Sarkhan Vol giunse nel passato di Tarkir, più di mille anni prima della sua nascita. Al suo arrivo, si trovò per la prima volta faccia a faccia con i draghi da tempo estinti e li osservò emergere da una tempesta crepitante.

Poi vide lei: una donna umana che combatteva con un brillante artiglio di drago in cima al suo bastone e un felino dai denti a sciabola al suo fianco. Con la sua potente magia aveva ucciso una covata di draghi e aveva messo in fuga gli altri. Lei era tutto ciò che lui aveva sperato quando desiderava ardentemente i draghi di Tarkir.

Doveva scoprire di più.


La neve scricchiolò sotto gli stivali di Sarkhan Vol. Lui e la sua guida si stavano dirigendo verso l'alto. La fredda aria montana ardeva nei polmoni e lui si godeva la sensazione, come se inspirasse fuoco draconico.

Forse lei non sapeva di guidarlo, ma aveva sicuramente fatto in modo da essere facile da seguire.

Ogni chilometro trovava o scopriva una superficie di nuda roccia e vi scolpiva due linee ricurve con il suo bastone artigliato. Quando Sarkhan vide questo gesto la prima volta, pensò che avesse lo scopo di lasciare un marchio nel luogo in cui aveva sconfitto un drago. Ora che il cammino era sempre più lungo, non era più sicuro della sua impressione.

Cascate di Boscorovo | Illustrazione di Eytan Zana

Forse era una messaggera di Ugin e lo stava portando da lui. Forse quei marchi erano proprio per lui. In ogni caso, non avevano alcun significato apparente. Erano tutti uguali. Con una mente più aperta avrebbe potuto vedere… ma non osava assumere la forma di drago al cospetto di lei, non se voleva avere la possibilità di parlarle.

La superficie era ancora calda e i marchi ancora luminosi per il calore del suo bastone. La stava raggiungendo. Lei era Temur, nativa di queste montagne. Lui era Mardu, in un luogo e in un tempo non suoi.

Lei voleva che lui raggiungesse se stesso.

Ci fu un fischio, come se fosse di un uccello, dietro di lui. Non ci fu altro avviso.

Qualcosa lo colpì da dietro, imponente, vivo e caldo. Si ritrovò a faccia in giù nella neve gelida, trattenuto da ciò che sembrava un'enorme zampa. Sentì sul collo gigantesche zanne e un caldo fiato. Non cercò di dimenarsi.

Un altro fischio, diverso dal primo. Le zanne si sollevarono, ma il peso sulla sua schiena gli impediva di muoversi. Non poteva vedere ciò che lo bloccava, ma aveva un chiaro sospetto.

La neve scricchiolò e pesanti stivali tracciarono un semicerchio e infine la vide.

Era più adulta di lui - molto più adulta, sussurrava qualche parte di lui — e aveva una figura compatta, con un viso austero ma senza rughe. L'artiglio in cima al bastone era di un rosso luminoso e i suoi occhi erano freddi e intenti a valutare. Artiglio di drago, occhi di drago.

Yasova Artiglio di Drago | Illustrazione di Winona Nelson

"Mi stai seguendo", disse lei. La sua voce era intensa e vivace.

"Hai lasciato tracce facili da seguire", rispose lui. La voce di lui era strozzata, schiacciata da chissà quanti chili di felino dai denti a sciabola. Indicò debolmente il marchio lasciato da lei. "Hai inciso dei marchi".

"Non per i tuoi occhi, vagabondo", rispose lei.

Il tono di lei era tranquillo, ma il suo sguardo volgeva spesso al cielo.

"Mi stai seguendo", ripeté lei. "Perché?".

Fredda neve, freddi occhi, rovente soffio. Lui elaborò la risposta più a lungo possibile.

"Sto seguendo una… voce, i sussurri di uno spirito", disse lui. Esitò, poi continuò: "Sono alla ricerca del grande drago Ugin. Penso… penso che questa sia una visione e che tu sia il mio spirito guida".

Lei rise in maniera severa.

"Penso che tu sia un folle", rispose lei.

"Non lo escludo", disse Sarkhan. "Solo il tempo potrà dirlo".

La donna fischiò e il peso sulla schiena di Sarkhan si sollevò.

"Alzati", disse lei.

Forse la sua apparente follia l'aveva commossa? O forse era stato il nome di Ugin?

Avanzò lentamente verso il suo bastone, sulle ginocchia, come un mendicante. Il frammento di edro che aveva preso all'Occhio di Ugin era ancora fermamente agganciato. Era caduto a terra sul marchio misterioso della donna e, per un breve momento mentre lo raccoglieva, pensò di aver visto entrambi scintillare.

