Episodio 2: la corsa verso l’enclave celeste di Murasa
Nahiri era deliziata e allo stesso tempo esasperata. Deliziata perché l’antica chiave, soluzione del suo problema a portata di mano, era al sicuro nelle sue tasche. Esasperata perché la sua avventura più recente con Nissa aveva mostrato in modo evidente che non sarebbe stata in grado di esplorare l’enclave celeste di Murasa da sola con la certezza di sopravvivere. Per quanto avrebbe voluto pensare diversamente, se non ci fosse stata Nissa nell’enclave celeste di Akoum insieme a lei, non sarebbe riuscita nell’intento di recuperare la chiave.
Fortunatamente, di fronte all’imponente ingresso di Portale Marino, sapeva dove avrebbe trovato il migliore gruppo di avventurieri di Zendikar.
Era trascorso molto tempo dall’ultima volta in cui era stata a Portale Marino. Non aveva l'aspetto che ricordava. La città era stata rasa al suolo durante la guerra con gli Eldrazi e, nonostante Portale Marino fosse stata ricostruita, i suoi edifici mostravano ancora alcune cicatrici.
Lo stesso si poteva dire per i suoi cittadini.
Camminando in quelle strade, Nahiri venne investita dal senso di colpa e mantenne lo sguardo dritto davanti a sé. Non voltò lo sguardo neanche per osservare il sontuoso faro che torreggiava sull’ingresso della città o per controllare i mercati all’aperto, in cui umani, Kor e tritoni vagavano e contrattavano di fronte ai banconi. Sbirciò appena nella direzione del nuovo monumento commemorativo della guerra, una enorme piattaforma circolare con sei imponenti edri in pietra posizionati a distanze identiche tra loro e circondati da frammenti del relitto originale di Portale Marino. Diversamente dagli abitanti di questa città, Nahiri non aveva bisogno di un monumento per avere bene a mente ciò che aveva perso.
Man mano che si avvicinava alle Gilde, le strade intorno a lei diventavano sempre più strette e intrise di aromi di pesce fresco e carni grigliate delle taverne. La avvicinarono venditori ambulanti e mercenari affamati, per cambiare rapidamente strada appena coglievano il barlume dei suoi occhi. Non aveva tempo da perdere in quelle avventure da poco. La chiave nascosta nella sua tasca aveva un grande peso.
Quando giunse infine alla casa di spedizioni di Portale Marino e attraversò il portone in ferro battuto, venne immediatamente colpita dai rumori, dal calore e dagli odori di birra stantia e viaggiatori. Erano spazi ridotti e pieni di persone di ogni razza, seduti intorno a tavolate ricoperte di boccali o intenti in vigorose discussioni con potenziali clienti che offrivano avventure. In mezzo a quel caos, come l’occhio di una tempesta, si trovava Kesenya, colei che era al comando della casa di spedizioni.
Era una Kor alta e fiera, con un’armatura argentea e ricche vesti viola. La sua chioma bianca era sistemata in modo complesso e intorno al suo collo era una collana di colore rosso brillante, che non poteva essere altro che il leggendario collarino del drago. Era contornata da avventori e ammiratori che sgomitavano per ottenere le sue attenzioni. Quando vide Nahiri, si alzò immediatamente e si liberò delle persone intorno a sé con una qualche scusa, dirigendosi verso l’estremità opposta della stanza.
"Benefattrice", le disse in tono discreto, "è sempre un onore accogliervi."
"Mi fa piacere vedere che il mio investimento sta generando frutti", rispose Nahiri a voce bassa. "Andiamo a parlare in un luogo più privato."
"Certamente." Kesenya la guidò verso una stanza nascosta, piccola ma ben arredata e con cuscini sulle panche e mappe delle enclavi celesti sulle pareti. Una fresca fornitura di birra venne portata e posta sul tavolo.
"Sarò schietta", le disse Kesenya, sedendosi di fronte, "Mi sorprende che siate giunta qui. Di solito siete un po’ più
"Io sono la persona che ho bisogno di essere", rispose Nahiri con una leggera emozione nella voce. Mise una mano sulla chiave nella tasca. "E ora ho bisogno di una squadra abile e coraggiosa per recuperare qualcosa di molto prezioso e molto potente."
"Siete venuta nel posto giusto", le disse l’altra Kor. "Immagino che abbiate già una squadra in mente?"
Nahiri sorrise.
Quattro avventurieri sedevano di fronte a Nahiri nella stanza riunioni privata della casa di spedizioni. Akiri, una donna Kor rinomata in tutto Zendikar per le sue doti di lanciafuni. Una piccola maga umana di nome Kaza con un lungo bastone scolpito, ritenuta una adoratrice delle fiamme e con maliziosi occhi scintillanti. Orah, un chierico Kor dalla lunga barba bianca e dalla conoscenza paragonabile a quella di un’intera biblioteca. Zareth, un tritone dalla chioma rossa fiammante e una barba intrecciata. Dei quattro era l’unico che era rimasto in piedi. Era invece appoggiato alla parete, intento a osservarla con un’aria di sfiducia che convinse istantaneamente Nahiri a decidere di porre sempre attenzione in futuro a questo personaggio.
