Il racconto precedente: Fiamma di sfida

Chandra Nalaar ha lasciato il suo piano di origine, Kaladesh, nel momento in cui si è accesa la sua scintilla da Planeswalker, salvandosi dalla fine imminente per mano del Tenente Baral e giungendo tra i monasteri di fuoco di Regatha. Ora è ritornata, per cercare di salvare dall’arresto un misterioso rinnegato, ritrovandosi di fronte una persona che riteneva morta molto tempo prima: sua madre, Pia.


"Pia, oggi ho ucciso tua figlia". Una bassa voce penetrò nella sua mente attraverso un pesante velo di sonnolenza e un mal di testa lancinante.

Si sforzò per aprire gli occhi, ma intorno vide solo oscurità. Rigide corde vocali raschiavano parole attraverso una gola secca. "Che cosa...?".

"È stato un gioco da ragazzi". Le sue parole erano stranamente troncate e lente e il suo respiro era pesante come i mantici di una fornace. "Era appena più alta della mia lama". La voce rise amaramente... un basso brontolio che Pia riuscì a percepire attraverso la porta tra di loro.

L’oscurità si trasformò lentamente in figure indistinte e poi in larghe righe di luce. Le sue mani rigide si stesero e trovarono le fredde e curve superfici delle pareti filigranate. Cercò di sollevare i piedi, troppo in fretta.

"Ovviamente, non mi sono dimenticato di te in tutta questa... emozione. Ti ho portato un regalo".

CLANK. Un pezzo di metallo sferragliò sul pavimento, da qualche parte di fronte a lei.

"Prendilo. Un ricordo di ciò che ti sei persa", disse la voce.

Stese una mano verso l’oggetto. Un frammento piatto, completamente fuso da un lato e profondamente inciso dall’altro. Leggero. Freddo e solo leggermente caldo al suo tocco, ma con intagli precisi e profondi sul lato intatto. Una lega di titanio preziosa per i motori delle loro aeronavi rinnegate, grazie alla sua malleabilità e alla sua resistenza al calore... sebbene questo pezzo non fosse altro che un cumulo di scorie da un lato.

"Lo riconosci?", chiese la voce in tono troppo impaziente.

I suoi occhi si abituarono all’oscurità e riuscì a distinguere alcuni dei simboli, tracciando gli altri con le mani. L’incisione di un vortice in movimento sotto una guglia aguzza. Pia conosceva questo simbolo... il giorno in cui lei e Kiran lo avevano creato alla loro partenza da Ghirapur sembrava ieri. Una guglia stillante, uno dei simboli dei rinnegati, che rappresentava la Ghirapur alla quale sarebbero voluti tornare. Ma che cosa poteva essere questo oggetto? Passò le dita sulle incisioni e ne analizzò la superficie. Poi si fermò.

Sotto la mostrina vi erano le iniziali "K.N.", scarabocchiate dalla confusionaria ma ponderata mano di un artigiano che era stato separato dai suoi attrezzi. Sapeva esattamente di che cosa si trattasse... un elemento del progetto finale di Kiran Nalaar.

Lo sfiatatoio di Chandra.

I muscoli tra le sue costole si irrigidirono e un’improvvisa ondata di sangue riscaldò il suo petto. Le sue mani si afflosciarono e lei lasciò cadere la mostrina.

"Oh, guarda un po’!". Dall’altro lato della porta della cella, la voce suonò raggiante. "Certo che lo riconosci”.

"Non c’è molto che io desideri ricordare di questi oggetti", continuò la voce. "Però ricordo bene il suo sguardo. Passava da un lato all’altro della folla, incapace di guardare verso di me. In modo vigliacco. Sprezzante".

Aveva ora ripreso il controllo dei sensi. Le luci sbiadite provenivano dalle tubazioni di etere nel soffitto di una tetra cella di una prigione con una grata per porta. Era stata presa prigioniera dalle guardie del Consolato che avevano teso un’imboscata alla sua famiglia nel villaggio appena fuori Ghirapur. Non era questo il mondo nel quale avrebbe voluto risvegliarsi. Torna indietro. Che questo sia solo un sogno. E quella voce... quella voce così familiare...

"Ma poi ho compreso", continuò la voce con autentico entusiasmo, "che stava cercando qualcosa. O forse qualcuno?".

Oh, sì. Conosceva quella voce. La voce dell’uomo che aveva dato la caccia alla sua famiglia: il capitano Baral.

"Stava cercando te, Pia".

L’aria nel suo petto si mosse dentro di lei in un’ondata di indignazione, sebbene non sapesse nei confronti di chi. Le sue mani afferrarono la grata, cercando di raggiungere la forma di Baral, che si trovava abbondantemente al di fuori della sua portata. Prese a spallate e pugni la porta della cella. Baral la osservò, con uno sguardo imperturbabile.

"Sono l’unico che merita il tuo disprezzo?", chiese lui. "Non eri tu che saresti dovuta arrivare a salvarla? O magari a offrirle qualche ultima parola di conforto?".

Certamente. Perché non ci sono stata? le chiese qualcosa dentro di lei.

Lui se ne andò senza dire altro, come ogni giorno.

