Episodio 5: La notte incombe
"Fai attenzione quando sei nella foresta, Arlinn", le dice lui.
La voce di suo padre è forte e decisa, ma si avverte un momento di esitazione, come i rami di una quercia che scricchiolano per la tensione. È in piedi nel suo laboratorio, lei può vederlo in modo distinto, circondato dalle opere create con le sue stesse mani. Simboli sacri ricoprono le pareti come se fossero falene di fronte a una lanterna. Non alza lo sguardo verso di lei.
Quando lei riapre gli occhi dopo aver sbattuto le palpebre, lui non c’è più.
Anni più tardi, dopo aver viaggiato per il multiverso, è maturata al punto da riuscire a tornare a casa. Macigno e Saetta conoscono il peso di ciò che intende fare. Se anche i suoi genitori umani dovessero respingerla, lei avrebbe comunque il supporto del suo branco. La loro presenza è costante e la loro lealtà è solida. Lei offre loro una guida e loro la ricambiano con una sensazione di appartenenza. In quella sensazione trova la sua forza.
Risale lungo le pendici della collina, in direzione della vecchia forgia.
Ma lassù non c’è nulla. Ad accoglierla è solo una carcassa, con fondamenta annerite che sporgono dal terreno. Una parete su cui scarabocchiava quando era una bambina.
Gli abitanti del villaggio non la riconoscono, quindi sono restii a raccontarle ciò che è successo, ma lei riesce comunque a scoprirlo.
Un incendio. Deve essere stato un qualche incidente nella forgia. L’intera casa aveva preso fuoco. Che peccato, non si può fare nulla.
Sbatte le palpebre. La sua mente torna al presente.
Tovolar è di fronte a lei. Per quanto la sua forma possa cambiare, gli occhi sono sempre gli stessi: ardenti, decisi e splendenti come marchi. Mette in mostra le fauci. Un sorriso, pensa lei.
Non è la prima volta. Lo aveva visto anni prima, quando si erano incontrati in un semicerchio di membri della loro specie. Lei aveva tentato di ucciderlo e non ci era riuscita; lui aveva tentato di trattenerla e non ci era riuscito. Lui indossava la stessa pelle di cervo. Si ricorda vagamente che la loro lotta l’aveva rovinata, strappandola dalle spalle in un impeto di rabbia. Quel giorno, anche lei era furiosa.
Ma non furiosa quanto in questo momento.
L’unico desiderio di Arlinn Kord è cancellare quel sorriso dal volto di Tovolar.
Scatta in avanti. Le potenti gambe la fanno letteralmente volare e le sue fauci si preparano a stringersi sulla gola di lui. Ciò che incontrano è invece un avambraccio sollevato all’ultimo momento. Il sangue cola all’interno della sua bocca, denso e dal forte sapore ramato. Le narici avvampano anche mentre Tovolar ruota e sfrutta lo slancio di lei per scagliarla a terra.
Ma non si riesce a tenere a terra un lupo affamato per molto tempo. Nel momento in cui le sue zampe posteriori toccano terra, è già di nuovo pronta a balzare sul suo nemico.
Lui spalanca le braccia. La cicatrice sul petto è chiaramente visibile anche in questa forma. Lei sbatte le palpebre e nella pelliccia di lui non c’è più una linea bianca; solo rosso sangue.
"Torna a casa", le dice lui.
Era la stessa frase che le aveva detto un tempo?
Non importa.
Un ululato fuoriesce dalla gola di lei. Si scaglia di nuovo su di lui, prepara gli artigli a colpire e i muscoli nel suo petto e nelle sue braccia si tendono.
Lui non si muove. Gli artigli lacerano pelliccia e carne, aprendo nuove ferite in lui; nonostante ciò, lui non smette di sorridere. Come è possibile?
Non c’è tempo per cercare una risposta; lui balza su di lei, puntando alla cintura. Le costole di lei gemono e minacciano di rompersi; lui non la lascerà andare facilmente. Lei pianta i piedi ancor più profondamente nel terreno. Se la vuole sollevare, deve subirne le conseguenze; da quella posizione, lei può colpirlo facilmente alla schiena. Il sangue scorre copioso sulla pelliccia di lui e ogni nuova ferita la porta sempre più nell'abisso del suo essere selvaggio.
