Il racconto precedente: La vendetta di Ob Nixilis

Gli elfi di Zendikar hanno impiegato generazioni per adattarsi all'ambiente in continuo mutamento del piano. Resilienti e impavidi di fronte alla distruzione del Torbido e degli Eldrazi, i loro villaggi compatti sembravano ricrescere con la velocità della giungla stessa.

Con l'arrivo degli Eldrazi, due delle tre grandi nazioni elfiche, i Mul Daya e i Joraga, erano state quasi eliminate. Per i Mul Daya, un gruppo immerso nelle tradizioni e nei legami familiari, i sopravvissuti erano combattuti tra rimanere e morire con i loro portavoce nelle rovine devastate delle loro terre oppure avventurarsi lontano in ricerca di aiuto. La tessitrice Mina e suo fratello Denn sono due profughi solitari che hanno viaggiato fino al continente di Murasa alla ricerca di aiuto e di mezzi per rivendicare la loro terra caduta.


Avevano trascorso giorni e settimane a viaggiare attraverso le lande avvizzite. Il respiro umido e pesante delle antiche foreste di Guum aveva lasciato il posto ai secchi sussurri delle pianure denudate da quei piedi brulicanti. Mina aveva osservato con attenzione il movimento del sole e aveva mantenuto la direzione verso un luogo di cui aveva solo sentito parlare in diffidenti sussurri o in vaghi racconti.

Siamo vicini. Cercò di rassicurare se stessa.

La polvere delle lande avvizzite ricopriva le sue vesti e i suoi piedi nudi. Il duro terreno fossilizzato lasciava segni sulle piante dei piedi abituati al denso muschio della perduta terra d'origine. Decisa ma anche stanca, raggiunse il burrone che delimitava le foreste di Murasa.

Oppure ciò che una volta erano le foreste. Le lande avvizzite erano di un bianco puro e accecante e si sollevavano in contorte guglie che una volta erano state alberi, animali e rocce. Le lisce scogliere erano impeccabilmente vuote e il silenzio risuonava attraverso la vallata. Il silenzio la opprimeva... fin dall'infanzia era stata circondata dai suoni della sua terra, degli anziani, della sua famiglia. Sussurri, urla, ordini, preghiere... i loro suoni l'avevano sempre tenuta legata a qualcosa e a qualcuno. In questo luogo era invece un solitario oggetto colorato e rumoroso, un affronto al vuoto intorno a lei.

Distrattamente, diede un calcio al terreno e una nuvola di polvere bianca venne trasportata dal vento e ricadde a terra in fiocchi di cenere. Le sembrarono fiocchi di neve senza un inverno. Il vuoto le riempì la vista e le orecchie con un leggero suono bianco di sensi alla disperata ricerca di stimoli. Si voltò lentamente e i suoi scrupolosi occhi rossi analizzarono l'orizzonte, alla ricerca di segni di colore, suoni, vita. Le vuote pareti della scogliera la guardarono maliziosamente. Le lande avvizzite erano giunte fino qui.

Illustrazione di Jason Felix

Progenitori, disse mentalmente. Denn non sarà lieto. Era convinta che avrebbero trovato il Boschetto Tajuru e i due si erano separati a mezzogiorno per esplorare maggiormente.

I pugni di Mina si strinsero sul suo lungo pugnale e la familiare elsa in legno e la distribuzione del peso presero gradevolmente posizione. Un'ondata di familiare amarezza le invase il petto, sbatacchiando feroce e calda contro le sue costole. Emise un lungo e lacerato suono che risuonò nel burrone sottostante. Sorrise, soddisfatta dal metodo per rompere quell'opprimente silenzio.

Dall'altro lato del burrone, qualcosa si destò. Una forma dalle dimensioni doppie rispetto a quelle di Mina strisciò rapidamente verso la luce, emettendo rumore ogni volta che le sue ossute appendici sbattevano contro la rigida superficie del terreno avvizzito. Il suo respiro si bloccò... la creatura non poteva essersi avventurata troppo lontano dalla sua fonte di nutrimento, quindi poteva esserci terreno incontaminato? Si voltò verso di lei emettendo un leggero sibilo.

Ottimo, l'aveva vista. Mina sorrise, mostrando i denti affilati. Si affrettò verso il burrone, lasciando una nuvola di polvere e avvizzimento con il delicato entusiasmo di un cucciolo di baloth. Raggiunto il fondo del burrone, si precipitò verso la creatura, sguainando il pugnale che teneva alla cintura, mentre scattò in avanti con un fluido e istintivo movimento.