Il rumore dei suoi passi svanì in lontananza e lei si ritrovò improvvisamente sola. Il suo Kiran, la sua Chandra, i fili delle loro vite un tempo così intrecciati e ora inesorabilmente lontani da lei. Il loro mondo, una volta così grande e pieno di vita, era ora limitato a quella cella.

Baral tornò da lei in giorno successivo e il giorno dopo ancora. Dopo poco, era già trascorsa una settimana.

"Stava cercando te, Pia".

Quelle parole erano diventati rumori per lei... riconoscibili nonostante i suoi tentativi di ignorarle. Controllò i nervi per rivolgersi a lui per la prima volta.

"Non hai di meglio da fare che assillare una vedova in lutto? Non mi è rimasto altro che tu mi possa sottrarre. Hai vinto... ora non puoi lasciarmi da sola?".

"Nalaar, la nostra città è sempre stata definita dal suo progresso. Tutti noi compiamo sacrifici, mettendo il benessere comune davanti a noi stessi", le disse Baral.

"Tutti noi", continuò con un tono che divenne più tagliente, "tranne poche persone egoiste, che osano mettere i propri interessi al di sopra del bene della città. Sono... soddisfatto nel consegnare alla giustizia le persone come te. Nel farti rimpiangere ogni brandello di quello sciocco atteggiamento ribelle".

Pia sollevò il capo con un freddo e compassionevole sorriso. "Allora ti stai sbagliando, Tenente. Ho ancora qualcosa, che non ti apparterrà mai".

Lui si mise a ridere, con un tono acuto che non aveva mai avuto prima, e si incamminò lungo il corridoio delle celle.

Passò quasi una settimana intera prima che tornasse da lei.

"Stava cercando te, Pia", disse Baral, come al solito.

Pia rispose lentamente, evitando di guardare nella direzione di lui. "E io tornerò per lei, per tutte quelle come lei, in modo che sappiano ciò che hai fatto. Tornerò per te, Tenente".

Le sue mani erano forti e salde, forti abbastanza da scagliare le sottili lampade filigranate di etere con sorprendenti velocità e precisione attraverso la grata, dalla sua cella verso il volto di Baral.

Sollevò un gomito con un grugnito istintivo nel momento in cui la lampada lo colpì al volto e fece cadere la sua maschera con un fragoroso riverbero. Un intenso bagliore blu prese vita e circondò il suo corpo, riempiendo di luce il corridoio di Dhund. Pochi secondi dopo essersi formato, scomparve lasciando una serie di immagini nella mente di Pia. Era troppo luminoso e instabile per essere una forma di etere. No... era qualcosa di completamente diverso.

"Sei... un mago?". Pia sussultò. Escludendo le arti piromantiche di sua figlia, non aveva mai incontrato un altro mago. La magia e i suoi utilizzatori non erano solo rari; erano anche regolamentati e tenuti d’occhio più attentamente dell’etere stesso.

Un lungo e basso sibilo si udì dall’altro lato della porta. Era un suono così più debole e così più umano di quello che aveva udito attraverso quella maschera. Pia si avvicinò di scatto alla grata della cella e osservò l’esterno.

Il volto scoperto di Baral scattò verso l’alto e i loro occhi si incrociarono. Sotto quella maschera era nascosto un ammasso di cicatrici che ricoprivano i lineamenti, con parti ancora fresche e rosse. Le forti e, secondo alcuni, “splendide” linee del suo volto erano mescolate e fuse.

"Il tuo... che cosa ti è successo?".

Illustrazione di Anthony Palumbo

Baral si fermò e indossò di nuovo la maschera. "Il destino è raramente giusto, Nalaar". Lei vide i muscoli tesi e distorti del volto di lui faticare nel dare forma alle parole con riluttante fascino. "I materiali che plasmano ciò che diventiamo sono determinati nel momento in cui veniamo portati in questo mondo. I più fortunati nascono eroi. Ma ci sono altri di noi che nascono con malformazioni... pericolose aberrazioni al corso della natura. Magari hanno un aspetto e un comportamento simile a ciò che ci minaccia dall’ombra".

Dopo essersi sistemato la maschera, si mise con attenzione il cappuccio sopra il capo. "Io accetto la mia natura... non mi nasconderò e non lascerò che altri si nascondano alla sentenza che è stata loro assegnata. Questo è il mio destino, sradicare questi pericoli nascosti, svelarli e portarli alla giustizia".

Ogni brandello di preoccupazione svanì. "Destinato a convivere e lottare con i tuoi stessi demoni, dando la caccia a semplici bambini?".

"Bambini?". Emise una risata amara. "Ovviamente. Chi meglio di me può utilizzare impropriamente le sua capacità per raggiungere obiettivi egoisti o distorti. In ogni caso, il passare degli anni modifica solo leggermente la natura criminale delle persone, come tu stessa dimostri".

La sua voce si fece sommessa e lui si sporse verso la grata, continuando a parlare con un sussurro accusatorio. "Mi hai chiesto che cosa è successo. Tua figlia. Tua figlia ha fatto questo, Nalaar. Questa...", premette il volto mascherato contro la grata e passò le dita sul lato della maschera, "questa è opera di tua figlia".

