La scalinata di Magosi
Nota: Questa è la parte 2 di un racconto suddiviso in due parti. Leggi la Parte 1 prima di continuare.
La calda mattinata avvolse l’insediamento di Magosi ancor prima dell’alba, un calore normale per questa stagione ma non meno fastidioso. La carovana di un paio di decine di tritoni mercanti gironzolava per la corte dell’insediamento, con il suo carico di buoi ammassati e bendati per l’imminente discesa lungo la scala. Il sole appariva tremolante sul lontano orizzonte e Akiri era intenta nei controlli di rito di cinghie, imbragature e guide per funi che avrebbero utilizzato per calare i buoi dei tritoni in modo lento e sicuro. I tritoni erano responsabilità di Zareth, che cercava di rassicurarli al meglio.
"Nel caso doveste precipitare, cercate di andare a finire nel fiume", lo udì dire Akiri passando loro vicino durante il suo controllo dei buoi. Non riuscì a non mettersi a ridere, reazione che scatenò una serie di domande preoccupate da parte del maestro di carovana, che Akiri dovette impegnarsi a rassicurare per un altro buon quarto d’ora.
"Se venisse bendato anche lui, il viaggio sarebbe più facile", disse Zareth passando dietro Akiri durante il terzo giro di controllo dei buoi.
"Se lo facessimo, sento che dovremmo rinunciare al resto del nostro compenso", rispose Akiri serrando una cinghia. Controllò le funi che reggevano le casse e le sacche di merci sul dorso dei buoi. "Non nascondo che sarebbe un viaggio più facile."
"Hai un’idea di ciò che trasportano?", chiese Zareth.
"Vuoi che io provi a indovinare oppure me lo dici tu?", rispose Akiri.
"In questo c’è frutta", disse Zareth facendo l’occhiolino. Le mostrò una piccola manciata di bacche dall’intenso colore viola. "Ne vuoi una? Penso che siano elfiche. Hanno un gusto frizzante, come il tè del mattino."
Akiri sollevò un dito per ammonirlo, ma interruppe il movimento appena vide che Zareth si stava dirigendo verso il condottiero della carovana che si stava avvicinando.
"Basta", ringhiò Akiri, poi si voltò sorridente verso il condottiero della carovana e lo rassicurò che tutto era pronto e che sarebbero potuti partire al suo comando. Con la coda dell’occhio vide Zareth allontanarsi lungo la fila dei buoi, chiacchierando con i tritoni mercanti, ridendo con loro, regolando le imbragature delle bestie e comportandosi in maniera cortese. Detestava controllarlo con sospetto. Non era una questione di sfiducia, poiché conosceva bene Zareth e sapeva che intendeva agire al meglio, ma a volte in modo deludente. Decise di porre fine a tutto quello. Ma per prima cosa...
Il terreno tremò. Un leggero tremore, di breve durata, accompagnato da un improvviso innalzamento della temperatura del mattino, come se il sole fosse diventato più vicino. I buoi interruppero i loro versi. I tritoni smisero di chiacchierare. Anche Zareth si fermò, ancorandosi al terreno in movimento, con le mani ai pugnali che teneva ai fianchi. Durante quella umida alba, il mondo si era fatto improvvisamente sentire. Il tremito durò solo pochi secondi, ma sembrò un’ora, un giorno, un breve istante.
Akiri fu l’unica a non guardarsi intorno dalla paura dopo il termine del movimento. Era rimasta sorpresa, certamente, ma non spaventata. Al contrario, i tritoni si misero a sussurrare e chiacchierare a voce bassa riguardo a quegli oscuri presagi e il condottiero della carovana si agitò nel tentativo di calmare i buoi. Determinato.
Il Torbido, svanito per breve tempo dopo che gli Eldrazi erano stati sconfitti a Portale Marino, era tornato. Per lo meno, questo ne era un accenno. Il modo che aveva Zendikar per ricordare a tutti che la battaglia aveva salvato le persone che vivevano su quel piano, ma non il mondo stesso. Quando il Torbido si presentava, non era mai delicato; messaggero dell’incredibile potere di Zendikar, aveva la forza di un intero mondo. Nonostante la paura che provò durante i tremori, Akiri lo accolse. Coloro che avevano vissuto nel periodo di maggiore manifestazione del Torbido erano in grado di identificare l’entità del pericolo.
Zareth camminò a grandi passi verso di lei, con le mani sempre pronte sui pugnali. "Credevo che il Torbido si fosse interrotto", disse. "Pensi che peggiorerà?"
"No", rispose Akiri. "Una volta terminato è terminato, ricordi? Non dovremmo avere problemi sulla scalinata... è abbastanza solida. L’Umara è stabile, che è il motivo per cui abbiamo percepito solo un tremore."
"Portale Marino?"
"Dovrà probabilmente gestire qualche ondata dall’Halimar e dall’oceano", rispose Akiri, "ma la città resisterà."
Zareth osservò il tritone e la carovana. "E noi? Gli elementali? E..."
