La legge è l’affermazione dell’ordine sul caos. L’uno non può esistere senza l’altro. Ogni giorno dell’addestramento di Adeline è stato accompagnato da questa idea: i catari hanno sempre il dovere di far rispettare la giustizia, perché il caos è lo stato naturale del mondo. Nel profondo della tana del lupo, circondato da un turbine di entropia... questo è lo stato in cui un cataro deve sentirsi più a proprio agio, perché è proprio il momento in cui il suo aiuto è più necessario.

Questo, comunque, è ciò che si dice. Adeline sta iniziando a chiedersi quanto di ciò che le è stato insegnato sia in realtà un’illusione.

Ci sono persone che hanno bisogno del mio aiuto, si diceva... e questo era diventato il suo unico pensiero, l’unica spinta a sorreggerla durante la notte, l’unica forza in grado di permetterle di respirare. Un sacro giuramento di proteggere i popoli di Innistrad che ha sempre dato la forza necessaria al braccio che brandisce la spada, anche quando la fatica si faceva sentire.

Chandra si sente a casa in un ambiente in cui regna il caos. L’artiglio di un vampiro scalfisce lo scudo di Adeline, mentre Chandra balza su un tavolo per avere un angolo di tiro migliore. I loro sguardi si incrociano al di sopra della testa del vampiro. In qualche modo, nonostante le urla, le oscenità, la morte tutto intorno a loro, sul volto di Chandra è presente un sorriso.

Una colonna di fiamme avvolge e riduce in polvere il vampiro. Della donna vampiro non rimane altro che un mucchietto di ceneri, con alcuni gioielli in cima. Adeline emette un sospiro.

Sul volto di Chandra si dipinge un ghigno. "Incudine e martello sono un’ottima combi..."

La sua frase si interrompe in modo improvviso a causa di Adeline che tira Chandra a sé e copre entrambe con il suo scudo. Una bottiglia di vino si frantuma contro il duro legno e l’acciaio. Il color rosso tinge il simbolo benedetto che osserva silenzioso il suo assalitore, mentre l’elmo di Adeline viene macchiato dal liquido che fuoriesce.

"Immagino di avere il ruolo di incudine", risponde Adeline.

Una rapida stretta a livello della vita, solo minimamente percepibile attraverso l’armatura, è il ringraziamento di Chandra. "Non ti abbattere. Ce la faremo."

Adeline si allontana. Un servo armato di un candelabro emerge dalla mischia. Chandra lo investe con un’ondata di fiamme un istante prima del suo assalto e il candelabro finisce al suolo sferragliando. Le fiamme avvolgono i tavoli e tutti coloro che stavano duellando sopra di essi. Devono essere almeno una decina e non tutti vedono di fronte umani e vampiri.

Sembra che alcuni dei succhiasangue stiano approfittando della situazione per saldare qualche vecchio debito. Nel breve momento in cui Adeline li osserva, una donna dall’abito elegante trafigge un uomo attraente e poi lo abbraccia in un bacio di passione. La punta della sua spada spunta dalla schiena. In qualche modo, sorride.

Ovunque guardi, le scene si assomigliano. Due catari a cavallo vengono raggiunti da un giovane in sella a un maiale ammaestrato e insieme assalgono un Falkenrath ricoperto da sangue fresco. Un demone tenta di colpire un gruppo di contadini con una colonna, ma Sigarda intercetta il suo assalto. Una guardia decapita un guerriero e scaglia la testa verso un ragazzino dalle labbra ricoperte di sangue, che salta e l'afferra come un abile cane da caccia.

Un fiotto di colore rosso fuoriesce dalla gola della guardia, che cade a terra e riversa il proprio sangue sul pavimento di marmo ormai già scivoloso. Dietro di lui, una Kaya contornata di viola ripone il pugnale nel fodero.

"Qualche segno di Arlinn?", chiede Adeline.

Kaya scuote la testa. "Noi teniamo a bada il nemico."

"Uh, Kaya, se non te ne sei accorta, il nemico è un po’ più ridotto di prima. . .", inizia a rispondere Chandra.

Si ferma, di nuovo a metà frase, questa volta per evitare una colonna che sta crollando su tutte e tre. Adeline scatta per salvare l'amica e ci riesce solo grazie al fatto che la colonna sembra fermarsi in aria per un intero secondo. Sicuramente opera del mago temporale. Chandra ha proprio amici potenti.

"Ben fatto, Adeline. Sono d'accordo", le dice Teferi. Si inginocchia per evitare un colpo di un’ascia e sfiora su un fianco la guardia con la punta del suo bastone. La guardia sembra paralizzata per un tempo sufficiente a un cataro per terminare il lavoro. "Sono sparpagliati. Non potremo continuare a lungo."

"Arlinn sa ciò che sta facendo", risponde Kaya. "Porterà a termine la sua..."

"Avacyn ha sempre combattuto con le sue sorelle al suo fianco. Non avremmo dovuto lasciarla sola", commenta Adeline. "Ha bisogno di aiuto."

"Non possiamo permetterci di rinunciare a nessuno", risponde Chandra. "Abbiamo compagnia."