Pia si avvicinò il più possibile alla grata. "Una madre non potrebbe essere più fiera".

Baral sbatté la grata con una forza che sbalzò all’indietro Pia. Una fredda determinazione domò la furia in lei. Rimasta sola nella vellutata oscurità della cella di Dhund, chiuse gli occhi e ascoltò il ritmo del proprio cuore che rallentava...

... e iniziò a tramare.


Illustrazione di Tyler Jacobson

Anni dopo e lontana da Dhund, Pia Nalaar aprì gli occhi e sbatté le palpebre sotto la luce del sole, mentre ripuliva i suoi occhialoni con il dorso di un guanto usurato.

Pia aveva trascorso anni nel radunare un contingente sempre più grande di inventori, riparatori, artisti... cittadini da tutto Kaladesh... dedicati a svelare e a protestare contro la stretta sempre più rigida del Consolato sulla città e sul vitale etere. "Rinnegati", come li chiamava il Consolato, nati da una risoluta passione di difendere e celebrare lo spirito della dimora che avevano costruito insieme.

Un gruppo selezionato di rinnegati si era riunito oggi su uno dei tanti decorati e vorticanti tetti del distretto, molto più in alto rispetto al terreno. Sotto di loro, la città era un’entità vivente e in movimento, piena di flussi scintillanti formati dall’ottone lucente dei congegni che correvano in ogni direzione. Stendardi e annunciatori strombazzavano ad alto volume nella sottostante Fiera degli Inventori, le cui opere d’arte si estendevano nella piazza in una schiera stupefacente di forme e colori. Dopo qualche minuto, anche i rinnegati avrebbero svelato le loro opere non autorizzate sulla fiera.

Un sonoro POP e un aspro aroma di fumo attirarono la sua attenzione. Pia si guardò intorno appena in tempo e vide l’apprendista del giovane inventore, Tamni, strillare e quasi perdere l’equilibrio sul cornicione del tetto.

Pia afferrò il braccio di Tamni per reggerla e guardò verso il basso... il tottero quasi terminato della giovane apprendista era avvolto da fiamme color arancione; l’ottone si stava afflosciando e deformando.

Pia coprì repentinamente le fiamme con un guanto e lo lanciò in un angolo lontano del cornicione per farlo raffreddare. "Solo un piccolo fuocherello. Ti posso aiutare in qualche modo?", chiese a Tamni sollevando un sopracciglio.

Tamni srotolò rapidamente degli schemi e si diede da fare con un mucchio di strumenti per misurazioni stesi di fronte a sé. "Tutto è al posto giusto, vero? Ho controllato tutto poco fa, lo assicuro! So che abbiamo poco tempo a disposizione... ma posso farcela!". Si morse il labbro inferiore, mentre continuava freneticamente a esaminare il diagramma.

Ha ragione... manca poco! Disse Pia a se stessa. Ma poi rimosse il pensiero dalla mente e mise un braccio rassicurante intorno a Tamni. "Va tutto bene... hanno chiesto che tu sia qui. Sono sicura che tu lo abbia già fatto centinaia di volte!"

"... io, ecco, non vuoi dire letteralmente centinaia, vero? Voglio dire, posso provare...".

Pia la osservò senza dire nulla.

"Sono sicura di farcela! Voglio dire, ne ero sicura, no?". Tamni incrociò le gambe, imbarazzata. "Potrei aver... esagerato nel descrivere la mia esperienza, per arrivare qui".

Illustrazione di Ryan Pancoast

Pia appoggiò mentalmente il palmo della mano sulla fronte.

"... ho saputo che la condottiera dei rinnegati ci sarebbe stata! Dovevo esserci anche io!".

Pia poteva sentire gli altri intorno a loro muoversi dall’impazienza. Offrì loro un sorriso per trasmettere sicurezza e fece il segnale... supereremo questo momento, dateci solo un attimo.

Pia sollevò il mento di Tamni e incanalò il ricordo del miglior sguardo rassicurante di un genitore. "Andrà tutto bene, ma dobbiamo essere veloci. Ricorda ciò che abbiamo imparato: le creazioni di un tempralesto non ci diranno ciò che non va, a meno che non poniamo una grande attenzione.

"Questi strumenti", indicò l’eterometro, i pressostati e i frequenzimetri, "ci offrono solo una parte di ciò che abbiamo bisogno di sapere. "Questi altri strumenti", disse toccando le mani di Tamni, "sono a conoscenza di molte parti diverse della macchina grazie all’esperienza e all’intuizione. Possono percepire la pressione, il calore, il movimento e le dimensioni contemporaneamente. Vai e dai loro la giusta energia".

Tamni applicò nervosamente l’etere alla macchina... le eliche laterali iniziarono a muoversi, ma il rotore posteriore rimase immobile.

"Ascolta. Che cosa senti?", disse Pia.

Il suono del rotore era un acuto lamento familiare, unito a un regolare ticchettio di ingranaggi. Tamni appoggiò l’orecchio sul lato filigranato. Sotto al ritmo normale, udì un tono basso e sconosciuto. "C’è qualcosa che non va, che ruota non in sincronia".