Le nocche delle dita che stringevano i pugnali avevano assunto un colorito bianco, unico segno di agitazione in un atteggiamento altrimenti calmo e composto.
"No", rispose Akiri. Si avvicinò a lui e, con un tocco delicato, sollevò le mani di Zareth dalle sue armi. "Il Torbido è terminato. La terra non trema più", gli disse. "Tutto ciò che dobbiamo fare ora è scendere la scalinata, arrivare a Elmo Corallino e proseguire per Portale Marino."
Zareth annuì, espirando. "Poi continueremo il nostro lavoro."
"Poi continueremo il nostro lavoro", ripeté Akiri. Osservò oltre Zareth, verso la carovana dei tritoni, che si erano accalcati intorno al loro condottiero e stavano parlando con toni accaldati e provati. "Avete visto quanto poco ha tremato?", gridò loro. "Il cammino verso valle è scolpito nella stessa roccia su cui ci troviamo ora. Non c’è nulla da temere."
I tritoni si distribuirono di nuovo tra i buoi, parlottando tra loro. Il loro condottiero si avvicinò ad Akiri e Zareth.
"Quello era il Torbido", disse il condottiero dei tritoni. "Non era un semplice terremoto. Puoi percepirlo anche tu, vero?", chiese a Zareth. Il condottiero dei tritoni si portò una mano al mento. "Quel suono prima del movimento."
Zareth annuì. "L’ho sentito", rispose. "Intenso, ma non mi è sembrato uno dei peggiori."
"In ogni caso", disse Akiri al condottiero della carovana dei tritoni, "questo è il luogo più sicuro di tutto Zendikar. Da qui a Portale Marino saremo su un terreno solido. La nostra più grande preoccupazione è il calore."
"E i razziatori", aggiunse Zareth inserendosi nel dialogo, "anche quelli non sono da sottovalutare."
Il condottiero della carovana indietreggiò.
"Sta scherzando", commentò Akiri. Lanciò uno sguardo di rimprovero a Zareth. "Tu e il tuo gruppo sarete al sicuro e arriveremo a Elmo Corallino per fine giornata."
Il condottiero dei tritoni spostò lo sguardo dall’uno all’altra. Akiri, rassicurante, e Zareth, sorridente. Scosse la testa e si allontanò per dedicarsi ai suoi altri compiti.
La carovana partì poco dopo, con i buoi che si muovevano pesantemente uno dietro l’altro lungo i primi scalini della lunga discesa.
Su quella scalinata, nonostante lo spingere della carovana, il ruggito di Magosi offrì ad Akiri e Zareth un po’ di intimità per le loro conversazioni.
"Quello era davvero intenso", disse Akiri. "Non ne ho mai sentito uno così forte dopo la battaglia."
"A me sembrava che la mascella si potesse aprire in due da un momento all’altro", rispose Zareth massaggiandosi le guance. "Non biasimo queste persone per la loro paura", aggiunse. "Per gli abissi, era preoccupante."
Akiri sistemò ganci e funi. "Rimani in guardia, Zareth", gli disse, "temo che non sarà una giornata semplice."
Conoscevano entrambi, avendola già vissuta, la natura del Torbido. Come il corpo umano reagisce con la febbre, così il Torbido è il modo in cui Zendikar reagisce a un dolore profondo. Nonostante possa essere terribile, la minaccia non era il Torbido. Il Torbido era un avvertimento.
La cascata di Magosi ruggiva. La scalinata continuava verso il basso. La carovana, Akiri e Zareth continuarono a scendere, scomparendo nella nebbia vorticante generata dalla cascata che velava la scalinata in una foschia fitta e umida.
La carovana arrestò la sua marcia poco sopra la metà della discesa, quasi un’ora dopo la partenza. In questo punto, la nebbia della rombante Magosi raggiungeva il massimo di tutto... avvolgente, impregnava bestie e persone. Durante quell’estate, ciò che normalmente sarebbe stata una nebbiolina rinfrescante a ricoprire gli scalini era invece una massa appiccicosa che bloccava la vista dei tornanti. Nei momenti di vento intenso la vista era magnifica, l’intero corso della gola del fiume Umara che si sviluppava da Magosi al punto in cui si tuffava nell’Halimar, fino alla distante luce di Portale Marino oltre il mare interno; nelle rare giornate prive di vento, lo strapiombo dei tornanti era invece ricoperto d’acqua. Quel giorno, il muro di nebbia permetteva di vedere solo fino al tornante successivo. I buoi gemevano e i loro accompagnatori facevano del loro meglio per tenerli tranquilli. Il ruggito della cascata era assordante e sicuramente angosciante tanto per i buoi quanto per i carovanieri.
