"Questi boschi appartengono a noi", le aveva detto lui. Si dice che lui non parli molto, ma aveva parlato a lei. Forse perché era la prima caccia a cui lei partecipava. A quel tempo era una ragazza selvaggia e allo sbando, con il volto segnato da polvere, sangue e terriccio. Assorta nei suoi pensieri, si era detta che avrebbe dovuto cominciare a sistemarsi i capelli, se quella situazione di fosse presentata altre volte.

"E gli abitanti del Kessig?", si era sentita spinta a chiedere.

Tovolar aveva sbuffato.

Lui l’aveva guardata dritta negli occhi e lei aveva risposto al suo sguardo penetrante. Era una domanda che aveva un senso. Si era portata le gambe più vicine al petto. "Penso che... penso che ci sia spazio per entrambi."

Tovolar, Dire Overlord
Tovolar, Signore Funesto | Illustrazione di: Chris Rahn

Quanto strana era dovuta apparire, ricoperta di sangue e con lo sguardo diretto verso il villaggio al quale aveva timore di tornare. Il villaggio che stava ora difendendo. Tovolar era rimasto con lei dopo che aveva ripreso la forma umana. Era lieta della sua compagnia; il pensiero di rimanere sola in quel momento era peggiore del pensiero di dover affrontare la propria famiglia. Per quanto non si sentisse per niente a proprio agio, la situazione era più sopportabile sapendo di non essere sola.

Tovolar era ciò che più spaventava il Kessig. Aveva sentito parlare di lui nei precedenti quattro o cinque anni, aveva udito delle sue azioni e anche di molte che non aveva realmente compiuto. Intere mandrie di bestiame massacrate. Incursioni all’interno di case e devastazioni. Si diceva che uccidesse i vampiri, che si cimentasse nella magia oscura, si diceva di tutto su di lui.

Ma quel mattino, quando si era risvegliata in quelle condizioni, lui le aveva portato una coperta ed era rimasto vicino a lei. L’uomo seduto di fianco a lei era un insieme di muscoli e zanne, ma si era reso più minuto per non spaventarla. Con la sua voce rasserenante, le aveva spiegato ciò che era successo.

La prima domanda che aveva posto lei era se avesse ucciso qualcuno. "Non questa notte", era stata la risposta di lui. Così è come è iniziata la loro conversazione. Questo era stato il primo momento di silenzio davvero spiacevole.

Poi si era alzato. Non aveva avuto bisogno di chiederle di seguirlo.

Lei lo aveva semplicemente fatto.


Muta la sua forma prima di sapere ciò che sta facendo, entra nei boschi vicino alla strega e continua a correre, con i vestiti che cadono a terra lungo il cammino. I lupi non l'aspettano. Saetta è davanti a tutti, si volta verso di lei e lei risponde con un cenno del capo.

L’ululato rompe il silenzio dei boschi, un silenzio che non è un vero silenzio, formato da migliaia di vite intense. Lei conosce quel silenzio. Lei conosce quell’uomo.

E lui, ovviamente, sa che lei si trova in quei boschi.

Arlinn non si rende conto del perché, ma non si aspettava nulla di diverso.

Non sa cosa aspettarsi una volta che lo avrà di fronte.


"La caccia è la nostra natura", le aveva detto.

Queste parole non le erano piaciute. C’era qualcosa di sbagliato, una qualche magia oscura nell’aria. Nelle prime ore del mattino, avrebbero potuto incontrare chiunque o qualsiasi cosa; di sicuro ci sarebbero stati cacciatori nella foresta. Di sicuro ci sarebbero state persone, abitanti del villaggio, che avrebbero potuto vederla insieme a lui e magari capire ciò che le era successo.

"Ma, se fosse solo cacciare, le persone non avrebbero paura", gli aveva detto. "Non è necessario uccidere le persone."

Sapeva come funzionava, come ogni altro abitante del Kessig. Le persone recuperavano i corpi dai boschi ogni mattina. Era necessario, soprattutto dopo le notti di luna piena. I lupi mannari erano abbastanza da gestire... nessuno avrebbe voluto aggiungere i geist ai già pesanti problemi del Kessig. I cacciatori si recavano spesso nella fucina di suo padre, alla ricerca di nuove armi. A volte raccontavano ciò che avevano visto... bestie più grandi di due uomini messi insieme, in grado di strappare le carni con la stessa facilità con cui il vecchio Kord divideva in due un foglio di carta. Le loro armi decoravano la casa, insieme ai simboli sacri che non erano in vendita.