Tamni appoggiò il palmo contro il vano di ventilazione posteriore. C’era qualcosa che batteva lentamente, in modo non allineato con il resto delle vibrazioni. Un tubo di etere era andato a finire tra gli ingranaggi e si era rotto, facendo uscire dalla macchina etere pericoloso che aveva surriscaldato i rotori.

"Ora, quando diamo di nuovo forma al metallo", incoraggiò Tamni, "dobbiamo fare molta attenzione ai suoi movimenti; la filigrana che si forma quando l’etere sboccia sul metallo è data da una reazione complessa e incostante". Pia aprì la valvola del suo guanto di etere e guidò la mano di Tamni con la propria.

"Ma tu potrai imparare gli schemi anche se non li comprenderai del tutto", le disse Pia. "Ascolta i suoi movimenti e piegati a loro come loro si piegano a te. La situazione non sarà sempre come la vorrai o avrai bisogno che sia, ma noi dobbiamo continuare a plasmarla al nostro meglio e otterremo la forma migliore".

Tamni annuì con impazienza. "Certamente, sì... vorrei che ci avessero insegnato queste cose al corso!".

Questi sono insegnamenti colti con fatica e tempo, pensò Pia sarcasticamente.

Il leggero metallo ossidato si incurvò e si contorse intorno all’intenso bagliore dell’etere. Si suddivise in una rete di brillanti tentacoli blu, che pulsarono come un essere vivente e rivelarono una nuova superficie al loro raffreddamento.

Tamni vide un pezzo della curva di ottone piegarsi su se stesso e, con una passata esitante della sua torcia di etere, lo rimise al suo posto. Il rotore iniziò a funzionare e sollevò il piccolo tottero dal terreno, con le sue ali appena formate.

La giovane inventrice emise un lungo sospiro.

Era quasi completato; ora era il turno di Pia.

Si abbassò gli occhialoni, aprì la valvola dell’etere e il brivido glaciale dell’etere penetrò attraverso le punte del guanto da tempralesto di Pia. Dall’altro lato del tetto, un cilindro di ottone cadde e atterrò con un tonfo soddisfacente nel suo guanto. Un cilindro di motore recuperato... andrà bene.

Mentre l’etere lo rilasciava lentamente dalla punta delle sue dita guantate, le sue abili mani passarono sulla sua superficie con una pressione delicata, con l’ottone che si avvolgeva ingordamente intorno all’estrusione di etere, dando origine a intricate forme geometriche. I movimenti del metallo erano rapidi e imprevedibili e l’etere si avvolse intorno.

La mente di Pia si mise a correre e le sue idee si modificarono e si adattarono ogni istante ai selvaggi movimenti dell’etere. Dopo pochi istanti, aveva dato forma a una cavità centrale, racchiudendo una fiala di etere che avrebbe alimentato più rotori, ali di filigrana diafana e alette per la navigazione e infine appendici che avrebbero sorretto il carico. Al completamento, la costruzione iniziò a gonfiarsi e a solidificarsi dall’interno, come le ali di un insetto appena uscito dalla crisalide. Dopo un altro istante, l’aria iniziò a vibrare per il furioso battere delle ali del nuovo tottero.

Illustrazione di Svetlin Velinov

Sotto di loro, uno dei orologi della città scandì l’ora e i tetti ricoperti di guglie intorno a lei ruotarono silenziosamente a presero la loro nuova posizione, per favorire il traffico dei pedoni della fine del pomeriggio.

Appena in tempo.

Una mano pesante e callosa si appoggiò sulla sua. Pia si voltò e si ritrovò davanti un uomo robusto e più anziano di lei, in una rifinita uniforme color ottone e oro; era un tenente del Consolato. O, per lo meno, questo è ciò che sembrò a prima vista.

"Venkat!", esclamò lei, colpendolo con un pugno sulla spalla destra. "Per il... non puoi andartene in giro arrivando di soppiatto alle spalle delle persone vestito così!".

"Significa che l’uniforme funziona bene, non trovi?", disse Venkat, senza preoccuparsi di nascondere un malizioso ghigno, mentre cercava di far passare il torpore dal braccio. Una volta comandante di alto grado delle guardie del Consolato, il suo dissenso nei confronti delle leggi che opprimevano i cittadini della Saldapoli che aveva il compito di proteggere avevano portato la sua obbedienza a un punto di rottura. Era giunto inaspettatamente alla porta del laboratorio di Pia un anno prima... un luogo di cui aveva mantenuto la segretezza in tutti questi anni al servizio del Consolato.

"Comunque, sono semplicemente uno dei tanti sufficientemente saggi da fidarsi di te", aggiunse Venkat, piegando il capo verso le molte persone che si erano radunate su quel tetto.

"E io mi fido di furfanti come te", rispose Pia con un sorriso. Passò lo sguardo sui volti familiari della folla e una sensazione di orgoglio la invase... come lei, anche loro erano rispettabili artigiani, visionari e creatori. Per chiunque altro, sarebbe potuto essere un pomeriggio trascorso a chiacchierare intorno ai tavoli del laboratorio, con un sacco di conversazioni circondate dall’odore del tè in preparazione. Avrebbero condiviso il peso delle leggi sempre più rigide del Consolato, avrebbero messo insieme le loro scorte sempre più ridotte di etere vitale che continuava a permettere la vita ai trafficati laboratori, cucine e infermerie del distretto.