E comunque, tanto quanto lui non è in grado di fermare lei, lei non è in grado di fermare lui. Dopo soli tre colpi, lui la solleva e la scaglia contro il tronco di un albero spezzato a metà. Le candele cadono a terra per l’impatto e le fiamme accarezzano i tagli profondi del legno.
Lui è uno sciocco se pensa di poterla fermare in quel modo. Neanche il pezzo di legno conficcato nella spalla di lei può fermarla. Arlinn pianta i piedi su uno degli angoli del tronco e preme le spalle sull'altro. Un grugnito le dà la forza sufficiente per liberarsi. Strappa il pezzo di legno dalla spalla e lo scaglia contro una gamba di Tovolar.
Questo, per lo meno, riesce a togliergli il sorriso. Un sonoro ululato inonda la zona del festival, un ululato che si fa strada nonostante il caos della battaglia. Lui afferra il legno con una delle sue enormi mani che sta tremando e, con una piccola soddisfazione, la bestia di Arlinn Kord si rende conto di averlo fatto passare da un lato all’altro della gamba.
Quella vittoria è però breve. I denti di lui affondano nelle spalle di lei, che viene schiacciata dal peso. Ci sono troppi aspetti da controllare. La sua testa sbatte contro l’elmo di una guardia caduta. Le sue orecchie fischiano. Per un istante non riesce a udire nulla; nessun urlo dei partecipanti al festival in fuga, nessun ordine impartito da Adeline, nessun ruggito delle fiamme di Chandra.
E soprattutto nessun ruggito dei lupi che la circondano.
Quei volti familiari! Quante volte li aveva visti durante la caccia! Ecco Zannarossa, degna del suo nome, con i peli del collo dritti; poi Macigno vicino ai suoi piedi; e poi anche Saetta, con le fauci strette sulla sua spalla ferita. Quei musi che aveva visto così spesso giocare ora incombono su di lei con la terrificante presenza di un predatore.
E poi Tovolar, ancora una volta all'assalto.
Cerca di rialzarsi. Le vertigini le fanno perdere l’equilibrio e indietreggia, con la spalla che immediatamente sembra volersi strappare. La sua gola viene inondata dalla nausea.
Le labbra di lui si muovono. Lei non riesce a sentire ciò che le sta dicendo, poiché il fischio nelle sue orecchie ha raggiunto l’intensità delle campane di una chiesa.
Una chiesa bizzarra, con urla al posto dei canti e il fetore del campo di battaglia al posto dell’incenso.
Chiude gli occhi.
La Grande Cattedrale di Thraben. Worrin dietro a un banco. Il mondo era nato avvolto da oscurità ed è all’oscurità che desidera tornare. Questo è il motivo per cui dobbiamo occuparci ognuno della luce dell'altro.
Lui era stato l’unico a raccomandarla per il ruolo di arcimago.
Che cosa direbbe di lei in questo momento? Il suo geist si è reso conto di lei nel momento in cui l’ha vista?
Il fischio diventa più debole. Tovolar sta parlando e lei può sentire la sua voce come se provenisse da una sala lontana; più di lui, può udire quelli che un tempo erano stati i suoi lupi. Riesce a udire il basso ringhio che di solito era diretto al loro pasto successivo.
Ma quel ringhio sembra leggermente diverso.
Riapre gli occhi.
Lui è ancora di fronte a lei, intento a estrarre il legno dalla gamba. Il sangue le cola sul muso.
"Casa
Questa non è casa.
Cerca di rimettersi seduta e di colpirlo con una testata, ma le zanne di Macigno si stringono e lui la spinge indietro.
"Non è necessario lottare", le dice.
Per misericordia divina, le viene una sensazione di vomito. La lingua ha un sapore di piombo. Comprende appena il linguaggio dei lupi quando non deve avere a che fare con una ferita alla testa.
"Unisciti alla caccia", le dice. "Accetta ciò che sei. Non capisci? Non hai più bisogno di nasconderti."
