Il racconto precedente: Epoca di innovazione

Un Planeswalker di Kaladesh si è recato su Ravnica per chiedere l’aiuto dei Guardiani. Il consenso è stato che i Guardiani debbano intervenire solo in caso di minacce interplanari e la possibile minaccia alla Fiera degli Inventori di Kaladesh non è stata ritenuta una questione da gestire da parte dei Planeswalker. Per Chandra Nalaar, il piano di Kaladesh è invece una questione personale: è il suo piano di origine, un mondo su cui non è tornata dal momento in cui la sua scintilla si è accesa e le ha fatto compiere il primo viaggio tra piani, dodici anni prima. Senza consultare gli altri, è tornata su Kaladesh, a casa.


Casa era un concetto atrofizzato. Il percorso di ritorno verso Kaladesh è stato coperto dal tempo nel modo in cui una strada viene coperta dalle erbacce e, per un istante, Chandra si chiese se sarebbe riuscita a ricordare la via. Prima di poter fare un profondo e rassicurante respiro, fu già a destinazione.

Chandra si ritrovò nel centro di una piazza di mattoncini caldi, confusa da una surreale familiarità. Cardamomo e incenso, rame saldato e grasso per ingranaggi, il muschio dei gropparbusti, il sapore forte della pelliccia dei bandar. Poi vi erano le familiari tracce di etere nell'aria, fresche e distese come lenzuola stese al sole, ma con un pizzico di azione. Fu l’odore dell’etere che le rivelò di essere finalmente giunta a casa... il puro potenziale che plasmava le nubi in cielo, fluiva nel cuore delle aeronavi e scorreva attraverso la città all’interno di spessi tubi di vetro.

Illustrazione di Jonas De Ro

L’ultimo giorno che aveva trascorso su questo mondo faceva parte del passato, interrotto e incompleto. Il ricordo di quel giorno le tornò alla mente, ma tutto sembrava più affollato e... più alto. Tornare nel luogo in cui si è cresciuti non dovrebbe far sentire più grandi?

Le persone le passarono vicino nella solita fretta tipica di Kaladesh. La melodia delle loro voci la fece sobbalzare. Udì diversi frammenti di conversazioni che sarebbero potuti provenire dalla casa della sua famiglia... predizioni di alcuni famosi inventori nella Fiera, rudi opinioni sui meriti di un qualche progetto di aeronave, smozzicate frasi sulle imminenti date di consegna.

Chandra si afferrò i gomiti. Avrebbe voluto accoccolarsi sull’amaca della sua infanzia, sospesa tra le passerelle della vecchia miniera, prima del boom dell’etere, sopra il negozio delle apparecchiature dove i suoi genitori trascorrevano il tempo curvi su qualche nuova invenzione. Avrebbe voluto rimanere in quel luogo, ascoltare le loro voci, mentre plasmavano il metallo. Bramava solo di tornare a casa, ma lei era a casa e al tempo stesso non era più la sua casa e lei non aveva più undici anni e non avrebbe più potuto chiudere gli occhi nell’abbraccio di sua madre...

Ringhiò e batté un piede. Spense il calore delle sue mani sulle cosce e si strofinò un occhio. No.

Da qualche parte in mezzo a questa folla si trovava il rinnegato che stava cercando, l’inventore che era in pericolo... e gli altri Guardiani non se ne curavano. Durante la sua infanzia, la sua famiglia aveva operato contro il Consolato, evitando le pattuglie per fornire etere agli inventori brillanti. Non sapeva il motivo per cui questa persona fosse così importante per lei o per cui questa missione era stata ciò che l’aveva riportata su Kaladesh. Sapeva solo che avrebbe dovuto trovare questo inventore... e in fretta.

Ghirapur prosperava intorno a lei, una città dalle mille facce. Non sapeva neanche che aspetto avrebbe potuto avere un rinnegato. Chandra sentì come una sensazione familiare, la sensazione di essersi infilata in qualcosa senza un piano e senza una via di fuga. Provò un leggero bisogno di tornare su Ravnica.

