchiude un corpo dimagrito. Con il petto che si solleva e si abbassa con regolarità. Sua madre.

Il sangue di lei cola in una piccola scodella in vetro. Il suo valore è probabilmente superiore a quello di qualsiasi oggetto lui abbia mai sfiorato, forse superiore al valore di tutti gli oggetti messi insieme, ma non gli appartiene.

Il decreto che pende all'esterno della sua porta era stato molto chiaro.

Benedizioni e buone nuove a coloro che leggono, il giorno della gioia suprema si sta avvicinando.

Attendiamo con impazienza i vostri tributi: una scodella di sangue di ogni residente, una volta ogni notte, fino ai festeggiamenti. Siamo stati magnanimi e vi abbiamo fornito le scodelle. Ricordate che sono stregate; verremo a conoscenza di ogni bestia ingrata che le dovesse frantumare. I nostri rappresentanti passeranno a raccoglierle. Non compiate l’errore di offenderli. Conoscete bene le conseguenze di un’azione così sciocca.

Ci auguriamo che questo giunga da voi in un periodo di salute. Se così non dovesse essere, il vostro sangue sarà utile nonostante la vostra condizione. Nessuno è dispensato.

La vostra eterna signora,

Olivia Voldaren, indiscussa sovrana di Innistrad

Osserva il sangue della madre colare nella scodella e si chiede come avrebbe reagito di fronte a quel proclama. Magari avrebbe pensato di darlo alle fiamme, proprio come avrebbe voluto fare lui. Forse sarebbero fuggiti insieme verso un qualsiasi posto che non fosse quello.

Stensia.

Un tempo amava quel luogo, con le sue guglie, la sua atmosfera secolare e le sue tradizioni. Ogni angolo di Innistrad aveva ovviamente le sue tradizioni, ma solo in Stensia sembrava che venissero applicate in un modo degno. Nel Kessig c’era il sospetto di essere circondati da lupi mannari. Qua, al contrario, la presenza dei vampiri era naturale quanto quella di un’epidemia.

Ma come si può gestire un’epidemia che muta così tanto?

Alcuni degli abitanti del villaggio avevano iniziato a dedicarsi a nuovi lavori nei castelli vicini. Se lavori per loro, si diceva, sei al sicuro.

Ma a volte capita anche di morire in uno di quei castelli, mentre si sta svolgendo il proprio lavoro; a quel punto, che fine può fare la tua famiglia?

E ora c’erano anche quei tributi. Le persone di questo posto pensavano di essere al sicuro, ma ora anche coloro che si arrischiano a lavorare nei palazzi di quei dannati devono fornire il loro sangue.

Nulla sembra essere più giusto.

Grigori raccoglie la scodella con il sangue della madre. Le dà un bacio sulla fronte. Con la punta di un dito, pulisce il bordo della scodella in modo che non cada neanche una goccia a terra mentre la porta fuori. Ovunque il suo sguardo si rivolga, incontra solo morte e vuoto. Solo poche settimane prima, i suoi amici erano intenti ad accendere candele e cantare all’esterno delle loro case. Solo poche settimane prima, le effigi ardevano a ogni finestra. Solo poche settimane prima, lui non poteva avventurarsi all’esterno senza incontrare una decina dei suoi amici in preda ai fumi dell’alcol che danzavano in strade ora troppo spaventose da percorrere.

Quelle strade ora sono deserte. La maggior parte di loro è troppo occupata a lavorare, tutti tranne coloro che sono morti. Non era avvenuto tutto all’improvviso, come la sera del massacro, ma era accaduto. Nei giorni passati, le uniche persone che aveva visto per le strade non erano del tutto definibili come persone.

Chi era nelle condizioni di fuggire era fuggito; dove, nessuno lo poteva sapere. La situazione era senza dubbio peggiorata in Stensia, ma si poteva dire lo stesso per ogni angolo di Innistrad. Dalle poche informazioni che aveva recuperato, nessun luogo era più sicuro. In questa interminabile notte, non avrebbero mai potuto riposare. Dove avrebbero potuto nascondersi dalla luna?