L'essere si fermò, dal suo volto senza occhi si mossero delle antenne nella sua direzione, delle specie di baccelli fiorirono sulla sua pelle, vicini alle creste radiali. Un suono lamentoso venne emesso dalle creste del suo corpo, forse in armonia con ordini che Mina non poté udire. Si lanciò al di sotto della sua massa, afferrando le capsule con una mano e cercando la carne con l'altra, mentre la lama incisa del suo pugnale scivolava con facilità e lasciava solchi nella creatura. Il sangue batteva forte nelle tempie di Mina; la carne sulla sua schiena era gommosa e inaspettatamente fredda al tocco. Un taglio che avrebbe scoperto le viscere di qualsiasi bestia aveva invece prodotto solo un leggero colare di un aspro fluido grigiastro.

Questo non era un risultato anomalo per la loro specie. Accolse la possibilità di esprimere la sua gratitudine per i piedi impolverati e doloranti con un approccio più caotico.

Schivando la frustata di un membro sinuoso, lo afferrò e lo utilizzò per arrampicarsi... i tentacoli erano solidi come radici o rami, forme che era abituata a maneggiare. Giunta sulla schiena della creatura, le afferrò l'ossuta piastra del volto, affondò il pugnale sotto di essa e lo torse con piacere. L'essere crollò immediatamente al suolo, con le membra ancora in leggero movimento. Mina scese dal suo dorso e si allontanò, aspettando che si rialzasse.

Rimase al suolo, mentre i nervi fantasma cercavano impotenti di muovere le membra recise. Mina afferrò la sua testa e la sollevò, guardando direttamente nel suo volto vuoto.

Che cosa stai cercando qui? Perché sei qui? La maschera le rispose con uno sguardo imperturbabile. Non c'era alcuna emozione, paura della morte, implorazione, pietà. Gli elfi erano sempre stati un popolo resiliente e avevano superato i mutamenti del paesaggio. Erano esistiti insieme alle incoerenze del Torbido, avevano lasciato i loro morti in tombe superficiali, sotto la stretta protettiva delle radici di jaddi. Gli anziani pensavano che la marea degli Eldrazi li avrebbe obbligati ad adattarsi e a mutare, come il Torbido. Invece, erano affogati.

I movimenti agitati della creatura rallentarono e si interruppero. Mina la lasciò cadere a terra con un leggero tonfo.

Dalle ombre del burrone emersero due nuove figure umanoidi; una di essere era molto familiare. Come Mina, anche il fratello gemello Denn era privo di armatura, a piedi nudi, senza armi tranne un lungo pugnale scolpito dai velenosi legni del Guum.

Al posto di un'armatura, su entrambe le sue braccia serpeggiavano segni simili a rampicanti, messaggi di parole e discendenza dei loro defunti progenitori, dei vivi e di coloro che non erano ancora nati... i loro sussurri erano cristallizzati sulla sua pelle. Quando i due avevano lasciato Bala Ged, avevano portato con sé le ossa dei caduti, che adornavano ora le loro chiome color rosso scuro.

Dietro a Denn si trovava un'esile donna incappucciata, abbigliata con un'armatura in pelle dalle protezioni delle spalle agli stivali dotati di staffe. Priva di contrassegni e dalla postura grave, guidava il destriero dietro di lei. La sua armatura era di inconfondibile costruzione solida ad opera di mani esperte... era una sentinella della nazione elfica di Tajuru.

Illustrazione di Victor Adame Minguez

Mina andò di corsa incontro ai due e fece un inchino al Tajuru, desiderosa di parlare con l'elfa. Denn aveva però già notato la polpa del cadavere dell'Eldrazi dietro di lei e le lanciò uno sguardo severo.

"Sapevi che si erano diffusi così tanto in Murasa?", chiese Denn a Mina con una forzata lentezza e una voce che esprimeva un panico crescente.

"Siamo vicini. Questo è il luogo di cui ci hanno parlato!". Mina gli offrì un rapido temerario sorriso che sperava riuscisse a mascherare i suoi dubbi.

"Quello era settimane fa! Non c'è stata alcuna novità da allora?". Il volto di Denn era ostinatamente grave... aveva da tempo imparato il vero significato delle frasi di Mina.