"Il mio nome è Nahiri", disse. "Sono alla ricerca di avventurieri degni di racconti leggendari. Vi voglio proporre di unirvi a me per una spedizione, con partenza immediata."
Gli avventurieri non risposero. Ognuno di loro assunse un’espressione a vari livelli di scetticismo.
Bene, pensò lei. Non accettano alla cieca. .
"Che cosa vi ha detto Kesenya di me?", chiese Nahiri mettendosi comoda sulla sua sedia.
"Solo informazioni superficiali", rispose Akiri, lentamente. Lei, comprese Nahiri, era il loro comandante.
"Ha detto che sei in grado di viaggiare tra un reame e l’altro. Che la roccia obbedisce al tuo volere. Che il tuo potere è talmente grande da poter affrontare un Eldrazi da sola", aggiunse Orah spingendosi in avanti. "È tutto vero?"
Vorrei tanto che l’ultima frase fosse vera, pensò con amarezza Nahiri.
"È tutto vero", rispose lei dopo una pausa.
Orah sorrise, con un’espressione da ragazzino soddisfatto che scopre che le sue storie preferite sono reali. Akiri si voltò e scambiò uno sguardo con Zareth.
"Allora perché hai bisogno di umili avventurieri come noi?", chiese Zareth raddrizzando la posizione e avvicinandosi al tavolo.
Perché è molto probabile che andrei a finire in una trappola, pensò lei.
"Esiste un oggetto antico chiamato nucleo litoforme", rispose Nahiri. Fece una pausa per ingoiare l’orgoglio. "E ho bisogno di aiuto per recuperarlo."
"Dove?", chiese Akiri incrociando le braccia.
"Murasa. In un’enclave celeste che si è appena sollevata", rispose Nahiri, notando come quel nome fece sporgere leggermente in avanti gli avventurieri per l’interesse. "Ne avrete sentito parlare, vero?"
Si scambiarono altri sguardi. "Nessuno è mai stato in grado di arrivarci", commentò Kaza nervosamente.
"Nessuno ha mai messo insieme la squadra migliore", rispose Nahiri, sorridendo dentro di sé nel notare le loro posture diventare più tronfie.
"E noi che cosa ci guadagniamo?", chiese Zareth. Akiri lo fulminò con lo sguardo, ma lui sollevò una mano e continuò, "Se decidiamo di rischiare la vita, dobbiamo sapere per quale motivo."
Le narici di Nahiri avvamparono leggermente, ma riuscì a controllare l’impazienza. "L’oggetto che cerco ha il potere di guarire Zendikar dalle sue cicatrici. Può rendere questo mondo di nuovo sicuro e fiorente, come era prima dell'arrivo degli Eldrazi." Nahiri bevve un lungo sorso, lentamente, per creare un effetto di attesa. "Immaginate la fama e le ricchezze per coloro che saranno riusciti a salvare questo mondo."
"Il danno inflitto a questo mondo", commentò Akiri, "è immenso."
"Io ho perso la mia intera famiglia a causa degli Eldrazi," rispose Orah sommessamente.
"Io ho perso gli amici," aggiunse Kaza.
"Tutti noi abbiamo perso qualcuno", continuò Akiri voltandosi di nuovo verso Zareth, "e penso che un mondo più sicuro sia il sogno di chiunque. Sembra impossibile." Akiri si voltò e guardò in modo deciso verso Nahiri, che poté vedere una scintilla di speranza nei suoi occhi. "Se metà dei tuoi successi corrispondono a verità, potrebbe esserci una possibilità." Akiri si appoggiò alla sedia e quel breve scintillio di speranza scomparve. "Se crediamo alle tue parole."
"Io non ci credo", rispose Zareth. "Che cosa ci impedisce di impadronirci del nucleo senza di te?"
Nahiri sorrise, ma non con gli occhi. "Io possiedo la chiave", rispose estraendola dalla tasca. Come una piccola stella, che mise sul tavolo. La chiave pulsava ardentemente e i quattro avventurieri fecero istintivamente un movimento all’indietro.
"Wow", sospirò Kaza.
Nahiri rimise la chiave in tasca, concentrandosi per mantenere la pazienza.
"Prima di prendere una decisione, potresti partecipare a un gioco?", chiese Zareth.
Gli occhi di Nahiri si strinsero per il sospetto. Si sentiva però anche attratta da quel comportamento. "Che tipo di gioco?"
"Zareth", disse Akiri con un tono di avvertimento.
"Un gioco di carte", rispose lui, voltandosi poi verso Akiri. "Lo proponiamo a tutti i nostri potenziali clienti. Perché con lei dovrebbe essere diverso?"