La luce argentea portatrice di vita della luna è ora solo un altro pallore che incombe sul mondo.

Grigori appoggia la scodella a terra, di fianco alla sua gemella, riempita un’ora prima. Stremato dalla perdita di sangue e di speranza, si accovaccia e alza lo sguardo verso la luna.

Il profilo di neri pipistrelli si distingue contro il colore argenteo, uno sciame denso come di corvi che si avventano su un cadavere. Come corvi, hanno trovato qualcosa da trasportare: nere lettere decorate, con striature di colori bianco e rosso. Li osserva passare alti sopra la sua testa.

Alcuni si allontanano dal resto del gruppo. Due di essi si dirigono proprio verso di lui, fermandosi di fronte alle scodelle. Le sollevano con le loro piccole fauci e, nell’istante in cui si trovano sul sangue suo e di sua madre, Grigori valuta l’idea di ucciderli. Spezzare i loro colli sarebbe semplice.

Ma durante il giorno (se si potesse davvero chiamare così), la vendetta piomberebbe su di lui e su sua madre e non cambierebbe nulla se non il fatto che sarebbero entrambi morti.

Innistrad continuerebbe verso il suo destino, con morte e risurrezione.

I pipistrelli riprendono il volo.

Grigori li osserva allontanarsi.

Una volta svaniti, torna all’interno per occuparsi della madre.

Il meglio che si può augurare è che stia dormendo profondamente.


Illustrazione di: Ilse Gort

Adeline ha conosciuto l’oscurità nella sua vita. Ha conosciuto il male. Ogni suo sforzo, fin dalla giovane età di dodici anni, quando la Chiesa l’ha accolta tra le sue fila, è stato dedicato ad affrontare coloro che infliggono sofferenze all’umanità.

Non è mai stato facile per lei.

Ma sicuramente è stato più facile rispetto a ora.

Mentre fa penetrare la lama nel cuore del vampiro, riesce a provare solo una minima sensazione di trionfo: per lo meno, non ucciderà più. Il pensiero viene immediatamente seguito dalla vergogna. Il lavoro che svolge è fondamentale... ora più fondamentale che mai... ma è anche un lavoro che ha un prezzo. E il prezzo da pagare è qualcosa che cambia dentro di lei.

Un cambiamento che non può lasciar trasparire agli altri. Tutti desiderano l’eroe indomito, il cavaliere su un bianco destriero, il simbolo di giustizia in un mondo che da molto tempo ha dimenticato il significato di questa parola. In una sola parola, la luce.

E Adeline non è da meno.

La luce la raggiunge appena il vampiro crolla a terra e le fiamme di Chandra ne inghiottono il corpo. In quel bagliore color arancione, lo sguardo di Adeline incrocia quello della sua compagna.

Adeline è in grado di presentarsi come un’eroina a chiunque altro... ma ora solo Chandra può vederla.

Lascia crollare le spalle. La spossatezza è evidente nei suoi occhi. Nel buio della notte, le fiamme di Chandra ardono più intense della luna.

La piromante non ha bisogno di chiedere ad Adeline come si sente. Lo sanno entrambe che sarebbe una domanda inutile. Decide quindi di stringere la spalla di Adeline.

"Ho trovato un po’ di vino in una di quelle vecchie case", le dice. "Penso che ci siamo meritate un piccolo premio."

Nonostante tutto ciò che è successo, nella voce di Chandra c’è ancora uno scintillio. Meno intenso in questi giorni, ma sempre presente. Adeline si lascia trasportare per un po’.

"Dovrà attendere fino a dopo l’incontro", le risponde, "ma hai ragione."