Appoggiandosi al bastone, si sollevò.

Era più alto di lei. Avrebbe addirittura potuto definirla minuta. Ma con quel felino dai denti a sciabola accucciato intorno, con un bastone artigliato brillante per la magia ardente, con quegli occhi ardenti da drago, sembrava tutt'altro che minuta.

"Chi sei?", chiese lei.

"Il mio nome è Sarkhan Vol", rispose lui.

Vide gli occhi di lei muoversi verso le sue strane vesti e la sua chioma selvaggia. L'artiglio sul bastone di lei iniziò a brillare di un rosso intenso.

Sarkhan, il Dracofono | Illustrazione di Daarken

Sar-khan, grande khan. Grandioso khan, khan dei cieli. Per chiunque altro su Tarkir, sarebbe stata una proclamazione assurda, soprattutto provenendo da un vagabondo sconosciuto. Avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso, ma aveva perso il senno. Nella sua mente, questo era il suo nome. La voce nella sua mente lo chiamava Sarkhan, almeno prima di interrompersi. Bolas invece lo chiamava Vol.

"Sar-khan", disse lei con tono piatto. Si era inchinata con un gesto plateale. "In tal caso, Yasova Artiglio di Drago dei Temur offre i suoi rispetti a voi, khan dei khan, e ti dà il benvenuto nelle nostre terre".

Artiglio di drago! Anche nel suo Tarkir, non era proprio il titolo del khan dei Temur?

"E di quali terre", chiese lei, pronunciando con attenzione ogni parola, "rivendichi il dominio?".

Lui aveva avuto a che fare con dei khan prima di allora. Con Zurgo. Con Bolas. Nessun khan, neanche un amico, potrebbe tollerare la mancanza di rispetto. Conoscevano solo una lingua, la mielosa lingua della lusinga, che aveva imparato a parlare nei suoi anni alla mercé di Bolas.

Vol è al vostro servizio, disse una voce nella sua testa. Era la sua voce, patetica, che si dimenava nel silenzio della sua mente. Risvegliò un ricordo, un'eco di sé che rispondeva in modo automatico alla domanda di un khan.

"Nulla e nessuno", aggiunse in fretta, distogliendo lo sguardo e inchinandosi. "Si tratta di un soprannome, datomi per scherzo, per schernire la mia arroganza. Ne ho fatto il mio nome".

"E il tuo khan lo tollera?".

No. Ma Ugin…

"Non ho alcun khan", rispose lui. "Mi sono avventurato lontano dalla mia terra".

"Un esiliato", disse la donna con disprezzo. "Non mi stupisce che tu sia vestito di stracci".

Abbassò il suo bastone verso di lui. Il bagliore dell'artiglio aumentò.

"Mi stai seguendo", disse lei. "Mi offendi. E sconfini nelle mie terre. Dammi un motivo di risparmiarti, Vol, oppure ti ucciderò e continuerò per la mia strada".

Lui cadde sulle ginocchia.

"Vi prego di perdonare la mia scortesia", disse lui. "Come ho detto, ho viaggiato a lungo e anche il possente khan dei Temur è rinomato. Chiaramente non siete qui per guidarmi. Forse sono io a essere qui per servirvi. Voi siete un khan. Io non sono nulla, solo un mendicante…"

Lei lo osservò a lungo, poi scosse la testa e sollevò il bastone.

"Basta", disse lei con evidente disgusto. "Alzati".

Lui si sollevò e scosse la neve dalle vesti.

"Grazie", rispose lui.

Lei lo guardò severamente.

"Grazie, khan", lo corresse. "Sei scusato per i tuoi deliri, ma non tollererò altri atteggiamenti irrispettosi".

"Vi ringrazio, khan", disse lui, una piccola ribellione. "E vi porgo le mie scuse".

Il suono della sua stessa voce era intenso e nauseante nelle sue orecchie. Lei gli rispose con un cenno del capo.

"Io sono Yasova Artiglio di Drago", disse lei. "Khan della Frontiera Temur, ammazzadraghi e signora di queste terre". Allargò le braccia. "Vol, esule, khan di nulla e di nessuno… benvenuto".

Lui guardò intorno, verso la montagna, osservandola con occhi nuovi. Esatto, erano le terre dei Temur. Non era lontano da dove si trovava… quando il tempo si ruppe. C'era meno neve di quanto ricordasse, molte più rocce nude e fumanti.

Altopiani Accidentati | Illustrazione di Eytan Zana

Si voltò e vide che lei si stava allontanando, porgendogli la schiena. Si affrettò a seguirla, ma un ringhio dietro di lui lo fece fermare. Il fetore del fiato dell'enorme felino lo nauseò.

