Episodio 2: Il risveglio dei troll
Sul fondo dell’imbarcazione di Cosima, Kaya era sdraiata sulla schiena e osservava il cielo notturno scorrere sopra di lei. Era tutto ciò che poteva fare; quella barca non era dotata di remi o di timone. Appena lei era salita a bordo, quella strana imbarcazione aveva iniziato a muoversi improvvisamente, allontanandosi dal molo; comprese che, quando Alrund le aveva detto che la nave l'avrebbe "guidata lungo la via verso il suo destino", ciò che voleva dire è che non avrebbe avuto alcun controllo della direzione. Non aveva nulla da fare se non rimanere sdraiata e riflettere.
I reami di Kaldheim non erano più vicini tra loro di quanto lo fossero gli altri singoli piani... l'abisso che si trovava tra l’uno e l'altro era più assoluto, dato che la capacità innata di Kaya di viaggiare tra piani non le permetteva di spostarsi da un reame all'altro. Anche le divinità di questo mondo andavano incontro a notevoli difficoltà nell’attraversamento del Cosmo.
Secondo Inga, vi erano delle eccezioni. Occasionalmente, come risultato dell’ingegno o per effetto del caso, si aprivano collegamenti temporanei tra due reami; le chiamavano vie dei presagi. Ciò che i popoli temevano erano invece le collisioni dei reami, scontri celestiali che erano ritenuti portatori di grandi disastri. L’ultima volta che Bretagard era entrato in collisione con Karfell, una gelida terra di spettri e cadaveri ambulanti, una legione di non morti era avanzata fino alla fortezza dei Beskir prima di essere sconfitta. In base ai racconti sul passato, una collisione dei reami non aveva mai creato un collegamento tra il loro regno e Immersturm, dimora dei demoni; se ciò dovesse accadere, le conseguenze sarebbero impossibili da determinare... l’ultima volta che un singolo demone era giunto su Bretagard, la devastazione che aveva portato era stata così grande da assegnare il suo nome al momento più tetro e più squallido dell’anno.
In effetti, sembrava esattamente il tipo di evento da cui si era detta di stare lontana in futuro. Mantieni il controllo, Kaya. Sei alla ricerca di un pericoloso mostro che potrebbe provenire da un altro piano. Ti terrà senza dubbio occupata.
Un delicato tum risvegliò Kaya dal suo sonno privo di sogni; la sua mano si posò immediatamente sull’impugnatura del pugnale, ancor prima che lei si rendesse conto di dove fosse.
Aspetta. Dove si trovava esattamente?
Si mise seduta e fece una smorfia a causa di una fitta alla schiena. Quella imbarcazione poteva essere un potente artefatto in grado di navigare attraverso la magica energia del Cosmo, ma non era sicuramente comoda come letto. Una densa nebbia si era chiusa sulla superficie dell’acqua dietro di lei, ingoiando tutto tranne il rumore della marea che si infrangeva sulla poppa. Davanti a lei, la prua era sollevata su una riva fangosa ricoperta di radici.
"Questa è la mia fermata?", disse Kaya, più a se stessa che al nulla intorno a lei. Saltò giù dalla barca e i suoi stivali affondarono immediatamente nel nero e umido terreno. Mentre si stava chiedendo se dovesse legare l’imbarcazione a una delle spesse radici che sporgevano sulla riva, vide che iniziò a muoversi all’indietro come se qualcuno o qualcosa la stesse spingendo. Dopo pochi istanti, era già scomparsa all’interno di quella nebbia.
"Grazie per il passaggio", sussurrò. Che cosa avrebbe fatto se il mostro fosse andato di nuovo su un altro reame? A questo però decise che ci avrebbe pensato più tardi. Afferrò un ramo per trovare stabilità e si arrampicò lungo quella riva, fino alla foresta.