Un paio di gendarmi del Consolato la osservarono, la studiarono e continuarono sulla loro strada... e il rassicurante impulso della ribellione scacciò il suo bisogno di fuga. Nascose istintivamente una mano che si era stretta a pugno di riflesso e la pose su un vicino stendardo. Mise piede su un pilastro in rame decorato, afferrò una bandiera del Consolato e si arrampicò fino alla balconata al livello superiore.

Salendo, vide la città aprirsi di fronte a lei. Veicoli e persone riempivano le strade e si radunavano per la Fiera degli Inventori. Giardini inseriti nei tetti ruotavano, per essere sempre orientati verso il sole. Al centro della città, un’enorme guglia si sollevava in cielo e aeronavi spinte dall’etere le orbitavano intorno come falene. Si chiese se sarebbe mai riuscita a spiegare la sensazione di nodo allo stomaco che Kaladesh generava in lei. Ma, anche se avesse avuto un amico in grado di comprendere, non sarebbe comunque riuscita a spiegare...

"Quindi questa è casa tua", disse una donna di fianco a lei.

Chandra sobbalzò e poi aggrottò la fronte. Sulla balconata prima vuota di fianco a lei si trovava Liliana, appoggiata a braccia incrociate sulla ringhiera, intenta a osservare Ghirapur.

Illustrazione di Jonas De Ro

Un uomo dalla chioma grigia scivolò attraverso Ghirapur con una serie di spostamenti. Evitò le strade principali e rimase in disparte, con movimenti a zig zag che lo portavano tra un negozio e l’altro, lungo le arterie dell’etere e attraverso corti nascoste. Strinse il cappuccio intorno al volto, mantenendo la sua identità nascosta dalle pattuglie e dai totteri. Nessuno incrociò il suo cammino di avvicinamento alla Fiera degli Inventori.


Chandra afferrò la ringhiera della balconata e osservò Liliana. "Se pensi di essere giunta qui per convincermi a tornare a casa, fai prima a tornare da dove sei venuta".

Liliana si mise a ridere. "Non ci penso proprio. Tu sei a casa".

"Non tornerò finché non avrò scoperto a chi sta dando la caccia questo Baan". Serrò i denti e strinse lo scialle della madre che teneva intorno alla vita. "Qualsiasi cosa vogliate tu o gli altri".

"Ciò che conta è ciò che tu vuoi. Non ti curare degli altri, se non riescono a vedere ciò che essere a casa significa per te".

"Le loro intenzioni sono buone", rispose Chandra. "È solo che... loro non riuscirebbero a comprendere". Centinaia di spiegazioni su che cosa Kaladesh significasse lottarono per emergere nella sua mente, ma nessuna di esse era abbastanza grande o complicata. Che cosa sarebbe potuta significare la casa dell’infanzia, quando l’infanzia era stata strappata? Come avrebbe potuto avere un significato, quando aveva trovato la propria identità andandosene?

"Raccontami", disse Liliana. "Forse ti posso aiutare".

"Non comprenderesti neanche tu", rispose Chandra.

"Comprendo che la nostra casa possa essere una fonte di sofferenza", disse Liliana. Il suo volto era una serie di righe illeggibili. "Capisco che Baan sia uno noioso insieme di regole dentro un’uniforme elegante".

"Baan è uno di loro. Il Consolato. Tirano le fila della città, ma odiano chiunque e qualsiasi cosa osi uscire dai ranghi. Emarginati. Rinnegati".

"Le persone vive, in altre parole".

"Voglio dire, le persone come me. E come i miei genitori". Chandra appoggiò le mani sulla ringhiera. Una scia di fumo si sollevò dal legno.

Liliana evocò un bagliore violastro intorno alla punta delle dita e le sue labbra si disegnarono in un sorriso. "Allora penso che sia il momento di celebrare il tuo grande ritorno a casa".

Chandra inclinò un sopracciglio. "Sono qui per uno scopo".