"Se sei sicuro che sia il tuo cammino, seguimi", disse Yasova senza voltarsi. "Io non camminerei troppo vicino. Anchin è molto protettivo e non sarà così gentile con te la prossima volta".

Camminarono in silenzio per un certo tempo. Sarkhan faticò a seguire - non troppo da vicino - Yasova che procedeva sul duro terreno con gran passo, mentre lui affannava. Lo portò sulle pendici di un'alta cresta rivestita di robusti alberi. Dietro di lui, il felino dai denti a sciabola procedeva facendo abbastanza rumore da far sentire la propria presenza.

Yasova si arrestò su un'ampia cornice. Sarkhan mantenne una rispettosa distanza, conscio dell'imponente felino dietro di lui. Respirò affannosamente. Yasova, apparentemente non affaticata dalla salita, ignorò i suoi rantoli.

L'artiglio di drago in cima al bastone di lei iniziò di nuovo a brillare e Sarkhan temette per un istante che lei lo avrebbe ucciso. Invece, la donna abbassò la cima del bastone, facendolo scorrere sulla superficie innevata della cornice rocciosa. La neve sibilò e si sciolse, formando rivoli di acqua bollente che scesero lungo le pendici, fino a scoprire la nuda roccia. Rovesciò il bastone e incise di nuovo quel marchio - due lunghe linee curve, simmetriche, impresse nella roccia.

Sarkhan attese che lei terminasse.

"Che cosa significa quel simbolo?", chiese lui. "Perché continuate a inciderlo?".

Yasova si voltò. I suoi occhi erano simili a quelli dei rettili, roventi.

"Nessuna domanda, Vol", disse lei. Sulle sue labbra, il suo nome di nascita era un'imprecazione. "Non finché non mi avrai raccontato di questi sussurri che stai seguendo".

Perché lo stava assecondando? Cosa avrebbe potuto ottenere dai farfugliamenti di un folle?

"Ero…". Barcollò, insicuro di come presentare a parole la sua storia, in modo che lei la potesse accettare. "Ero in un luogo lontano, lontano dalla mia terra natale, lontano da qui. Mi sono recato in una caverna chiamata l'Occhio di Ugin...".

Occhio di Ugin | Illustrazione di James Paick

"Dove?", chiese lei bruscamente. Il nome aveva un significato per lei.

"Come vi dicevo, è un luogo molto lontano. Oltre un…" oceano, stava per dire, prima di ricordare che aveva imparato quella parola su un altro mondo. "Oltre un enorme lago, così grande da non riuscire a vedere l'altra sponda".

Lei grugnì.

"Non esiste un lago così grande".

"In ogni caso", disse lui, "l'ho attraversato".

"E poi?".

"Dopo essermi recato all'Occhio, ho sentito lo stesso Ugin parlarmi. Mi ha portato in questo luogo. Ma poi… tutto è cambiato. La voce di Ugin si è fatta silenziosa e mi sono ritrovato solo, senza alcun sussurro a guidarmi. Vi ho confusa per una messaggera di Ugin".

Voce Torturante | Illustrazione di Volkan Baga

Yasova gli diede le spalle e osservò la vallata.

"Posso farvi una domanda, khan Yasova?", disse Sarkhan.

"Prego".

"Quella tempesta da cui hanno avuto origine i draghi… che cosa era?".

Lei si voltò e lo guardò sconvolta, con la bocca spalancata.

"Perdonate la mia ignoranza, khan", disse lui. "Nella mia terra d'origine non sono presenti tali fenomeni".

"Allora da dove hanno origine i draghi?", chiese lei.

Pensò a lungo prima di rispondere. "Nella mia terra d'origine non c'è alcun drago".

"Laghi immensi e cieli sgombri", disse Yasova socchiudendo gli occhi. "Sei davvero folle".

"So che così appare", rispose lui. "Ma non c'è alcuna tempesta come quella, non c'è alcuna…".

"Tempeste draconiche", disse lei, come se stesse parlando a un bambino. "L'origine di tutti i draghi. Come fai a non conoscerle? Da dove vieni?".

I dubbi vorticarono come fantasmi. La voce di Ugin era silenziosa, i suoi pensieri erano solo suoi, tuttavia fu più confuso che mai. Era davvero folle? Era forse stato tutto un sogno? Era forse questo un sogno?

"Conoscevo uno sciamano Temur", disse lui, "che mi ha insegnato molto sugli spiriti dei draghi".