Suo padre le diceva che l’avrebbero protetta. E anche tutti gli altri dicevano lo stesso.

Ma Arlinn non era mai riuscita a trovare una rassicurazione nell’attitudine severa del villaggio. Con loro, era sempre una questione di ciò che non potesse fare... non poteva entrare nei boschi, non poteva suonare il flauto troppo forte, non poteva accogliere gli sconosciuti o fare nuove amicizie quando giungevano dei viaggiatori. La circospezione e l'angelo li tenevano al sicuro, quello era il pensiero comune, ma la chiudevano anche in un mondo ristretto e noioso.

Non ci fidiamo di voi. Andatevene... questo era ciò che il suo villaggio comunicava al mondo. Non sarebbe potuto essere diverso?

Quando aveva udito l’ululato, si era resa conto che , c'era qualcosa di più. Quella melodia appariva così felice, così rassicurante, così. . .simile alla voce di un vecchio amico.

Una vita libera da muri, libera da simboli sacri. Una vita libera dalla paura e ricca di qualcosa di diverso.

Nascosta dall’oscurità della notte, se ne era andata.

Tovolar si era voltato verso di lei. "Questo è ciò che pensi?"

"Sì", aveva risposto lei, con tutto il cuore.

Lui aveva scosso la testa e aveva continuato a camminare. Lei lo aveva seguito.


Il mondo non era stato più lo stesso dopo la prima caccia. Non si rendeva conto di quanto fosse limitato il punto di vista degli umani fino al giorno in cui non aveva guardato il mondo con quello dei lupi; non si era resa conto di quanto quella prospettiva fosse solo una piccola parte del mondo. Con la sua vista da umana non era in grado di cogliere le larve che si contorcevano nel sottobosco, con il suo olfatto da umana non poteva sentire l’odore del sangue nell'aria a chilometri di distanza, con il suo gusto da umana non poteva assaporare il sapore pungente della notte.

Come lupo, è in grado di provare tutte quelle sensazioni. E sa che lui si trova a breve distanza. Percepisce il suo odore molto prima di vederlo. Nello stesso modo, percepisce l’odore di coloro che sono con lui... alcuni conosciuti e altri sicuramente mai incontrati.

In che guaio ti sei infilata? , si chiede.

Quando infine gli alberi si fanno meno fitti e riesce a individuare la sagoma di lui, si ferma. Lui è di fronte a lei, con gli occhi penetranti come sempre, circondato da enormi lupi. Arlinn non è la più piccola della cucciolata, ma questi nuovi venuti sono dotati di braccia enormi come gli alberi intorno a lei. Uno indossa la catena di una barca come bandoliera. Non è troppo presto per aver mutato forma?

Tovolar, attorniato dal proprio branco, ha le dimensioni di un uomo normale. Ma è tutto tranne che un uomo normale. Questo è ben chiaro nella mente di Arlinn mentre gli si avvicina e lui cerca di sorriderle con quel volto burbero. "Sei tornata a casa."

"Sono venuta per indagare", risponde Arlinn. Scrutando i nuovi venuti, trattiene un ringhio spontaneo. "Chi sono questi?"

Tovolar si ferma vicino a Zannarossa. I peli sulla schiena di Arlinn si rizzano.

I loro sguardi si incrociano e poi lui si allontana.

Non ha bisogno di dirle di seguirlo.


Lo stomaco di Arlinn era stato sul punto di svuotarsi. Un fetore dolce e pungente si era fatto strada lungo la sua gola. Sapeva bene ciò che avevano di fronte e voleva che Tovolar smettesse di guidarla. Lei voleva smettere di seguirlo.

Ma, in quel caso, dove sarebbe andata? Ora era un lupo, proprio come lui. Qualsiasi cosa fosse successa, se si fosse ritrovata da sola, sarebbe andata probabilmente incontro alla pazzia.

Non poteva semplicemente andarsene.