Akiri camminava al fondo della carovana, chiacchierando con uno dei tritoni riguardo a Elmo Corallino e alla sua cucina... pesce, squalo, alghe, crostacei... tutto ciò che ci si potrebbe aspettare da un insediamento di tritoni (ma, assicurò il carovaniere, di un livello superiore a qualsiasi altro posto. Delizie addirittura migliori di quelle di Portale Marino, grazie alla maggiore vicinanza alla fonte). Akiri si ripromise di provare una taverna consigliata dal carovaniere, quando udì Zareth urlare il suo nome dalla cima del gruppo. Terminò cordialmente la conversazione e si affrettò verso il punto dove Zareth era accovacciato e parlava con il condottiero della carovana e il suo seguito riguardo a un bue caduto e dolorante. La creatura giaceva nel mezzo del tornante, bloccando l’intero passaggio e dividendo la carovana in due gruppi.
"Una caviglia rotta", disse Zareth. Porse ad Akiri un blocco di pietra. "Sembra un ciottolo fuori sede, probabilmente eroso da tutta quest'acqua."
Akiri prese il ciottolo da Zareth e sussultò. "Povera creatura."
"Mmm", rispose Zareth. Osservò il bue, con una cupa compassione in volto. "Dovranno abbatterlo; non abbiamo alcuna possibilità di trasportarlo."
Mentre Zareth ipotizzava, il condottiero della carovana incurvò le spalle in un gesto che confermava la sua valutazione. Il condottiero parlò con il suo seguito e ordinò di iniziare a rimuovere il bagaglio dal dorso della creatura. Si voltò, con espressione contrita, verso Akiri e Zareth. Dietro di lui, uno dei suoi compagni afferrò il capo della bestia e, con un veloce e deciso colpo della sua lama, pose fine alle sue sofferenze.
"Dobbiamo distribuire il suo carico tra le altre bestie", disse, "e poi disfarci della carcassa."
Akiri fece un cenno con la testa. "Fai ciò che è necessario e avvisaci se ti possiamo essere utili."
Il condottiero della carovana li ringraziò e tornò dalla sua gente, lasciando Akiri e Zareth assistere alle loro azioni. I carovanieri si affrettarono a scaricare il bue caduto, attività che si rivelò molto più lenta rispetto allo scarico di un bue sulle proprie zampe, poi suddivisero le merci, rallentati dagli stretti spazi vicino al tornante e dalla roboante cascata.
Zareth si riposò contro la parete e si dissetò. Akiri si unì a lui, appoggiandosi con le braccia incrociate. Non parlarono e rimasero a osservare i tritoni all’opera.
"Sei mai stato a Elmo Corallino?", chiese Akiri a Zareth.
"Mai", rispose lui.
Akiri non gli chiese il motivo. Non doveva riguardarla. Zareth le offrì la sua borraccia dell’acqua, da cui lei bevve e poi gliela restituì.
Si udì un urlo più intenso della cascata, seguito dopo pochi istanti da una serie di altre grida e poi dai gemiti dei buoi. I tritoni vicini al bue caduto iniziarono a fuggire dalla testa della carovana, gridando ai compagni di mettersi al sicuro.
Akiri e Zareth, sempre appoggiati alla parete, fecero per dirigersi verso gli altri, ma poi si arrestarono, stupefatti da ciò che aveva causato tutto quello.
Akiri non ebbe idea di cosa si fosse ritrovata davanti; Zareth conosceva invece quella creatura, ma non riuscì a capacitarsi della sua presenza. Rimase sbalordito dalle dimensioni di quell’essere che incombeva minacciosamente dalla foschia vorticante. L’acqua scendeva da quella che doveva essere la lingua, che fuoriusciva dalla nebbia. Il profilo oscuro della testa di quella bestia oscurava la già ridotta luce del sole, lasciando la zona del tornante in una quasi assoluta oscurità. L'appendice si muoveva come il fumo che si diffonde appena sopra il pavimento di una casa in fiamme, procedendo con una leggiadria che animali così grandi non potevano possedere, come a sfidare le leggi della natura che si applicano agli altri esseri viventi.
Akiri e Zareth spinsero i tritoni intrappolati e in fuga, per dirigersi verso quel muscolo in movimento che rimaneva nascosto dalla foschia e dal ruggito dell’acqua.
"Tieni quell’affare lontano da loro", ordinò Akiri a Zareth. Sciolse una sezione della fune e la strinse all’imbragatura, poi afferrò il gancio Kor di Makindi che Zareth le aveva regalato.
Zareth estrasse le sue lame gemelle. "Non penso che saremo in grado di combattere contro questo, Akiri."
"Ci dobbiamo provare", rispose Akiri. Si accovacciò, scattò e infine balzò dal tornante, volando a mezz'aria per fronteggiare l’essere che l'attendeva oltre la foschia.
Come avrebbe potuto Akiri iniziare a descrivere il mostro che si celava dietro quella nebbiolina? Sarebbe riuscita a comprendere l’intero corpo in un solo pensiero? Per non parlare del numero di denti nelle sue fauci. Era gigantesco e lei vide solo una parte ridotta di quella bestia, riuscendo a capire che si trattava di una specie di serpente, grande quanto il fiume in cui si annidava.