"Conosci i Temur, ma non conosci il loro khan? Esistono dei Temur anche nella tua terra?".

"Vi prego di perdonarmi", disse lui. Cercò di ricordare se queste erano le stesse parole che aveva detto a Bolas. "Sembra che il mio racconto non abbia senso, ma è la realtà. Consideratela una semplice visione, un delirio, se ciò aiuta la vostra pazienza".

Lei fece cenno di continuare.

"Lo sciamano e il suo seguito mi mostrarono molte cose. Udii la voce bassa e sicura di un antico drago, defunto molti anni prima, il cui spirito era ancora presente. Udii nuovamente la stessa voce, anni dopo, quando mi recai all'Occhio. L'Occhio di Ugin, mio khan. La voce di Ugin".

"Ugin è vivo", disse lei con voce piatta. Il felino dai denti a sciabola, evocato dal suo tono di voce, si posizionò dietro di lei.

Lui fece un passo indietro e allargò le braccia, con i palmi verso l'esterno.

"Mio khan", disse lui. "Tutto è confusionario per me, ma… la mia dimora, la mia vita… credo che non siano ancora state scritte".

Il presente non scritto, il concetto Temur di ciò che deve ancora avvenire. Velati dal presente, erano tutto intorno, vorticanti come bestie, i possibili futuri di ciò che non è scritto.

Rivelazione Sciamanica | Illustrazione di Cynthia Sheppard

"Nessuno vive in ciò che non è scritto", disse lei. "Non è un luogo. Non so cosa ti abbia detto questo sciamano, ma non funziona così".

"Allora forse è tutto al contrario", disse lui. "Forse sono io il vostro spirito guida - un fantasma di ciò che non è scritto, qui giunto per mostrarvi uno dei possibili cammini da questo al prossimo presente. Chiedetemi. Vi racconterò tutto".

Lei si avvicinò, con il bastone che crepitava di vita.

"Questo luogo di cui parli, questa che chiami tua dimora", disse lei. "Si tratta di questo luogo, vero? Tarkir, ma oltre il presente?".

Lui annuì.

"Esatto", rispose lui. "Ero un Mardu e ho viaggiato con i Temur. Ma il nome del mio khan e del khan dei Temur non sono a voi noti. Non sono ancora nati".

"E non c'è alcun drago?", chiese lei. Gli occhi di lei brillarono. "Neanche uno?".

"Neanche uno in tutta Tarkir", rispose lui. "Solo le loro ossa".

Spiaggia Allagata | Illustrazione di Andreas Rocha

"E Ugin?".

"Defunto da tempo", rispose lui. "Di lui rimangono solo sussurri. I sussurri che mi hanno portato qui".

"Allora è vero", rispose lei. "Se Ugin muore, non si hanno più tempeste. I draghi sono sconfitti".

Ugin e le tempeste, ecco il collegamento! Non c'è da stupirsi che il suo arrivo sia stato accolto da una di quelle tempeste. Ugin non era ancora diventato un sussurro e non poteva parlargli come aveva fatto in precedenza. Ma aveva generato una tempesta per guidare Sarkhan. Per guidarlo… verso Yasova?

"Dove l'avete sentito?", chiese lui, con il cuore che aumentava i battiti.

"In una delle mie visioni", rispose lei, piena di vigore. "Raccontami di questo tempo non scritto. Raccontami dei suoi popoli. Deve essere glorioso".

Ora lui poté vedere un bagliore sul suo volto. Era avidità, la stessa avidità che aveva visto sul volto di ogni khan che aveva incontrato. Zurgo era alla ricerca di sangue e vendetta, Bolas di potere oltre ogni immaginazione, anche la gentile Narset di conoscenza più di ogni cosa… e Yasova, il suo spirito guida, della fine di tutti i draghi.

"No, mio khan", disse lui immediatamente. "I popoli e i khan del mio presente… non sono come voi. Sono deboli, sciocchi, avvinghiati alle ombre del passato. Non sono più costretti a combattere per la loro vita, quindi combattono per la gloria o l'avidità o proprio per nessun motivo.

"Non sono come voi", ripeté lui, implorandola. "Voi siete migliore".

Mosse il bastone verso di lui. Un'ondata di calore lo colpì, un artiglio pericolosamente vicino che lo fece vacillare, perdere l'equilibrio e cadere. Rotolò sul marchio che lei aveva inciso sulla nuda roccia, sulle scanalature ancora fastidiosamente calde che lui sentiva anche attraverso la pelliccia.