Akiri aggrottò la fronte e Nahiri ebbe seri dubbi sul fatto che lo proponessero davvero a tutti i loro clienti. Era però curiosa. "Bene", disse, "dimmi le regole."
Akiri cedette il posto a Zareth, rimanendo però dietro di lui e mettendogli una mano sulla spalla. Lui le rispose con un sorriso e appoggiò la propria mano su quella di lei.
Nella mano libera apparve, apparentemente dal nulla, un mazzo di carte consumate. "Le compagnie di avventurieri danno a questo semplice gioco il nome Conquista." Con grande maestria, pose quindici carte in circolo sul tavolo. Poi toccò il tavolo nel centro dell’anello e le carte iniziarono a roteare e volteggiare a mezz’aria.
"Funziona così", spiegò Zareth, "viene scelta una carta a caso." Come istruita dalla sua voce, una carta dell’anello si spostò verso il centro e si rivelò. Era una splendida immagine di un intricato motivo di gemme e occhi. Nel centro era una singola parola: Astuzia. "Dobbiamo raccontare una storia vera su come abbiamo padroneggiato la parola scritta sulla carta. Se la storia non è abbastanza imponente, un altro giocatore ha la possibilità di prendere la carta."
"Sembra abbastanza semplice", commentò Nahiri. Troppo semplice.
"Oh, lo è", rispose Zareth, "ma c’è un trucco. Se vinco io, tu ci dici esattamente che effetto può avere il nucleo su Zendikar."
Nahiri si mise comoda nella sua sedia e unì le dita. "Se invece vinco io, tu e i tuoi compagni verrete con me all’enclave celeste di Murasa."
I quattro avventurieri si scambiarono altri sguardi e Akiri fece un cenno di assenso a Nahiri.
"Inizio io." Zareth studiò intensamente la carta, come se fosse in difficoltà nel trovare una storia sufficientemente astuta. "Una volta ho incontrato un mercante di libri, più ladro che studioso. L’ho illuso di essere in possesso di una rara e pericolosa pergamena e, durante le trattative, l’ho depredato dei tomi che aveva preso in prestito dalla biblioteca di Portale Marino. Lui non se n’è mai accorto."
La carta Astuzia scattò e finì tra le mani di Zareth. Nahiri sollevò un sopracciglio e sorrise. "Il mio soprannome è Ingannevole."
Significa che non posso fidarmi di te, pensò Nahiri, socchiudendo le palpebre.
"Tocca a me", disse lei. Una seconda carta si spostò dall’anello al centro. Su di essa era scritto Nemico.
Nahiri sorrise. Questa era facile. "Un giorno esisteva una persona che era come un padre per me. Dopo secoli ha però tradito la mia fiducia. Non molto tempo fa, ho combattuto contro di lui una battaglia apocalittica. E ho vinto."
Zareth la osservarono con stupore.
"Non puoi avere davvero quell'età", disse Kaza.
"E non ci sono state battaglie di quella portata dopo gli Eldrazi", aggiunse lentamente Orah.
Nahiri bevve un lungo sorso di birra, sorridendo. Con calma, sporse una mano in avanti e la carta scattò. "No, non in questo reame."
Per un istante, la sicurezza di Zareth sembrò vacillare.
Bene, pensò Nahiri.
"Voglio giocare anche io", disse Kaza spostandosi con la sedia più vicino al tavolo. La sua carta era Vittoria.
Kaza si lanciò in un racconto di come un tempo aveva distrutto un’intera nidiata Eldrazi con una serie di magie e una fiala esplosiva ben piazzata. Nahiri stava a mala pena ascoltando. Sospettava che ci fosse qualcosa di più in questo semplice gioco di carte ed era in attesa che la trappola si rivelasse.
Non accadde nulla.
Finché non sentì qualcosa. Le dita che stavano sfiorando la sua tasca erano delicate, come il più leggero sussurro. Non si sarebbe accorta di nulla se non fosse stato per il pavimento in pietra su cui si era mosso l’Ingannevole. Quando alzò lo sguardo dalle sue carte, entrambe le mani di lui erano di nuovo sul tavolo.
"Tocca a te", disse Zareth con un sorriso subdolo.
La parola sulla carta era Potere.
Nahiri si mise comoda sulla sedia e studiò il suo avversario per un lungo istante.
Poi fece schioccare le dita e trasformò tutte le carte in granito. Zareth e Kaza fecero un balzo dalla sorpresa e lasciarono cadere le loro carte rumorosamente sul tavolo. Nahiri aprì una mano e l’intero mazzo schizzò nel suo palmo.
"Ho vinto", disse Nahiri con lo sguardo fisso su Zareth. "Adesso ridammelo." Aprì l’altra mano.
Attonito, Zareth estrasse rapidamente la chiave dalla sua casacca e la consegnò senza fiatare.
Di fianco a lui, Kaza scoppiò a ridere. "Ti ha fregato, Zareth."