"Possiamo sempre cercare il tuo prezioso rinnegato lungo la via. Ma guarda te stessa! Non ti stai neanche godendo la grande festa che si sta svolgendo laggiù. Comunque. Penso che io e te, in questa città, potremmo infilarci in qualche bel guaio e divertirci".

Illustrazione di Mark Winters

Il sorriso Chandra fu spontaneo. "Liliana, hai due secoli più di me. Chi di noi due dovrebbe essere quella responsabile?".

"Lascia che ti riveli un segreto". Liliana avvicinò una mano all’orecchio di Chandra in modo giocoso. "Non è necessario che ci sia una persona responsabile".


L’uomo con il cappuccio si lasciò avvolgere dal ronzio della Fiera degli Inventori e si mise ad ascoltare. Tenne il volto e il braccio destro nascosti, non più per evitare i soldati del Consolato o gli occhi indiscreti delle lenti brillanti dei totteri, bensì per camminare liberamente tra i frequentatori della fiera. Gli inventori lo avrebbero ovviamente riconosciuto istantaneamente e avrebbero interrotto il suo lavoro. Non poteva permetterselo. Doveva completare la sua missione prima che chiunque riuscisse a individuarlo.

Si infilò nel flusso della folla e ascoltò, seguendo le loro parole verso il suo obiettivo.


Le linee di etere nel cielo mutarono da leggere sfumature di bianco e azzurro a oro e rame, per diventare salmone e viola e infine un luminoso turchese contro un nero scintillante. File di luci alimentate dall’etere presero vita e musica e luci provennero da ogni soglia nella città. La ricerca del rinnegato di Chandra e Liliana si svolse con chiacchierate con i simpatizzanti per i rinnegati, ore di frequentazione di inventori nei saloni dell’alta società, che si mutarono in qualche modo in sale da ballo. Chandra si ritrovò a compiere movimenti armoniosi e passi acrobatici, danze cerimoniali in onore degli obiettivi raggiunti dai grandi artefici e piloti e movimenti espressivi che richiamarono alla mente il suo periodo trascorso tra i monaci di Regatha.

Le guance di Chandra erano brillanti. Osservò Liliana, che, avendo trascorso tutta la giornata su questo mondo, appariva fastidiosamente e perfettamente a casa. Liliana era appoggiata a una parete della sala, con una bevanda in mano, intenta a lanciare discretamente il suo assalto carismatico nei confronti di un vedalken in una uniforme del Consolato, come un leone che gioca con un’antilope ferita.

Quando il volto blu del soldato vedalken si fece improvvisamente violaceo e il suo sorriso svanì, il riflesso di attaccare o fuggire di Chandra si innescò. Si avvicinò in un attimo e udì l’uomo del Consolato parlare in modo accusatorio.

Gli occhi del vedalken erano ora ridotti a sottili fessure. "E se anche io fossi a conoscenza di minacce nei confronti della Fiera", stava dicendo, "quale sarebbe il vostro interesse, signora? Se siete stata testimone di qualcosa, è vostro dovere informarci".

La risposta spavalda di Liliana fu elaborata. "Io penso che sia un vostro dovere...” e poi continuò con una volgarità così stupefacente che sarebbe stata equivalente a lanciare la sua bevanda sul volto del vedalken... gesto che fece subito dopo. Il liquido colò dal volto dell’uomo stupito e scivolò lungo l’uniforme del Consolato.

Chandra rimase a bocca aperta. Non sapeva se ansimare dal terrore oppure se scoppiare a ridere.

"Questo gli sarà di lezione, vero, Chandra?". Liliana le fece l’occhiolino. "Questa è la mia collega Chandra. Una fiera simpatizzante dei rinnegati".

Nella mente di Chandra, un allarme si mise a suonare.

"Rinnegati", disse il soldato vedalken, nel modo in cui una persona normale pronuncerebbe il nome di una specie di animali infestanti nascosti tra le assi del pavimento. Si asciugò il volto con una sciarpa e frugò in una tasca alla ricerca di qualcosa. "Voi due", disse. "Venite con me".