Mina lo osservò senza parlare, desiderando poter trovare una risposta. Il silenzio li accerchiò, una spaccatura che separava i due gemelli.

Denn spostò lo sguardo per primo. "Il nostro portavoce non ha mai detto nulla di tutto ciò".

Toccò ora a Mina abbassare lo sguardo, con le mani che si strinsero impotenti a formare pugni.

"Hai sicuramente viaggiato più lontano del necessario", l'estranea rispose da dietro di lui in melodiosi toni Tajuru, prima che Mina potesse rispondere. "Sono stata inviata ad avvisare i viaggiatori di stare lontani da questo luogo e ho trovato voi due durante la mia pattuglia". Si fermò e li osservò. "Io sono la Guardiana Tenru, uno dei tanti guardiani delle terre Tajuru. Sembra che voi abbiate perduto la via di ritorno verso il vostro villaggio...?", continuò, sollevando un sopracciglio.

Mina ripulì il pugnale sull'Eldrazi caduto e rimosse le sue carni morte dalle braccia. "Noi proveniamo da Mul Daya".

"'Noi'?", chiese Tenru, scrutando dietro Mina, verso il vuoto del burrone. "Siete esploratori? Dove sono gli altri?".

Mina sospirò. Le parole non le venivano mai facilmente. La sua mente era sempre così piena di suoni e di impulsi che alcune parole incespicavano tra loro invece di uscire dalla sua bocca. Altre rotolavano prima che lei potesse dare loro forma e significato. Ma queste parole erano importanti e lei aveva fatto pratica nel pronunciarle per settimane, durante i loro viaggi.

"Mesi fa, noi di Mul Daya siamo rimasti nelle nostre dimore in Guum, rincuorati dai nostri portavoce del fatto che i nostri progenitori volessero che noi rimanessimo a difesa delle nostre terre. Per primi sono giunti i discendenti e le nostre difese guidate dai nostri fantasmi dei rampicanti li hanno respinti".

Fece un cenno verso Denn, il cui scontroso silenzio non diede alcun segno di conferma. "Ma poi i discendenti lasciarono il terreno alle creature di dimensioni maggiori e i ranghi dei fantasmi dei rampicanti si affievolirono; i nostri confini si ridussero al punto da toccare i bordi delle tombe degli anziani".

Fece una pausa, ricordando i loro occhi rivolti verso l'alto nei loro letti argillosi, rievocando come lei avesse sognato i loro sogni. Erano la loro essenza, i loro ricordi, generazioni di storia tramutate in polvere insieme ai boschetti in cui risiedevano.

"Molti di noi caddero per difendere le nostre dimore. I nostri portavoce si ammalarono e le voci dei nostri progenitori divennero silenziose", continuò. Mina sentì come se fosse separata da se stessa, intenta ad ascoltare la propria voce. Le sue parole suonavano vuote e formali, senza alcun peso viscerale di vergogna, orgoglio, rabbia che aveva provato a quel tempo.

"Gli Eldrazi arrivarono, conquistarono, si nutrirono e se ne andarono". Sentì un brivido nella sua voce e si fermò un istante per controllare il respiro. "Ebbi una... una visione mentre stavo dormendo vicino ai nostri defunti. Una visione della distruzione di Bala Ged. Quella notte chiesi a mio fratello di incontrare le Nazioni Elfiche. Volevo chiedere loro aiuto".

"E tu?", chiese Tenru con gentilezza. "Qual è il tuo nome?".

"Il mio nome è Mina, tessitrice di Mul Daya". Sollevò la manica destra per mostrare l'indicazione del suo rango, scolpita profondamente nel suo avambraccio con un inchiostro color rosso vino.

Mina vide Tenru misurare ciò che lei era sicura sembrasse un ingarbugliato, impolverato e inesperto disordine di fronte a lei. Tenru sollevò un sopracciglio per il dubbio, ma annuì educatamente.

"Il conclave non si trova in alcun luogo, ma si sposta con le ondate degli Eldrazi", disse Tenru. "I nostri movimenti sono ora una rete strategica di pianificazione ed esplorazione, che si mantiene nelle vicinanze di ciò che rimane del mondo che loro conoscevano, attenti a essere circondati come... come le nostre sorelle".

Le mascelle di Mina si strinsero involontariamente.