"Ha vinto lei", aggiunse Akiri, "sebbene la parola onestamente non possa mai essere applicata a un gioco a cui partecipi tu." Gli mise una mano intorno alle spalle. Poi si rivolse a Nahiri, "Quando si parte?"
Nahiri si alzò in piedi. Aveva vinto ma, per qualche motivo, quella vittoria non aveva un sapore dolce. Si incamminò verso la porta. "Domani. All’alba."
Zareth imprecò per aver restituito la chiave a Nahiri. Gli altri lo presero in giro per aver perso in maniera così evidente contro quella strana donna Kor, ma smisero quando lui non rispose con il suo solito sarcasmo.
Decisero di lasciarlo tranquillo e terminarono le loro birre, per poi preparare il viaggio del giorno dopo. Zareth non se ne andò. No. Rimase nella casa di spedizioni di Portale Marino e si concedette un’altra bevuta, mentre le ore passavano e la sala gremita si svuotava.
Chi aveva permesso a Nahiri di cambiare il suo mondo?
Era quasi mezzanotte ed era l’unico rimasto.
Insomma, lui e Kesenya. Non era un problema per lui. Zareth si domandò se la condottiera della casa dormisse mai.
"Non devi partire al mattino?", chiese lei, avvicinandosi a lui.
"Sì", rispose lui, "ma voglio godermi questa serata, nel caso dovesse essere l’ultima."
Kesenya lo studiò per un lungo istante. "Bugiardo", gli rispose.
"Va bene", disse Zareth. "Questo oggetto che cercheremo nell’enclave celeste di Murasa... mi preoccupa."
La condottiera della casa non disse nulla e gli fece cenno di continuare.
"Ci ha detto che è sua intenzione utilizzarlo per cambiare Zendikar", proseguì Zareth, "riportandolo a come era prima che gli Eldrazi venissero imprigionati."
Kesenya si mise a ridere delicatamente. "Lo racconti come se fosse negativo, Ingannevole."
"Hai visto quelle antiche rovine", rispose lui in modo secco, con la rabbia accumulata nella giornata che stava iniziando a fuoriuscire. "Pensi che ci possa essere posto per persone come noi in un mondo di fortezze di eserciti?"
Per la prima volta, la condottiera della casa non sembrò avere un’espressione di sicurezza. "Non è così semplice. Nahiri è
Zareth scosse la testa. "Ciò che mi interessa è solo trovare un compratore per il nucleo che sia ricco e stupido. Qualcuno che non voglia davvero usarlo", disse. "Mi occuperò del resto."
Kesenya esitò, in preda al conflitto. "Portami il nucleo e ci penserò", rispose infine.
Zareth sorrise. Non era un sì, ma non era neanche un no. Era sufficiente per lui.
Almeno per quel momento.
Quando finalmente arrivarono alla Baia dello Sfascio su Murasa, Akiri fu la prima a scendere dal suo grifone e mettere piede a terra. Le formidabili scogliere dell’isola si sollevavano sopra di loro e una foresta di giganteschi alberi di harabaz le circondava. L’attenzione di Akiri era però orientata sull’enclave celeste di Murasa, incombente molto al di sopra dell’intricato groviglio di rami degli alberi di harabaz. L'antica rovina fluttuante era imponente, ricoperta di vegetazione e piccoli alberi da cui scendevano cascate. Le sue parti si muovevano a mezz’aria seguendo le correnti e, evidente anche dalla limitata visuale del terreno, Akiri si rese conto del pericolo dell’arrampicata.
Sorrise. Adorava le sfide.
"Accidenti", commentò Kaza osservando verso l’alto, "sembra proprio dura. Meno male che ci ha assoldati."
"Questa sarà leggendaria", commentò Akiri.
"È ora di muoverci", disse Nahiri scendendo dal suo grifone. "Il nucleo litoforme è vicino."
"Come sapremo dove trovarlo, una volta arrivati lassù?", chiese Zareth a braccia incrociate. Akiri gli lanciò uno sguardo di avvertimento. Aveva importunato Nahiri durante tutto il viaggio con domande sul nucleo, senza nascondere la sua disapprovazione.
Nahiri lo osservò in modo feroce. "Lo saprò." Si voltò e si diresse verso Kaza e Orah.
"Non è una risposta", brontolò Zareth con voce sufficientemente bassa da farsi udire solo da Akiri. "Non mi fido di lei." Afferrò la mano di Akiri e le loro dita si incrociarono.
Akiri sospirò. Poteva percepire la tensione nella sua postura, la preoccupazione che fuoriusciva.
"Lo so", gli disse, "ma ho la sensazione che abbia un forte desiderio di proteggere Zendikar. Non credo che voglia danneggiarlo, anche se non comprendo il perché." Esistevano molte cose al mondo che Akiri non comprendeva e Nahiri era una di esse. Strinse la mano di Zareth, saldamente, poi la lasciò e si diresse verso gli altri. Un istante dopo, udì dietro di sé le lunghe falcate di lui.
"Quanto grande è esattamente questo nucleo?", chiese Orah mentre caricava un rotolo di funi sulle spalle.