Una decina di robuste guardie vampire, con gli scudi affiancanti, che marciano verso di loro. Un’impresa ardua, nella migliore delle ipotesi. Chandra scaglia una lingua di fiamme contro di loro, rallentandoli solo per un istante.

Adeline si mette in posizione di combattimento.

La legge è l’affermazione dell’ordine sul caos. C’è bisogno di un cataro proprio nelle situazioni più disperate.

Una delle guardie scaglia un giavellotto.

Adeline solleva lo scudo.

L’impatto non giunge mai.

Di fronte a loro si trova ora un enorme lupo. Il giavellotto rimbalza sulla sua pelle coriacea, incapace di perforare la massa muscolare. Il lupo si volta verso i vampiri. Il ringhio che proviene dalle sue fauci ha un tono così basso che Adeline lo sente provenire dall’interno dei propri polmoni.

Una zampa batte contro il pavimento di marmo. Poi un ululato.

Altri quattro lupi, questa volta di dimensioni normali, entrano balzando attraverso le finestre. E non sono gli unici. Ora devono essere decine che stanno entrando nella sala, alcuni enormi come macigni, attraverso le finestre e i cancelli spalancati.

Ma perché? Perché sono lì? Poco tempo fa, i lupi stavano facendo strage di civili durante il massacro del Raccolto. Perché ora sono lì a salvarli?

"Li avete. . .li avete invitati voi?", chiede Chandra.

Come se volesse rispondere, il più grande dei lupi si volta verso di loro. Dalle sue enormi fauci spunta un braccio. C’è qualcosa di familiare... Adeline conosce quelle cicatrici.

Si tratta di Tovolar.

"Siete qui per aiutarci?", chiede Teferi.

Il lupo annuisce. Kaya indica una porta.

"È andata da quella parte", gli dice.

Appena Kaya termina la frase, Tovolar scatta senza esitazione, calpestando i resti del lampadario, all’inseguimento di Arlinn.

Nel periodo delle Tribolazioni era difficile capire chi fosse amico e chi nemico. La differenza era molto labile. Le persone che conoscevi da una vita potevano da un momento all’altro riempirsi di tentacoli.

Questa situazione non è terribile come le Tribolazioni, ma Adeline non è sicura delle intenzioni del lupo.


Sorin Markov conosce molto bene l’oscurità. Per migliaia di anni, l’oscurità è stata la sua più fedele compagna. In questo momento, mentre affonda in un abisso di sangue, si rende conto che potrebbe essere l’unico alleato che gli rimane.

Gli altri planeswalker di un tempo. . .caduti, scomparsi o ombre di ciò che erano un tempo.

Nahiri. La ragazza di cui un tempo si fidava. La donna che lo ha imprigionato nella pietra e lo ha obbligato a osservare un mondo sgretolarsi.

Avacyn, la sua più preziosa creazione. Tutte le sue speranze per il futuro riunite in un solo essere vivente. Essere costretto a ucciderla è stato doloroso, davvero doloroso. Neanche i poteri di guarigione da vampiro erano stati in grado di placare il dolore nel suo cuore.

E ora. . .

Il sangue preme sulle sue palpebre. Se apre le labbra, avrà a disposizione un’ondata di forza da bere. Ma, se riesce a tirarsi fuori da questa situazione, che cosa rimane di lui? Settemila anni di esistenza premono il suo corpo. Continua ad affondare sempre di più in quell’abisso di sangue.

Che cosa rimane?

Si sforza per riuscire a riflettere. Deve esserci qualcosa. Le persone come lui osservano l’intero evolversi degli eventi, non i singoli episodi. Questo è ciò che gli ha insegnato suo nonno.

Suo nonno, che ancora adesso sta lottando per lo spaventoso privilegio di sposare Olivia Voldaren. Suo nonno, che lo aveva scagliato laggiù per quel motivo. Tra tutte le ferite di Sorin, Edgar gli aveva inflitto la prima e, nonostante ciò, Sorin gli aveva voluto bene per migliaia di anni.

Era stato anche quello parte del piano del nonno? Utilizzare Sorin solo quando gli era utile? Sopportare tutte quelle lunghe conversazioni, come è usanza fare con i discorsi sciocchi dei mocciosi?

L’intero evolversi degli eventi, non i singoli episodi.

Sì, ora ha le idee chiare.

Il petto di Sorin si riempie di dolore.

Apre le labbra.

Il sangue... dolce, denso, inebriante come un ottimo vino... penetra nella sua bocca. I tendini riprendono consistenza. Le ossa tornano al loro posto. Le ferite si richiudono. I muscoli vengono invasi dal vigore di prima, il suo vigore. Pensavano che questa prigione sarebbe stata la sua fine, ma lo ha invece reso più forte.

Sorin inizia a risalire verso la superficie.

Impiega più tempo di quanto vorrebbe. A ogni movimento della mano, il suo corpo continua a guarire e a riprendere forza. Grugnisce. Ma si impegna con tutto se stesso e, nel momento in cui giunge sull’orlo di quell’abisso, non c’è più alcuna traccia di dubbio nella sua mente.

La sala da ballo. Quello è il luogo in cui suo nonno...Edgar... è andato.

Un passo dopo l’altro. Con movimenti da predatore, attraversa le sale del Sanguitorium, con l’intuito a guidarlo lungo quei corridoi, un istinto che gli fa impugnare la spada.