I rinnegati sollevarono le mani per rispondere al suo segnale... era giunto il momento.

"Amici e concittadini!", disse loro Pia. "Oggi siamo qui con un obiettivo: farci sentire, raccontare ciò a cui abbiamo assistito e cercare risposte per ciò che è stato fatto".

I volti di fronte a lei annuirono gravemente. Nonostante tutti loro avessero sopportato il peso di una ridotta quantità di etere, condividevano la rabbia per "ciò che era stato fatto" a Pia e alla sua famiglia.

"Oggi è un giorno di celebrazione per molti", disse indicando il panorama della città sottostante. "Da quando è stata creata, la Fiera degli Inventori ha sempre messo in prima linea lo spirito di innovazione della nostra città. Ma, per molti di noi, le celebrazioni di quest’anno rappresentano qualcosa di molto diverso. Nella Fiera si trovano sempre più progetti finanziati dal Consolato: navigazione, sicurezza... armi!". Nella folla si udirono ringhi e vennero anche sollevati dei pugni.

"Contemporaneamente, ci troviamo ora bersaglio dello stesso governo che aveva promesso di proteggerci!". Le teste annuirono e la osservarono dalla folla.

"Hanno reso proibiti i cieli per impedire a voi, Nadya e Kari, di raccogliere l’etere da soli!". I due aerocostruttori si scambiarono uno sguardo e sollevarono i pugni insieme.

"E la fonderia di Pugnomartello? Il Consolato ha preso il loro etere e la fonderia ora è rimasta disarmata e deserta!". Tre rinnegati pesantemente attrezzati sollevarono i loro martelli.

"Viprikti, la tua famiglia è stata obbligata a lasciare la propria dimora, quando l’etere è stato rimosso da interi isolati di Saldapoli!". Uno snello uomo anziano abbassò gli occhialoni sugli occhi con un gesto solenne.

"Le missioni dei nostri condottieri non sono più dedicate ad aiutare i cittadini; sono ora dirette a coltivare i loro interessi. Ma ora, amici miei, rinnegati, siamo pronti a rispondere. Tutti voi avete dato il vostro contributo per rendere tutto ciò possibile e sono fiera di mostrarlo al resto della città. Dobbiamo essere orgogliosi, impavidi e inflessibili come coloro che ritengono di poter spegnere le nostre anime!".

Pia fece un cenno con la mano verso il basso e quattro rinnegati dotati di occhialoni risposero al suo segnale. Accovacciati sulla cornice di filigrana, lanciarono i loro totteri verso la piazza sottostante.

Le quasi cento macchine planarono verso lati opposti della piazza. Si allinearono in una enorme colonna di metallo scintillante, sopra le tende della Fiera che rivaleggiavano in altezza con i più grandi edifici della città.

Un ronzio di ali meccaniche riempì l’aria e i volti nelle tende sottostanti si alzarono verso il cielo. I visitatori della Fiera sorrisero e indicarono lo spettacolo, mentre gli automi del Consolato e le guardie umane si riversarono in strada.

Il metallo dei totteri si riscaldò e i loro colori mutarono dal giallo al verde, poi al viola e al blu, in un’orchestra di colori e forme che sembravano un’aurora. Volteggiarono gli uni intorno agli altri e la colonna si trasformò in un cono affusolato che sovrastava una linea curva: la guglia stillante.

Gli inventori e i cittadini nella folla esultarono a quella stupefacente dimostrazione che sarebbe stata degna di nota anche per i giudici. I totteri iniziarono a scendere con delicatezza verso il terreno, come se fossero attori intenti a compiere un inchino finale. Sotto di loro si riunirono le schiere di automi del Consolato, con le mani rivolte verso l’alto.

Dai tetti sopra di loro, Tamni afferrò il bordo della ringhiera con le sue nocche bianche.

"Tutto secondo il piano", la rassicurò Pia, appoggiando una mano sulla sua spalla e mostrando un sorriso a Venkat.

Fluttuando appena sopra gli automi, l’ammasso di totteri emanò un intenso bagliore blu e rilasciò l’etere con un lungo impulso. L’improvvisa ondata di energia investì gli automi, creando scintille di etere concentrato. Caddero uno dopo l’altro, come una schiera di tessere di domino.

"I rischi della produzione di massa...", sussurrò Venkat a Pia con un ghigno.

Una voce vivace e impersonale risuonò dagli altoparlanti: "Buongiorno a voi, cittadini! Questa è una prova di routine del sistema di notifica delle emergenze. Questo livello della Fiera è ora ufficialmente chiuso al pubblico. Tutto il traffico a terra e i treni verranno deviati da questa area per consentire le operazioni di manutenzione. Vi ringraziamo per la vostra collaborazione e ci auguriamo che la giornata sia stata di vostro gradimento!".

Pia fece un cenno ai suoi compagni sul tetto.