Le porge una zampa. Ogni parte di lei vuole colpire quella zampa. Tutto ciò che fa è mostrarle che lui riesce a controllare se stesso, ma decide di non farlo. Questo è il modo in cui è in grado di parlare anche in questa forma.
"La Chiesa odia questa parte di te", le dice. "Io no. Il branco no."
Questo è il momento in cui, forse per una divina provvidenza, Arlinn si rende conto di una cosa.
Pazienza non è con i suoi compagni di branco.
Arlinn allontana la rabbia. Se solo riuscisse
Laggiù. Alla luce morente del giorno, Pazienza la sta aspettando. Seduta lontana dagli altri, poco al di fuori della portata della mano destra di Arlinn, inizia ad avvicinarsi appena i loro sguardi si incrociano.
Tovolar è insistente. "Dimmi che tornerai a casa. Immediatamente. Dimmi che tornerai a casa e ti lascerò libera."
Una delicata pelliccia le sfiora il palmo della mano. Il suo stomaco si riprende, ma solo per un istante.
"Arlinn. Ti prego. Ti vogliamo insieme a noi. Tu sei una di noi."
Chiude di nuovo gli occhi. Lassù, il vetro macchiato della cattedrale.
La luce muta. Un’apertura nella foresta e i quattro lupi, insieme, al suo interno.
Cammina in avanti, nella luce, e loro le sono intorno.
Arlinn apre gli occhi. Ora comprende che lui non la lascerà andare finché non avrà sentito ciò che desidera.
"Io sono già a casa", risponde lei. Sono poche parole, pronunciate in modo distorto, ma riesce a farsi capire.
Non è una menzogna.
La foresta è la sua casa, i lupi sono la sua casa, la Chiesa è la sua casa, tutto lo è.
Anche lui che la aiuta a rialzarsi, anche la stretta di lui che le impedisce di muoversi, anche quello è casa. Alla giovane Arlinn appena trasformata, quel semplice gesto era significato l’intero mondo. Allo stesso modo, sapere ora che esiste ancora una tale gentilezza in lui è fondamentale.
Ma la ferocia e l’implacabilità lo hanno sopraffatto. La gentilezza che mostra adesso non è in grado di cancellare tutto ciò che ha fatto oggi. Il Tovolar che si era preso cura di lei è mutato nel Tovolar che aggredisce gli innocenti e lei si è allontanata sempre di più da lui.
Nonostante ciò, si rende conto che lui non si è allontanato da lei.
Stordita e sanguinante, non avrà molto tempo o una migliore occasione di questa. È subdolo. Alcuni potrebbero dire che non è giusto.
Ma se può porre fine a questo attacco, non c’è nulla di più giusto al mondo.
Affonda gli artigli nello sterno di lui.
Tovolar barcolla. La consapevolezza è lenta e lui la stringe ancor più vicina.
"Innistrad è casa, Tovolar", gli dice. "E finché avrò fiato in corpo, lotterò per proteggerlo."
Un sussulto è l’unica risposta; la stretta di lui si fa più decisa e i suoi artigli penetrano ancor più nel profondo della spalla ferita di lei.
Arlinn si alza, continuando a tenere la mano conficcata dentro di lui. "Interrompi l’attacco."
Che strano vedere i suoi occhi spegnersi in questo modo. È abbastanza robusto da sopravvivere, ne è quasi certa, e probabilmente ci riuscirà, una volta che gli sciamani lo potranno curare, ma lei non lo ha mai visto barcollare in quel modo. Neanche la prima volta che avevano combattuto nella radura. Non lo ha semplicemente ferito a livello fisico. Qualcosa al suo interno si è spezzato, qualcosa che lei non riesce a percepire.
"Hai mentito", dice lui con voce rauca.
"Interrompilo", gli ripete.
Lui chiude gli occhi. Lei si chiede che cosa possa vedere lui in questo momento. Forse la ragazza che quel giorno ha trovato nella foresta o qualcosa di diverso, qualcosa che lo ha portato a questo livello di inimmaginabile crudeltà?
Qualsiasi cosa sia, lo costringe a ragionare. Poi, in un rantolo strozzato, risponde "Va bene".
Lei lo rimette a terra, estrae la sua mano e si assicura che rimanga in piedi. Se lo vedessero piegato su di sé, gli altri lo sbranerebbero.