Nahiri aggrottò la fronte. "Non ne sono sicura."
"Allora", disse Kaza allegramente, "potrei farlo levitare, se necessario. O spingerlo con le correnti d’aria. Sì, potrei sicuramente farlo."
"Lo terrò a mente", rispose Nahiri con un leggero sorriso.
"E come possiamo essere sicuri che questo nucleo funzioni?", chiese Zareth.
Nahiri si voltò verso di lui e rimase in silenzio, con un’espressione e una postura rigidi come la pietra. Per un istante terribile, Akiri temette che potesse attaccare Zareth. Si preparò istintivamente a scattare.
Nahiri fu più rapida.
Con un leggero movimento, Nahiri estrasse la chiave splendente dalla tasca, la avvicinò a Zareth e pronunciò una parola che Akiri non comprese. Akiri scattò in avanti, ma venne arrestata da un lampo così lucente da obbligarla a coprirsi gli occhi.
"Zareth!", urlò terrorizzata.
La sua vista impiegò un lungo straziante secondo a tornare limpida.
Akiri notò due cose.
Zareth era ancora in piedi nello stesso posto, intatto e stupito. Akiri emise un sospiro di sollievo.
Poi c’era un enorme e furioso sconquassatore bloccato nel gesto di un salto, dietro Zareth. Le sue fauci erano spalancate, con le lunghe zanne ben visibili, e due delle sei zampe erano a pochi centimetri da lui, pronte a colpire. Fu evidente che la belva feroce aveva intenzione di uccidere e che era stata fermata all’ultimo momento.
Akiri afferrò le sue corde, pronta per legare e abbattere quella bestia.
Prima di poterlo fare, lo sconquassatore iniziò a trasformarsi in povere. Dopo pochi istanti non vi era più traccia della creatura, ad esclusione di un mucchietto di granelli neri.
"Questo", disse Nahiri rimettendo in tasca la chiave, "è solo un assaggio del potere del nucleo."
"Dov'era questo nucleo quando stavamo combattendo contro gli Eldrazi?", chiese Akiri con un tono pieno di meraviglia. "Ne avremmo avuto proprio bisogno."
Nahiri rimase di nuovo in silenzio, ma questa volta il suo volto mostrava senso di colpa e dolore. "Dobbiamo proseguire", rispose rigidamente. "Non dobbiamo rimanere sul terreno."
"Iniziate a salire sugli alberi", ordinò Akiri. Fece un breve cenno a Zareth e agli altri. "Io vi raggiungo in un istante."
Akiri fece finta di controllare di nuovo le sue attrezzature, mentre gli altri iniziarono la salita sull'albero di harabaz. Una volta spariti dalla vista e con voci appena udibili, scrollò le spalle. Questa sarà un’avventura che entrerà nella leggenda.
"Se qualche benevola divinità è in ascolto", sussurrò Akiri alle scogliere e agli alberi. Raramente credeva in qualcosa di più dell’ottima preparazione e della rapidità, ma quel giorno fu diverso, "che faccia arrivare la mia compagnia a destinazione sana e salva."
Non fu una preghiera degna di nota, poiché lei non gradiva infastidire le divinità. Akiri lanciò le funi dietro una spalla e inizio ad arrampicarsi.
Con la coda dell’occhio vide qualcosa muoversi. Si irrigidì, si voltò e vide una macchia nera apparire sotto uno degli alberi vicini, proprio dove Nahiri aveva utilizzato la chiave. Sembrava un tentacolo di sabbia nera. Stava crescendo lentamente, serpeggiando intorno al tronco, facendo avvizzire le foglie, i rami, la corteccia e trasformandoli in qualcosa di rigido e immobile.
Come pietra.
Akiri tremò.
Molte erano le cose che non comprendeva di questo mondo e questa era una di esse.
Iniziò a salire rapidamente.
Quando Jace giunse a Portale Marino, si chiese se stesse iniziando dal posto giusto. In base a ciò che Nissa gli aveva detto su Ravnica, sapeva che Nahiri era qui, su Zendikar. E aveva dedotto che anche Nissa fosse ritornata su questo piano. Il dubbio era dove fossero.
Portale Marino, si disse, sarebbe stato un valido punto di partenza.
Non era più tornato dopo la battaglia contro gli Eldrazi, quando la città era stata praticamente rasa al suolo. La torre del faro all’ingresso era stata frantumata e, per effetto di Kozilek, la corruzione si era riversata in ogni strada della città.
Il faro era stato ricostruito, alto e fiero, e le strade erano pulite e splendenti. Jace le attraversò, nella speranza di incontrare Nissa e di riuscire a compiere i passi giusti di nuovo. Lei era una sua amica e, sebbene lui non fosse sempre stato un buon amico, voleva tentare di essere un amico migliore.
Vorrei che Chandra fosse qui, pensò. Aveva cercato di rintracciarla prima di venire su Zendikar, ma invano. Jace sospettò di non avere molto tempo prima che Nahiri portasse avanti il suo piano.