"Dovreste avere tempo più che sufficiente per tornare a Saldapoli, prima del ritorno delle guardie. Abbiate cura di voi e, se dovessero presentarsi problemi, utilizzate il segnale di emergenza e Venkat vi aiuterà".

Gli altri sorrisero e le risposero con un cenno, scambiando poi abbracci e congratulazioni prima di partire. Scesero di corsa i lati della torre, ma non prima di aver lasciato il loro segno.

Illustrazione di Viktor Titov

Pia planò dal tetto a un davanzale di una finestra, con le sue agili mani di artigiana che afferrarono facilmente le sporgenze delle pareti decorate. Con un balzo, passò da un edificio a un altro e poi scese lungo un graticolato di vegetazione e atterrò nella strada sottostante.

Sentì qualcosa di selvaggio e temerario nelle sue vene, mentre attraversava di corsa la città, con strisce verdi e una chioma rigata di grigio che svolazzavano dietro di lei.

All’ombra delle alte guglie intorno alla piazza, un alto uomo incappucciato iniziò improvvisamente a scivolare attraverso la folla, seguito da altre due figure a breve distanza.


Le soffici suole degli stivali di Pia la trasportarono silenziosamente fino agli scalini del Centro dell’Etere, al confine con Saldapoli. Da qui, non avrebbe avuto difficoltà a scomparire nelle numerose stradine laterali del quartiere e le alte e sinuose sculture che ne decoravano gli spazi aperti. Sul suo volto si dipinse un ghigno di soddisfazione.

Da dietro, una mano pesante e callosa la afferrò per un braccio. Anche attraverso la manica, sembrava emanare un brivido gelido che assorbiva il calore della sua pelle.

"Venkat, ti prego, ti ho chiesto di...".

Si voltò e non trovò Venkat davanti a sé, bensì un alto uomo incappucciato, i cui segni color arancione sul volto facevano capire che si trattava del Giudice Capo della Fiera. La mano che l’aveva afferrata era un enorme artiglio di metallo oscuro che neanche lei riuscì a riconoscere, scomparso rapidamente nella manica dell’uomo. Attorniato da due automi del Consolato, la sua armatura decorata richiamava le loro linee e i loro colori: oro e ottone splendenti e rifiniti del Consolato. Di fianco a lui, l’imponente vedalken Ministro delle Ispezioni, Dovin Baan. Poi un elfa, alta e dagli occhi verdi, che osservava da un lato all'altro in totale confusione.

"Finalmente vi ho trovata, condottiera dei rinnegati", disse l’uomo, puntando la mano di metallo verso di lei come se fosse un’arma. "Pensate forse che il vostro piccolo spettacolo possa avere effetto sulla mia Fiera?".

Mia Fiera?! ribollì di rabbia Pia. Questa è la nostra città!

"Vi fermeremo, Giudice Capo. Se non sarà oggi, ci riusciremo un’altra volta", sentenziò.

Una donna pallida nascosta da scure e fluenti sete e da un dorato e luccicante ornamento sul capo apparve di fronte al Giudice Capo. "—Tezzeret", sibilò.

La testa di lui si volse verso l’alto. Mostrò i denti. "Vess", rispose lui, con un tono basso e ribollente di rabbia.

Poi un’altra figura, armata pesantemente e senza fiato, apparve di fianco alla donna. Si scostò una ciocca selvaggia e dal colore delle fiamme dal volto...

Un’ondata di ricordi inondò Pia.

...Chandra?

Più adulta, ma inconfondibile. La sua bambina, ora ancora più alta di quanto lo fosse Kiran. Si arrampicava con sonore risate e la velocità di una scimmia sulle spalle del suoi genitori, mentre passeggiavano nei giardini della Cintura Verde. I caldi palmi appoggiati a Pia nel mercato, prima di partire per le sue esplorazioni solitarie. Così desiderosa di far parte della causa alla quale i genitori avevano dedicato tutta la loro vita, nonostante...

Nonostante i pericoli.

"...mamma"? Una voce, sottile e gracile, completamente diversa da ciò che era. Braci si gonfiarono negli angoli degli occhi e vennero portate via dal vento.

La cella di una prigione. Una maschera caduta. Una mostrina di metallo fuso. Un’amara risata.

Pia scosse la testa, come per rimuovere i ricordi dalla sua mente.

Sarebbe potuta fuggire, ora. Correre via e scomparire tra le strade familiari.

Ma che cosa sarebbe stato di Chandra?

E se le avessero fatto rivivere tutto ciò che aveva visto nell'arena, con quell’uomo che aveva devastato le loro vite?

I soldati del Consolato si materializzarono fra loro, formando una parete di carne e di metallo con Pia, Dovin e Tezzeret da un lato e la donna pallida, l’elfa e Chandra dall’altro.

Chandra si lanciò verso la parete di soldati, urlando qualcosa che Pia non riuscì a distinguere a causa del frastuono dei passi metallici. Sua figlia schivò bruscamente un imminente affondo da parte di un automa e inondò la folla di macchine con una copiosa ondata di fiamme. Il calore investì il volto di Pia come un’onda travolgente.

Un velo di impetuoso orgoglio materno coprì la scena. Si passò una mano sugli occhi punti dal calore.