Kaya aveva trascorso molto tempo in luoghi antichi. Chi si specializza in questioni che dovrebbero essere defunte ma in realtà non lo sono si ritrova un bagaglio di esperienza ricca di tombe antiche e città dimenticate. Non era però mai stata in un luogo così selvaggio che desse anche la sensazione di essere molto, molto antico. Ogni albero era piegato dall’età; i più giovani sembravano aver già vissuto secoli. Ogni tanto si imbatteva in costruzioni in pietra crollate, quasi non riconoscibili sotto il muschio che ricopriva ogni superficie. Tutto aveva l’aspetto di una reliquia di tempi perduti, una conferma della vittoria finale del tempo. In un’ora di cammino, Kaya aveva individuato solo una struttura integra, un'imponente arcata in pietra. Era probabilmente l’entrata di una qualche gigantesca fortezza ora sommersa; oppure gli abitanti di quel luogo avevano bisogno di ingressi alti sei metri.
La foresta sembrava non terminare mai. A ogni passo, Kaya si guardava intorno, alla ricerca di quelle venature di metallo dall’aspetto organico e dal colore argenteo che aveva visto nella caverna nel profondo dell’Aldergard. Forse un’impronta enorme e inquietante. O forse qualche segno di artigli. Non c’era nulla del genere. Nessun indizio che facesse pensare che quel mostro si trovasse in quel luogo.
Kaya si era fermata per riposare appoggiata al tronco di un albero caduto, quando udì un chiacchiericcio di voci lontane. In un istante balzò in piedi. Grazie, splendenti divinità di questo piano. Non sarebbero probabilmente state persone accoglienti come i Cercapresagi, ma almeno avrebbe potuto chiedere informazioni su quel luogo a qualcuno.
Spinse di lato i pesanti e cadenti rami e si accovacciò sotto una sporgenza di muschio, continuando nella direzione delle voci. Si ritrovò infine in una radura. Da un lato vide un enorme blocco di pietra lavorata e rivestita da una sbiadita trama intrecciata e una cresta di funghi. In ogni altra direzione di quella radura vi erano rumorose creature dall'aspetto bizzarro.
Sebbene fossero incurvate, erano alla sua altezza, quindi l’avrebbero sovrastata facilmente una volta correttamente in piedi. Avevano tutte un colore verde... alcune più pallido, altre più intenso e altre ancora con chiazze ripugnanti... una pelliccia bruna che avvolgeva le loro forme scheletriche come uno scialle e immense zanne che sbattevano rumorosamente tra loro a ogni movimento della bocca mentre parlavano in una lingua per lei incomprensibile. Troll. Non ne aveva visti negli altri luoghi di Kaldheim, ma non aveva alcun dubbio. Se le informazioni dei Cercapresagi erano corrette, questi troll erano di una varietà dal carattere non raccomandabile.
Fortunatamente erano troppo impegnati a parlare tra loro, con anche qualche zuffa, per accorgersi di lei. Kaya stava indietreggiando con molta calma verso la direzione da cui era giunta, quando una figura apparve sull’enorme roccia. Non era un troll, bensì un uomo che un cappuccio da cui pendevano e tintinnavano alcuni piccoli dischi in oro. Alla cintura era una guaina con una spada.
Dall’ombra dietro quella pietra sbucarono quattro troll di dimensioni ben più grandi rispetto agli altri. Le loro vesti erano delle arrugginite e malfatte cotte di maglia e ognuno di essi possedeva una specie di arma... clavi, asce, spade spezzate. Quello con l’ascia colpì sonoramente il blocco di roccia e sbraitò un qualche ordine con la sua voce grezza e gutturale. Le chiacchiere della folla cessarono e l’uomo incappucciato spalancò le braccia, rivolto verso di loro.
"Amici", disse con una voce bassa e risonante. "Mi conoscete con molti nomi. Alcuni mi chiamano l’ingannevole e altri il forgiatore di rune. Alcuni mi hanno affibbiato il nome di principe degli inganni e altri di dio delle menzogne. Tutti però mi conoscono con il nome di Valki e il mio primo dono, il dono del linguaggio, non ha alcun costo. Udite le mie parole; comprendetele. Ciò che ho da dirvi è della massima importanza."