Perso nei suoi pensieri, Jace non reagì quando qualcuno lo chiamò.
"Ehi, eroe", gridò qualcuno da dietro di lui. "Tu eri uno dei difensori di questa città durante la guerra, vero?"
Jace si voltò e vide una donna avvicinarsi. Indossava una leggera armatura in cuoio e metallo dai colori oro e rosso e un mantello di colore verde foglia. La sua chioma era nera e raccolta in una treccia e il suo volto era rugoso ma con brillanti occhi verdi. O, più precisamente, un brillante occhio verde. Metà del suo volto era un intrico di cicatrici, in cui Jace riconobbe le ferite della corruzione. La sua mano destra era ritorta e zoppicava leggermente.
"Sì, sono io", rispose Jace.
"Ne ero sicura", disse lei con un sorriso. "Mi ricordo il tuo mantello blu. Ho combattuto poco distante da te."
"Davvero?" Jace cercò nei suoi ricordi, ma quel giorno il livello di caos era troppo elevato. Un giorno di grande rovina.
"Sì. Ho tenuto a bada uno sciame di mostri. Tutto stava andando per il verso giusto
"Mi dispiace", rispose lui, insicuro su cosa dirle. Si augurò che lui e gli altri planeswalker fossero stati più rapidi, più risoluti durante quella battaglia.
La donna lo osservò in modo curioso. "Non dispiacerti. Sono riuscita ad aiutare una decina di persone prima di essere colpita. Se dovessi compiere quella scelta di nuovo, non cambierei nulla." Sorrise e Jace dovette ammettere che il suo sorriso era ancora affascinante. "Il mio nome è Mara. Sto andando al monumento. Vuoi venire insieme a me?"
"Sarebbe un onore per me", rispose Jace con sincerità.
Camminarono insieme fino all’imponente piattaforma con i sei edri in posizione verticale. Si inginocchiarono insieme alla base di uno di essi. Jace poté udire Mara sussurrare e chiedere perdono agli amici che aveva perduto nella battaglia. Perdono per non essere stata in grado di salvarli. Perdono per essere sopravvissuta mentre loro erano caduti.
Jace sentì una stretta al cuore. Non aveva idea di quali fossero gli amici a cui lui avrebbe dovuto chiedere perdono.
Pensò a Nahiri e a quanto cercasse disperatamente di riportare questo piano al suo passato splendore. Pensò a Nissa che dava la colpa a se stessa per aver cercato di compiere le scelte giuste per il mondo che amava.
Pensò a Gideon che aveva rinunciato a tutto per questo piano.
"Sono colpevole anche io", sussurrò delicatamente, così delicatamente che la vicina Mara non poté udire le sue parole, "ma sistemerò la situazione."
Sfortunatamente, non tutti a Portale Marino erano così collaborativi. Gli si avvicinarono molte persone, ma erano principalmente mercanti o avventurieri solitari alla ricerca di un finanziatore. Non riusciva a compiere dieci passi senza che qualcuno non cercasse di attirare la sua attenzione. All’inizio cercò informazioni su Tazri, impetuoso generale durante la battaglia contro gli Eldrazi e anche sua amica. Scoprì che si trovava lontana, a Guul Draz, intenta a dare la caccia a qualche bestia terribile. Poi iniziò a chiedere in giro se qualcuno avesse visto persone corrispondenti alla descrizione di Nahiri o Nissa, ma gli avventurieri scuotevano il capo e i mercanti si lanciavano in nuovi tentativi di vendita.
Alla fine, Jace fu così infastidito da evocare un’illusione per camuffarsi nei panni di un tritone con una lunga barba bianca e dai colori marrone e verde. Attraversò le strade di Portale Marino quasi inosservato, dedicandosi a scrutare nelle menti degli avventurieri con più cicatrici e dall’aspetto più serio, nella speranza di ottenere informazioni sulle altre due planeswalker.
Non riuscì a scoprire nulla.
Quello fu il motivo più probabile per cui, entrando nella casa di spedizioni di Portale Marino, comprese di stare cercando nel posto sbagliato. La sala era piena di avventurieri dalle vesti brillanti e con l’emblema della casa, un frastagliato contorno rosso del collarino del drago. Erano tutti intenti a ridere fragorosamente e a raccontare i loro più recenti successi.
"Posso aiutarti?", gli chiese un uomo sulla porta.
"Sto cercando la condottiera della casa", rispose Jace. L’uomo sollevò un sopracciglio e squadrò Jace dalla testa ai piedi.
"Hai ragione", Jace rimosse il travestimento, "il mio nome è Jace Beleren. Falle sapere che desidero parlare con lei."
La condottiera della casa di spedizioni di Portale Marino si trovava seduta di fronte a Jace, in una delle stanze private, e Jace poté immediatamente percepire la sua circospezione.
Come mai? Si sforzò per non scrutare nella sua mente.