I suoni giungono alle sue orecchie: lo sferragliare del metallo, i gemiti dei caduti, lo sbattere delle ali di un angelo. Ogni rumore sempre più intenso. Così come intenso è anche l’ululato dei lupi all’interno della proprietà dei Voldaren.

Giorni prima, tutto quello sarebbe stato intenso ed esasperante.

Ora, prova una sensazione di tetra soddisfazione. Per millenni, i vampiri avevano complottato e tramato, tagliato gole e perforato cuori per il solo piacere di assaporare il potere. Sembra naturale che i lupi, veri animali da branco, siano giunti per dare loro una lezione.

Gli viene in mente che in quella sala da ballo ci sono membri della sua famiglia, così come gli viene in mente... un pensiero distante, come un sussurro a bassa voce... che non gli interessa più nulla.

Sorin entra nel turbine della sala principale. Una freccia gli sfiora la spalla. La afferra al volo e la conficca nella gola di una guardia Voldaren che si stava avvicinando. L’uomo non riesce più a respirare. Sorin torce l'asta della freccia.

"Silenzio", gli dice.

Appena Sorin strappa la freccia dal suo corpo, l’uomo crolla al suolo. A Sorin non interessa più. Sta già scrutando la sala, alla ricerca di Edgar. Olivia non è più nei suoi pensieri. Potrebbe essere stata l’architetta del matrimonio, ma Edgar era stato d’accordo. Edgar aveva lottato per portarlo a termine. Edgar aveva allontanato il proprio nipote per qualcosa di tanto semplice... ma sacrificabile e anche passeggero... quanto il potere.

Va alla ricerca di Edgar.

Laggiù, intento a combattere contro Teferi e i suoi amici, affiancato da duellanti Markov. Edgar impugna la sua spada come se fosse molto più giovane, eccitato dalla situazione. Era sempre sembrato così decrepito? Con una carnagione così tetra e occhi così pungenti?

Alcuni tentano di mettersi tra Sorin ed Edgar. Un modo sciocco per andare incontro a morte sicura. Le membra cadono a terra come le foglie dagli alberi in autunno. Sorin continua ad avanzare.

Edgar tenta un affondo contro Teferi. Il mago temporale rallenta il suo attacco il necessario per riuscire a bloccare il colpo. La catara affronta entrambi i duellisti; le fiamme della piromante si infrangono sulle eleganti vesti di Edgar. Due geist prendono forma e immediatamente infliggono colpi letali ai duellisti.

Il vento della battaglia sta cambiando direzione. Edgar deve percepirlo, facilmente quanto Sorin.

Il volto che per Sorin era un tempo statico e saggio si contorce dal disprezzo. "Tu! Di nuovo!"

L'attacco di Sorin è troppo rapido per l'occhio umano e lo stesso si può dire per la parata di Edgar. Le loro spade si scontrano più volte e li circondano di scintille. L’assalto di Sorin è violento, spietato e senza alcun interesse nel cercare una soluzione pacifica. Edgar è potente, ma l’uso della lama è da tempo una delle aree di studio preferite di Sorin.

Chiunque venga in aiuto di Edgar trova un’immediata morte. L’attenzione di Sorin è tutta sul suo obiettivo e conta sugli altri per prendersi cura del resto.

Alla fine, è Edgar ad avere la peggio nella sfida, barcollando all’indietro mentre la sua spada cade rumorosamente sul pavimento come se fosse un giocattolo.

"Sorin", dice. "Devi comprendere..."

Sorin appoggia la punta della lama sulla base della gola di Edgar. "Non temere, comprendo, Edgar. L’intero evolversi degli eventi, non i singoli episodi. I sacrifici. Il potere. Ora comprendo perfettamente ciò che pensi di me."

Comprende anche quanto facile sarebbe uccidere quell’uomo in questo momento. Un semplice movimento del polso. Un istante di resistenza, un sussulto di morte, nulla di più.

Qualcosa trattiene però la sua mano.

Forse la mano invisibile di un angelo scomparso da tempo.

Sorin aggrotta la fronte. "Vattene. Sparisci dalla mia vista."

Data la sua arroganza, dato il suo potere, Edgar non ha bisogno di farselo dire due volte. Fugge in un lampo, come un gatto spaventato. Dove si stia dirigendo non interessa a Sorin. I suoi occhi rimangono invece fissi sul luogo in cui si trovava il nonno, sul luogo in cui avrebbe potuto terminare la sua esistenza.

"Stai bene?"

Era probabilmente la voce della piromante. Sorin rimane sorpreso dalla preoccupazione nella voce di Chandra. Non era mai sembrato che Chandra lo apprezzasse.

"Sì", decide di mentire. Sorin ripulisce la sua lama. Quando infine alza lo sguardo, vede che gli altri hanno compiuto un ottimo lavoro. I cadaveri dei vampiri ricoprono il terreno come un ammasso di rifiuti dopo un banchetto.

"Sorin, lo so... so che deve essere stato difficile per te, ma hai compiuto la scelta giusta", gli dice Teferi.

Sorin vorrebbe gelarlo con lo sguardo. Che cosa ne può sapere? Come può giudicare? Nonostante ciò, ricorda che anche Teferi è vecchio. Anche Teferi ha dovuto affrontare perdite e affrontare situazioni oltre la propria immaginazione.