"Ho pattugliato le terre di confine, riportando al conclave informazioni sulla diffusione delle lande avvizzite", continuò Tenru. "La loro ultima ondata ha colpito improvvisamente due notti fa, con un numero più elevato di quello che ci aspettavamo. Abbiamo preso le nostre dimore e ci siamo ritirati verso il cuore del Boschetto...".

"Il Boschetto è ancora nelle nostre mani?". Mina si sollevò di scatto, con gli occhi luccicanti. "Per favore... ci puoi portare là?".


Il boschetto di jaddi spuntava nel mezzo della valle, attraverso la terra e le lastre di roccia che svanivano sotto l'inflessibile presa delle sue radici. Dense fronde di foglie sempreverdi salivano fino al livello delle nuvole, dove l'umidità era più elevata. Linee di foglie a spirale, ognuna della lunghezza di un elfo, decoravano i tanti rami. In tempi più tranquilli, l'interno cavo degli alberi caduti aveva avuto la funzione di dimora. Mentre i Mul Daya avevano scelto di posizionare le loro case tra le radici, i Tajuru erano più adatti alle parti più elevate dei rami, nascosti dalla vista degli Eldrazi del terreno. Questa capacità di adattarsi li aveva mantenuti al sicuro per anni, finché non giunsero dell'alto nuove ondate di mostri.

I tre si trovavano in cima alla cresta e osservarono il boschetto sottostante. Al movimento delle nuvole, la luce del sole si stese sulla vallata.

Mina udì Tenru inspirare bruscamente e il suo respiro si bloccò.

Il terreno era completamente diverso dal pallido nulla del burrone. Al posto, una stupefacente schiera di colori vivaci veniva rifratta dalle taglienti sfaccettature della roccia. Alcune formazioni si erano cristallizzate verticalmente, in una contorta presa in giro degli alberi che una volta si ergevano al loro posto. Una spessa e oleosa lucentezza fuoriusciva dalla superficie dai tanti colori come se fosse una ferita aperta, formando uno strato viscido su ciò che rimaneva della sterpaglia.

"Che cosa... è quello?", disse Mina. Con la coda dell'occhio, vide Denn scuotere la testa per il terrificante stupore.

Illustrazione di Raymond Swanland

Sotto l'accampamento si era riunito un gruppo di Eldrazi e le loro proboscidi grattavano sulle sue radici. Uno si era arrampicato fino alla prima linea di rami, sradicando le tende dell'insediamento dai loro alti trespoli e facendole rotolare sul terreno della foresta. Gli abitanti dell'accampamento si erano ritirati nelle dimore sui rami più alti.

Denn si voltò verso Mina, con un volto pallido e tirato. "Quando ci trovammo di fronte al portavoce, io diedi maggiore valore al nostro sangue rispetto alla mia parola. Ti seguii quando nessun altro lo avrebbe fatto, viaggiando fino a un altro continente. Fui pronto a unirmi al resto della nostra stirpe a terra, sulla nostra terra. Abbiamo percorso molta strada, vero? Da un villaggio appestato siamo giunti qui, per vederne un altro avvizzire e scomparire... a un intero mondo di distanza".

Il volto di Tenru si oscurò a queste parole. "Attento a come ti esprimi, Mul Daya... questa è la mia dimora. Sono addolorato per la vostra perdita, ma non ho mai chiesto il vostro aiuto. Non abbiamo alcuna intenzione di subire il vostro destino".


Mina si affrettò attraverso la vallata, scivolando sulle piatte e viscide superfici verso gli Eldrazi che si stavano radunando per nutrirsi. Come i loro compagni su Bala Ged, anche questi possedevano ammassi letali di membra e fauci. Sollevavano le loro pallide masse sui grossi rami con le potenti membra, per succhiare il nutrimento dagli alberi e dal terreno. Invece di piastre ossute, i loro corpi avevano la forma di insetti ed erano composti da impossibili simmetrie. Sopra le loro teste si trovavano corone di delicate piastre di rifinita pietra nera, così nera che sembrava contemporaneamente assorbire e riflettere la luce.

Con il pugnale ancora sporco della cartilagine fibrosa della progenie del burrone, Mina si avventò sulla creatura più vicina. Una carcassa sinuosa, corpulenta grazie al nutrimento e stirata lungo l'ossatura del suo esoscheletro. Le levigate piastre erano dello stesso nero profondo della sua testa, formate da angoli e da simmetria senza alcuna fonte di pietà. Le sue tante gambe erano ricoperte da occhi che brillavano in forme imperturbabili di gemme. Si lanciò in avanti con il pugnale, applicando tutta la sua forza e slancio, con l'intento di squarciare qualsiasi cosa fosse nascosta in quella creatura.