Lui la osserva ancora una volta e lei scuote la testa.
L’ululato ha inizio subito dopo, un richiamo di ritirata che solo i lupi sono in grado di comprendere.
Lui non le chiede di seguirla.
Come formiche che invadono un corpo, ma in direzione opposta, i lupi abbandonano ciò che rimane del Massacro del Raccolto.
Il nome è già stato forgiato. Dalle labbra dei catari feriti e malconci a quelle delle streghe che si aggirano tra i corpi alla ricerca di coloro che necessitano il loro aiuto, la parola è sempre la stessa: massacro.
Arlinn non riesce a continuare a guardare a lungo. Troppo simile alle Tribolazioni. In un certo senso ancor peggio, con tutte quelle infantili decorazioni sparpagliate come dopo una tempesta. Le zucche intagliate giacciono distrutte tra i cadaveri, il sidro cola liberamente nelle pozze di sangue, i banchi allestiti con cura spezzati dai corpi dei loro stessi proprietari.
Solo un’ora prima, quello era un luogo di speranza.
Che cosa rimane invece ora?
Arlinn deglutisce a fatica. Vuole essere di aiuto. Il suo posto è insieme alle streghe e ai catari, a prendersi cura dei caduti; se però Katilda non porta a termine il suo rituale, non ci sarà più nessuno di cui prendersi cura. Le effigi contorte intorno a lei sono un tetro promemoria.
Innistrad sopravvive.
Deve continuare nel suo compito.
Mentre le streghe e le guardie sopravvissute curano i feriti, i candelieri guida continuano a indicare la via ai morti con i loro sorrisi.
E in quel luogo i morti sono tanti.
Il festival di Katilda era stato un successo di affluenza nel modo peggiore possibile. Per Arlinn era impensabile trovarsi di fronte quella moltitudine di corpi. I suoi genitori non l’avrebbero mai creduto possibile. Non ci sarebbero mai andati, avrebbero sollevato il loro naso e avrebbero detto a voce bassa che l’isolamento li avrebbe tenuti al sicuro. Allora, come in questo momento, lei sa ciò che intendevano davvero: sicurezza e paura sono due espressioni dello stesso concetto.
Si sbagliano.
Ognuno che pensa a sé, che si occupa solo dei propri interessi, questo è proprio il modo in cui Innistrad è arrivato a questo punto. Vampiri intenti nella loro scalata verso l’eternità a danno dei mortali, lupi mannari a caccia delle persone che dovrebbero proteggere. Tutto questo era stato causato dalla divisione. Se i lupi si fossero resi conto dell’importanza di preservare l’equilibrio tra notte e giorno, avrebbero potuto proteggere il festival.
Ma questo è un pensiero doloroso.
Si sporge in avanti. Ci saranno momenti per piangere ed encomiare i morti e per spiegare alle loro famiglie ciò che non è andato per il verso giusto. Affinché tutto questo possa avere un senso, il rituale deve essere completato.
Coloro che sono radunati al di sotto del Celestus devono sapere che tutto quello ha uno scopo.
Il suo corpo è percorso dal dolore, le sue zampe anteriori e le sue spalle urlano a ogni passo, ma lei continua comunque... l’unico lupo che corre in direzione del Celestus. Non farti distrarre dai pianti, non farti attirare dalle urla, corri.
Una voce è però impossibile da ignorare.
"Arlinn!"
Era la voce di Chandra. Il bianco cavallo di Adeline si affianca alla destra di Arlinn, al galoppo in cerca di salvezza verso il Celestus. Un paio di ore fa, sarebbe stata infastidita se fosse stata superata in velocità da un cavallo, ma ora è un sollievo vederlo.
Il motivo è che su quel cavallo si trova Chandra che le sporge una mano. "Sei in pessime condizioni, vieni con noi!", le urla. "Teferi è più avanti con un paio degli altri, lo dobbiamo raggiungere!"
Raggiungerlo e rimanere insieme.
Questo è l’unico modo.
Passando alla forma umana, Arlinn afferra la mano di Chandra.