Tutti gli altri potrebbero avere vite più brevi, ma esiste un qualcosa che tutti loro comprendono gli uni degli altri. Un turbamento. Un desiderio di allontanarsi.

"Grazie."

Questo è tutto ciò che gli viene in mente di dire.


Arlinn Kord sogna le foreste.

Sogna rami e fronde sfiorate dalle sue soffici zampe, foglie d'autunno che scendono delicatamente intorno a lei, vento che soffia delicato sulla sua pelliccia.

Macigno e Pazienza corrono ai suoi fianchi. Saetta li precede. Zannarossa, ne è sicura, è dietro di loro.

Un dolore le riempie il petto.

Per quanto si senta libera insieme ai suoi lupi, non può ignorare la verità. Se ne sono andati.

Lei è rimasta sola.

"Arlinn."

I lupi hanno molti modi per comunicare, ma il suo nome ha sempre evitato le fauci dei suoi più stretti compagni. Arlinn aggrotta le sopracciglia. Vorrebbe rallentare, ma i suoi compagni di branco continuano ad avanzare.

"Arlinn, è ora di andare a caccia."

La sensazione è terribile. Come se la sua testa fosse la campana della cattedrale e la voce il martello.

Vuole solo che svanisca.

Poi, una sensazione di calore. Qualcosa sul suo fianco, solido, con il cuore che inizia a battere all’impazzata. Il calore si propaga sul suo volto. Un odore familiare.

Il cervo può attendere.

Quando riapre gli occhi, la prima immagine che si trova davanti è Tovolar, ancora con le ferite evidenti del loro ultimo incontro. La delicatezza della sua espressione offre al suo corpo un grande sollievo.

"Sei proprio qui?", gli chiede.

"Hai chiesto aiuto", è l’immediata risposta con un cenno del suo muso.

Inizia a muoversi e si rende conto che non sono soli. Macigno è al suo fianco... tutti sono al suo fianco. Li abbraccia, con sensazioni di sollievo e di gioia che coprono il dolore delle ferite. Il suo branco! Anche loro sono lieti di riabbracciarla, le leccano il volto e strusciano il loro naso su di lei.

L’abbraccio non dura però a lungo. Dopo la gioia giunge la chiarezza dei pensieri, accompagnata subito dopo dai ricordi.

Olivia è la causa del suo dolore. Ed è Olivia a possedere ancora la chiave di Selenargento.

Macigno e Pazienza l'aiutano a rialzarsi. Si muove, di nuovo, pur sapendo che il suo naso umano non sarebbe stato in grado di aiutarla. Lo stesso si può dire per la sua capacità di guarigione. In questo momento ha bisogno del lupo.

Un pensiero continua ad assillarla: l’apparentemente imbarazzato arrotondamento delle spalle di Tovolar.

"Tovolar", gli dice, "questo non cambia nulla tra di noi. Ciò che hai fatto. . ."

"Questa notte, ci occupiamo di questo", le risponde lui. Le parole sono difficili da pronunciare in quella forma... Tovolar non è in grado di mutare con la rapidità di lei. "Dopo, cercami. Ce ne occuperemo come compagni di branco."

Una sensazione si diffonde sulla pelle di Arlinn. Tovolar non fa parte del suo branco... solo loro tre ne fanno parte. Ma per ora deve accontentarsi. I Voldaren che prendono il controllo degli altri vampiri... e degli angeli... sono una pessima notizia anche per i lupi.

Non gli concede nessuna risposta. L’odore di Olivia è intenso in questo luogo, con il sangue fresco e inebriante ovunque sul marmo. Sarà facile seguire le sue tracce.

Arlinn non ha bisogno di dire a Tovolar di seguirla.

Non ha bisogno di dirlo a nessuno dei lupi. Insieme, loro cinque percorrono le sale della tenuta Voldaren, ancora barcollante, con il sangue che pulsa intenso nelle orecchie. Il dolore invade la sua mente. Intenso e diffuso.

Ma è un dolore trascurabile in confronto a ciò che avverrebbe se Olivia dovesse prendere il controllo di tutti gli angeli di Innistrad.

La sua corsa la porta da qualche parte al di sopra della sala da ballo principale. Le scale sono difficili da percorrere su quattro zampe. Le superano, non ci sono altre opzioni.

Dopo poco tempo, giunge alle loro orecchie la voce di Edgar da una delle sale superiori.

"Mi avevi promesso che avresti avuto tutto sotto controllo."

"Lo avevo. Tutta questa. . .questa follia. . ."

I lupi sbucano dal corridoio. Laggiù, in fondo alla sala, circondata da statue di se stessa, si trova Olivia Voldaren. Edgar Markov è al suo fianco, ricoperto di sangue e con il fiato corto. Il volto di Olivia avvampa di furore e le sue mani vanno immediatamente alla spada. Edgar appoggia una mano sullo scudo di lei.

"Olivia, è finita", le dice.

Lei spinge via la mano di lui. "Puoi toccarmi solo quando te lo permetto io."