L’acqua scrosciante di Magosi si trasformava in vapore al solo contatto con il corpo nerboruto di quella titanica creatura. Non avrebbe dovuto essere in grado di muoversi in quel mondo, risalendo verso la cascata e scendendo lungo il flusso senza sforzo. Era una delle bestie di cui si narra nelle leggende, un essere che andava oltre la semplice suddivisione in categorie e viveva solitario, diverso da qualsiasi altro, senza un popolo o dei simili. Un mondo composto da un solo essere.
Era forse questo ciò di cui il Torbido aveva cercato di avvisarli quell’umida mattina? O forse quell’essere, quel serpente colossale con un corpo che si sviluppava per decine di metri da chissà quale pozza invisibile alla base di Magosi, era la terribile incarnazione del Torbido?
Il serpente ritirò la testa dalla scalinata, con la lingua intenta a trattenere un paio di tritoni che le si erano avvicinati troppo. Poteva questo serpente essere una bestia della natura rimasta nascosta per eoni nel profondo di Zendikar? O forse era un altro di quegli esseri che erano stati imprigionati e si erano liberati durante la battaglia, scatenato su quel mondo per diffondere distruzione? Era importante saperlo per le persone che ingoiava? Il serpente fece scattare di nuovo la testa verso il tornante della scalinata, affamato, alla ricerca di altro cibo.
La risposta a quelle domande non sarebbe stata di aiuto, comprese Akiri; contava solo il momento.
Akiri oscillò come agganciata a un ancoraggio invisibile e lanciò il suo gancio principale nel flusso vorticante di Magosi, confidando sulla capacità di quell’antico strumento di trovare un ancoraggio nascosto dall'acqua. Tenne il suo lungo pugnale legato al fianco... aveva bisogno di entrambe le mani per questo tipo di lancio... e al primo passaggio di fronte al mostro vide che avrebbe dovuto avvicinarcisi per poterlo ferire: l’ampiezza del suo dorso era protetta da una spessa pelle scivolosa grazie a una sostanza mucosa con delle rigide pinne acuminate. La sua posizione a spirale all’interno della cascata ne nascondeva il ventre e il forte flusso d’acqua di Magosi rendeva impossibile colpirla. Diversamente da quel serpente, Akiri era soggetta alla forza di gravità... poteva volare con la sua fune, ma oscillare troppo vicina al flusso d'acqua l’avrebbe fatta precipitare.
Akiri giunse a un estremo di oscillazione, fino a un affioramento sul lato opposto a Magosi, leggermente al di sopra del livello del tornante da cui era saltata. Premette la fronte sulla roccia, con le labbra a un centimetro dalla pietra umida. Il calore della giornata si irradiava ancora dalla parete della scogliera. Il brontolio cupo dell’acqua batteva forte sulla roccia a una qualche altezza molto più in basso e lei poteva sentirne le vibrazioni fino in cima.
Poi giunsero le urla. Akiri udì i carovanieri e i loro buoi urlare. Quelle voci la riportarono...
Alla notte oscura di Portale Marino e al terrore. Il nemico era silente anche nella morte. La sua spada si conficcava nel centro di un qualche essere che si contorceva, schizzando sangue d’icore in punto di morte, senza emettere alcun rumore. Le grida dei suoi compagni riecheggiavano e di scontravano con le onde e il ruggito della magia.
... al presente, con un obiettivo chiaro.
Avrebbe potuto colpire la testa, magari individuare un occhio... o qualche altro punto morbido nella spessa pelle della creatura. Avrebbe potuto affondare il suo ancoraggio nella scogliera opposta a Magosi, oscillare con entrambe le braccia e atterrare sul dorso della creatura. Una volta in quella posizione, avrebbe potuto eludere la sua guardia; magari non l’avrebbe uccisa, ma il suo obiettivo era solo guadagnare tempo affinché i tritoni potessero fuggire.
Akiri roteò sull'affioramento, si preparò e balzò. Con leggiadria unica, scagliò il gancio principale mirando a un punto di ancoraggio che aveva individuato nell’oscillazione precedente. In un momento di assenza di peso, Akiri temette che il gancio potesse fallire la presa o che non si ancorasse in modo sufficientemente solido o che la pietra si frantumasse... la caduta sarebbe stata inevitabile. Si preoccupò che il tempo potesse rallentare in quella caduta, che le facesse sentire ogni sferzata d'aria rovente fino al suolo. Avrebbe voluto non fallire ma, in caso di caduta, si augurò fosse più rapida possibile.
Ogni sua preoccupazione svanì nel momento in cui il gancio raggiunse il bersaglio, si ancorò e supportò saldamente la sua oscillazione nell'aria umida. Sfrecciando in avanti, raccolse le ginocchia, liberò il suo gancio principale e, con la mano libera, sfoderò il lungo pugnale.