I resti del vampiro ardono di fronte a loro e il fetore della carne bruciata si intrufola nelle loro narici. Adeline ripone la spada nel fodero e si porta sopra vento. Ovunque intorno a loro, il gruppo raffazzonato non si dà per vinto. Alcuni usano armi, come lei, affrontando gli ultimi ghoul e thrall di quel vecchio succhiasangue. Alcuni agiscono con compassione: la strega Deidama è tra i molti che si prendono cura dei malati, dei feriti e di coloro che hanno assistito a troppo o hanno dovuto sopportare troppo. La magia non è in grado di alleviare tutte le loro sofferenze.

Ma loro ci provano lo stesso.

Questo è il quinto contrattacco che hanno lanciato questa settimana. Un ragazzino aveva sentito che c'erano persone che combattevano contro la notte eterna. Quando i vampiri erano piombati sul villaggio di Karo, lui era corso verso di loro, ferendosi i piedi sulle rocce. Arlinn era stata la prima persona che aveva incontrato... ed è Arlinn a vegliare su di lui ora, raccontandogli una storia mentre una delle streghe si occupa delle sue ferite. Le righe di sangue secco sulla sua pelle creano una composizione bizzarra con lo stufato che versa in una ciotola per il ragazzo.

Adeline e Chandra si avvicinano e Arlinn lancia uno sguardo verso di loro. Fa un cenno al ragazzo e gli regala un caloroso sorriso prima di salutarlo e unirsi alle sue amiche. Il gruppo è al completo: Teferi, Kaya, Deidama, alcune delle altre streghe e alcuni delegati degli ammazzademoni. Non è un gruppo grande, forse due o tre decine di individui con l’obiettivo di proteggere l’umanità, ma sono compagni di battaglia valorosi. I rimanenti, circa duecento, erano rimasti nella foresta. Le persone hanno bisogno di un luogo dive rifugiarsi quando le loro case vengono distrutte.

"Com’è andata?", chiede Arlinn.

"Demoni arrosto", risponde Chandra.

Adeline annuisce, lieta che Chandra abbia trovato un modo leggero per descriverlo. "Il villaggio avrà bisogno di un po’ di tempo per essere ricostruito, ma saranno al sicuro. Almeno per questa notte."

"Ottimo lavoro", commenta Arlinn. "Faremo il possibile per loro. Fortunatamente possiamo contare sugli abitanti del Kessig... e possiamo costruire una casa al giorno. In un paio di settimane ci sarà spazio per tutti."

Molto però è dato per scontato; per prima cosa, gli abitanti del villaggio devono sopravvivere tutto quel tempo, poi è difficile realizzare costruzioni nella completa oscurità, infine ne cadranno altre prima di poter terminare la prima.

Ma in questo momento sono pensieri troppo stancanti. Arlinn ha ragione: fanno ciò che possono. Anche gli altri villaggi hanno bisogno di loro.

"Volevi organizzare un incontro?", chiede.

Arlinn indica un accampamento improvvisato: il braciere del villaggio, circondato da ceppi di alberi levigati e da panchine lavorate a mano. Uno dopo l’altro, i valorosi prendono posto. Per qualche motivo, la panca più piccola, per due persone, rimane vuota per lei e Chandra. Opera di Kaya, probabilmente; in effetti è l’unica con un ghigno in volto.

Bene. Adeline non si opporrà. Dopo aver appoggiato la spada sulle ginocchia, si siede. "Allora. . ."

Tutti gli sguardi sono puntati su Arlinn. La notte eterna ha un effetto anche su di lei, così come qualsiasi cosa sia scaturito dal combattimento con Tovolar. Adeline può percepire più lupo che donna, soprattutto al di fuori degli incontri come questo. Il sospiro che esce da lei questa volta è completamente umano.

"Girarci intorno non ha alcuna utilità", continua. "Non siamo in grado di continuare così."

"E la magia temporale di Teferi?", chiede Adeline. "Di sicuro potrebbe. . ."