I lupi si avvicinano. Arlinn si ferma di fronte a loro e un cupo ringhio si forma nella sua gola. Olivia sa bene ciò che vuole. Tovolar fa per avvicinarsi a Edgar, ma un latrato di Arlinn lo arresta.

Questa è tutta colpa di Olivia. E lei ha l’occasione di sistemare ogni cosa.

Arlinn non sa che cosa prenda il sopravvento alla fine: l’irritazione di Olivia o la sua mancanza di pazienza. Forse è la sua piagnucolosa vigliaccheria.

Qualsiasi cosa sia, lascia cadere la chiave.

Cade sul pavimento rumorosamente e senza alcuna cerimonia.

"Se ti interessa così tanto, riprenditi questo tuo giocattolino", dice in modo sprezzante.

Arlinn avvolge la chiave in un frammento di un drappo lacero e la afferra con i denti. Olivia, nel frattempo, è già uscita da una delle finestre. Edgar sta per seguirla. Tovolar balza su un lato della parete nel tentativo di aggredirli, riuscendo ad afferrare solo un lembo dell'abito di Edgar con le fauci.

Ha lo sguardo torvo. Arlinn se lo aspettava. Era sicura che lui volesse farli a pezzi e porre la parola fine a quella continua lotta.

Anche una parte di Arlinn lo vuole.

Ci sarà tempo per questo, un altro giorno.

Mentre torna alla sua forma umana, Arlinn incrocia lo sguardo di Tovolar.

"Se hai qualche problema con il modo in cui gestisco le situazioni, cercami", gli dice. "Ce ne occuperemo io e il mio branco."


La chiave di Selenargento dona alle gambe esauste una nuova energia. L’intero cammino tra Stensia e Kessig procede senza alcuna pausa. L’impegno di Teferi per velocizzarli lo sfinisce; appena arrivano a destinazione, si addormenta all’interno del carro.

Ogni passo viene conquistato a fatica. Ogni passo è una vittoria.

Ma i loro sforzi non avrebbero alcun significato senza completare il rituale.

Katilda li assicura che hanno ancora una possibilità. Il suo spirito è legato alla chiave di Selenargento e lei è stata con loro durante l’intero viaggio. Kaya è stata con lei durante tutto il tempo, ma Arlinn ha delle domande da porle.

"Come possiamo essere sicuri che funzioni?"

"Come puoi essere sicura che non funzioni?", le risponde Katilda.

Essere uno spirito deve portarti a essere più misteriosa... sicuramente non meno.

"Mi piace semplicemente essere sicura di come funzionano le cose", risponde Arlinn. Stanno attraversando la foresta, con quasi tutti gli altri addormentati all'interno del carro. Il destriero di Adeline tira il carro insieme al castrone di Kaya. Sono le uniche dell’intero gruppo che non stanno dormendo: la catara, il lupo e lo spirito. "Non puoi biasimarmi per questo."

"Non conosci molto bene te stessa", le risponde Katilda. "Se tu agissi solo quando sei sicura, non saresti qui, vero?"

Dicono che il morso più feroce è quello dei cuccioli che cresciamo noi stessi. Arlinn sussulta.

Il suo sguardo si sposta di nuovo al carro. Pensa a tutti coloro che si trovano all’interno. Chandra arrotolata su se stessa sopra una delle panche, Kaya in qualche modo addormentata su una delle pareti, Teferi sull'altra panca. Sul pavimento i suoi lupi, che riposano profondamente con la pancia bella piena.

"Di loro avevi la certezza?"

Quella domanda la risveglia dai suoi pensieri. Arlinn si volta verso Katilda. "Ovviamente. Sono alcuni tra i migliori maghi in circolazione. Come avrei potuto non esserlo?"

"Lo sai che non mi riferisco ai maghi."

Un altro sussulto. Non è possibile ingannare una strega. "Sorin aveva le sue ragioni per aiutarci. Ha commesso i suoi errori, ma alla fine ha a cuore Innistrad tanto quanto me. Sapevo che avrebbe fatto la sua parte."

Ciò di cui non parla è che Sorin non ha intrapreso quel viaggio con loro. Aveva detto di doversi occupare di alcune cose. Criptico come sempre. Il suo sospetto era che non si trattasse solo di un tentativo di nascondere le cose. Era rimasto per aiutare a prendersi cura dei caduti e dei feriti. Chiunque avesse bisogno di aiuto sarebbe stato accolto al maniero Markov per qualche mese. Aveva insistito che il motivo era il possesso di testi di medicina che nessun altro aveva a disposizione.

Forse il motivo era quello.

O forse era un altro e lui non voleva ammetterlo.

Aveva solo detto "Devo occuparmi di altre faccende".

Il pensiero fa emergere un sorriso sul suo volto. Sapeva che dentro di lui, da qualche parte, si trovava un cuore.

Il sorriso però svanisce dopo la stoccata successiva di Katilda: "Sai anche che non mi riferisco neanche a lui."

I boschi sono meravigliosi nella notte, con il loro aroma di pino e l'abbraccio caldo come un buon whisky. Arlinn rimane in silenzio per un po’.

"Ci sarà un giorno in cui non dovrai porre quella domanda", risponde.

"Un giorno di molti anni prima del massacro del Raccolto", commenta Katilda. La sua forma spettrale sfarfalla.