Ad accoglierle per primo è un canto. Arlinn non riesce a distinguere le parole, ma la melodia ha come una forma di querce torreggianti e antichi fiumi. Un bagliore risale lungo i bracci del Celestus e lei, avvinghiata ad Adeline, riflette su quanto abbiano l’aspetto delle tenaglie di suo padre appena estratte dalle fiamme.
Il pensiero la porta a sorridere in modo frivolo. Forse anche il sangue che ha perso contribuisce a quella sensazione.
"Chandra, non sembra che
"Sembra che siano quasi al termine, sì", risponde lei. Non c’è motivo per correggerla. Arlinn guarda di nuovo davanti a sé.
Chandra ha ragione, qualsiasi cosa stiano facendo, sembra essere quasi al termine. Data la densa folla ammassata intorno alla piattaforma centrale, è difficile scorgere i dettagli, ma la sensazione è più di gioia che di preoccupazione.
Si dirigono proprio verso la folla. L'armatura di Adeline e le fiamme di Chandra sono chiari segni del loro intento e della loro posizione, le lingue di fuoco chiedono sia di tenersi lontani sia che la battaglia non è ancora conclusa. Per quanto frastornata, Arlinn riesce comunque a riconoscere parzialmente i volti intorno, con una speranza dipinta negli occhi.
Tutti stanno partecipando a quel canto.
La loro melodia ha una strana cadenza, ritmata e crescente, ribelle e misteriosa. Sillabe allungate si fanno strada nelle sue orecchie, danzano e si legano ai suoi pensieri. Se questa è una magia, si tratta di una magia sicuramente antica. Penetra nelle sue vene.
Sono sempre più vicine alla piattaforma centrale. Ora riescono a scorgere le maschere ondeggianti della congrega Albacorno. Cinque sono visibili al limite della piattaforma e si muovono a ritmo con il canto, mentre altre cinque all’interno sono intente in una danza frenetica. Nel centro ve ne sono altre due: Katilda, con la maschera che le copre la maggior parte del volto, impugna la chiave di Selenargento come se fosse una reliquia sacra e pura, con Kaya al suo fianco che osserva l’orizzonte alla ricerca dei suoi amici.
Una volta che Kaya le scorge, fa ampi gesti con le braccia per guidarle.
Il ponte in legno si apre di fronte a loro. Chandra è la prima a scendere da cavallo, per poi aiutare Adeline. Le due si dedicano poi ad Arlinn. Con una catara da un lato e una piromante dall’altro, Arlinn non ha la possibilità di barcollare. Meglio così.
Un passo. Poi un altro. Le assi di legno sotto di loro scricchiolano e si uniscono alla misteriosa melodia della foresta, in un canto che ora è vivo anche nei loro polmoni.
Un altro passo e poi un altro ancora. Che cosa avrebbero pensato gli angeli? Che cosa avrebbe pensato la Chiesa? È diverso da un inno di lode e anche da una preghiera; è qualcosa di diverso, ma altrettanto reale. Come è possibile che le sue labbra siano in grado di pronunciare parole che non ha mai sentito prima? Hanno forse fatto parte di lei per tutto quel tempo?
Un altro passo e poi un altro ancora. Le streghe sono raggruppate di fronte a loro. Si voltano tutte nello stesso istante verso Chandra, Adeline e Arlinn. Gli sguardi si incrociano al di sotto di quei rami e quelle ossa. Un colore argenteo turbina nelle iridi delle streghe; sì, deve proprio essere una magia antica.
Le streghe parlano all’unisono, con una voce unica: "Arlinn Kord."
Arlinn deglutisce.
Chandra e Adeline si scambiano uno sguardo dietro di lei. Insieme, l’aiutano a salire fino all’altare. Davanti a lei si trova una ciotola dorata, adatta per luce del sole e miele e circondata da erbe essiccate e antiche ossa.
Gli occhi di Innistrad sono su di lei.
"Sono qui", risponde. Sembra la frase giusta da dire.
"Figlia di sangue e zanne. Ti trovi al confine dell’alba, dove giorno e notte si incontrano. Tu ci donerai la forza."
Non sono una figlia da molto tempo, le viene da rispondere, ma non bisogna interrompere gli antichi rituali. Katilda deve conoscere di lei più di quanto pensi. "Di cosa hai bisogno?"