Quando Chandra vide ciò che il vedalken del Consolato aveva estratto dall’uniforme... un semplice paio di manette, simili a un gioiello per la manifattura filigranata... fu presa da rabbia. La sua chioma si infiammò. Le sue mani si strinsero in pugni. Aveva di nuovo undici anni ed era sopraffatta da un’ondata crescente di furia.

Il soldato venne colto di sorpresa dalla chioma di Chandra e con un buon motivo. Fu però quando disse "Avvicinate i polsi” che i pugni di Chandra disegnarono un arco in aria e si scontrarono con la sua mandibola in un gesto fluido. Il volto dell’uomo andò a sbattere contro la parete del locale e un dente rimbalzò a terra, seguito dall’uomo.

Liliana rise come in una specie di applauso, come un bambino che osservava le tessere di un domino che cadevano le une dopo le altre. Sollevò il suo bicchiere.

Chandra sentì che tutti nel locale si erano voltati verso di lei. "Usciamo da qui", disse.

"Non vuoi far vedere a questa folla di cos’altro sei in grado? Non vuoi dare a quel ceffo la lezione che si merita?".

"Andiamocene, ora!".

Chandra saltò una ringhiera e sgattaiolò attraverso il retro del locale. Spinse la porta posteriore e Liliana la seguì nel vicolo. Evitarono due inventori che stavano armeggiando con i loro automi... un dispositivo sventolava le sue intricate piume in rame e l’altro roteava su una ruota giroscopica.


Era già buio nel momento in cui l’uomo incappucciato trovò i segni che stava cercando. Una linea di giovani uscì di corsa dai banchi in ombra del Circuito Ovale, con le gambe in rame dei loro automi non-del-tutto-legali che spuntavano dagli zaini sulle loro schiene. Inventori rinnegati.

Li intercettò, cercando di non dare nell’occhio. Tenne nascoste sotto il cappuccio le lunghe ciocche argentee, ma mostrò la sua mano... non quella, bensì l’altra... in modo da far vedere il simbolo della Guglia Stillante nascosto all’interno del guanto.

Una donna nano se ne accorse e strinse la mano, mettendo a contatto i loro simboli. "Temo che per questa notte abbiamo terminato, amico".

"Non sono alla ricerca di etere", rispose lui. Utilizzò una magia discreta per analizzare il contenuto della sua sacca. Il suo automa aveva un modulo ascoltatore. Perfetto. Ora doveva solo farla continuare a parlare. "Sono alla ricerca di una collega. Mi auguro che tu sappia dove la sua piccola dimostrazione avverrà domani".

"Ci sono un sacco di dimostrazioni. Di chi stai parlando?". Stava iniziando a cercare un contatto visivo, per intravedere il volto di lui. Giustamente con cautela.

Le informazioni di lui erano parziali, ma adatte alla figura di un attento rinnegato. "Ha detto di non fare alcun nome. Devo solo incontrarla. Non hai sentito nulla?". Nel frattempo, la sua magia successiva fece il proprio dovere. Il piccolo modulo ascoltatore obbedì ai suoi ordini e si estrasse dal dispositivo. Uscì silenziosamente dallo zaino di lei e si infilò nella tasca della giacca di lui.

"Mi spiace", rispose lei con un’alzata di spalle. "Non so di chi o di che cosa tu stia parlando".

Ma lui sapeva che lei era una collega della persona che lui stava cercando. Fece un ampio sorriso come scusa. "Mi spiace molto. Non ti farò perdere altro tempo".

"Nessun problema", rispose la nana. "Come ti possiamo contattare se sentiamo qualcosa della tua amica? Come ti chia...?".

Lui si voltò e fece un gesto con la mano. "Buona serata".

Si coprì di nuovo con il suo cappuccio e se ne andò. Diede un’occhiata alla sua mano... quella mano... in cui teneva il piccolo modulo in rame decorato. Camminando, lo attivò mentalmente e i suoi ingranaggi iniziarono a girare, rivelandogli tutto ciò che aveva registrato: conversazioni, orari, date. E un luogo.