L'arma risuonò all'impatto imprevisto con la massa esterna dell'Eldrazi, generando un'onda d'urto lungo il suo braccio e fino ai suoi denti. Vacillò e le sue dita intorpidite lasciarono cadere il pugnale. Dietro di sé, udì Denn urlare e correre verso di lei.

Un leggero e familiare suono riempì le sue orecchie. Era causato dai suoi nervi scossi? O forse dalla forza dell'impatto?

Faticò per rialzarsi, reggendosi la testa con una mano e cercando di afferrare il pugnale con l'altra. Riuscì a stringere qualcosa di solido e alzò lo sguardo...

... ritrovandosi davanti quattro mascelle sbavanti di un Eldrazi dalla corona nera. Balzò istintivamente indietro, ma troppo tardi. Chiuse gli occhi con forza.

La creatura urlò. O almeno lei pensò così. Un coro acuto di toni, appena percettibili per il suo cervello, vibrarono attraverso il suo cranio. Sentì qualcosa di caldo nel suo orecchio destro.

Sangue.

Dolore si propagò in tutto il suo corpo, andando a sovrapporsi alle onde delle vibrazioni che la stavano scuotendo.

Un panico cieco la invase e scattò all'indietro su quattro zampe come un animale inseguito. Con la coda dell'occhio vide Denn cercare di raggiungerla e si voltò verso di lui.

Il mostro si girò verso di loro, con l'addome teso in aria, e ululò.

Illustrazione di Jason Felix

I colori ai lati del campo visivo di Mina si fecero confusi. Davanti a lei, la forma di Denn si contrasse e riprese forma in onde; il rosso della sua chioma e dei suoi occhi venne risucchiato dal suo corpo e scivolò verso i lati della visione. Il suo braccio disteso era deviato nella direzione opposta, piegato a un angolo impossibile. La sua bocca si aprì e le sue parole andarono alla deriva impotenti, mentre la sua lingua non era in grado di formare alcun suono e l'aria scorreva inutile attraverso i suoi polmoni. Rimasero sospese in aria, insignificanti e piccoli, e vennero dissipate.

Mina affondò il braccio in avanti, verso quello di lui, e sentì i muscoli afflosciarsi e le ossa oscillare come fumo viscoso in aria, in un modo impossibilmente lento. Le sue dita si separarono, con i tendini che si scioglievano dalle ossa e le vene che si stendevano e si aggrovigliavano.

Anche il terreno sotto di lei diventò un liquido viscoso, afflosciandosi e fluendo per il suo peso. Le sue gambe erano impossibilmente pesanti e la tirarono verso il basso e lontana dal braccio disteso. Il suo altro braccio trovò l'elsa del pugnale e faticò a reggerlo mentre lei si srotolava.

L'istinto fece muovere la lama dalla sua mano, seguendo una traiettoria all'esterno del cono dell'ululato del mostro, colpendolo in uno dei suoi tanti occhi a forma di gemma.

L'ululato si interruppe per un momento e il corpo di Mina si accasciò come quello di una bambola di pezza. L'impatto la scagliò contro le lande avvizzite indebolite sottostanti.

Quando riaprì gli occhi, si ritrovò in una leggera depressione, senza fiato e con la testa pulsante. La luce del giorno filtrava da sopra di lei e poteva vedere il lato inferiore del sottile e friabile strato di avvizzimento che aveva oltrepassato, come se fosse lo strato di ghiaccio che ricopre l'acqua di un laghetto in inverno.

Il leggero e familiare ritmo era tornato. Ora era più forte. Faticò alla ricerca del suono nascosto dal brontolio delle bestie sopra di lei. Si sollevava e calava come un respiro o era come... una voce? Cercò di individuare uno schema e di comprenderne le frequenze. Da quello che sembrava chilometri sopra di lei, il suono della voce di Denn filtrò nella sua coscienza che si stava affievolendo.

Mi-nah. Mee-na.