Si rivolge a Katilda; sebbene l’intera folla le stia parlando, è sicura che sia Katilda l’origine di tutto. Tutto porta il suo odore.
"Verserai il tuo sangue per il giorno? Le tue zanne proteggeranno coloro che vivono nella paura?"
Il suo sguardo passa da una strega all'altra, a Teferi e a Kaya, a Chandra e ad Adeline. Nessuno sembra comprendere il vero significato di quelle parole.
"Lo farò", risponde. Di questo, ne è sicura.
"Consacra la serratura di Eliodoro."
Sangue e zanne, giusto? Ancora frastornata, appoggiandosi all’altare per mantenere l’equilibrio, Arlinn si tocca la ferita ancora dolente sulla spalla. Sfiora quindi l’interno della ciotola, la cui superficie è sorprendentemente calda al tocco. Poi afferra e morde le erbe. Un sapore amaro si fa strada nella sua bocca, un gradito sollievo dopo il sapore del metallo. La posiziona sul piccolo marchio rosso.
La ciotola inizia a ronzare.
E, insieme, il Celestus. Gli imponenti ingranaggi gemono al riprendere vita; più in alto, le ombre iniziano a muoversi mentre i bracci superano la resistenza della ruggine e delle radici che li hanno tenuti imprigionati a lungo. Il terreno inizia a muoversi e Arlinn si tiene stretta e salda all’altare. Una presa che la aiuta a non cadere a terra.
A un gesto di Katilda, Kaya inserisce la chiave di Selenargento.
"La congrega offre radici e anima."
Raccoglie una radice nodosa delle dimensioni di un braccio di Arlinn e dall’aspetto antico come lo stesso Innistrad. A volte si può capire l’età di un oggetto solo guardandolo. Prima che Arlinn si possa chiedere da dove provenga, Katilda dà un leggero colpo a un’estremità. In un istante, si riduce completamente in polvere. Katilda la ripone all’interno della ciotola, dal lato opposto a quello del sangue di Arlinn.
Questa è la parte della radice. E l'anima? Arlinn ha uno strano presentimento.
Sta per porre una domanda, quando lo sguardo di Katilda si collega al suo. La sua aura è tale da impedire ogni domanda o interruzione. Il rituale deve continuare.
La risposta giunge dagli occhi di Katilda: un bagliore argenteo li ricopre e poi inizia a fuoriuscire. Le sue labbra si aprono e danno origine a un altro flusso argenteo, che si combina al primo e lo accompagna all’interno della ciotola.
Le altre streghe sorreggono Katilda per le braccia, evitando che il suo corpo inerme crolli a terra. Nel petto di Arlinn inizia a crescere la paura. Questo non è
Non ottiene però risposta.
Kaya è intenta a osservare verso l'alto, verso un’ombra che incombe sull’altare.
Qualcosa emette un fetore di morte.
Tutto avviene più rapidamente di quanto un occhio umano possa notare, ma Arlinn riesce a seguire il movimento: una linea di colore rosso e dorato che scende dal cielo; Katilda inghiottita in questo colore impossibile. E, nell’interno di questa linea, Olivia Voldaren. Non ci sono dubbi; lei non avrebbe mai voluto passare inosservata. Sulla mano distesa verso la chiave di Selenargento è inciso il sigillo Voldaren, visibile anche sul resto della sua armatura.
Non le avrebbe mai permesso di impossessarsi della chiave.
Arlinn la afferra e la stringe al petto mentre cade a terra. Lo sfrigolio sulla sua pelle è un piccolo prezzo da pagare per tenerla al sicuro. In quel momento, Olivia è già risalita in cielo. Il corpo di Katilda giace inerme tra le sue braccia. Olivia le osserva e sogghigna, con le spalle che sussultano al ritmo della sua terribile risata.
"Sembra che ci troviamo a un punto morto", le dice. "Io ho la vostra strega e voi avete la mia chiave."
Arlinn si alza sulle ginocchia, con la chiave ancora saldamente stretta. Qualcosa appare ora diverso, più gelido. "Nessuna delle due ti appartiene."