Ogni volta che Chandra e Liliana videro una pattuglia, girarono dietro un angolo e ogni angolo le guidò lungo un percorso serpeggiante nella città. Si abbassarono per attraversare la tenda di un mercato e corsero per salire una rampa di scale eleganti. Guardarono fuori da una finestra e, sotto di loro, videro un vicolo tranquillo, lontano dai percorsi delle guardie.

"Laggiù", disse Chandra. La disapprovazione di Liliana era evidente, ma scesero un’altra scala e si ritrovarono nel vicolo.

Ripresero fiato, appoggiandosi alle pareti. Raggi di sole sfioravano i tetti degli edifici. La folla era riapparsa per la nuova giornata.

"Sono quasi stufa di tutto questo 'correre senza fiato attraverso la città'". Liliana si appoggiò mestamente una mano sulla fronte. "Io sono più un tipo da 'atteggiamento drammatico'".

Ma l’attenzione di Chandra era attirata dal mosaico sulla parete dietro di lei.

Illustrazione di Greg Opalinksi

Il mosaico era usurato e mancavano dei pezzi. L’inventore rappresentato nella cornice rotonda aveva lo sguardo verso un lato e gli occhialoni sulla fronte. Aveva un aspetto gentile. Gentilmente divertito, nel modo in cui guardava verso di lei. Chandra trovò un frammento di colore nella polvere della strada, lo raccolse e cercò di rimetterlo al suo posto, ma senza riuscirci.

Liliana era di fianco a Chandra e stava osservando il mosaico.

"Questo è mio padre", disse Chandra. "Kiran".

"Hai lo stesso suo naso. E gli stessi occhialoni".

"Lui e mia madre erano entrambi grandi inventori. Sono stati uccisi quando io ero ancora una bambina".

"Ti chiedo scusa. Da parte di chi? Dal Consolato?".

Chandra chiuse e strinse gli occhi per un attimo. "Da uno psicopatico in un’uniforme. Baral. I miei genitori sono morti a causa sua. Perché lui mi odiava. Perché loro hanno cercato di proteggermi".

Liliana la osservò con un curioso interesse. Chandra si sentì a disagio.

"Non è colpa tua. La colpa è sua".

"Non sarei dovuta tornare qui. Perché sono tornata?".

"Perché senti di doverglielo. Tutti noi dobbiamo affrontare le scelte che abbiamo compiuto da giovani". Liliana osservò il mosaico e rimosse una traccia di polvere dal ritratto. "Magari dobbiamo andare alla ricerca di questo Baral".

"Questo luogo... è dove ho imparato ad aspettarmi le tragedie. Dove ho imparato a sospettare delle persone".

"Ed è anche il luogo in cui hai imparato a distinguerti. In cui hai imparato a essere pericolosa".

"Lo dici come se fosse un aspetto positivo".

"La maggior parte delle persone sono soddisfatte nel prendere la vita come viene. Il mondo dice loro che sono deboli e loro lo accettano. Ingoiano la delusione, lasciano che marcisca dentro di loro, poi si stendono e muoiono. E gli altri? Noi altri impariamo a rifiutarci. Impariamo a reagire. Impariamo a sopravvivere. Tu sei una sopravvissuta, Chandra".

Chandra osservò gli occhi del padre. Afferrò l’orlo dello scialle, lo scialle di sua madre, che portava alla vita.

Liliana sorrise. "Se Baral odiava così tanto la tua famiglia, dobbiamo scoprire se è ancora vivo, per sicurezza. E poi, se dovessimo incontrarlo, potresti avere lui davanti a te, invece di questo ritratto, e dirgli tutto ciò che pensi di lui. Te lo meriti".

Illustrazione di Cynthia Sheppard

"Non so", rispose Chandra. "Probabilmente Baral pensa che io sia morta quel giorno".

"Allora immagina la sua faccia quando scoprirà che non è andata in quel modo. Quando scoprirà che sei sopravvissuta".

A quel pensiero, Chandra esultò per un attimo.