Un dio? Qui? Per lo meno questo non fa finta di essere un vecchietto. Però, pensò Kaya, c’è qualcosa di strano in lui. Un qualcosa che non era in grado di definire.
"Un periodo di grandi conflitti ci attende! Presto si aprirà una via verso mondi crudeli e violenti, pieni di creature avide e perfide! Se non vengono fermati, questi esseri feroci raderanno al suolo la foresta di Gnottvold! Uccideranno con le loro spade i fieri clan dei troll!" Smise di parlare e si gustò quel nervoso schiocco di denti. "Questi nauseanti invasori bramano"... fece una pausa, come per cercare le parole giuste... "bramano di mettere le mani sui tesori dei vostri cunicoli!”
A quella frase, la folla esplose in un urlò di rabbia. Valki lasciò che si sfogassero per alcuni momenti e poi alzò le braccia per invitarli alla calma. Poiché i troll continuavano ad agitarsi, uno dei giganteschi bruti in armatura usò la propria clava per sfasciare il cranio a uno dei troll in prima fila, riuscendo così a zittire la folla.
"Abbiamo però una soluzione a questo problema... i clan di Gnottvold devono attaccare per primi! Troppo a lungo siete rimasti divisi da sciocche rivalità! Unitevi e colpite e nessuno sarà in grado di fermarvi!"
In quel momento Kaya comprese ciò che si trovava davanti agli occhi; Valki era luccicante. All’inizio era leggero, molto diverso dalla radianza dirompente di Alrund. Sarebbe stato facile da ignorare... ma Kaya aveva dato la caccia a nemici immateriali per molto tempo. Aveva esperienza nell’individuare flussi di energia molto delicati. Ciò che aveva davanti a sé era un’illusione. Kaya sapeva che non era possibile che quell’illusione potesse essere stata creata dal dio delle menzogne.
Discretamente, Kaya architettò una magia. Nulla di raffinato... Solo una leggera purificazione, una delicata rimozione di un velo. Sarebbe bastato un tocco di vento e
Soffiò con delicatezza verso Valki e piccoli granelli di luce bianca si sprigionarono dalle sue labbra tese. La magia si sviluppo, facendo turbinare l'aria intorno a sé e crescendo fino a un vento che scosse le chiome della folla. Una volta che giunse su Valki, sembrò strappargli l’intero corpo; dove prima era il dio delle menzogne, ora si trovava un uomo dalla pelle rossastra con due gigantesche corna e un’espressione di grande sorpresa. "Chi osa...? Svela la tua identità!", sputò con rabbia.
Pessima idea, si disse Kaya. In effetti, quando mai le sue idee si erano rivelate valide? Decise di uscire allo scoperto. "Credevi di cavartela con questa pessima illusione, vero?", gli disse Kaya. "I troll che ritieni sciocchi non avrebbero capito nulla. Ti è andata male, Tibalt."
L’angolo della sua bocca si sollevò in un ghigno. L’espressione non sembrò però smorzare la sua rabbia. "Un’ottima capacità di osservazione. Abbiamo già avuto il piacere di incontrarci?"
"No. Ma... come si dice? La tua fama ti precede." Certo, aveva udito molte storie su questo diavolo planeswalker e nessuna di esse era positiva.
"La tua gentilezza mi delizia. E chi ho il grande piacere di avere di fronte?"
"Il mio nome è Kaya."
"Hmm. Mi suona familiare. Ah, sì, subdola e ladra, se ricordo bene. Un’assassina."
"Un’accusa interessante, proveniente proprio da te. Che ci fai qui?"
Tibalt alzò le spalle. "Potrei farti la stessa domanda. Noi planeswalker abbiamo l’abitudine di immischiarci degli affari degli altri, non è vero? Come avrai probabilmente già capito, io ero intento in qualcosa di importante, prima che tu interrompessi così maleducatamente, quindi, se mi permetti... uccidetela!"