Aveva quindi deciso di seguirlo e, quando Tovolar le aveva indicato i corpi, aveva fatto del suo meglio per non vomitare. Ma il suo meglio non era stato sufficiente. Tre cacciatori dilaniati come animali, con le costole in vista e il terrore dipinto sui volti. Le balestre e i dardi d’argento era sparsi intorno a loro come aghi di pino. I simboli di Avacyn erano nelle loro mani, ricoperti di sangue. Ovunque volgesse lo sguardo, trovava qualcosa di peggio e il suo stomaco continuava a sopraffarla con i suoi conati e a espellere la carne secca di cervo che si era goduta nel suo ultimo pasto.

Tovolar aveva sbuffato. Le aveva messo una mano su una spalla e l’aveva invitata a osservare di nuovo quei corpi.

"Ti prego", aveva balbettato. "Non voglio guardare."

Ma lui aveva tenuto una mano sulla spalla di lei. "È necessario che tu comprenda."

Aveva fatto un respiro profondo. "Ma perché? Che cosa c’è da. . .?"

A quel punto l’aveva lasciata andare, abbastanza a lungo per dirigersi verso i corpi. Un passo di lui equivaleva a tre di quelli di lei. Inginocchiato di fianco ai corpi, si era voltato verso di lei. "La scorsa notte, che sensazioni hai provato?"

Lei aveva deglutito a fatica. "Mi sono sentita libera. Ma non ne vale la pena se..."

"Essere liberi vale qualsiasi prezzo che paghiamo”, aveva risposto lui. Alzandosi, aveva dato un leggero calcio a uno dei corpi con la punta dello stivale. "Sono stufo di rimanere nascosto."

Per quanto fosse strano, nascondersi era l’unica cosa che Arlinn volesse fare in quel momento.


Sente il loro odore ancor prima di vederli apparire.

Altri lupi. Molti altri lupi. Sono in forma umana, ma ciò non cambia la loro essenza, non cambia la loro fame, non cambia il modo in cui gli abitanti del villaggio li osservano. Sono lupi... così come lo è anche lei.

Li osserva confrontare le armature trafugate ai catari, li vede dipingersi linee sulla pelle che rimangono visibili anche sulla pelliccia, li guarda mentre combattono come cuccioli appena nati. Ci sono così tanti nuovi volti e nuovi odori che le fanno girare la testa, spingendola a tornare in forma umana prima che l’orrore penetri in lei.

I suoi occhi, ovviamente, non le svelano l’intera storia.

Quei lupi non hanno l’odore di quelli di Mondronen. Non fanno parte del branco di Tovolar. Perché allora si trovano qui? E gli altri... le guardie di Tovolar, una spanna più alti degli altri... chi sono?

Questa è ben più di una caccia.

Illustrazione di: Ryan Pancoast

Gli ululati che giungono alle sue orecchie le raccontano la maggior parte della storia. Da piccola, si metteva le dita nelle orecchie per respingere quel suono, ma ora non avrebbe potuto non sentirlo. Il richiamo di decine di lupi nella notte, forse un centinaio, che in coro proclamano: Sono con voi, pronto alla caccia.

E quella voce si trova anche alla base della gola di Arlinn, mentre l’arrivo della luna si fa sempre più vicino. Alcuni dei più bramosi, come le guardie di Tovolar, hanno già dato inizio alla trasformazione. Il crepitio e gli scatti delle ossa si uniscono agli ululati lontani per formare una percussione asincrona.

Tovolar si volta verso di lei. Sul suo volto mostra un sorriso e nei suoi occhi si percepisce del profondo orgoglio nel momento in cui si rivolge con gesti energici ai lupi intorno a lui. Vengono accolti da una serie di ululati così intensi che Arlinn li sente in ogni centimetro della sua pelle... l'antico saluto del branco di Mondronen.

"Chi sono queste persone?", chiede lei.

"Famiglia", risponde lui. "Il nostro nuovo branco."

Arlinn aggrotta la fronte. "Non mi sembra un incontro di famiglia. Sembra più una preparazione per qualcosa."

Le spalle di lui si sollevano in una risata. Il suono riecheggia. Lei riconosce quello sguardo. Sa che la risposta che seguirà non le piacerà.

Ma rimane in attesa.

"Ci stiamo preparando per riprendere ciò che ci appartiene", risponde lui. Dietro di lui, già trasformati, due dei nuovi lupi abbattono due alberi per utilizzarli come mazze. "Una volta erano solo i boschi. Adesso anche le notti."