Liliana la guardò negli occhi, con un’espressione seria. "Quando lo ridurrai in cenere".

Chandra spostò la testa all’indietro per lo stupore, ma contemporaneamente una sensazione oscura si fece strada nel suo petto. Baral aveva ucciso suo padre proprio davanti a lei. E lei sapeva che Baral era a capo dei soldati che avevano appiccato i fuochi che avevano distrutto il loro villaggio e che avevano ucciso sua madre. La sua intera famiglia era andata persa a causa di quell’uomo. Quanto sarebbe stato appagante vederlo bruciare.

"Se lui è ancora vivo", rispose Chandra, "giuro che gliela farò pagare per ciò che ha fatto".

La voce di Liliana fu un semplice sussurro. "Ripagarlo per il dolore che ti ha causato non è sbagliato".

"Non è sbagliato", mormorò Chandra e la sua chioma si infiammò.

Illustrazione di Magali Villeneuve

"Sono loro!", gridarono due uomini in uniforme da un’estremità del vicolo, correndo verso i due Planeswalker. Scoperti.

Chandra fece per scattare nell’altra direzione, ma Liliana la afferrò. "Non è necessario fuggire", le disse la necromante, tenendo lo sguardo sulle guardie. "C’è un altro modo per porre fine a questo inseguimento".

"No. Non dobbiamo farlo".

"Faremo ciò che è necessario", rispose Liliana, con parole evidenziate dal fischio di un treno a poche strade di distanza.

Chandra si liberò dalla presa di Liliana. Osservò i due uomini e scagliò una vorticante ondata di fiamme. Invece di abbattersi sulle guardie del Consolato, la magia colpì il pavimento e divenne una barriera di fuoco su tutta la larghezza del vicolo. Le guardie arrestarono la loro corsa.

Si voltò verso Liliana. "Non mi dire che cosa devo fare", le disse. "Vieni. Ho un’idea".

Si ritrovarono nella strada principale. Il treno di Aradara dell’alba era enorme e si muoveva con elegante equilibrio in una singola fessura nel terreno, con la luce del sole che risplendeva sui suoi rifiniti fianchi in legno. I viaggiatori si affacciavano alle porte su tutta la sua lunghezza. Chandra corse e saltò, mettendo una mano tra le porte che si stavano per chiudere.

Lei e Liliana salirono a bordo e il sibilo del treno annunciò l’imminente partenza. Attraverso i finestrini, poterono vedere le guardie del Consolato rinunciare all’inseguimento e allontanarsi alla vista.

Un meccanismo complicato all’ingresso sferragliò, richiedendo i biglietti. Chandra sbatté la mano sul meccanismo, affossandone la superficie. Smise si sferragliare.

Si sedettero. Chandra appoggiò la testa contro il vetro, osservando gli edifici della sua infanzia scorrere davanti a lei. Nessuna delle due Planeswalker parlò.


Il treno ondeggiò e i freni stridettero. Chandra afferrò il sedile e si alzò, solo per venire sbattuta nei sedili di fronte. Il fischio del treno squillò ripetutamente, le ruote si bloccarono e le luci rosse di allarme si accesero lungo il soffitto del vagone.

Mentre il treno stava per fermarsi, Chandra osservò fuori dai finestrini. All’esterno vi era una situazione di caos. Un’unità di ispettori speciali del Consolato faceva muovere la folla verso aree designate. In lontananza, tubi di etere sputavano gas scintillanti di etere in aria e gli equipaggi delle aeronavi utilizzavano reti per radunare i totteri vaganti. Interi edifici erano privi di luci, scollegati dall’alimentazione di etere. I visitatori della fiera chiacchieravano e indicavano con emozione il cielo, ma, qualsiasi cosa fosse avvenuta, sembrava essere già svanita.

Un disturbo. La scia di un qualche tipo di dimostrazione aerea. Doveva essere stato causato dal rinnegato... quello di cui era preoccupato Dovin Baan.

Un annuncio strillò sui tubi del treno. "Questo treno effettuerà una fermata imprevista. Vi preghiamo di rimanere ai vostri posti...".