L’inerzia la scagliò in alto e in avanti e lei volò, in un grido di battaglia proveniente dalle sue più primordiali viscere... da quel luogo dove risiedono la paura e la rabbia, da cui provenne quel grido che tentava di soffocare il dolore di questo mondo... e atterrò sul dorso del serpente, afferrandolo e rimanendovi aggrappata con la forza delle dita e dei riflessi.
Lanciò il suo gancio libero intorno a una delle punte che sporgevano dal dorso del serpente e il gancio si avvinghiò su se stesso e le diede stabilità. Akiri fissò saldamente la fune intorno al proprio avambraccio e, ora inseparabile dal dorso del serpente, poté iniziare a muoversi intorno a quella sporgenza regolando la lunghezza della fune libera.
Con il pugnale in mano, Akiri scattò agilmente in avanti, con i ramponi dei suoi stivaletti che mordevano quella guaina mucosa del serpente quanto bastava per supportare la spinta. Il colosso, concentrato sulla carovana, non si accorse della sua presenza. La fragorosa cascata minacciò di trascinare Akiri via dal dorso del serpente, ma lei continuò a risalire lungo il corpo, in direzione della testa. Non guardò verso il basso... sapeva di trovarsi molto in alto, troppo in alto... in quanto perdere la presa sarebbe quasi sicuramente significato la morte di tutti i compagni nel tornante e il solo vedere quella distanza dal terreno sarebbe stato troppo per lei; il serpente si mosse sotto di lei, quasi in modo languido, con la forma colossale che si sollevava dalle acque di Magosi apparentemente senza alcuno sforzo. Akiri cadde in ginocchio, si avvinghiò all’ancoraggio e conficcò il pugnale più profondamente possibile nel rivestimento del serpente. L’attacco sembrò avere un qualche effetto; la ferita senza sangue fece un piccolo movimento e spezzò il pugnale in due, come se fosse un ramoscello.
Akiri continuò a reggersi forte. Il serpente si sollevò nel flusso discendente di Magosi. L’acqua scendeva fragorosamente, colpendola. Non riusciva a udire altro che quel ruggito... il ruggito del mondo, della bestia stessa, del dolore inimmaginabile e, crudelmente, non sconfinato bensì senza età... sempre avvinghiata al serpente, per liberarsi dell’acqua. Era come se fosse Zendikar stesso ad attaccarla; la rabbia del mondo sotto forma di vento del fiume in picchiata, del freddo pungente e della bestia.
Akiri si trascinò in avanti. Reggendosi alla fune ancorata, liberò un gancio e lo scagliò in avanti, raggiungendo una sporgenza più vicina alla testa. Ancorata in due punti, Akiri trovò il modo per proseguire la sua arrampicata; dieci metri più avanti, i canali e le creste della pinna dorsale del serpente, la parte superiore della sua perfida mandibola... una foresta di appigli e di ancoraggi per i ganci e sicuramente dei punti vulnerabili in cui infliggere ferite per distrarre il serpente dalla carovana...
Zareth. Si augurò che fosse ancora vivo e sperò di poter salvare quei tritoni ancora intrappolati sulla scalinata. Akiri ripose il pugnale spezzato nel fodero e balzò sul dorso attorcigliato e contorto del serpente titano, trascinandosi con le mani sulla fune. Un istante di pausa per riprendere fiato all'ancoraggio successivo, per sganciare la fune, individuare il bersaglio successivo, lanciare...
La fune raggiunse l’ancoraggio. Akiri sorrise. La sua prima volta. "Ottimo", annuì il capitano lanciafuni, con voce ridotta a un ringhio come il rumore sassolini che sfregano tra loro. "Si è agganciato bene? Strattonalo per verificare. Sposta tutto il tuo peso, Kor; devi confidare sulla fune!" .
... e salire ancora più in alto. Una mano dopo l'altra. Cercò nuove prese dove possibile. Il fetore della testa del serpente così vicina la disorientava. Un vento chiamato Imputridimento e Fame le spazzava il volto, una brezza vorticante e nauseante, ma Akiri non si fece disarcionare; così vicina alla testa, ogni movimento della creatura minacciava di farla precipitare. Quante volte quella testa era più grande di lei? Certo, se era in grado di ingoiare un intero bue dei tritoni, avrebbe potuto divorare anche lei senza difficoltà.
Akiri si resse con forza al movimento improvviso del serpente verso il tornante per azzannare un bue. Tra le sue fauci finirono anche alcuni tritoni. Prima che Akiri potesse fare qualcosa per aiutarli, caddero e le loro grida si persero nel ruggito di Magosi.
Ogni cosa veniva inghiottita dal ruggito di Magosi.
Akiri afferrò di nuovo il pugnale spezzato e puntò verso il nuovo bersaglio: gli occhi. Scuri globi senza fattezze che sporgevano dai lati delle fauci, almeno due dal lato che lei era in grado di vedere, probabilmente altri due sul lato opposto del muso dell’animale. Un colpo per accecarlo, per distrarlo, per ricacciarlo indietro dal tornante e nelle profondità dietro Magosi... quello era il piano.