"Al contrario", le risponde Olivia. "Quella chiave è esattamente di mia proprietà. Ne ho bisogno, sai. Ciò di cui invece non ho bisogno è una strega raggrinzita."
Kaya si porta rapidamente di fianco ad Arlinn. Arlinn è lieta della compagnia, anche se le notizie che riceve da Kaya le fanno venire un brivido lungo la schiena. "Sta avvenendo qualcosa all’anima di Katilda. Durante il rituale l’ho vista lasciare il suo corpo e poi
"E poi?", chiede Arlinn.
Kaya aggrotta la fronte. "Poi è arrivata Olivia. Non so cosa sia successo dopo."
Chandra è di fianco a loro, con le mani che fremono e lo sguardo fisso sul vampiro che fluttua sopra di loro. "Le diamo una lezione, vero?"
"Non possiamo farlo. Potremmo colpire Katilda", le risponde Kaya.
In alto, Olivia emette un sospiro teatrale. Con l’eleganza di una vedova estremamente annoiata, fa scorrere gli artigli sul petto di Katilda. Il sangue cade sulle streghe sottostanti e sulla folla ipnotizzata. "La mia proposta è molto semplice. E mi sto annoiando in attesa di una risposta. Potete consegnarmi la chiave e io posso organizzare i miei festeggiamenti oppure continuare a tergiversare e lasciare che la vostra amica muoia."
Arlinn alza le spalle. "E se completassimo il rituale?"
"Abbiamo tempo per farlo? Sappiamo come farlo?", sussurra Kaya.
Tempo. La sua mente va a Teferi, da qualche parte vicino a loro; ma, anche se lo trovasse, non riuscirebbe a donare loro abbastanza tempo. Rallentare il sole non è un’impresa da poco e non rimarrebbe stupita se rimanesse fuori combattimento per giorni.
Deve esserci un’altra soluzione.
Il suo sguardo si sposta verso due delle altre streghe. "Il rituale?", urla.
Ma loro scuotono la testa. "Doveva essere lei", risponde una di loro. "Quella magia è troppo antica per noi..."
"Che noia!", urla Olivia. Solleva di nuovo la mano per infliggere un altro colpo.
Il tempo non è sufficiente. Non è sufficiente per prendere in considerazione ogni aspetto, non è sufficiente per trovare un altro modo per superare questa situazione, non è sufficiente per risolverla con la forza.
Innistrad deve sopravvivere.
Arlinn scaglia la chiave con il braccio ancora funzionante.
Gli occhi di Olivia si illuminano. Anche questo movimento avviene molto rapidamente; afferra la chiave a mezz'aria con la mano libera. La osserva con attenzione e le fiamme della sua gioia avvampano nonostante i filamenti di fumo che salgono dalle sue dita.
"Lascia andare Katilda!", urla Arlinn.
La gioia si trasforma in disprezzo. "Non è questo il modo di parlare a una promessa sposa", risponde.
"Hai dato la tua parola", le dice Kaya. Arlinn è leggermente sorpresa di udire la sua voce, sorpresa dal fatto che sia lei quella che comprende, ma accetta di buon cuore l’aiuto. "Restituiscicela."
"D'accordo", risponde Olivia. "Prendetela."
In futuro, Arlinn ripenserà a questo momento e a ciò che avrebbe potuto fare di diverso. Se si fosse mossa più rapidamente, sarebbe stato sbagliato? Cosa sarebbe successo se avesse agito prima e compiuto scelte diverse?
C’è una notevole differenza tra cadere da una grande altezza e venire scagliati da un vampiro. Il corpo di Katilda si dirige verso l'altare a una velocità impressionante.
Tutto ciò che può fare Arlinn è mettersi in mezzo e attutire la sua caduta, ma più di tanto non è in grado di fare. Katilda si scontra con Arlinn e Arlinn sbatte contro l'altare, in un insieme di ossa che si spezzano.
Prima che il mondo smetta di girare vorticosamente, la vampira è già svanita. Apparentemente volata via, un lontano puntino nero nel cielo ormai scuro.
E la chiave insieme a lei.
Il Celestus è ora tornato silenzioso.
Su Innistrad è scesa la notte.
Una notte che durerà un’eternità.