Saetta strofina il naso contro di lui. Fermandosi un istante, Tovolar si inginocchia per accarezzargli il muso. Macigno appoggia il muso contro una spalla di Arlinn, come se le stesse chiedendo il permesso di unirsi a lui. Arlinn deglutisce.

"Tovolar", dice lei, con tono di voce basso, "a che cosa stai dando la caccia?"

Gli alberi cadono. I lupi ululano. Un uomo con un obelisco appoggiato su una spalla. L'aria intrisa dell'odore della fame. Ma anche di sangue... qualcuno è già stato ucciso. Riesce a udire delle mascelle che fanno a pezzi la carne. Non lontano.

La luna si solleva sempre più alta.

Tovolar sfiora la punta del muso di Saetta e gli passa le mani sulle orecchie. Saetta non si siede mai in quella posizione con lei. Perfettamente immobile, senza alcun movimento con la coda. Tovolar appoggia la fronte a quella di Saetta e poi indica... e il lupo scatta in avanti, famelico come la notte.

Lo stomaco di Arlinn si stringe. È solo fame. Tornerà. Ma non vuole perdere altro tempo. Lui si rialza, torreggiante su di lei come sempre, e osserva gli altri prima di spostare lo sguardo su di lei.

"Tutto ciò che vogliamo. Succhiasangue, quando riusciamo a trovarli. I funesti si divertono molto a vederli supplicare."

"I funesti?" osserva, ma conosce già la risposta: i lupi ai suoi lati, quelli giganteschi. "Andare a caccia di vampiri è una cosa, ma non potete..."

Un grugnito tagliente interrompe la sua frase o forse sono solo antichi riflessi. Le sopracciglia di lui diventano più fitte, le sue labbra si ritirano dai denti che diventano sempre più lunghi e la luce svanisce dal suo volto.

"Possiamo fare tutto quello che vogliamo", risponde. "È ciò che ho cercato di insegnarti."

Altri ululati, ora più vicini. Il cuore di Arlinn martella nel suo petto. Sente il desiderio di cacciare. Sente il desiderio di correre.

Si impunta. "No, non potete. Le persone hanno vissuto in questi boschi per generazioni e hanno costruito le loro vite. Tutto ciò che desiderano è una esistenza senza paura, esattamente come noi."

Lui si avvicina a lei, con gli occhi ardenti. "C’è troppa chiesa dentro di te", ringhia. "Troppo poco lupo."

Quando la osserva, è ancora quella che si trovava nei boschi al suo fianco, di nuovo intenta a osservare i corpi dei catari, di nuovo avvolta nella paura.


Quando era tornata a casa quel mattino, aveva trovato la madre in attesa nel salotto. Gli anni pesavano su di lei... e quella notte ancor di più. Le spalle della donna si erano abbassate e grandi borse si erano formate sotto i suoi occhi. Le sue braccia si erano strette intorno ad Arlinn, in un abbraccio piccolo e debole.

"Dove sei stata?", aveva detto con un filo di voce. "Arlinn, hanno trovato quattro dei nostri ragazzi nei boschi, dilaniati proprio come. . ."

Quel giorno, avrebbe potuto rivelarglielo. Avrebbe potuto essere onesta con lei.

Ma i suoi occhi si erano posati su uno dei simboli dell’angelo, plasmato proprio dalle mani di suo padre, e aveva compreso che non avrebbe potuto rivelarle la verità.


Arlinn non è più un cucciolo. Non ha più paura.

La luce della luna rende più facile mutare forma. Le sue ossa scricchiolano e cambiano posizione, plasmandosi in qualcosa di contemporaneamente nuovo e antico. Tovolar, di fronte a lei, si rilassa.

Sorride.

Lei detesta quel sorriso.


Durante la prima caccia, aveva corso insieme a Tovolar. Durante la seconda, insieme a Tovolar e ad altri tre. Durante la terza, insieme a tutto il branco.

Attraversando la foresta, immersa nel brivido della caccia, tutto ciò che voleva era affondare le zanne nelle succose carni di un daino. Aveva ingenuamente pensato che potesse conservare il controllo sui propri istinti abbastanza a lungo da portarlo al villaggio... magari fino alla fucina del padre, per dire che uno dei ragazzi lungo la strada lo aveva lasciato per loro.

Se la tua fattoria è piena di topi, ti procuri un gatto. Se i tuoi boschi sono pieni di lupi mannari, invii i tuoi migliori cacciatori. È naturale.