La stanza era accogliente e dotata di soffici cuscini e un servizio da tè. Sulle pareti si trovavano mappe e negli angoli vi erano inchiostro e pergamene per stilare i contratti.
"Sono qui per offrire il mio aiuto", le disse. Si rese conto che avrebbe dovuto guadagnarsi la fiducia di lei. In qualche modo.
Kesenya sollevò un sopracciglio. "Aiutare come?"
Jace le rivelò ciò che Nissa gli aveva raccontato riguardo al nucleo. Sottolineò l’intenzione di voler trovare una soluzione accettabile. Spiegò che lui, Nissa e Nahiri avevano collaborato in passato.
"Però non so dove siano Nissa e Nahiri in questo momento", terminò Jace.
L’espressione di Kesenya era indecifrabile. Pur sapendo che non avrebbe dovuto farlo, a causa della crescente disperazione, Jace decise di sbirciare nei pensieri di lei.
Zareth aveva ragione, pensò lei.
Le parole furono invece diverse, "Mi dispiace, ma non posso aiutarti."
Jace rimase sorpreso. "Non sei preoccupata?"
"Io sono preoccupata", rispose lei. "Ha assoldato la mia migliore compagnia di avventurieri."
E ora sono alla ricerca di qualcosa che forse non dovrebbe essere trovato, pensò.
"Zendikar è uno splendido mondo", rispose Jace con tono neutro. "Vorrei poter parlare con Nahiri prima che lo cambi. Ma ho bisogno di sapere dove si trova."
Jace vide un accenno di indecisione sul volto di Kesenya e si affidò alla speranza.
L’espressione di lei si indurì.
"Mi dispiace. Non ti posso aiutare", rispose alzandosi in piedi. "La riservatezza dei finanziatori è molto importante per questa casa."
"Comprendo", rispose Jace, per poi aggiungere a bassa voce, quasi come per parlare a se stesso, "questo mondo è sfortunatamente molto grande."
"Vero. Se hai bisogno di un luogo dove riposare, questo è l’indirizzo di una locanda decorosa", gli disse lei, afferrando una penna e un foglio dal tavolo nell’angolo e scarabocchiando rapidamente. "Ti porgo i miei auguri." Gli consegnò il foglio.
"Grazie", rispose Jace prendendolo, con un tuffo al cuore. Si chiese se fosse giusto utilizzare i suoi poteri per obbligarla a dirgli ciò di cui lui aveva bisogno.
No, era un confine che non voleva attraversare. Jace poteva quasi sentire Gideon che lo rimproverava per aver sbirciato nei pensieri di Kesenya. Poteva quasi vedere davanti a sé l’espressione accigliata di Gideon.
Lasciò la casa di spedizioni, con pensieri turbolenti alla ricerca della successiva strategia. A metà della strada, diede un’occhiata al foglio di Kesenya.
Vi era scritto l’indirizzo della locanda del mare. Scarabocchiata, in fondo, lesse anche una singola parola: Murasa.
Jace aveva viaggiato su molti piani e in molti luoghi, ma Murasa era diversa da tutte le altre isole. Non era sicuro che gli piacesse.
Per prima cosa, le scogliere intorno a lui erano frastornanti, più alte della più alta torre di Ravnica e la loro liscia facciata in pietra bianca era un segno premonitore di pericoli in agguato. Intorno a lui, imponenti alberi di harabaz si innalzavano verso il cielo, con radici che formavano archi che lo circondavano. I suoi stivali affondavano leggermente nell’umida e grezza sabbia sul terreno, mentre l’aroma salmastro e di alghe era quasi irrefrenabile.
Jace ebbe i brividi. La Baia dello Sfascio gli ricordava troppo intensamente la sua prigionia nelle giungle di Ixalan. Avrebbe voluto avere con sé Chandra o un altro membro dei Guardiani, ma nessuno aveva risposto alla sua chiamata.
Fortunatamente vide l’enclave celeste sopra la propria testa, lontano, separato da lui da un infido cammino.
"Sarà una sfida divertente", disse. Se la sua permanenza su Ixalan gli aveva insegnato qualcosa, era come farsi venire i calli sulle mani.
Lo udì prima di vederlo. Qualcosa di enorme si stava facendo strada dietro di lui attraverso la fauna, a passi pesanti che facevano tremare il terreno. Jace si voltò appena in tempo per vedere un enorme e famelico mostro emergere dagli alberi. Era dotato di sei gambe nodose, un busto simile a un granchio e una schiena ricoperta di grandi funghi smorti.
"Oh, non ora", sibilò Jace rendendosi invisibile.
L’imponente creatura arrestò il suo cammino, muovendo la testa a destra e a sinistra. Unì le grottesche braccia con un sonoro schiocco, facendo tremare il mucchio di funghi sulla schiena. Poi si volto verso di lui.
E si lanciò alla carica.
Jace rotolò per non lasciarsi investire. Un istante dopo, la creatura andò a sbattere contro un albero dietro di lui.