"Pagherà per ciò che ha fatto", continua. Questa è la vera questione, ne è sicura. "Una volta che tutto questo sarà finito, andrò a caccia e lo troverò."

"E sotto quale forma sarà il suo pagamento?", chiede Katilda. "In quale moneta potrà ripagare per le vite che ha preso? Tu sei un’umana che indossa le vesti di una bestia. Lui è una bestia, qualsiasi aspetto abbia."

Non è questa la conversazione che avrebbe voluto portare avanti. Ma è un discorso che deve fare.

"Tovolar ha ricostruito l’ulubranco di Mondronen sfruttando la paura", continua Arlinn. "Ti potrà dire che i motivi sono ben altri, ma, alla fine, tutto si basa sulla paura. Troppi dei suoi amici si sono trovati nella stessa mia situazione e ne sono rimasti uccisi nonostante la loro bontà."

Un uomo si muove pesantemente di fronte a lei nella foresta. Non parla molto. Non ne ha bisogno. Riescono a capirsi senza difficoltà.

Arlinn cerca di allontanare quel ricordo.

"Quando sei un lupo mannaro, non sei mai del tutto te stesso. Non importa chi tu sia, le persone crederanno di sapere ciò è dentro di te. Sei responsabile per tutti gli abitanti del villaggio che ogni lupo abbia mai ucciso, che tu lo voglia o no. Hai paura. Fuggi. Trovi un branco. Il branco non ti giudica per ciò che sei e ti convince che non c’è nulla di sbagliato nell’essere come sei. Ti convince che devi esserlo, perché altrimenti gli umani ti uccideranno. E il loro discorso è così convincente da far immediatamente breccia nella mente della maggior parte delle persone."

Avabruck attraverso gli occhi di un lupo. I suoi genitori che si chiedono dove sia finita. Un segreto che non può condividere.

"Ti accorgi che si sbagliano solo dopo aver creato una certa distanza tra te e il resto del mondo. C’è un altro modo di vivere. Non è un modo facile, senza dubbio. Devi modificare ciò che ti aspetti dagli umani e gli umani devono modificare ciò che si aspettano da te, ma è un modo che esiste. Se tutti riescono a mettersi d’accordo e a impegnarsi per un mondo diverso, quel mondo può essere costruito un passo dopo l’altro e ognuno può dare un piccolo contributo. Servono anni. Forse decenni. Ma è un mondo diverso che può essere creato. Però, quando sei un lupo mannaro, la tua preoccupazione è il presente. Ciò che mangerai quel giorno, chi ti sta dando la caccia, ciò che farai per rimanere al sicuro. Non è per niente facile osservare l’intero mondo ed è ancor meno facile sentire una connessione con il resto del mondo."

Tovolar intorno al fuoco, che la osserva come se le fosse spuntata una seconda testa.

"Gliel’ho detto, molti anni fa. Gli ho detto che esisteva un altro modo. Non mi ha creduta. Per lui, gli umani non hanno la possibilità di cambiare. Per lui, penseranno sempre che siamo dei mostri... quindi perché dovremmo comportarci diversamente? Perché rinunciare alla sua idea di grandezza?"

Arlinn deglutisce.

"Un evento come quello del Raccolto non viene fuori da un giorno all’altro. Se chiedi a lui, ti risponde che nel corso degli anni sono morti molti più lupi. E che il Raccolto è solo l’inizio."

Quelle parole hanno un sapore disgustoso, anche se pronunciate da lei. Arlinn non riesce a immaginare una visione del mondo più diversa dalla sua. Nonostante ciò. . .

"Hai chiesto come funziona la giustizia. Ti dirò, non ne sono sicura. Come punisci qualcuno che ha vissuto l’intera esistenza circondato dalla paura e dalla rabbia? Voglio che paghi per le sue azioni. Ma voglio anche che possa vivere una vita migliore. Voglio che comprenda che esiste un altro modo. Che possiamo collaborare per un futuro migliore... ma il Raccolto ci ha riportati indietro di decenni. Spingerà gli umani a volerci uccidere ancor di più, non di meno."

Arlinn inspira di nuovo l'aria fresca. Le offre meno chiarezza di quanto vorrebbe.

"Mi hai chiesto se fossi stata sicura che sarebbe venuto. Non lo ero", ammette. "Ma ho pensato che, se fosse venuto, avrebbe visto che collaborare è possibile. Volevo che vedesse che, se offre il suo aiuto, le persone gli possono essere riconoscenti e che non è costretto a combattere. Ho pensato che fosse importante."

Katilda, che continua a fluttuare di fianco a lei, alza lo sguardo verso la luna. Passano molti momenti senza che nessuna parli. L’importanza del discorso pesa sulle sue spalle più di qualunque altra cosa. In realtà, non aveva fatto alcun ragionamento; aveva semplicemente espresso a parole ciò che provava con il cuore. Ora che la sua mente ha avuto l’occasione di sentire questo discorso, sta attraversando la fase dell’elaborazione cosciente.

Non è sicura di riuscire mai a terminarla.

"Pensi che sia stato utile?", le chiede Katilda.

La risposta è tanto ovvia quanto difficile da pronunciare, con ogni sillaba che esce dalle sue labbra come acqua da uno straccio che viene strizzato con forza. "Non lo so. Ma ho dovuto provarci."