Si accovacciò nell'oscurità, con le mani a terra per reggersi. I suoni nella sua testa divennero sussurri. Erano le voci che aveva udito a Bala Ged, le voci dei suoi anziani, i suoi jaddi. La sua famiglia. Si fondevano in qualcosa di familiare. Che cosa le stavano dicendo?

Aggrottò la fronte, mentre le sue mani stringevano involontariamente qualcosa... di familiare.

Il terreno sotto le sue mani non era la dura superficie delle lande avvizzite. Era terreno, il fitto e fragrante terreno della sua gioventù. La ruota inesorabile del tempo si fermò, sospesa in una bolla sintetica di ricordi collettivi. L'aroma di quella terra riscaldata dall'estate, calpestata dagli stivali, macchiata dal sangue o verde per la crescita primaverile, le riempì i polmoni. La osservò con occhi che non erano i suoi. I suoni si sovrapposero di nuovo nella sua testa.

Mina.

"Mina!". La voce di suo fratello infranse quel sogno ad occhi aperti, insinuandosi nella sua concentrazione.

Denn!

Una mano coprì la luce sopra la testa di Mina e lei si sentì sollevata dal terreno nelle braccia del fratello. Poteva sentire l'aroma del sangue su di loro, nonostante non sapesse a chi appartenesse.

Un suono rapido passò sopra le loro teste e il terreno sotto di loro si gonfiò ed esplose davanti a loro. L'impatto dell'ululato vagante lasciò un solco dietro di sé.

"Denn! Sono qui! I progenitori sono ancora con noi! Sotto queste lande avvizzite si trova la terra, proprio qui!".

"Mina? Calmati, stai sanguinando, dobbiamo andare...".

Mina si sollevò e resse la testa del fratello quando il successivo ululato si diresse verso di loro, scavando nel terreno.

Le particelle esplosero e diventarono vive, ognuna trasformandosi in spessi steli, radici e terra che vennero scossi dall'onda d'urto; i confini della zona di impatto formarono una macchia caleidoscopica al centro.

"Ascolta!".

I suoni nella testa di Mina erano diventati assordanti. Su più toni e frequenze, si mescolavano cori di voci e rumori di ogni ampiezza, intensità e volume. Una sensazione di calma la pervase. Fece un respiro profondo, coprì l'orecchio di Denn con la propria mano e tutti fluirono dalle sue labbra come un argine crollato.

Alcune parole erano rabbiose, dolci, scontrose, un linguaggio segreto condiviso con un fratello la cui voce le sembrò essere la sua. Alcune uscirono come un rombante rimprovero, severi avvertimenti che aveva udito tempo prima. Altre erano in una lingua e un tono che sentì ma non conosceva, calde folate di vento estivo, il leggero dolore del rimpianto. Era il suono di ricordi solidificati nel tempo e nello spazio. La calma pervase Mina, che avvolse le parole intorno alle carni e alle mani ferite di Denn.

I suoi occhi si spalancarono, la sorpresa rimosse ogni tentativo di finta insensibilità. "Queste sono le voci dei progenitori? Dove hai imparato a parlare con le loro voci? Che cosa ti dicono?".

Mina annuì, ma non disse nulla.

Un altro ululato frantumò la parete di rampicanti e la terra compatta e gli spessi steli ricurvi si frantumarono in friabili pezzi scintillanti. Mina si voltò lentamente verso la creatura, spalancò le braccia e iniziò a parlare.

In un solo suono parlò della dimora dell'infanzia nelle giungle bollenti di Guum, accovacciata nella sterpaglia, intenta ad ascoltare la pioggia. Pilastri di terra umida e roccia eruppero dal terreno e generarono enormi frastagliate crepe lungo la superficie, che si propagarono come fulmini sulle sfaccettature delle lande avvizzite, facendo rotolare a terra il mostro. L'Eldrazi ruggì e barcollò cercando di riprendere l'equilibrio.

In un istante successivo raccontò storie che non aveva mai conosciuto, ma che sapeva essere vere. Storie di coraggio e sacrificio. Estrasse il suo secondo pugnale dal suo fodero al suo fianco. Era caldo e aveva l'aroma di foglie umide. Inspirò profondamente e sorrise a se stessa con uno zelo feroce.

Mina e Denn, Nati Selvaggi | Illustrazione di Izzy

Questa volta, il suo taglio scivolò con facilità attraverso il carapace, mentre l'altra mano penetrava nel guscio aperto e strappava tutto ciò che riusciva ad afferrare. Protetta da una fredda caparbietà, scolpì con il pugnale pigri cerchi attraverso il pallido corpo dell'essere, spargendo pozze della sua essenza.