"Così va meglio", sentenziò lei. "Osserviamo senza poter far nulla le nostre case venir devastate e i nostri bambini uccisi. Scrutiamo il cielo come conigli impauriti, dedicando le nostre vite a nulla più della sopravvivenza, raccogliendo a fatica una vita da poveri contadini nelle terre di qualcun altro".

Assedio della Frontiera | Illustrazione di James Ryman

Lo sovrastò, con gli occhi intrisi di rabbia, tenendo un artiglio strappato a un drago, brillante per il fuoco della sua magia e il per il calore della sua ira.

"Per questo dici che siamo migliori?".

"Vi prego", disse lui. "Ho visto ciò che non è scritto...".

"Non so che cosa tu sia", disse lei. "Non so come tu sia arrivato qui o che cosa significhino le tue parole. Ma ho visto io stessa ciò che non è scritto, ho visto un mondo senza draghi. E ai miei occhi era un paradiso".

"Sono stato il vostro spirito guida", disse lui. "Vi ho raccontato ciò che ho visto, come l'ho visto. Vi imploro di fare lo stesso con me. Raccontatemi le visioni che vi guidano".

Piantò il bastone a terra.

"Ho visto campi ricoperti da ossa di drago", disse lei, con lo sguardo lontano. "Cieli liberi da tempeste maledette. Nessun combattimento. Nessuna guerra. I Temur erano stati liberati dalla conquista e il mio discendente, una figlia uccisa tante volte, era diventata sar-khan, signora di tutto Tarkir. I popoli vivevano dei frutti della terra, cacciando e allevando, con risorse in abbondanza per tutti. Io udii una voce, soffice e rassicurante, che mi disse come avrei potuto realizzare questa visione".

"Non è questo ciò che avverrà", rispose lui. La confusione prese il sopravvento. "Non c'è alcun sar-khan. Non c'è alcuna pace. Ugin ti ha inviato queste visioni?".

"No", rispose lei, "anche se Ugin è stato nominato. Mi è stato detto di tenere traccia delle tempeste, di segnarle, di lasciare una scia".

Indicò la pietra incisa sotto di lui.

"Mi è stato detto che, se io fossi riuscita a mostrare la via verso la tana dello spirito drago… lui avrebbe ucciso Ugin".

A Sarkhan salì il sangue alla testa.

"Chi?", sussurrò lui. "Chi ti ha parlato?".

"Un grande drago", rispose lei con un tono che mostrava timore reverenziale. "Il più grande dei draghi, diverso da loro, come un khan per un branco di bestie. Mi parlò di persona, non attraverso l'ululare del vento, sovrastandomi, più grande di Atarka stessa, con scaglie di oro lucido. Sopra il suo capo, tra le sue corna, volteggiava un uovo; nel mio sogno febbrile pensavo che potesse schiudersi e portare alla luce un nuovo mondo".

"No", disse Sarkhan. "No".

Corna ricurve, come le due linee curve dei marchi di Yasova. Avrebbe dovuto aspettarselo. Ma come?

Bolas.

Bolas lo aveva seguito. No... impossibile. Che sciocco. Bolas si trovava già in questo luogo! Cosa aveva detto il drago? Io so dove giace Ugin. L'ho fatto finire io stesso in quel luogo, non molto tempo fa. Non molto tempo fa. Che sia maledetto! Cosa potevano essere poche centinaia di anni per una creatura come Bolas, o migliaia o decine di migliaia?

Sta per succedere! Ora!

Il fuoco si mosse dentro di lui. Arse la sua carne rosa e tenera e gli tolse la voce, facendo emergere un ruggito che scrollò la neve dagli alberi. Ora fu il turno di Yasova di indietreggiare, rimpicciolendosi davanti a lui.

Forma del Drago | Illustrazione di Daarken

La sua mascella divenne ardente e si allungò, aprì la bocca, inspirando profondamente la fredda aria di montagna, pronto a emettere un'ondata di pura e gloriosa fiamma.

Nonostante lo potesse sembrare, Yasova non era un boccone per lui. Il felino si allontanò sibilando, ma lei si rimise in piedi con un balzo. Lei allontanò il bastone brillante e la mente da drago di lui ripensò all'artiglio di fiamme che aveva ucciso uno dei draghi della covata davanti ai suoi occhi.

Ugin era in pericolo. Bolas si trovava qui, ora, o sarebbe presto arrivato. Non poteva rischiare una lotta con questa piccola creatura. Non quando era così vicino alla meta.

Espirò e fiamme uscirono dalle sue fauci, ma non sotto forma di getto di fuoco. Lei rotolò all'indietro, ustionata ma sicuramente ancora in vita.

Con una spinta delle sue potenti zampe, Sarkhan Vol spiccò il volo.