"Ti vorrei dare un consiglio, Arlinn", le dice Katilda.

Arlinn raddrizza la schiena. "Dimmi."

"È importante non dimenticare l’uomo che si trova dietro ai crimini", dice, "e al tempo stesso non dimenticare i crimini. Qualsiasi siano le tue speranze su Tovolar, lui le ha tradite tanto quanto le ha soddisfatte. Un giorno dovrai affrontare questa situazione. Non sarà sufficiente sperare che vada per il meglio."

Come prima, ogni frase ferisce come una pugnalata. Arlinn chiude gli occhi. Il terreno è fresco e morbido sotto i suoi piedi. Su Innistrad è notte fonda e la loro missione è salvare il piano.

"Lo so", dice. "Lo so."

Glorious Sunrise
Alba Gloriosa | Illustrazione di: Andreas Zafiratos

"Siamo sicuri che funzionerà, vero?", chiede Chandra.

Arlinn sorride. "Sì, siamo sicuri."

Si trova in piedi, al centro del Celestus, mentre gli altri sono radunati vicino a uno dei bracci esterni. Katilda è davanti a lei, di nuovo all’interno del suo corpo. Arlinn stringe in una mano la serratura di Eliodoro, insieme al sangue e alle offerte che erano state preparate prima dell’improvvisa interruzione del rituale.

La chiave di Selenargento, ora nuovo simbolo di vittoria, è nelle mani della strega. Un tenue bagliore magico la circonda.

"Radici e anima, sangue e zanne", intona con una voce che non è la sua, bensì un insieme di voci di tutte le streghe riunite, la voce del piano stesso. "Che Innistrad si unisca al di sotto del calore del sole."

Sollevata dall’insieme della magia della congrega Albacorno, la chiave di Selenargento fluttua verso la serratura di Eliodoro. Arlinn lo tiene in alto, come da istruzioni.

Uno dei suoi timori è che non sia quello giusto, che sia stato rifilato loro un duplicato.

Un timore che svanisce nel momento stesso in cui oro e argento vengono a contatto.

Un lampo di luce invade il Celestus, ma si tratta di un lampo che non è spaventoso. Caldo come la luce del sole, caldo come promesso, riscalda e offre sollievo alla pelle di Arlinn, che non sente neanche il bisogno di chiudere gli occhi. Tutto intorno a loro, il Celestus ruggisce di vita e si scuote di dosso secoli di vegetazione. Alcuni degli alberi rimangono ancora avvinghiati mentre i bracci iniziano a ruotare. Arlinn non ha mai visto una scena del genere sopra la sua testa in vita sua e prova un senso di felicità come una bambina.

La stessa sensazione di gioia che prova a vedere i compagni che balzano da un braccio all'altro prima di cadere a terra. Tutto avviene così lentamente da non correre un vero pericolo, soprattutto in compagnia di Teferi, ma è sempre una scena divertente. Il bordo, per fortuna, è molto più stazionario.

A ogni passaggio dei bracci sopra la loro testa, la luce intorno a loro diventa sempre più intensa. Alla fine, rimane una sola colonna, dalla piattaforma fino alla luna stessa. Difficile da osservare, ha un aspetto tutt’altro che eterno.

Arlinn non riesce a pensare a nulla da dire. Per lei non c’è nulla da dire su questo. A volte bisogna semplicemente rimanere in silenzio e apprezzare ciò che sta avvenendo... apprezzare l'assurdità della vita stessa.

La figlia di un fabbro si nasconde dietro un antico dispositivo e osserva il ritorno del giorno su Innistrad.

Quando la luce infine sbiadisce, molto lentamente, la luna ha già iniziato la sua discesa e affonda come una moneta al di sotto della linea dell’orizzonte. Vicino a lei, sente Katilda raccogliere la chiave.

Arlinn solleva un sopracciglio. "Non ne hai bisogno?"

Katilda alza lo sguardo verso il cielo. "Se tutto va per il verso giusto, non ne avrò bisogno per altri millenni. Qualcun altro qui ne ha più bisogno."

Meglio non discutere con una strega. Mentre la luna scende sotto l’orizzonte, Arlinn si avvia con Katilda verso il bordo del Celestus. Verso gli altri, seduti con le gambe a penzoloni dal bordo.

Davanti a loro, le foreste del Kessig si estendono in ogni direzione. Conosce ogni loro centimetro quanto conosce la propria pelle. Conosce il loro aspetto nella notte, al mattino e nelle preziose ore dell'alba, quando ogni ramo si tinge di rosa.

Il pensiero di poter rivedere tutto quello è quasi sufficiente a generare lacrime nei suoi occhi.

Si siede insieme ai suoi amici e i suoi lupi si affiancano a lei subito dopo. Pazienza si accuccia sulle sue gambe. Anche Katilda si unisce a loro.

Insieme, osservano la prima alba che torna su Innistrad dopo mesi. È identica alle altre albe ed è anche in questo che si trova la sua bellezza. Ogni singola alba è un dono. Un qualcosa che sfida le aspettative, un qualcosa che quasi va a sfidare le credenze: ogni mattina, una sfera di fuoco dorata si solleva dall’orizzonte, un atto che è sufficiente a portare la luce in offerta al mondo.