Si ricordava di aver visto il daino. Si stava abbeverando a un ruscello bianco come la luna e aveva alzato lo sguardo verso di lei, con gli occhi rossi come il sangue. Si ricordava il balzo per aggredirlo. Si ricordava il dolore che era seguito, improvviso e intenso, il fiato che svaniva, il rumore secco della sua schiena sul duro terreno. Si ricordava il proiettile conficcato nel proprio petto. Non si ricordava altro, tranne di essersi risvegliata il mattino dopo circondata dai repellenti resti dei ragazzi che avevano l’abitudine di rubacchiare pezzi di torta dal davanzale della madre. Erano diventati cacciatori, con le balestre al loro fianco.

Aveva sentito il sapore del loro sangue nella propria bocca.

Aveva urlato. Era successo.


Questa è l’unica occasione in cui lei lo può osservare dall’alto verso il basso, quando lei è trasformata e lui non lo è. Adesso è lei che può ringhiare. Gli altri si riuniscono in cerchio, alcuni mutano forma per l’emozione, altri semplicemente attirati dal sapore del sangue. Armi, piedi e zampe battono il terreno: thump, thump, thump.

Lei gli gira intorno, mentre lui rimane immobile.

"Vuoi andare a caccia", le dice lui.

Ed è vero, è proprio ciò che vuole lei. Essere tra i propri simili è una sensazione frastornante. Anche se lei non li conosce, questi lupi conoscono lei, conoscono le difficoltà da affrontare per vivere in un mondo come questo. In un mondo che li vuole morti. Non è forse giusto vivere nonostante questo? Non è forse giusto prendere le loro vite, se necessario anche con la forza?

No, non lo è. Per quanto possa sembrare attraente, non lo è.

Lo deve fermare. Se lo abbatte ora, la lotta per il controllo della caccia potrebbe ritardare il corso degli aventi abbastanza a lungo da trovare un qualche tipo di aiuto.

Il momento è quello giusto.

Ma prima di poter colpire, Macigno balza tra i due. Arlinn arresta il suo assalto all’ultimo momento, con il cuore in gola.

Serve un solo istante per comprendere ciò che sta accadendo, è sufficiente studiare il volto amichevole di Macigno trasformato in speranzoso e affamato.

Saetta si unisce a lui. E anche Zannarossa. Solo Pazienza rimane di fianco ad Arlinn... ma anche lei la osserva in attesa.

Il loro desiderio è cacciare.

Un sorriso si dipinge sul volto di Tovolar. "Il tuo branco comprende."

Uno dopo l'altro, i lupi intorno a loro mutano forma. Quanti di loro si sono già trasformati? Quanti sono ancora su due gambe, in attesa del primo spargimento di sangue?

Pazienza l’aveva attesa ogni giorno, in passato. Adesso è Arlinn nella posizione di attendere gli sviluppi della situazione.

Illustrazione di: Sam Rowan

All’interno della chiesa vi erano simboli ovunque. Al mattino, quando le prime luci dell’alba iniziavano a penetrare attraverso le vetrate, le uniche ombre in quel luogo erano sagome sacre. Per Arlinn non c’era nulla di più gradevole dell’alba. Ogni volta che si sollevava il sole, era una vittoria contro la bestia che dimorava dentro di lei; ogni mattina in cui le sue mani erano pulite rappresentava una promessa per il suo futuro. La bestia era andata via.

I servizi iniziavano nel momento in cui il sole superava le colline del Kessig. All’inizio non era autorizzata a celebrarli, ma vi partecipava ogni giorno con un fervente bisogno di sicurezza, come se la sola vista dell’angelo illuminato potesse offrirle la salvezza.

Forse era così.

O forse erano le persone.

Le stesse persone, a ogni servizio. Le stesse persone accalcate intorno ai testi sacri. Barnaby scherzava sempre con lei sul fatto che fosse sempre stato lui la prima persona a entrare nella cattedrale... e che aveva dovuto cedere questo privilegio a lei. Fidandosi del proprio controllo al livello da trascorrere la notte in cucina con Luciana, che giurava di avere ricette migliori ma che non avrebbe dovuto accettare una scommessa contro la figlia di un panettiere. Padre Zakarias, che domandava sempre con gentilezza se ci fosse altro che lei desiderava confessare e rassicurandola anche quando lei continuava a mentirgli.