Accidenti, pensò Jace. Nuovo piano. Abbandonò l’invisibilità e creò un’illusione di se stesso, sistemandola più lontano possibile. Il mostro si fermò e osservò i due planeswalker a lungo. Sbatté di nuovo le braccia insieme, generando un assordante schianto. Jace si coprì le orecchie e sussultò. Quando rialzò lo sguardo, la creatura lo stava osservando.
Non si era lasciata ingannare.
Sta utilizzando l’ecolocalizzazione, comprese un istante troppo tardi.
Il mostro si lanciò alla carica. Jace si buttò di lato, evitando di essere colpito per pochi centimetri.
"Perché ogni cosa di questo piano cerca di uccidermi?", sussurrò portandosi due dita alla tempia nel tentativo di prendere il controllo della mente della bestia.
Qualsiasi fosse la parte del corpo in controllo di questo mostro, non era la sua mente.
Si trovò molto vicino. Troppo vicino. Jace poteva sentire il fetore che emanava. Una sensazione di panico lo investì. Perché il suo controllo mentale non stava funzionando?
Oh! Sono i funghi sulla sua schiena che lo controllano! Quella consapevolezza giunse però troppo tardi. La creatura aveva sollevato le contorte braccia sopra di lui.
Jace creò una barriera e si preparò all’impatto.
Un impatto che non giunse mai.
Improvviso quanto l’arrivo di quel mostro fu l’arrivo di qualcos’altro.
All’inizio, Jace non riuscì a rendersi conto di cosa fosse. A combattere il mostro era giunta una seconda creatura che avrebbe potuto confondersi con gli alberi circostanti; il suo busto era spesso e di colore grigio, mentre le sue membra erano identiche alle imponenti radici degli alberi sopra di lui.
La seconda creatura colpì il mostro con una nauseante botta che staccò alcuni dei funghi bulbosi sulla schiena. Il mostro urlò e indietreggiò.
Che cosa sei? pensò Jace.
Il suo salvatore avanzò e colpì ripetutamente il mostro. Jace si rese conto che era una specie di incarnazione degli alberi di harabaz intorno. Enorme, imperioso e indomabile. La risposta colpì Jace come un pugno ben assestato.
Questo è un elementale. Jace osservò in ogni direzione, alla ricerca dell'altra planeswalker.
Nissa si trovava sicuramente appollaiata su uno dei giganteschi alberi, con le mani aperte e l’aspetto di guardiana di questo piano.
L’espressione sul suo volto era assolutamente omicida.
Nel giro di pochi secondi, l’elementale distrusse il mostro, il cui gigantesco corpo cadde al suolo senza vita.
"Stai bene?", chiese Nissa saltando giù dal suo trespolo con la leggiadria di chi scende un semplice scalino, nonostante fosse un salto di sei metri.
"Sì", rispose Jace. "Grazie."
"Figurati.", rispose lei sorridendo, ma senza guardarlo negli occhi. Lo sguardo di lei passò all’elementale di harabaz che attendeva di fronte al cadavere del mostro, come se fosse in guardia da un suo eventuale nuovo assalto. "Non avevo mai evocato un elementale di harabaz. Penso che a Gideon sarebbe piaciuto."
"Devo dire che è davvero imponente", confessò Jace.
"Impressionante come Zendikar", rispose Nissa con tono rigido. "Hai ragione."
Dentro di sé, Jace rimproverò se stesso. "Non intendevo..."
"Lo so", rispose lei delicatamente. "Gli elementali sono semplicemente
Jace le mise una mano sulla spalla. "Non riuscirò a capirlo completamente", disse Jace, "ma questi elementali hanno un grande significato per te e io ti aiuterò a proteggerli."
Sul volto di Nissa si dipinse un sorriso, il primo che lui vide dopo lungo tempo. Il suo cuore fu sollevato.
"Grazie", rispose lei. "Nahiri è andata lassù." Nissa indicò l’imponente enclave celeste.
"Come fai a saperlo?"
"Me lo ha detto Zendikar."
Jace sollevò un sopracciglio, confuso. Non sarebbe mai riuscito a comprendere questo piano. "Qual è la via migliore per arrivare lassù?", chiese lui.
"I miei rampicanti", rispose Nissa, ma poi si venne assalita dalla vergogna. "Non sono rapidi quanto le opere di pietra di Nahiri. Non sarà facile. Sei pronto, Jace?"
Si morse le labbra e incrociò le dita delle mani. Jace comprese che Nissa si aspettava un rifiuto.
Le budella di Jace si contorsero per il senso di colpa. Era vero, il vecchio Jace avrebbe rifiutato. Il Jace che non era sopravvissuto su Ixalan con Vraska.
Ma lui era il Jace che era sopravvissuto in quel luogo, quella persona. In onore dell’amicizia di Nissa, in onore dei Guardiani e delle battaglie future, doveva farlo.
"Sì", rispose. "Sono pronto."