Questa è la prima alba dopo mesi. Un’alba come tutte le altre. Ed è ancora più perfetta proprio per questo.

Urla di gioia accolgono il sole nel momento in cui finalmente appare da sotto l’orizzonte. Arlinn si unisce a loro, con una gioia nella sua anima dorata quanto il disco rovente che stavano celebrando. Anche i lupi si uniscono alle celebrazioni, ululando al sole. Gli amanti si baciano e gli amici si abbracciano. Canzoni antiche dalle melodie familiari sollevano gli spiriti di tutti i partecipanti.

Ovviamente, ci sono anche i brindisi.

Qualcuno pone nelle mani di Arlinn un calice quasi senza farsi notare. Il vino speziato è caldo sulla sua pelle anche attraverso il calice ed è ancora più caldo mentre scorre nel suo petto.

Dopo questo calore si diffonde un gelo, il gelo della consapevolezza che è giunto il momento per gli altri di partire.

In quella folla, ora una compagnia, si trovano i suoi amici.

Chandra e Adeline in primis. Le trova, come aveva previsto, nascoste al di sotto dei rami di un salice. Un velo di foglie cela il segreto del loro saluto. Arlinn non può sentire ciò che si dicono... riesce solo a vedere il loro abbraccio. Le sembra appropriato rimanere a distanza. Chandra la troverà più tardi per un addio, ma per adesso è meglio che le lasci al loro momento privato.

Si allontana solo pochi passi e viene accolta dalla voce di Kaya. "Stai spiando, eh? Non pensavo che fosse una tua caratteristica."

"Volevo solo controllare che fosse tutto a posto", risponde Arlinn.

"Certo, non ho dubbi", commenta Kaya. Incrocia le braccia, voltandosi verso il salice. "Non immaginavo che questo posto le piacesse così tanto."

"Innistrad è molto più di questa landa tetra che hai visto", risponde Arlinn. "Spero che lo abbia compreso anche tu."

Kaya sorride. "Forse. O forse non mi preoccupano le lande tetre", le risponde. "Combattere al tuo fianco è stato un piacere, Arlinn."

"Anche per me", le risponde Arlinn. "Mi auguro che non sia l’ultima volta."

"Certo che no. Qua ci sono un sacco di fantasmi con dei conti in sospeso. Sono sicura che avrai presto bisogno delle mie competenze. Ricorda però che le mie tariffe sono alte", le dice Kaya.

"E meritate", risponde Arlinn sorridendo.

La figura di Kaya sta già svanendo.

Teferi non è lontano ed è in compagnia. Insieme a lui c’è Katilda. Arlinn si avvicina ed entrambi si voltano verso di lei. Teferi stringe la chiave di Selenargento nella mano.

"Ahh, allora sei tu la persona che ha bisogno della chiave", dice Arlinn.

Teferi sorride. "Ha avuto la gentilezza di prestarmi la chiave. Il materiale Selenargento ha un certo numero di proprietà stupefacenti, soprattutto per la magia temporale."

"Mi auguro che possa esserti di aiuto", gli dice. "Ma ricorda: la devi restituire, altrimenti verrò a darti la caccia."

Teferi sorride e l’abbraccia. "Non riuscirei mai a sfuggire a un lupo. È stato un piacere vederti, Arlinn."

"È stato un piacere anche per me", risponde lei.

C’è però qualcosa che rimane in sospeso, qualcosa di non pronunciato. Teferi rimane vicino a lei, alla ricerca delle parole giuste.

"Cattive notizie?", chiede Arlinn.

"Forse. Potresti dover tenere gli occhi bene aperti. Abbiamo avuto qualche problema ultimamente. Un vecchio problema."

"Detto da te, ha tutto un altro significato", risponde Arlinn. Si augura che la battuta possa alleggerire il discorso, ma il tono di Teferi diventa ancora più cupo.

"Conosco meglio di chiunque altro la pericolosità di questa minaccia. Il loro nome è Phyrexiani. Se hai occasione di vedere uno strano olio nero oppure esseri composti da carne e metallo. . .qualsiasi cosa al di fuori del comune, avvisaci. Avevo sperato di imbattermi in qualche indizio durante questa impresa, ma è andato meglio del previsto. Questa chiave può essere molto importante."

Teferi un tempo aveva parlato di un luogo in cui era stato, un luogo che aveva deluso. Dallo sguardo nei suoi occhi, aveva avuto l’impressione che esistesse un legame.

"Qualcosa potrebbe giungere in futuro. Fatti trovare preparata."

"Lo sarò", risponde lei. "Qualsiasi cosa succeda, Innistrad sopravviverà."

Le sorride di nuovo, ma con solo un’ombra della sua solita allegria. "Si trova in ottime mani, vero? Abbine cura, Arlinn."

Dopo un istante, anche lui svanisce.

Lei conosce la foresta di Kessig.

La stanno chiamando, alla luce che ora filtra attraverso le foglie dei sempreverdi. La neve scende come petali di fiori sulla foresta. L’aria è permeata dal delizioso aroma dell’inverno.

Anche se i suoi amici saranno presto parte del passato, Arlinn Kord ora può contare sul suo branco.