Teferi stringe le labbra. Alza lo sguardo verso la luna insidiosa e poi di nuovo verso i compagni. "Sfortunatamente, non c’è molto che io possa fare. Il sistema solare di Innistrad è complicato. La magia che mantiene la luna al suo posto è antica e realizzata proprio per questo piano." Le sue spalle si abbassano. "Anche immaginando che io riesca a trovare un modo senza creare danni al piano e agli ecosistemi, necessiterebbe più potere di quanto io ne abbia in questo momento."

"Si tratta di un problema che una sola persona non può risolvere", commenta Kaya. "Per quanto io possa preferire l'alternativa, dobbiamo continuare insieme su questo."

"Non riesco a comprendere", risponde Adeline. "Ci siamo già radunati, vero?"

"Certo. Ma la maggior parte del nostro gruppo è umana", spiega Arlinn. Ha ragione; tranne due o tre dei lupir rimasti, gli altri sono tutti umani. E perché dovrebbe essere diverso? Adeline va alla ricerca dello sguardo di Arlinn per una spiegazione. Una spiegazione che giunge immediatamente. "La notte eterna non ha effetto solo sugli umani. Se continua così, i vampiri rimarranno senza cibo, alla fine. Forse in una decina di anni, il piano sarà completamente deserto. Molto tempo fa, qualcuno di loro se ne era reso conto. Dobbiamo metterci in contatto con lui."

Chandra si mette a ridere in modo nervoso. "Dimmi che stai scherzando."

"Chandra ha ragione", aggiunge Adeline. "Se ti riferisci a Sorin Markov, non ha mostrato alcuna pietà in passato. Perché ora dovrebbe essere diverso?"

Arlinn doveva aver previsto questa evoluzione, dato che non ha lasciato la domanda senza risposta a lungo. "Perché ora è cambiato tutto. Poi, è stata Olivia Voldaren a impossessarsi della chiave di Selenargento. Se qualcuno è a conoscenza dei piani di Olivia, è proprio Sorin."

"E, se le dicerie che mi sono giunte sono vere, lui adesso prova un odio nei confronti di lei", aggiunge Kaya. Poi, dopo un attimo di pausa: "Questo è ciò di cui chiunque in Stensia sta parlando. Sta chiedendo a tutti di donare una scodella colma di sangue."

"Che vuol dire che sta tramando qualcosa", commenta Adeline. "Ma perché dobbiamo andare a chiederlo a lui?"

"Non abbiamo altre valide possibilità", risponde Teferi. "Sorin ha un pessimo carattere, ma si è sempre dimostrato pragmatico. Da esperto di guardiani planari con un pessimo carattere..."

"Dammi qualche anno", lo interrompe Kaya.

"Conoscendolo da secoli, penso di poterlo contattare. Dopo tutto, non è la prima volta che si ritrova in una situazione difficile. Ora che ci penso, non sono sicuro di averlo mai visto in una situazione facile. In ogni caso, sono sicuro che ci potrà svelare ciò che sta tramando Olivia."

"Questa situazione non finirà a meno che non recuperiamo la chiave. E lui è l’unico a poterci dare un indizio su dove potrebbe trovarsi", risponde Kaya.

Ha senso. C’è però qualcosa che Adeline non è in grado di accettare. "Arlinn, l’ultima volta che l’ho visto, stava combattendo contro Sigarda."

Arlinn stringe a forza le mascelle. "Lo so. Questa situazione. . .non è semplice neanche per me. Ma, anche se una parte del tuo gregge non si comporta bene, non lo mandi tutto in pasto ai lupi."

"Ma lui non è una pecora", risponde Adeline, "e tu sei un lupo".

La donna scherza con un pungente sorriso. "Significa che ne so qualcosa della caccia e dei branchi. Adeline, vorrei che venissi con noi, ma comprenderò nel caso in cui tu decida di rimanere qui."

Adeline sa ciò è giusto fare e sa che spesso ciò che è giusto corrisponde anche a ciò che è più difficile. I catari a volte si addestrano con spade appesantite per fissare il concetto: la soluzione violenta non deve mai essere la prima da considerare, perché non deve mai sembrare facile togliere la vita a qualcuno.