Akiri non vide però la seconda testa sollevarsi dalla base dell’imponente cascata. Più piccola e comunque più grande di lei, si mosse rapidamente contro una corrente che avrebbe dovuto schiacciarla, con le fauci spalancate.
Il serpente non aveva ignorato Akiri. Al contrario, l’aveva tenuta sott’occhio dal basso con la sua seconda testa durante la sua eroica salita e, crudele o curiosa, le aveva permesso di arrivare così vicina prima di colpirla.
Akiri sollevò la lama spezzata per colpire ma, prima di poter affondare il colpo, le venne strappata dalle mani dalla spessa e fetida lingua della seconda testa del serpente. Si voltò nel momento in cui stava scattando per afferrarla... zanne delle dimensioni di un suo avambraccio, gengive bianche prive di sangue, gola dotata di una fila di denti più piccoli... e si salvò solo grazie ai suoi riflessi sovrannaturali.
Akiri saltò, con gli occhi su un ancoraggio che avrebbe potuto utilizzare per il suo volo.
La seconda bocca la urtò a mezz'aria, con i denti e le labbra uncinate che raschiarono la sua armatura. Akiri emise un grido per la sorpresa e perse l’appoggio.
La seconda bocca la scagliò di lato, verso il vuoto.
Akiri non stava più volando.
Stava precipitando.
Zareth era a conoscenza del nome di quel serpente: Verazol. Ogni tritone della carovana lo riconobbe appena la sua testa uscì dalla foschia. Verazol, il flagello dell’Umara, il demone di Magosi, la morte dell’Halimar. Si ricordava le piccole sculture in corallo di Verazol che alcuni tritoni tenevano nelle loro case; da piccolo, anche la sua famiglia ne aveva una, nel periodo in cui i tritoni possedevano una casa e non solo un luogo dove dormire.
Verazol era una leggenda, un mito, per alcuni una divinità. Non sarebbero riusciti a fermarlo; non si può uccidere un fiume o distruggere un oceano. Non si può alzare un braccio e abbattere un mondo. Vero, alcuni esseri sono in grado di farlo...
Una notte febbrile di cenere illuminata solo dalle fiamme e dalle esplosioni cromatiche in alto, ogni esplosione paragonabile a un’alba che sorgeva in un istante.
... ma Zareth non ne era in grado e, per quanto elevate fossero la sua leggiadria e le sue abilità, neanche Akiri.
Zareth si mise a correre. Arrancò per il tornante, lontano dalla lingua sferzante di Verazol, spingendo alcuni tritoni in difficoltà davanti a lui.
"Lascialo!", Zareth, incitando il tritone ad abbandonare i frenetici tentativi di far voltare il bue. "Lascialo andare! Corri!"
Il bue muggì dal panico e cadde all’indietro. Zareth ebbe spazio a sufficienza per appoggiarsi alla parete del dirupo ed evitare quel lento e pesante movimento, mentre uno degli altri tritoni non fu così fortunato. Zareth cercò di afferrare il tritone caduto, ma la lingua di Verazol scattò dalla nebbia, un forte muscolo come un tronco dalla superficie increspata, e afferrò il carovaniere a terra.
Zareth fece un passo indietro rispetto a dove si trovava il carovaniere solo un istante prima. Magosi ruggiva poderosamente e senza sosta. Scappare non aveva alcun senso, per un fondamentale motivo:
Akiri.
Era ancora là, da qualche parte, intenta a combattere quel mostro.
Zareth si voltò verso la nebbia dietro la quale si trovava quel serpente leggendario. Non avrebbe potuto abbandonare di nuovo la sua amica, sebbene fosse terrorizzato... sebbene sapesse di non poter vincere quella battaglia, avrebbe comunque combattuto al suo fianco.
Come un fiore nella primavera in arrivo. .
Con un controllo del movimento quasi deliberato, Verazol fece sporgere la testa dalla foschia creata dalla cascata. L’estremità del muso divise in due il flusso d’acqua come uno scafo corazzato di una nave, scavato e ricoperto di cicatrici dalle leggende e dalle bestie di cui si era nutrito in tutti gli anni della sua vita. Le lame di Zareth, letali contro avversari della sua stessa stazza, sarebbero state inutili ramoscelli contro Verazol. Nonostante ciò, le sollevò e poi si fermò. In qualche modo, attraverso il ruggito dell’acqua udì qualcosa che gli fece venire i brividi fino alle ossa. Un suono spaventoso, più gelido della profondità degli abissi o dell’ululare del vento.
Akiri, urlante.
La prima caduta di Akiri fu breve, su un materasso riempito di lana di agnello. Fu una caduta pianificata, la prima parte dell’addestramento di ogni lanciafuni. Scoprire la sensazione della caduta.