I troll radunati spostarono lo sguardo tra lei e Tibalt, insicuri sul da farsi. I più grandi, quelli vicino al blocco di pietra, non esitarono; balzando come animali, si fecero strada tra la folla, scagliando molti dei più piccoli a terra. Il primo che raggiunse Kaya fece roteare la propria ascia con entrambe le mani ed emettendo un folle ruggito. Il colpo passò attraverso la parte del corpo di Kaya che era però svanita e l’impeto lo fece inciampare su una radice e carambolare a terra.
Il secondo tentò un affondo con un’arrugginita spada dall'aspetto antico. Kaya si spostò di lato e lo spinse con forza. Un istante prima che colpisse l’enorme albero di fianco, lo rese momentaneamente incorporeo; quando il suo corpo riprese forma, si trasformò in un orribile groviglio di membra verdi che sporgevano dal tronco come orrendi rami. Gli ultimi due esitarono al bordo della folla, evidentemente timorosi dopo aver visto la fine dei loro compagni.
"Nessun problema", disse Kaya. "Continua a fare ciò che stavi facendo."
I troll si guardarono tra loro. Un istante dopo gettarono le armi e fuggirono di corsa. Kaya alzò lo sguardo appena in tempo per vedere Tibalt voltarsi e scomparire tra gli alberi. Quel pezzente vuole davvero obbligarmi a inseguirlo?
Seguì le sue tracce attraverso il fitto di alberi e boscaglia. Tibalt aveva un buon vantaggio, ma non poteva rendere il suo corpo immateriale a piacimento; lentamente ma in modo continuo, svanendo per passare attraverso gli alberi caduti e le arcate in pietra in frantumi, Kaya accorciò le distanze. Infine, in un tratto di terreno tra una serie di colline ricoperte di muschio da un lato e alcune pericolanti strutture in legno dall'altro, lo raggiunse. Tibalt si accovacciato per riprendere fiato.
"Riesci proprio a correre come un diavolo!", le disse ridendo e con la voce spezzata.
"Hai finito?", gli rispose Kaya. "Dimmi perché ti trovi qui. Che cosa ottieni infervorendo un branco di troll? Qual è il tuo guadagno?"
"Tesoro mio", le disse Tibalt con un’espressione che metteva bene in mostra i denti aguzzi. "Il caos è un guadagno in sé e nulla è in grado di offrirmi un sorriso più di una splendida giornata di confusione. Non riesco invece a comprendere lo scopo della tua presenza qui. Questo luogo non è la tua dimora. E questo sicuramente non è il tuo popolo."
Lei aveva riflettuto su questi aspetti, certo. Ma lei aveva un obiettivo in quel luogo. "Su Kaldheim esiste un mostro. Un essere che non appartiene a questo piano. Sei sicuro di non averci nulla a che fare?"
Tibalt reclinò il capo. "Un mostro? Oh, no, mi stanno tremando le gambe! Devo subito cercare dove nascondermi! Subito..."
"Non ti azzardare ad andare via; i tuoi servitori troll non sono qui a proteggerti questa volta. Non che siano in grado di farlo, comunque."
"Oh, non ce la farebbero mai!", rispose Tibalt con un ghigno che generò sospetti in Kaya. "Per lo meno non quegli sciocchi Hagi. Sei stata molto brava a occuparti di loro. Per quanto riguarda invece i loro cugini, i Torga... beh, su di loro potrei anche scommettere qualcosa."
Si portò due dita alle labbra ed emise il fischio più acuto e intenso che Kaya avesse mai udito. Kaya sussultò e si portò le mani sulle orecchie per ripararsi, inginocchiandosi. Una volta terminato quel fischio, si guardò intorno freneticamente, pronta ad affrontare una legione di troll alla carica proveniente dalla foresta, ma non sembrò esserci nulla tranne le colline erbose e le strutture in rovina.
"Sembra che i tuoi giganteschi e pericolosi troll non stiano arrivando", lo schernì Kaya. "Ora direi che è il momento di..."