Se hanno una possibilità di comunicare con Sorin, ogni tentativo vale la pena.

Sente lo sguardo di Chandra su di sé, in attesa di una risposta. "Verrò anche io. Se è rimasta una traccia di Avacyn in lui, ascolterà."

Poco più tardi, durante i preparativi per la partenza, il ragazzo di Karo la raggiunge. In attesa all'esterno della tenda improvvisata, con i piedi fasciati e all’interno di un’armatura troppo grande per lui. Il simbolo di Avacyn sulla parte anteriore è alto quasi quanto lui. Il maiale che ha con sé, un enorme animale dalle dimensioni di un cavallo, fiuta il terreno vicino.

"Come posso essere utile?", le chiede.

Adeline si abbassa su un ginocchio. "Sei già stato molto utile", gli risponde. Da un’apertura dell’armatura, estrae un simbolo composto da ramoscelli intrecciati e candele intatte e lo pone sul capo del ragazzo. "Il più grande aiuto che puoi offrire è tornare a casa sano e salvo."


Sorin the Mirthless
Sorin l’Infelice | Illustrazione di: Martina Fackova

Innistrad sopravviverà, questa è la frase pronunciata da sempre. Ma basta osservare fuori da una finestra per comprendere che questa frase ha perso di significato. Non esiste alcun modo per Innistrad di sopravvivere a tutto questo.

Sorin Markov non ha dubbi.

Ne è stato sicuro per secoli. La sua grande predilezione per la filosofia gli ha permesso di cogliere la verità della questione poco dopo che suo nonno lo aveva trasformato. Partendo dal fatto che nessun vampiro possa morire, che si nutra una volta al mese, spesso uccidendo il proprio “donatore” e che gli umani necessitino di nove mesi per riprodursi. . .

Non aveva alcun senso.

Anche ignorando le perdite di umani dovute alle malattie, le trasformazioni in vampiro e le morti tra le fauci dei lupi mannari, i conti non tornavano. Affinché Innistrad potesse sopravvivere (il detto esisteva già ai suoi tempi), avrebbero dovuto limitare il numero di nuovi vampiri oppure garantire la sopravvivenza del genere umano.

Il giovane Sorin aveva presentato il suo ragionamento al nonno. Edgar aveva lungamente supportato l’interesse per l'alchimia del ragazzo ma, dopo aver visto i risultati nero su bianco, aveva compreso il terribile errore che aveva commesso.

Edgar aveva ascoltato con attenzione le parole del giovane Sorin. Ancor di più, aveva posto domande approfondite su ogni argomento. In quelle due ore di dialogo, Sorin aveva appreso del mondo più di quanto fosse riuscito a comprendere durante l’intera elaborazione della sua presentazione. Il nonno aveva svelato una nuova luce su tutti i suoi elementi di partenza.

"Sorin. Credi che io non abbia mai fatto un ragionamento come questo?"

"Ma, nonno", gli aveva risposto Sorin, "se lo hai fatto anche tu, allora perché siamo continuando in questa direzione? Il futuro non è intangibile e, da esseri immortali, dobbiamo affrontarlo. Innistrad deve sopravvivere..."

"Innistrad sopravviverà. Sono solo i contadini a sentire il bisogno di dirlo", lo aveva ripreso il nonno. "Noi abbiamo un’eternità per pianificare... o quasi un’eternità. La soluzione si presenterà a noi."

"Nonno, non possiamo semplicemente attendere..."

"Tutto il contrario. Tu stai osservando solo una piccola parte dell’intera opera della storia", gli aveva risposto Edgar. Poi aveva afferrato una delle sue piume e l’aveva intinta d’inchiostro. Il contatto con la pergamena era stato equivalente a un saluto finale.

Una piccola parte.

Aveva seguito il consiglio del nonno. La soluzione si sarebbe presentata. Avrebbe dovuto pensare in modo più ampio, andando oltre l’immediato. Quel pensiero era ricorrente nella sua mente ovunque andasse e si faceva più complesso ogni anno.