La sua seconda caduta avvenne durante una lezione di pratica nel lontano nord di Tazeem. Solidi ancoraggi erano presenti su entrambi i lati del basso canyon, riempito di acqua profonda, un lago in cui terminavano molti ruscelli naturali. Akiri imparò come sopprimere e... con il tempo... ignorare la paura della caduta per quei preziosi secondi che uno ha a disposizione all’inizio della caduta. Alle grandi altezze, in caso di distacco di un ancoraggio, rottura di una fune o un lancio mancato, si hanno alcuni secondi per salvarsi; i lanciafuni devono imparare a non sprecare quegli istanti a causa della paura.
La sua terza caduta... se non si contano le centinaia in quel lontano canyon... fu la sua prima vera caduta. Trenta metri sulla parete di una liscia scarpata nel Baluardo, all’inseguimento di una banda di abili razziatori. Stava per raggiungerli, quando il velaliante che indossava sulla schiena ricevette una folata di una corrente ascensionale che le strappò le cinghie e la lanciò in aria. Da quel giorno si era rifiutata di indossare un velaliante; certo, una volta ripreso il controllo, l’aveva salvata da quella caduta permettendole di planare in sicurezza fino a terra, ma era stato anche la causa di quella perdita di sicurezza.
Questa fu la sua quarta caduta.
Non si fece prendere dal panico (provò la sensazione di panico, ma si impegnò per sopprimerlo grazie al suo addestramento e a tutte le pericolose esperienze).
Andò alla ricerca dell’appiglio più vicino (gli umidi scalini del tornante vicino a Magosi. Il corpo del serpente si muoveva ripetutamente tra il tornante e la colonna d’acqua. Non avrebbe avuto molto spazio a disposizione).
Lanciò il suo gancio (otto metri? Dieci metri? Un lungo lancio in ogni caso).
Si agganciò e Akiri si resse alla fune nella successiva oscillazione, andando a sbattere contro il tornante al di sotto della carovana e il corpo del serpente, decine di metri sopra la base della gola. Senza fiato, riuscì elegantemente a liberarsi dal groviglio della fune e ad allontanarsi dal bordo. Un veloce controllo non evidenziò ossa rotte, ma le sue gambe erano ricoperte di tagli e di uncini strappati dall’interno della bocca del serpente. Rimosse quegli uncini e li scagliò a terra, ignorando il dolore. Era in grado di camminare e, una volta gestite quelle ferite, sarebbe stata in grado di risalire i tornanti e...
L’aria cambiò. Gelida all’atterraggio, si era fatta improvvisamente rovente e spessa per il fetore.
Akiri alzò lo sguardo.
La testa principale del serpente incombeva su di lei, avvolgendola nell’ombra. Cercò di afferrare il pugnale, per poi ricordare di averlo perso nella caduta.
Senza alcuna arma per difendersi, Akiri rimase congelata.
Le fauci si spalancarono.
Zareth si arrestò sull’orlo del tornante, sporgendosi il più possibile, nella speranza che Akiri fosse sopravvissuta. Imprecò per ciò che vide e il forte vento spazzò via quell’imprecazione.
Verazol aveva messo Akiri con le spalle al muro. Il suo volo era terminato su un tornante una decina di metri più in basso e l’enorme testa del serpente era alla sua altezza, mentre il corpo titanico oscillava in aria. Ancor peggio, la seconda testa di Verazol era diretta verso di loro, più piccola ma non meno mostruosa.
Zareth indietreggiò. Imprecò. Aveva guadagnato un po’ di tempo prezioso per i carovanieri, ma ciò non avrebbe impedito a Verazol di attaccare fino a essersi gustato tutto quel pasto. Da solo contro quel serpente leggendario, non avrebbe avuto alcuna possibilità; insieme, lui e Akiri non sarebbero stati in grado di sconfiggerlo, ma almeno avrebbero potuto salvare la pelle.
Una distrazione. Qualcosa che attirasse l’attenzione di Verazol e che permettesse loro di fuggire. Uno dei buoi caduti, già accasciato sul bordo del tornante.
Zareth imprecò di nuovo, scattò e maledì quella situazione. Infilò i pugnali nel fodero, serrò la chiusura e batté le mani.
"Voi", urlò a un gruppo di tritoni. "La seconda testa si sta avvicinando. Aiutatemi. La distrarremo e poi fuggiremo", gridò indicando il bue a terra.
I carovanieri esitarono, ma Zareth li aveva protetti e decisero di correre ad aiutarlo. Con grande sforzo, spinsero la carcassa del bue oltre l’orlo del tornante. Rotolò e andò a sbattere contro la testa principale di Verazol, rimbalzando e continuando la sua lunga caduta. La testa principale di Verazol emise un urlo stridulo, scattò all’indietro e si voltò verso l’alto.
Zareth arretrò dal bordo e si rialzò in piedi. I tritoni iniziarono a parlare in tono allarmato, poi si misero a urlare alla vista della testa principale di Verazol che saliva verso di loro. Fauci spalancate, respiro ardente come una fornace... Zareth vide in Verazol l’incarnazione del furore di Zendikar contorto da quei terribili esseri che erano stati imprigionati al suo interno. Gli occhi neri e vuoti del serpente rappresentavano gli aberranti Eldrazi senza vita... gli spaventosi esseri che il popolo di Zareth un tempo chiamava divinità... e il Torbido. Prigione e prigioniero che irrevocabilmente si erano avvelenati l’un l’altro. In quel momento era suo compito affrontare tutto questo e lui sapeva cosa fare.