Un rombo al di sotto dei suoi piedi interruppe la sua frase e la collina più vicina a Tibalt si sollevò di mezzo metro. Anche il ghigno di lui si sollevò.
"In realtà", le disse Tibalt, "sembra che i tuoi occhi non siano così di falco come credi."
Uno dopo l’altro, si liberarono dal terreno e inondarono la radura con un mare di zolle di terriccio nero. Di fianco a Kaya, le strutture in legno sembrarono ribaltarsi, come se un behemoth si stesse liberando da sotto il terreno e scuotendo quei pezzettini di legno.
Erano imponenti... alti almeno sei metri, con creste ossute lungo il corpo che avevano l’aspetto dell'andamento del paesaggio. Kaya notò i loro pugni, delle dimensioni di enormi macigni. Nella loro lunga e liscia chioma crescevano erba e muschio; su quello che era emerso da sotto la struttura in legno penzolavano assi e travi come se fossero parte di una primitiva armatura. Nel profondo dei loro volti geologici brillavano dei piccoli occhi rossi. Uno sbadigliò, mostrando una bocca colma di gialle e contorte zanne.
"Devi sapere che i troll Torga detestano essere risvegliati dal loro profondo sonno", le disse Tibalt. "Una volta svegli, hanno sfortunatamente la tendenza a massacrare chiunque e qualsiasi cosa si trovi di fianco."
"Sei impazzito?!", sibilò Kaya, voltandosi verso i troll dietro di lei. Ne contò sei. "Ci uccideranno entrambi!"
Da dietro di lei provenne un insolito e innaturale suono... uno stridio intenso come se qualcuno stesse affilando l'aria stessa. Kaya di voltò e vide Tibalt con la spada sguainata. Rimase stupita da quell’oggetto. Forgiata con un qualche tipo di vetro, sembrava contenere un mutevole spettro di colori che lei aveva visto solo una volta, proveniente dal corpo di Alrund.
Vicino a Tibalt era una frattura del mondo. Non c'era altro modo per descriverla; fluttuava in aria, con i bordi lacerati, irregolari e impercettibilmente brillanti. Calore e un qualcosa di solforoso sembravano fuoriuscire e, attraverso quella lacerazione, Kaya intravide un terreno nero dilaniato da fessure vulcaniche.
Tibalt sollevò la spada e la osservò ghignando. "Una magia affascinante. Vorrei augurarti buona fortuna, ma questo augurio mi renderebbe un bugiardo, vero?"
Detto ciò, attraversò il portale. I bordi si richiusero dietro di lui e svanirono... lasciando Kaya sola con i troll.
Estrasse i suoi pugnali con la maggiore lentezza possibile. Magari sarebbe riuscita ad allontanarsi senza dover affrontare un combattimento. "Ascoltate... colui che vi ha risvegliati se n’è appena andato, ma se mi date un attimo per spiegarvi..."
Uno dei troll caricò un colpo con il palmo della mano, come se volesse schiacciare un insetto. Ce l’avrebbe fatta, se Kaya non fosse stata pronta a svanire. Pur non avendo ricevuto il colpo, l’impatto con il terreno le fece tremare i denti. "D’accordo", si disse. "Ci ho provato."
Conficcò una delle sue lame nel braccio del troll... o, per lo meno, questo fu ciò che tentò di fare. Era come cercare di pugnalare una roccia. Si udì uno schiocco deciso e Kaya vide il pugnale che possedeva fin da Tolvada spezzarsi in due. Lo stupore durò un solo istante, sufficientemente lungo da permettere al troll di agitare una delle sue enormi mani e scagliarla dall'altro lato della radura.
Si rialzò in piedi, con ancora la testa che risuonava per la botta. Era da tanto che non veniva colpita così forte. Cambiò la presa sul pugnale rimanente, afferrandolo con la punta verso il basso. "Quella lama mi piaceva."