Aveva impiegato sei millenni per comprendere l’intero scenario e, una volta riuscito, tutto era sembrato ovvio e giusto. Si era sentito uno sciocco per non essersene reso conto prima. Gli umani avevano bisogno di qualcuno che li proteggesse. E lui aveva creato quel qualcuno.

Ovviamente, prima di quel momento, i suoi compagni vampiri avevano quasi prosciugato l’intero piano. Salvare Innistrad nel modo che aveva scelto sarebbe stato un’impresa.

Tuttavia, aveva dovuto affrontare la sconfitta e la sua creazione era caduta, lasciandolo in preda a un’esistenza amara che quel luogo gli ricordava ogni giorno.

Una parte di lui si chiede se suo nonno aveva pianificato la nascita di Avacyn e anche la sua finale caduta. Dopo tutto, Edgar aveva pensato a ogni aspetto e conosceva il proprio nipote meglio di chiunque altro. Aveva forse pianificato anche questa notte eterna? Aveva riflettuto anche sull’effetto sulla popolazione dei vampiri? E sulla popolazione degli umani?

Nonostante tutti gli anni che aveva vissuto, Sorin non si era preparato per questo.

All’inizio, aveva assunto il ruolo di osservatore. Si era leccato le ferite, si era rinchiuso nel suo maniero e aveva osservato lo svolgersi degli eventi. Anche gli altri sapevano a cosa sarebbero andati incontro se si fossero lasciati andare all’ingordigia.

Ma, se l’impazienza è l’ultima caratteristica a svanire dei vampiri, l’inibizione è sicuramente la prima. In base ai conti di Sorin, rimanevano solo pochi mesi prima che tutti gli umani di questo piano diventassero vampiri, lupi mannari, geist o semplicemente cadaveri.

Suo nonno aveva ignorato il problema troppo a lungo. Se c’era un piano per questa eventualità, era giunto il momento di discuterne.

Sorin scende gli scalini del maniero Markov. La sua breve guerra con Nahiri, la sua protetta, ha causato una grande rovina in questo luogo, ma gli archivi di famiglia sono rimasti quasi completamente intatti grazie al fatto di essere sepolti nel profondo. Contorte lame fluttuanti lasciano il posto a deliziose arcate di colore bianco e delicate scalinate. Le fiamme dei geist ardono intense e non c’è traccia di polvere sugli scalini o granelli nell'aria. Era stato Sorin in persona a stregare quel luogo. Se l’intero Innistrad dovesse collassare oggi, gli archivi della sua famiglia rimarrebbero a testamento della loro stoltezza.

Ci sono i libri, ovviamente, ad accoglierlo immediatamente; collezioni curate con attenzione di ogni esempio di saggezza dell’intero piano. I diari di suo nonno ricevono in questo luogo un trattamento speciale, rilegati in oro e messi in mostra all’interno del vetro più puro. Le memorie dello stesso Sorin occupano tre interi scaffali e sono quelli che non è intento a rileggere o riscrivere. Riflessioni di generali, alchimisti e addirittura catari e sacerdoti di Avacyn lo osservano dalle loro dimore sui ripiani.

Salvaci, sembrano comunicare.

Quanto spesso le persone hanno pronunciato queste parole di fronte a lui. Sorin è esausto di farsi carico dei problemi degli altri, di salvare altri piani, dell’enorme e complicata rete che ha costruito nella sua interminabile vita. Innistrad, per lo meno conosceva Innistrad. Pensava che avrebbe potuto riprendersi in questo luogo. Una volta risistemata la sua dimora, per così dire, avrebbe potuto riemergere e occuparsi di nuovo degli altri piani.

Salvaci, gli ripetono.

Ci sto provando, è ciò che vorrebbe rispondere.

Oltre ai libri si trovano i ritratti, le statue e l’armeria. Percorre le strette sale di pietra bianca e non si ferma a scrutare le opere dei suoi predecessori. Innistrad sarebbe sopravvissuta. Ci sarebbe stato tempo, più tardi, di perdersi nei ricordi di una casata che non lo aveva mai accettato.