Dietro di lei, qualcosa le sfiorò la spalla e Denn percepì un altro di quei mostri, il cui corpo crollò a terra dopo che lui ne aveva reciso le gambe da insetto. La sua risata si stabilizzò e si interruppe per un istante, mentre lei la afferrava e la cristallizzava nella memoria. Era da tanto che non la udiva.

Afferrò le radici di jaddi. Le creature dotate di corona l'avevano individuata, grazie al fetore del potere e alla nuova vita, e balzarono dai grossi rami verso di lei come frecce verso la preda. Si misero intorno a lei, con la loro frenesia di piedi che sbattevano a terra e le loro mascelle spalancate.

Mina vide svanire l'estremità superiore della testa di Denn nella calca delle bestie con le corone. Un profondo rombo venne emanato da sotto i suoi piedi. Spesse radici spaccarono il terreno, avviluppando i corpi in armatura degli Eldrazi, risucchiandoli attraverso le fessure della terra. I grossi rami di jaddi serpeggiarono in avanti e trascinarono le altre nel corpo dell'albero stesso, bloccandole nel tronco. La superficie della valle si frantumò in scintillanti piastre di avvizzimento, per poi affondare nel nuovo e soffice terreno che emerse da sotto i piedi di Mina e Denn.


Tenru arrivò poco dopo, insieme a un gruppo di una decina di Tajuru armati pesantemente, sul dorso dei loro destrieri. Dietro di loro si trovava un'elfa dalla chioma bionda, di statura inferiore ma con una tranquillità e una solennità che era di solito accompagnata dall'età. La sua armatura in pelle era incisa in modo intricato, sebbene fosse severamente segnata severamente dagli anni di utilizzo. Si accovacciarono vicino a Mina, che era crollata con la schiena appoggiata alle radici dell'albero, intenta a pulire le proprie ferite.

"Quindi tu sei della nostra specie al di là delle acque?", chiese l'elfa dalla chioma bionda. Raccolse il pugnale caduto di Mina, quasi nascosto sotto lo strato frantumato delle lande avvizzite e glielo porse dal lato dell'elsa.

"Perdonatemi", si intromise Tenru, "essi sono la tessitrice Mina e suo fratello Denn. Rampicanti fantasma di Mul Daya".

L'elfa dalla chioma bionda sorrise con gentilezza e fece un inchino con il capo. "Vi diamo il benvenuto a nome di tutta la nostra specie elfica. Che le distanze e le generazioni non ci separino. Quali notizie portate della vostra stirpe?".

Mina rispose con un inchino del capo, mettendosi in posizione risoluta per parlare, ma questa volta le parole uscirono con facilità. "Sono venuta alla ricerca di Nisede, condottiera dei Tajuru, per chiederle di accettare il nostro aiuto... l'aiuto dei sopravvissuti di Bala Ged".

"Io sono Nisede. Dove si trova il vostro portavoce? Vi ha mandati lui al suo posto?".

Le guance di Mina avvamparono. Quando iniziò a rispondere, Denn la interruppe con gentilezza. "Noi... non ne siamo sicuri. Ma sono sicuro che anche Mina sia in grado di parlare con le voci della nostra stirpe. L'ho sentita io stesso. Io... noi vi chiediamo di unirci a voi, per poter conservare i ricordi dei Mul Daya".

Il volto di Nisede si fece severo e il suo tono divenne lento e ponderato.

"I miei elfi continueranno ad adattarsi e a spostarsi, come abbiamo sempre fatto. Abbiamo udito di un accampamento di abitanti di Zendikar, vicino al bacino di Halimar. Si è formata un'alleanza di kor, umani e tritoni, allo scopo di opporre resistenza o di cadere combattendo. Non sono in grado di promettervi un luogo sicuro per i vostri racconti, ma posso promettervi che vi porteremo nel luogo più sicuro che conosciamo, dove potrete offrire la vostra forza e i vostri racconti".

Gli altri annuirono gravemente.

"Oggi ci incammineremo per unirci a loro. La nostra condottiera si chiama 'Tazri', un'umana di una città sulle coste dell'Halimar. La città di Portale Marino".


Archivio dei racconti di Giuramento dei Guardiani

Piano: Zendikar