Era però andata a finire a tiro di un altro troll, che cercò di strapparla come un ramoscello, passando invece attraverso il corpo immateriale e afferrando solo l'aria. Finita alle spalle del troll, affondò l'arma in una gamba; l'arma scivolò sulla spessa pelle, lasciando solo un delicato graffio. "Accidenti", imprecò mentre schivava un rovescio di un altro troll.
Sfuggì rotolando tra le gambe di un terzo, evitando di pochi centimetri un goffo tentativo di afferrarla. Era giunto il momento di combattere in modo più sporco. Avvolse la sua lama in energia eterea la conficcò tra due enormi vertebre ed estrasse la mano appena prima che si rimaterializzasse. Calcolò bene i tempi... e la ricompensa fu un profondo ruggito per il dolore causato dalla lama che si era solidificata nella colonna vertebrale. Con uno schianto tremendo, il troll crollò al suolo.
"Chi vuole essere il prossimo?", urlò voltandosi verso gli altri. Aveva dedicato un po’ di tempo a quella sceneggiata, dato che non c’era nulla di cui preo...
Sentì il dolore esplodere sul fianco sinistro e subito dopo si ritrovò a terra, rotolante. Il troll che aveva appena abbattuto... quello che apparentemente l’aveva aggredita... era di nuovo in piedi; poteva riconoscerlo dal graffio sulla gamba. Anche loro guariscono, pensò tra un’ondata di nausea e l'altra. Perché qualsiasi cosa su questo piano guarisce?
Gli altri troll ruggirono e batterono i pugni sul terreno, disponendosi in un semicerchio che oscurava il sole. Una contro sei. Aveva vinto in situazioni peggiori. Ma aveva delle armi in quelle situazioni. Ora un pugnale era rotto e l'altro era conficcato in un troll furioso. Kaya fece un respiro profondo e sussultò per lo strattone che sentì sulle costole.
"Hai bisogno di una mano?", le disse una voce proveniente dalla sua sinistra.
Appoggiato a uno degli antichi e serpeggianti alberi di questo luogo era un uomo con lunghe trecce rosse. Dalle orecchie a punta Kaya comprese che era un elfo, ma il suo corpo era più muscoloso di quanto fosse abituata a vedere per gli esemplari della sua razza. Ne andava evidentemente fiero, poiché, nonostante il freddo, non indossava nulla sopra la cintura. Aveva solo una collezione di monili che penzolavano da collane e un paio di parabraccia, con una lama in ottone appesa a uno di essi. C’era qualcosa nella sua disinvolta e rilassata postura che lo faceva sembrare giovane, anche considerando la sua appartenenza a un popolo che aveva sempre un aspetto giovane.
"Da quanto ti trovi qui?", gli chiese lei.
"Abbastanza a lungo per capire che non te la stai cavando molto bene. Non ti biasimo. Un Torga da solo è un duro avversario, figuriamoci sei tutti insieme. Sei fortunata, stavo passando proprio da qui."
Quell’atteggiamento la infastidì. Per un momento, Kaya diede la schiena ai troll in avvicinamento, sempre intenzionati a farla a pezzi. "Senti, ragazzino, restane fuori se non vuoi farti male. Mi so difendere da sola."
"Non ne sono del tutto sicuro. Tu hai già perso entrambe le tue lame, mentre io ho ancora a disposizione la mia arma segreta."
"Parli di quegli affari che hai sui polsi?"
"Oh, no. Mi riferisco a questo." Lanciò in aria una piccola pietra piatta. Poi ci giocherellò con le mani.
Kaya strabuzzò gli occhi. "Questa sarebbe la tua arma segreta? Una pietra?"
Sorrise e si incamminò verso i troll come se non avesse alcuna preoccupazione.
"Ehi! Fai attenzione!", urlò lei. Stupido ragazzino... ora sarebbe stata costretta a salvare anche lui. L’opzione della fuga era sfumata. Lo rincorse e si preparò a farlo svanire, ma era ancora troppo lontano.
Per i troll apparentemente non vi era differenza; sarebbero stati pronti a massacrare un nuovo avversario. Si avvicinò a loro e uno di essi caricò un pugno ricoperto di fango. Senza fare una piega, lo schivò.