Avanza, fino alle bare.

Quando gli antichi si stufano del mondo intorno a loro, riposano finché il mondo non muta e diventa talmente alieno da valer la pena di essere riscoperto. Se lui fosse un normale vampiro, un semplice essere immortale senza la capacità di abbandonare Innistrad, sarebbe finito più volte in una di quelle bare. Ma è necessario che sia sempre presente qualcuno a vegliare su coloro che si ritirano nel sonno e, senza mai aver tradito la sua responsabilità, quella persona è sempre stata Sorin.

Non li sopporta. Non si cura di nasconderlo, non in questo freddo silenzio di tomba. Scruta ogni nome al di sopra di ogni bara e chiede a ognuno di loro, mentalmente, perché loro non potessero essere disturbati. Era stata la loro decadenza che aveva generato quella situazione e loro erano intenti a riposare, magari anche sognare, mentre lui doveva risolvere i problemi creati proprio da loro.

Sfiancante.

Anche lui ha una bara a disposizione. Che sciocchezza. Si era ripromesso di riposare.

L’unico elemento che gli impedisce di farla a pezzi è il pensiero che suo nonno possa vederlo e considerarlo un gesto sciocco di un ragazzino.

Continua a camminare. Suo nonno giace in un mausoleo al termine del corridoio, protetto da un’imponente porta in pietra. Edgar si era spesso risvegliato per piccole magie. Sorin gli lasciava libri per quei momenti, oggetti che l’avrebbero informato dell'attuale stato di Innistrad. A volte, quando aveva bisogno del consiglio del nonno, lo risvegliava. I due dialogavano nella sala dei morti e, una volta terminato l’incontro, Edgar tornava al suo riposo. Sorin ne usciva sempre con una sensazione di inadeguatezza, ma i consigli erano sempre infallibili.

Fateful Absence
Assenza Fatidica | Illustrazione di: Eric Deschamps

Rassegnato, entra nel mausoleo aspettandosi di trovare il nonno intento a riposare nella sua enorme bara che Sorin stesso aveva commissionato per lui oppure impegnato nella lettura alla sua scrivania... ma ciò che trova è una sala deserta.

Non c’è alcuna statua ad accoglierlo. Non c’è alcuna scrivania, né sedie e neanche la teiera che era solito utilizzare. La polvere disegna il profilo della collezione di conoscenza del nonno.

Ma nessuno di questi elementi è paragonabile alla principale assenza: la bara è sparita.

Nel suo cuore si scatena la furia. Non è un’emozione nuova, ma ora rimane così poco da ardere dentro di lui e l’unica reazione che gli rimane è lasciarsi andare a una risata.

Non c’erano dubbi. Ieri si era permesso di allontanarsi. Aveva voluto vedere ciò che stava accadendo con i suoi stessi occhi.

Qualcuno era ovviamente entrato durante la sua assenza.

Si porta una mano al mento e valuta le opzioni a disposizione. Ed è proprio in quel momento che percepisce un battito di ali e uno spostamento d’aria all’interno del palazzo. C’è qualcun altro. Forse più di un intruso.

Si volta, nel tentativo di analizzare meglio quel rumore. Un pipistrello, tutti gli indizi facevano pensare a un pipistrello. Lo afferra senza pensarci due volte. All’interno della sua presa, ora macchiata di sangue, si trova una busta.

Al mio adorato e prezioso Sorin Markov, di cui non potrò mai dimenticarmi.

Riconosce quella calligrafia.

Servono secoli di pazienza per non distruggere anche la busta. Con un movimento lento e controllato, la apre.

Le parole contenute all’interno non migliorano il suo umore. Se lo sconforto precedente era l’aspetto tetro di una luna nuova, questo è l’oscurità di una luna strappata dal cielo, destinata a non rinascere mai più.