Sicurezza e calore. Brave persone. La luce del mattino prometteva tutto questo e molto di più; per molti anni, era stato sufficiente. Con il passare del tempo, aveva smesso di preoccuparsi di ciò che l’aveva portata in quel luogo.

Finché lui non era apparso ai servizi del mattino.

Non aveva detto nulla. Non era necessario. La sua sola presenza era sufficiente. La natura selvaggia in lui era un richiamo per la natura selvaggia in lei; le macchie di terra sull'armatura di lui, i solchi di colore rosso intenso che spiccavano sul bianco e sul giallo bruciato, gli aromi di fuoco, sangue e pino. Tutto ciò che aveva fatto era stato sedersi di fianco a lei. Senza dire una parola.

Ma lei sapeva con un leggero e penetrante terrore che cosa sarebbe successo.

Dopo che se n'era andato, tutti i suoi nuovi amici le avevano chiesto che cosa avesse e lei aveva risposto che non ne voleva parlare. Voleva solo uscire. Aveva bisogno di trascorrere un po’ di tempo da sola. Sarebbe stata meglio.

Quella notte, Arlinn si era chiusa dentro la sua stanza, aveva coperto le finestre con le tende, si era stretta nei propri vestiti e aveva sparso simboli sacri in ogni angolo su cui potesse posarsi il suo sguardo.

Ma era difficile scorgerli nell’oscurità.

Forse era stata quella la causa.

Forse è per quello che non erano stati sufficienti.

Ma non avrebbe mai saputo il perché tutto era accaduto o perché si era svolto in quel modo o quale inaspettata gentilezza avesse spinto Luciana a controllare se stesse bene.

Poteva ricordare il sangue. Poteva ricordare la caccia. Poteva ricordare di aver desiderato trovarsi in qualsiasi luogo tranne quello.

E poi, all’improvviso, si era ritrovata altrove.


Rivivere il passato significa riaprire una ferita e sperare che guarisca in modo diverso.

Lui brama la caccia. I suoi lupi bramano la caccia. L’intero branco brama la caccia.

Ma lei no. E lei deve preoccuparsi della loro sicurezza al suo meglio.

Arlinn si inginocchia. Accarezza la testa di Pazienza, la gratta tra le orecchie e la stringe in un ultimo abbraccio.

"Abbi cura di tutti", le dice. Il suo muso appare strano, le parole non hanno molto senso, ma si augura che Pazienza sappia ciò che le vuole comunicare. Un schiaffo leggero sulle zampe posteriori rappresenta il permesso finale. Arlinn si alza e Pazienza cammina verso di lui.

I lupi radunati ululano e ognuna delle loro voci è come un pugnale nel cuore di Arlinn.

Tovolar fa un cenno di assenso con la testa. "Quando ti sentirai pronta per il nuovo mondo, saprai come trovarci."

Al termine della frase, inizia la trasformazione. Lei non rimane a osservare.


Ritrova il cammino e torna dalla strega. Non è difficile, adesso ne conosce l’odore, ma impiega un po’ di tempo poiché si arresta ogni volta che sente l’ululato di uno dei suoi lupi.

Non ci sono convenevoli. Non ha né il tempo né le energie necessarie.

"Ti farò avere la tua chiave", le dice.

Anche se Katilda si accorge dell’assenza dei lupi, non fa alcun commento; al contrario, invita Arlinn verso la calda luce del fuoco.

Non ci sono lupi in questo luogo.

Ma ci sono delle persone e c’è qualcosa di simile a una luce benedetta; per questa sera, sono sufficienti.

Dawnhart Wardens
Guardiane Albacorno | Illustrazione di: Joshua Raphael

La luce del mattino porta nuovi amici.

Per essere un’antica strega, Katilda è decisamente popolare. Alle prime luci, lei e le sue streghe si riuniscono nel centro dell’accampamento. La magia fluisce dai loro corpi come una serie di correnti che si dividono in aria. Katilda le racconta che è una chiamata, per comunicare al campione scelto dalla congrega che il momento è giunto.