"Andiamo", disse Chandra a Liliana dietro di sé e superò di scatto vari passeggeri, dirigendosi verso la porta di uscita.

"... finché non riceverete istruzioni da un conduttore di Aradara o da un ufficiale del Consolato. Grazie".

Chandra colpì la maniglia della porta con il suo calore. Il meccanismo della maniglia svanì in un’esplosione di fiamme, lasciando un foro fuso e fumante. Diede un calcio e la porta si spalancò. La strada sfrecciava ancora davanti a lei.

"Potrebbe essere il rinnegato", disse Chandra. "Deve essere lui".

Liliana annuì e saltarono. I loro piedi atterrarono sul pavimento prima che il treno arrestasse la sua corsa. Tutto intorno, le guardie del Consolato stavano cercando di convogliare le persone lontano dalla direzione del disturbo. Chandra si infilò in mezzo alla folla, facendosi largo attraverso l’immobile barriera di corpi che stava cercando di allontanarsi dall’emergenza, mentre loro stavano cercando di avvicinarsi.

"Chandra", disse Liliana. Qualcosa aveva attirato la sua attenzione.

"Che c’è?".

"Laggiù. Quel cappuccio".

Illustrazione di Daarken

Chandra seguì il suo sguardo. Una figura andava in modo esperto a destra e a sinistra nella folla, tenendo il volto accuratamente coperto con un cappuccio scuro. Non si era accorto di loro. Si infilò nell’aera riservata, tenendo sempre d’occhio la causa del disturbo.

"Spicca per quanto è discreto, non trovi?".

Chandra annuì in modo convinto. Il loro rinnegato. Dovevano avvisarlo. "Ehi!", urlò. "Tu, laggiù!".

O non le udì o "Tu, laggiù!" era esattamente ciò che il rinnegato con l’obiettivo di disturbare la Fiera non avrebbe voluto che gli venisse urlato contro, mentre si trovava circondato da una folla piena di ufficiali. In ogni caso, si allontanò da loro, attraverso un gruppo di spettatori e intorno a un posto di blocco del Consolato.

Chandra e Liliana lo inseguirono, raggiungendolo solo quando si fermò per avvicinare una signora più anziana.

Illustrazione di Raymond Swanland

L’uomo aveva ora abbassato il cappuccio, rivelando una chioma colma di trecce grigie. La sua mano destra, che sporgeva dalla manica, era un artiglio metallico e la stava puntando verso la donna.

Raggiunsero l’uomo, emergendo dalla folla dietro di lui. Fu invece la donna ad attirare l’attenzione di Chandra. Aveva una chioma ramata come quella di Chandra, ma un po’ più scura e con qualche ciocca grigia. Indossava occhialoni da saldatura, trasportava un saldatore portatile e stava osservando l’uomo dalla mano artigliata.

Il cuore di Chandra smise di battere e calde lacrime sgorgarono dai suoi occhi. Non riuscì a pronunciare alcuna parola.

"Finalmente vi ho trovata, condottiera dei rinnegati", disse l’uomo, puntando la mano di metallo verso di lei come se fosse un’arma. "Pensate forse che il vostro piccolo spettacolo possa avere effetto sulla mia Fiera?".

La donna sogghignò. "Vi fermeremo, Giudice Capo. Se non sarà oggi, ci riusciremo un’altra volta".

Liliana afferrò l’uomo e lo fece voltare. Pronunciò un nome che Chandra non riconobbe, con un disprezzo che non riuscì a comprendere:

"Tezzeret".

Poi, rimanendo a bocca aperta di fronte alla donna dalla chioma come la sua, Chandra riuscì finalmente a pronunciare una parola. La trascinò fino alla superficie della sua mente, superando un oceano di sconvolgimento, e la disse ad alta voce:

"... mamma?".


Archivio dei racconti di Kaladesh
Planeswalker: Chandra Nalaar
Planeswalker: Liliana Vess
Planeswalker: Tezzeret
Piano: Kaladesh