Scaglia il corpo inerte del pipistrello in un angolo del mausoleo e corre verso le scale. Ci sono altri intrusi, può percepirlo molto chiaramente. Se solo hanno a che fare con questa farsa. . .

"Attenzione! Quel libro è rilegato con pelle umana."

Quella voce riecheggia fino a lui. Una donna. Una voce familiare, ma solo vagamente. Sono all’interno della biblioteca. Una volta raggiunti, li trova posizionati a semicerchio intorno alla sua scrivania da lettura. Riconosce alcuni di loro, accompagnati da nuovi membri del gruppo. Sembra che abbiano raccolto alcuni randagi lungo la strada: una ladra di qualche tipo, con occhi scaltri e un ghigno tagliente; poi una piromante, con le mani sollevate come se avesse visto qualcosa di orribile. Il suo sguardo passa successivamente su Teferi. Gioviale come sempre, sta trattenendo un sorriso. Teferi confonde Sorin. È molto raro che lui incontri altri in grado di vedere davvero lo svolgersi della storia o che sorride così facilmente. Poi c’è il lupo, Arlinn Kord, con le mani ai fianchi, intenta a spiegare qualcosa. E infine una catara.

Tutti questi intrusi nella sua biblioteca, nei suoi archivi di famiglia, con un atteggiamento come di ragazzini di fronte a uno dei testi più importanti sull'arte della cucitura di Innistrad. Ovviamente doveva essere rilegato in pelle umana, che altro avrebbero potuto aspettarsi? Lui non conservava opere di principianti.

Gli viene un intenso istinto di scagliarli fuori da quella sala, afferrarli per le vene e cacciarli lontano. L'altro istinto, più antico, paziente e conscio della sua terribile posizione, comprende che ci deve essere un motivo per la loro presenza in quel luogo.

"Avete un solo minuto per spiegare il motivo della vostra intrusione", ringhia.

Probabilmente non si sono accorti del suo arrivo, dato che sobbalzano tutti al suono della sua voce. Arlinn e Teferi sono le uniche eccezioni. Per Sorin è fastidioso vedere quanto sia facile per Teferi rimanere tranquillo e imperturbabile di fronte a tutto ciò. Molto peggio, lo sguardo del lupo si sposta sulla lettera.

"Penso che tu sappia il motivo per cui siamo qui, Sorin", gli risponde lei. "La domanda importante è: che cos’è quella?"

Potrebbe rifiutarsi di rispondere. La verità, per quanto lui possa essere restio ad ammetterla, è che lei ha ragione. Lui sa bene il motivo per cui lei è giunta. La notte eterna è di cattivo auspicio per gli umani che le stanno tanto a cuore. Ovviamente, lei si trova in quel luogo per chiedergli di nuovo aiuto.

E, se quello è il momento in cui essere onesti. . .

Scaglia la lettera sul tavolo. La ladra lo afferra istantaneamente e la piromante si sporge da dietro una spalla per leggerlo. Come una ragazzina, non riesce a trattenere la sensazione di stupore.

Wedding Invitation
Invito al Matrimonio | Illustrazione di: Justyna Gil

"Si tratta di un invito", risponde lui.

"Un invito?", ripete Arlinn. Anche lei si sporge per vedere meglio la lettera, ma ormai gli altri le stanno bloccando la visuale con la loro curiosità.

"A un matrimonio. Il matrimonio di Oliva Voldaren." Il nome ha l’effetto di un veleno sulle sue labbra. "Si è impossessata di mio nonno. Se questo matrimonio viene celebrato, daranno origine alla più imponente delle famiglie di vampiri. Saranno... sarà la dominatrice dell’intero Innistrad."

Arlinn strappa la lettera dalle mani della piromante. Lui la osserva mentre legge, percepisce le sue labbra al lavoro, la osserva mentre si rende conto che non è una menzogna.

Poi la vede alzare lo sguardo e scorge in lei una sorprendente risolutezza. "Sembra proprio che abbiamo un matrimonio che non possiamo perderci."