Anche Arlinn ha una sua chiamata, ma non è una magia che la congrega è in grado di vedere. Mentre le streghe sono impegnate con le loro attività, Arlinn si reca su Ravnica. Nulla è mai semplice in quel luogo. Addirittura per accedere alla dimora di Jace, deve compilare tre moduli e pronunciare due giuramenti... e dopo tutto questo non è ancora entrata. Ma va bene così... ci sono gli amici e anche una leggenda vivente.

Arlinn aveva sentito parlare di Teferi, principalmente riguardo a un piano che stava preparando con gli altri, ma non si aspettava che fosse così. . .amichevole e perfino affascinante. Lui è infatti il primo ad accoglierla appena oltrepassa la porta. Il sorriso spontaneo ottiene il suo effetto, ma anche avere a che fare con una persona della sua età dà un buon contributo.

Non che lui abbia l’età di lei. Lui è molto più vecchio, di un’età quasi imperscrutabile. Mentre lui le versa una tazza di tè, lei cerca di non soffermarsi sulle implicazioni.

"Immagino che tu non sia venuta qui solo per farmi compagnia, Arlinn", le dice lui. "Sembra che tu non chiuda occhio da molto."

"È davvero così visibile?", risponde lei. Il tè è ottimo, delicato e corposo, sorprendente per il poco tempo di infusione. In ogni caso, il tè di sua madre è ancora più gustoso. Le manca.

"Se mi vuoi chiedere se io sia in grado di allungare la notte in modo che tu possa riposare di più, la risposta è no", continua lui. La frase è pronunciata con calore, ma Arlinn non riesce a nascondere un sussulto. Teferi si sporge in avanti. "Mi spiace, temo di aver toccato un tasto dolente."

Arlinn non cerca di evitare il discorso. "Le notti su Innistrad sono sempre più lunghe, ma ciò significa che nessuno può riposare. Questo è il motivo per cui sono qui. Qualcosa sta per accadere... i lupi sono. . ."

Non riesce a trovare il modo per concludere la frase e non sa neanche da dove iniziare per spiegare, ma non è necessario. Per lo meno, non a lungo. Qualcuno è arrivato e si sta stiracchiando come un gatto in cima a una scala, qualcuno che inizia a saltellare dall’emozione alla notizia di una visitatrice. Chandra salta il corrimano (e le intere scale) per arrivare prima da loro.

"Arlinn!", urla mentre va a finire su uno dei tavoli di fronte a loro. "Dimmi che hai portato quella ricetta per..."

Forse Arlinn ha davvero un aspetto pessimo, dato che Chandra si interrompe a metà frase. Arlinn sospira. "Temo che dovrai attendere per quello", le risponde. "Come stavo raccontando a Teferi..."

La porta si apre di nuovo e un altro volto nuovo la osserva. Subito seguito da un sopracciglio sollevato. "Ecco, lo sentivo che eri tu quella che ha usato la matita sui moduli da compilare solo a penna!"

È tutto così ridicolo, ma ne aveva proprio bisogno.

Sembrano le mattine con Barnaby e Luciana.

Arlinn si concede una risata, per una volta, per ricordarsi ciò per cui sta lottando.

Anche gli umani si uniscono in branchi.


La ascoltano. Lei ne è grata. Il nome della sconosciuta è Kaya e l’idea della perdita di equilibrio tra notte e giorno la sconvolge silenziosamente fino a portare a un cambiamento decisivo. Decidono di intervenire e aiutare. Ma prima devono incontrare il gruppo di Katilda.

Nel momento in cui appaiono insieme nei boschi, Arlinn sa immediatamente in che direzione andare. Preferisce le torreggianti querce del Kessig rispetto agli angusti edifici di Ravnica... dove sente che le manca l'aria.

Passano sotto gli alberi e gli archi del Celestus e tornano dalla congrega. Chandra osserva quell'antico artefatto con meraviglia e curiosità. Arlinn lo invidia un po’... ma a dire la verità, anche lei prova una certa sensazione di meraviglia.

Quando arrivano, trovano una ventina di volti nuovi. Così tanti in un solo giorno... non sarà facile ricordarsi di tutti. Ma ce la farà. Ed è ciò che desidera. Perché le tre persone dietro di lei sanno ciò che lei in realtà è e nessuna la guarda con la paura negli occhi.