Era rapido, questo glielo concesse. Anche senza capacità di diventare immateriale, colpire quell’elfo sembrava impossibile per quegli apatici troll. Erano capaci solo a colpire il terreno su cui si trovava dopo essersi facilmente spostato di lato; oppure a sbattere le mani in aria, dopo che lui aveva fatto un semplice passo indietro. Per loro era come afferrare il fumo o imbottigliare la luce. Più di una volta Kaya pensò di averlo visto attendere più a lungo del necessario, in modo che il colpo dei suoi nemici lo mancasse solo di pochi centimetri. Per mettersi in mostra.
Nel frattempo, il pugno in cui era stretta la pietra si stava trasformando; la pelle del braccio e della mano sembrava diventare dura e levigata e di un colore grigio della stessa tonalità della pietra. Uno dei troll tentò di schiacciare l’agile elfo nel piano roccioso sotto la collina, quando lui balzò improvvisamente in avanti. Non colpì la creatura con quella lama in ottone agganciata al braccio; sfiorò semplicemente una gamba della creatura con la sua nuova mano di pietra.
Dal nulla, la stessa trasformazione che stava agendo sul braccio del giovane elfo iniziò a diffondersi rapidamente sulla gamba del troll. La pelle dal colore tra il verde e il grigio, già rugosa e butterata, si mutò in pietra. Quella trasformazione stava continuando lungo il busto con una velocità preoccupante. La pesante creatura ebbe appena il tempo di spalancare la sua bocca piena di zanne dalla sorpresa; tutto si trasformò in pietra, bloccandola in quell’espressione di stupore.
Un troll prese un albero e lo utilizzò come una clava per attaccare l’elfo, che balzò su di esso, piegò il corpo per passare elegantemente tra due rami e atterrò rotolando. Nel movimento, appoggiò una mano su una spalla del troll; dopo pochi momenti, anche quella creatura si era trasformata in roccia.
Schivò un altro colpo, pietrificò un altro troll e poi un altro ancora. Tutto durò meno di un minuto. Dopo aver sconfitto tutti gli avversari, l’elfo si mise le mani ai fianchi e osservò con orgoglio le enormi statue che aveva scolpito lui stesso. Aveva un atteggiamento così tronfio che Kaya fu infastidita nell’ammettere che era un combattente notevole. "Ti sei difeso bene, ragazzo."
Lui la guardò con un’espressione aspra. "Smettila di chiamarmi così!"
"Come dovrei chiamarti allora?"
"Tyvar Kell. Principe degli elfi di Skemfar. Il più grande eroe di tutti i reami. Tuo personale salvatore."
"Tyvar, d’accordo", rispose cercando di non alzare gli occhi al cielo. "Io sono Kaya. Ti ringrazio per il tuo aiuto, ma che cosa ci fa un grande eroe come te nel mezzo di questa foresta? Forse mi stavi pedinando?"
"No, non te. Valki."
"Quello non era Valki", disse Kaya avvicinandosi al luogo dove il suo pugnale si era spezzato. Infilò la parte metallica nella guaina e appese l’elsa alla cintura. "Si chiama Tibalt." In quale di quei troll si trovava l'altro pugnale? Sarebbe stato difficile da trovare... soprattutto ora che erano tutte statue. Passo comunque una mano attraverso uno di essi, analizzandolo con attenzione. Era tutto di pietra. Imprecò a bassa voce.
"Sì, avevo avuto questo dubbio; grazie per aver rivelato la sua identità. Era da un po’ che avevo dei sospetti su di lui. Recentemente era venuto alla corte per parlare con mio fratello. Non so quali menzogne abbia raccontato ad Harald, ma da quel giorno gli elfi hanno iniziato a prepararsi per la guerra. Alcuni dicono che intendano marciare contro gli dei." Kaya si voltò appena in tempo per scorgere che la spavalderia e la baldanza di prima erano scomparse. Aveva un aspetto giovane e preoccupato... un istante dopo, aveva già rialzato le spalle e rigonfiato il petto, ma non abbastanza velocemente da sfuggire a Kaya. Se Tibalt aveva cercato di creare problemi al suo popolo, lei non poteva biasimarlo per la sua preoccupazione.