"La piromante", si accigliò Baan, con una voce tagliata e precisa. Indicò con un lungo e sottile dito il contingente di guardie al suo fianco, "Occupatevi di lei, per favore. Isolate e arginate. Meccatitani davanti... non voglio avere infortuni. Siate cauti, è avventata".

No! Urlò Pia a Chandra dai confini della sua mente. Stai indietro! Non farti catturare di nuovo. Ti prego!

Chandra ruggì un’imprecazione familiare e scagliò un pugno che fece infiammare uno dei meccatitani.

"Ah, sì". Baan inclinò la testa di lato. "Poi è anche solita... esprimersi in creative descrizioni anatomiche".

Pia rimase a bocca aperta. Aveva sentito Kiran dire che...?

Una schiera di guardie pesantemente armate avanzò dal fianco di Dovin e iniziò a circondare Chandra, che cercava di continuare a sfondare. Molte di loro caddero, ritrovandosi con i piedi annodati da un sibilante turbinio di rampicanti rigogliosi, che sembravano essere apparsi dal nulla.

Doveva agire subito. Pia spostò lo sguardo da Chandra a Tezzeret, con gli occhi ardenti. "Il mio nome è Pia Nalaar e sono la condottiera dei rinnegati. Sono pronta a essere presa in custodia dal Consolato".

Dovin inarcò un levigato e sottile sopracciglio e zittì un borbottio sorpreso tra le sue truppe di soldati. "Davvero?", disse. Era questa la spaventosa condottiera dei rinnegati per cui tutti si erano preparati? "Dovete, direi, scusarci, ma sono necessarie le appropriate precauzioni per un prigioniero della vostra... reputazione".

Imperturbato, Tezzeret fece cenno ai soldati del Consolato di avanzare, con uno sguardo acceso da un ghigno crudele che, in qualche modo, non si combinava con i suoi occhi calcolatori. "Come desiderate. Mostrate alla criminale la sua nuova residenza", disse lui, puntando una mano in direzione di Pia. Mani le afferrarono entrambi i polsi e manette di filigrana si chiusero su di essi.

"Massima sicurezza?", chiese Baan, speranzoso.

"Tutto ciò che ritenete opportuno", rispose Tezzeret impazientemente. "Ora, per quanto riguarda gli altri...".

Illustrazione di Tyler Jacobson

"Pia Nalaar", dichiarò uno dei soldati, "siete ora posta sotto l’autorità del Consolato per i seguenti crimini: diffamazione di proprietà del governo, guida di una cospirazione contro il governo, disturbo della quiete, condotta riottosa, violazione dell’Atto di Distribuzione dell’Etere...".

Le urla di Chandra si fecero ancora più vicine... presto sarebbe stata circondata dalle file crescenti dei soldati. Avrebbe dovuto, in qualche modo, fermare la sua avanzata.

"Ti stai dimenticando aggressione!", disse Pia sferrano un rapido calcio al ventre del soldato di fianco a lei. "E l’Atto dell’Etere è una tremenda messinscena!", aggiunse, abbattendo le mani con le manette su un altro soldato, come se fossero un martello.

Le mani sulle sue braccia si strinsero immediatamente, come morse, e iniziarono a trascinarla.

Attraverso la barriera dei soldati, Pia udì la donna dalla pelle pallida urlare a Chandra: "L’hanno catturata! Non puoi rischiare ora; dobbiamo andarcene!".

Pia si lasciò andare e la vista delle guglie di Saldapoli, i rinnegati che erano diventati la sua nuova famiglia e la figlia che pensava di aver perso svanì.

Illustrazione di Tyler Jacobson

La ritirata non era mai la scelta preferita di Liliana.

Seminarono la massa delle guardie del Consolato nelle strette strade e si ritrovarono quasi da sole in uno dei vicoli laterali di Ghirapur. Vi erano solo alcuni venditori di stranezze e una donna anziana abbigliata in vesti dai vivaci colori verde e blu che controllava la loro mercanzia. La confusione della zuffa era svanita.

Chandra si sedette all’inizio di una polverosa scalinata, afferrò le ginocchia e se le portò al petto e affondò il volto nel vecchio scialle che indossava spesso in vita. Silente. Era da molto tempo che Liliana non l’aveva più vista in silenzio così a lungo... tranne quando dormiva.

Nissa era rimasta a una distanza probabilmente considerata di rispetto, senza dire nulla, con le sue dita slanciate che massaggiavano la fronte ricoperta di tatuaggi.

Liliana si mise di fianco alle due, con i nervi più tesi del cappio di un boia. "Quell’uomo con il braccio in metallo... io lo conosco. È...".

Ricordi violenti si affacciarono nella sua mente. Jace, con la schiena ricoperta di terribili cicatrici bianche causate da una lama di mana, che sussultava nell’oscurità al tocco delle sue dita, con occhi ardenti.

Sobbalzò e i suoi anelli ingioiellati sferragliarono tra loro, in una dissonanza metallica. "Lui è... pericoloso", borbottò lei, sforzandosi per aprire i pugni. “La sua presenza in questo posto è... non può essere una coincidenza".