Zareth cercò di recuperare fiato, rimanere immobile e pronto a scattare mentre i tritoni intorno a lui, presi dal panico, cercavano di arrampicarsi gli uni sugli altri per darsi alla fuga. Zareth mantenne la lucidità in quella folla, concentrandosi sui movimenti del serpente, in attesa, pronto.
Verazol caricò il colpo e si lanciò all’attacco.
Zareth balzò verso il serpente... due, forse tre passi, spintonando uno dei carovanieri sul suo cammino... poi si lanciò. La mascella divisa in due di Verazol sfiorò Zareth da entrambi i lati, così vicina che gli uncini si avvinghiarono sulle sue vesti, ma non riuscì ad afferrarlo e a intrappolarlo.
Zareth saltò nel vuoto e andò incontro alla sua prima vera caduta.
Akiri osservò dal basso il serpente che si avventava sul tornante. Lanciò un urlo per le vibrazioni che si diffusero sull’intero dirupo nel momento in cui la titanica creatura colpì con una forza tale da generare un’ondata di roccia frantumata e un’esplosione di polvere. Osservò in preda al terrore tritoni e parti dei loro corpi che cadevano insieme alle rocce e ai frammenti degli scalini, accompagnati da buoi e merci scintillanti che, invece di giungere alla destinazione prevista di Elmo Corallino, disegnarono un arco colorato a mezz’aria.
Poi, all’improvviso, il suo grido si fece silente.
Zareth, in caduta libera.
Le passò davanti agli occhi. Vide il volto con gli occhi chiusi e il corpo senza imbragatura o fune. Akiri balzò in avanti, incurante del serpente che si stava nutrendo della carovana sopra di loro, e si lanciò oltre l’orlo con gancio e fune ben stretti nella mano.
Nella discesa afferrò la mano tesa di Zareth, per poi avvicinarlo a sé appena prima che la fune si agganciasse a un ancoraggio, strattonandoli entrambi e facendoli rimanere appesi a mezz'aria.
Oscillarono senza fiato, con Akiri in preda al dolore e Zareth in silenzio. Da qualche parte sopra di loro si trovava il terrore, ma laggiù in basso erano solo loro due. Non riuscivano neanche a intravedere il corpo del colosso; laggiù, a una enorme distanza dal suolo, il ruggito di Magosi avvolgeva ogni cosa.
Un po’ di tempo più tardi, Akiri si accorse che Zareth le stava parlando. Non riuscì a comprendere ciò che le stesse dicendo, ogni parola veniva inghiottita dal frastuono di Magosi. Lui urlò, ma lei non riuscì a comprendere. Infine, le appoggiò le labbra all’orecchio.
"Non ho avuto scelta."
Akiri sentì che lui aveva ragione. Lei era furiosa, ma Zareth aveva ragione, anche se il suo aver ragione avrebbe portato alla tragedia. Zareth non aveva avuto scelta, lei non aveva avuto scelta, nessuno di loro aveva avuto scelta; se fossero rimasti, il serpente li avrebbe uccisi tutti, tutti quelli che non fossero fuggiti lontano. Zareth le aveva forzato la mano, l’aveva costretta a salvarlo e, in quel gesto, le aveva dato l’opportunità di redimersi dai propri peccati. Per lo meno, il suo amico era vivo. Per lo meno, avrebbero ancora potuto combattere.
Akiri avrebbe voluto dire a Zareth che andava tutto bene, che lui aveva compiuto la scelta giusta, ma non riuscì, perché non c’era nessuna scelta giusta per lui, nulla più di un freddo calcolo; la scelta di Zareth aveva permesso loro di proseguire sul loro cammino, ma era stata una scelta terribile e lui avrebbe portato per sempre con sé gli spiriti dei caduti che aveva condannato. Akiri rimase in silenzio e strinse il suo amico in preda ai singhiozzi, così come lui aveva fatto con lei quel mattino dopo la battaglia. Le stesse due persone, di nuovo gli unici sopravvissuti.
"Non avresti potuto fare altro", gli disse Akiri, sussurrando a Zareth e anche a se stessa. La cruda verità di questo momento era che, su Zendikar, non avrebbero mai avuto alcuna scelta se non le cupe opzioni che venivano loro presentate. Per poter avere opzioni migliori, avrebbero dovuto cambiare quel mondo.
Qualche tempo dopo, il vento spazzò la nebbia, il calore e quel grande serpente Verazol lontano da loro.
Akiri e Zareth giunsero alla base di Magosi. Attesero un giorno, ma dall’alto non arrivò nessun altro.
Ripresero la via verso Portale Marino, evitando Elmo Corallino.