Forse riuscirà a ottenere lo stesso risultato dai catari e dai maghi che sono radunati di fronte a lei. Arlinn non conosce nessuno personalmente, ma sa riconoscere i catari e i sacerdoti a colpo d’occhio... dopo aver indossato le vesti di qualcuno abbastanza a lungo, hai un’idea del suo carattere. Sono tutti intorno alla strega: sei catari, un paio di sacerdoti, per il resto dei robusti abitanti del Kessig senza caratteristiche particolari. Tra loro spicca una donna dal portamento fiero, pelle scura, armatura bianca e un leggero strato di neve sulle spalle. Se si chiedesse a un bambino di descrivere il cataro più coraggioso, si otterrebbe una sua descrizione: armatura rifinita, lineamenti nobili, spalle ampie e occhi gentili. Katilda è intenta a spiegare qualcosa e lei ad ascoltare, ma entrambe si voltano verso i nuovi venuti.

Adeline, Resplendent Cathar
Adeline, Catara Splendente | Illustrazione di: Bryan Sola

"Arlinn Kord, se non mi sbaglio", le dice la catara. La sua voce è piena e risonante... evidentemente è addestrata per parlare in modo autoritario.

"In persona", risponde Arlinn. "E loro sono i miei amici... Kaya, Teferi e ..."

"Chandra Nalaar", si inserisce la piromante. "Il mio nome è Chandra. E qual è il tuo?"

La catara sorride e ridacchia. "Adeline andrà benissimo. È un piacere conoscervi, Arlinn, Kaya, Teferi e Chandra Nalaar. Katilda dice che siete qui per dare una mano con il Raccolto?"

Arlinn ha la sensazione che Chandra aiuterebbe Adeline in qualunque cosa le chiedesse, ma non può permettersi distrazioni dal loro obiettivo. "Siamo qui per aiutare a trovare la chiave", risponde Arlinn. "I festival non sono la mia specialità, temo."

Kaya si schiarisce la voce dietro di lei. "Non avevi detto nulla riguardo a un festival."

"Katilda ritiene che sia necessario", commenta Arlinn.

"Lo è", risponde Katilda. La sua voce rimbomba nonostante la breve distanza tra loro e, mentre gli eroi si uniscono al gruppo più grande, i suoi occhi rimangono fissi su quelli di Arlinn. "Il rituale è un’attività precisa, senza possibilità di errore. Non puoi saltare delle fasi nell’utilizzo della magia antica."

"È una questione di temperamento", dichiara Teferi. "Più antica è la magia, più i suoi rituali sono rigidi."

"Lui comprende", afferma Katilda.

Arlinn non trova la forza di lottare e Teferi prende parola. "Cosa hai bisogno che facciamo, esattamente? Arlinn ci ha parlato del rituale." Indica gli elementi del Celestus sopra di loro con il bastone. "Quando troviamo la chiave di selenargento, che cosa dobbiamo fare?"

"Portatela al centro del Celestus. Arlinn sa dove", risponde lei. "Io vi starò aspettando con la congrega. La uniremo alla serratura di eliodoro e completeremo il rituale."

"Sai dove possiamo trovare la chiave?", chiede Kaya. "Qualche idea, qualche informazione sui luoghi dove è stata vista le ultime volte?"

Katilda sospira. "No. È stata trafugata alla congrega Albacorno secoli fa."

"Va bene", risponde Kaya. "Allora penso che sia meglio se ci mettiamo subito alla ricerca. Arlinn, hai qualche idea?"

Non aveva mai sentito parlare di una chiave di selenargento prima della notte precedente e tutto ciò che conosceva del Celestus erano le vecchie leggende, ma aveva una certezza. "Qualcosa troveremo a Thraben. Potrebbe essere stata la chiesa a impossessarsi della chiave."

"E, in tal caso, sono sicura che sia ben nascosta", aggiunge Adeline. Arlinn annuisce. "A Thraben, allora."

"Oh. . .siete sicure che Thraben sia un luogo sicuro?", chiede Chandra. "Siete sicure che dobbiamo andare proprio là? L’ultima volta non è andata così bene e non era affatto un posto sicuro." Adeline la osserva in modo indagatore e Chandra aggiunge rapidamente: "Non che io abbia paura, sia chiaro."

Arlinn sospira. "So di cosa parli... ma le cripte dovrebbero ancora essere intatte."

È passato molto tempo dall’ultima volta in cui Arlinn ha visitato la cattedrale.

Si augura che vada meglio di quell’ultima volta.