"Non ho idea di come le legioni pensino di potersi spostare fino al reame degli dei", terminò lui.
Oh, accidenti. "Una collisione dei reami. Alrund ha detto che una collisione dei reami è imminente", rispose Kaya.
A quelle parole, Tyvar apparve sorpreso quanto le statue dei troll dietro di lui. "Una collisione dei reami? E lo hai sentito da Alrund in persona?"
"Sì. Una brava persona. Mi ha prestato una barca."
"E... questo Tibalt. È un tuo nemico?"
"Sicuramente non un amico. Non so quali siano i suoi piani, ma creerà problemi in un modo o in un altro."
"Lo inseguiremo insieme allora. È evidente che tu abbia bisogno del mio aiuto", disse Tyvar, sorridendole in un modo che non era ancora riuscito a non infastidirla. Con un atteggiamento come questo, pensò, questo ragazzo si farà ammazzare. Non che fosse un problema suo. "Ascolta, io ho altre questioni di cui occuparmi. Non posso rincorrere ogni singolo malvagio che si affaccia con la sua odiosa e cornuta testa. In ogni caso, non saprei neanche dove inseguirlo."
"Che cosa intendi dire?"
"Ha utilizzato una spada per aprire una specie di portale."
"Hai visto qualcosa? Di ciò che c’era dall’altra parte, oltre quel portale", disse Tyvar.
"Non molto. È rimasto aperto per un solo secondo", rispose Kaya, cercando di riflettere. "Ricordo di aver visto fiamme. E il terreno era come se fosse stato carbonizzato."
"Immersturm", disse Tyvar. Quel nome la colpì allo stomaco; aveva udito Inga sussurrare storie di quel luogo. Il reame dei demoni. Tyvar sembrava inspiegabilmente entusiasta per quella notizia.
"Bene, a meno che tu non abbia una barca magica a disposizione..."
Tyvar aveva già chiuso gli occhi. Distese le braccia di fronte a sé e Kaya, istintivamente, fece un passo indietro. Nell’aria intorno, correnti di mana iniziarono lentamente a piegarsi e contorcersi in complessi intrecci brillanti. Kaya comprese di aver già assistito a una magia come questa... era sembrata quasi spontanea quando Alrund aveva aperto un passaggio verso un altro reame, ma le basi erano le stesse. Quando si creò l'apertura verso quello scintillante scenario notturno del Cosmo, lei provò nelle orecchie una strana decompressione, come se l'aria fosse improvvisamente scomparsa da quella radura. Tyvar riaprì gli occhi; di fronte a loro si trovava un portale.
"Dove hai imparato a creare questa magia?", disse in un fiato Kaya.
"Gli stregoni di Skemfar sono degli esperti creatori. E io sono l’esperto tra gli esperti", disse con il suo solito sorriso. "Ho visitato tutti i reami di Kaldheim. I miei talenti si presentano in modo un po’ diverso in ognuno di essi."
Kaya si avvicinò e qualcosa attirò la sua attenzione. Tra i monili intorno al suo collo, tra le ossa, le gemme e i piccoli oggetti contorti di metallo, c’era un ottaedro di pietra scura. Sulle facce erano presenti delicate e precise incisioni... in uno schema che aveva già visto. Ma non in questo mondo.
"Ah", commentò lui notando lo sguardo di lei. Sollevò la piccola pietra in modo che venisse illuminata meglio. "Puoi ammirarla. L’ho trovata in un reame remoto, uno di cui neanche le saghe narrano. Si chiamava...
"Zendikar", terminò la frase lei. "Per tutti gli spiriti. Sei un planeswalker."
Il sorriso di lui si fece incerto. "E che cos’è esattamente un planeswalker?"