Nissa si voltò verso la necromante, con gli occhi verdi che traboccavano di una fredda accusa. "Perché ve ne siete andate senza avvisarci? Mettervi in pericolo in questo modo... siete fortunate che io vi abbia trovate!".

Le labbra di Liliana si incurvarono, mentre fece un gesto con un polso in modo sprezzante nei confronti di Nissa. "Tezzeret è una minaccia più grande di quanto possiate immaginare". Alzò lo sguardo, imperiosamente, e incrociò quello di Nissa. "E fai attenzione a come ti rivolgi a me... non devo chiedere né il permesso né il perdono a te".

Gli occhi di Nissa si strinsero e tracce di fuoco verde apparvero all’estremità del suo bastone. Liliana se ne accorse e addolcì immediatamente il volto, mostrando una scocciata noncuranza.

"Che cosa ci fai tu in questo posto?". Liliana roteò un polso nella calda aria pomeridiana, con un gesto a indicare l’intero piano scintillante di Kaladesh. "Voi altri avete votato mentre noi non c’eravamo? 'Regola dei Guardiani numero chissenefrega, non si torna a casa senza un permesso scritto'?". Osservò la piromante con un’aria d’attesa, ma Chandra non diede segno di aver sentito nulla.

Nissa aveva udito. "L’hai provocata per tutto questo tempo?", chiese inorridita. "Pensavo che tu... questo è ciò che tu consideri amicizia? Tu... mostro. Spero che tu ora sia contenta!". L’elfa si eresse in tutta la sua altezza di fronte a Liliana e sbatté il suo bastone sul pavimento, inconsapevole delle tracce di fuoco verde alle sue estremità.

Era da secoli che nessuno si era rivolto a lei con quel tono... e spesso era stato l’ultimo gesto di chiunque l’avesse fatto. Ma Liliana aveva un piano, un piano che le richiedeva alleati potenti. Si era trovata in qualche modo di fronte a un’elfa furiosa e in grado di uccidere mostri interdimensionali e ciò che era stata una deliziosa polveriera ambulante si era ridotta a un ammasso di depressione.

La necromante scosse la testa di fronte allo sguardo accusatorio di Nissa. "Siamo tutte donne cresciute. Chandra può fare ciò che meglio crede".

Sono un mostro? Io?

Le parole ribollirono nella sua mente. Esattamente ciò che avrebbe dovuto dire per ferire più in profondità.

"Lei è corsa via da te", sussurrò all’elfa. "Tu non l’hai seguita... quindi è venuta da me".

Il colorito rosso sulle guance di Nissa risaltò tetro rispetto ai suoi tatuaggi verdi. Aprì le labbra, ma non disse nulla.

Aveva un talento innato per questo.

"Se questo è tutto ciò che hai da dire in risposta, ho altre questioni importanti di cui occuparmi". Liliana si voltò e diede la schiena alle due con un’impeccabile movimento dei capelli, lasciando un aroma di lavanda e il turbinio della gonna dietro di sé.

Dalla sua posizione sugli scalini, Chandra sollevò il capo e cercò di asciugarsi gli occhi con il dorso di un guanto. Si alzò e le sue mani si chiudevano a pugno e si riaprivano in continuazione.

"Io... io vorrei rimanere...", disse Chandra alzando il volto dallo scialle. Nissa le tese una mano, ma Chandra si alzò da sola, vacillando.

"Vado a far due passi", mormorò guardando in basso e barcollò verso i venditori che si trovavano nella strada. Nissa la seguì.

La donna dallo strano abbigliamento al bancone del venditore completò il suo acquisto e poi mise una mano confortante sulla spalla ricoperta dall’armatura di Chandra.

"Sembra che voi abbiate avuto una giornata difficile, mie care", disse dolcemente, offrendo un sorriso invitante alle due Planeswalker.

Chandra annuì con un movimento del capo e tirò rumorosamente su con il naso. Riuscì a costruire uno smorto sorriso e strinse la mano della donna. Nel suo volto vi era un qualcosa di confortante e familiare.

La donna prese dalla tasca un fazzoletto ricamato in modo elaborato e lo premette nelle mani della piromante. Chandra vi affondò il volto e scoppiò a piangere. Aveva un profumo di tè di rose, con un tocco di olio di ingranaggi... come... casa sua.

"Oh, bene così, asciuga le lacrime...", le disse la donna anziana, abbassando il tono di voce dopo che Chandra ebbe terminato di tamponare gli occhi e di soffiarsi il naso nel fazzoletto.

"Abbiamo bisogno che tu sia forte", continuò, con una voce improvvisamente salda e definita, "quando troveremo tua madre e la riporteremo a casa, togliendola dalle grinfie di quei soldati del Consolato, Chandra."

Chandra alzò la testa e si trovò davanti un volto che ora riconobbe. "Signora Pashiri?".

Illustrazione di Magali Villeneuve

"Non ti vedo da un sacco di tempo, bambina", disse Oviya Pashiri mentre accarezzava le selvagge ciocche di capelli sulla fronte di Chandra e la faceva appoggiare sulla sua spalla. Insieme, le tre si avviarono nelle stradine sinuose di Ghirapur, nel profondo dei passaggi segreti che la Signora Pashiri conosceva meglio di chiunque altro.


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