Uno scorcio sul lato nascosto del sole
HUATLI
Huatli aveva otto anni.
Piccoli granelli svolazzavano nella luce del sole del pomeriggio e illuminavano l’area degli allenamenti con un bagliore color arancione all’ombra di Tocatli. Una decina di altri bambini erano seduti di fianco a lei sulla pietra, con le manine che tenevano strette le armi da combattimento in legno. Era sufficientemente giovane da essere spinta a porre migliaia di domande e al tempo stesso sufficientemente adulta da saper aspettare il momento più appropriato. Rimaneva seduta tenendosi le dita dei piedi nelle mani minuscole, in attesa che il sacerdote dell’Impero del Sole terminasse il suo monologo. Stava impartendo una lezione agli aspiranti guerrieri sul triplice aspetto del sole, nel più incredibilmente noioso ronzio che Huatli avesse mai sentito. Conosceva tutte queste storie a memoria. Adorava le storie.
"Che cosa si trova sul lato nascosto del sole?", chiese improvvisamente.
Il sacerdote sbatté le palpebre.
Huatli strinse i piedi tra le mani e mantenne saldo lo sguardo sul volto di lui.
Il sacerdote sospirò. "Huatli, un giorno combatterai con una lama in mano e parlerai con il potere del sole. Ciò che si trova sul lato nascosto non è importante."
Huatli non sopportava i momenti in cui parlavano del suo futuro. Partecipava a speciali lezioni con sacerdoti e sciamani perché aveva un talento nel raccontare le storie, ma era scocciante per lei non poter trascorrere il suo tempo con gli altri aspiranti guerrieri.
"Ma io voglio sapere che cosa si trova sul lato nascosto", rispose facendo del proprio meglio per celare la lamentela dietro un tono di sincera curiosità.
Gli altri aspiranti guerrieri osservarono il dialogo con fastidio. Il volto di Huatli si fece rosso.
"Huatli potrebbe essere la nostra futura poetessa guerriera", commentò Inti, il cugino, con una voce più coraggiosa di quella di un normale ragazzino di otto anni. "Non esistono storie sul lato nascosto del sole che lei dovrebbe conoscere?"
Gli altri bambini annuirono.
Il sacerdote apparve leggermente confuso. Si voltò verso l’istruttrice militare per un aiuto, ma lei non fece altro che alzare le spalle. Lui aggrottò le sopracciglia e guardò Huatli negli occhi.
"Non c’è nessuna storia sul lato nascosto del sole."
Gli altri giovani guerrieri emisero un gemito di delusione.
Il sacerdote sospirò. "Parlate di ciò che potete vedere. Glorificate le azioni che avete compiuto e non perdete tempo su ciò che è sconosciuto."
Huatli si sentì confusa. "E se io lo volessi davvero sapere?"
Il sacerdote si voltò di nuovo verso l’istruttrice con quello sguardo solito degli adulti quando sono annoiati e circondati da bambini.
L’istruttrice militare batté le mani in modo autoritario e si rivolse agli altri giovani guerrieri. "Allievi! Formate coppie e date inizio alla pratica. Il primo che viene abbattuto si occuperà della pulizia."
Gli altri bambini scattarono in piedi e corsero verso l’altro lato dell’area di addestramento, farfugliando concitatamente dopo essere stati costretti a rimanere in silenzio durante tutta la lezione. Huatli, ancora immobile dove era seduta, rimase intenta a osservare con attenzione il sacerdote.
Lui sospirò e la osservò con un’esasperazione che ricordava vagamente quella di un genitore. "Sembra proprio che tu abbia un dono per le parole, Huatli. Se desideri diventare una poetessa guerriera dell’Impero del Sole, quando lo sarai, le tue parole rappresenteranno la verità."
La ragazza aggrottò la fronte, confusa. "Vuol dire che potrò inventarmi le storie?"
"No. Vuol dire che, quando racconterai le tue storie, racconterai la verità. Sarà tuo compito conoscere le loro esperienze e condividerle in modo che il nostro popolo non dimentichi mai le azioni delle persone di cui narrerai." Il sacerdote era irremovibile. "Se vivrai da guerriera per il bene dell’impero, dovrai vedere le cose in modo chiaro. Dovrai essere la voce che dà sicurezza dall’alto. La voce dell’impero, la voce che comunica tutto ciò che è importante."
Huatli si morse un labbro. Non era sicura se essere una voce che dà sicurezza dall’alto fosse il suo desiderio. Pensò al sacerdote, all’istruttrice militare, a sua zia, a suo zio e a Inti. Pensò a tutte le persone dell’impero e a come un giorno avrebbero ascoltato le sue verità.
L’impero è ciò che conta, affermò a se stessa. Non ciò che potrebbe esistere sul lato nascosto del sole.
Angrath e Huatli erano fianco a fianco su una radura, accovacciati per mantenere l’equilibrio mentre la terra sotto di loro si stava scuotendo violentemente. Osservarono le guglie di Orazca salire sempre più alte sopra le fronde della valle sottostante. Sembrava che le guglie stessero sollevando la città, strappando i rami degli alberi e sradicando enormi zolle di terra e roccia.
Huatli era senza fiato.
La città era più bella di quanto potesse immaginare . . . ed era completamente diversa dalla città che aveva visto nella sua visione.
Il terreno smise di tremare e lei si asciugò una lacrima. Era là. Alte arcate e intagli grandi come case, una struttura labirintica con più oro di quanto avesse mai visto in tutta la sua vita. Quel luogo sembrava pulsare di magia. Si trovava ancor a grande distanza da lei, approssimativamente a mezza giornata di cammino, ma ora si trovava più vicina a Orazca di qualsiasi membro dell’Impero del Sole fosse mai stato per secoli.
Il minotauro alla sua sinistra grugnì dall’emozione. "Finalmente." Si incamminò pesantemente, determinato e impaziente.
Huatli si concentrò sulla sua missione e corse per raggiungerlo.
La sua mente correva all’impazzata. L’aveva trovata, ma ciò significava forse che sarebbe dovuta tornare indietro? Non avrebbe forse dovuto esplorarla per trovare il Sole Immortale? Huatli cercò di trattenere l’esultanza, senza successo... con un sorriso sciocco visibile sul suo volto.
"Allora ti è stato chiesto di trovare la città dorata come una galoppina?" Angrath sogghignò.
Huatli tornò bruscamente alla realtà. Il suo sorriso svanì. "Il mio imperatore mi ha assegnato questo compito. È la nostra dimora ancestrale e noi siamo i legittimi governanti di Ixalan."
Gli alberi si fecero sempre più vicini. Si incamminarono all’ombra delle fronde della giungla e i rami iniziarono a formare archi sopra di loro, con il suono degli insetti e degli uccelli che riempiva le orecchie di Huatli.
Angrath si voltò verso Huatli. "Che cosa ottieni tu da tutto questo?"
"Io ottengo il titolo che mi spetta", rispose Huatli. "Mi sono addestrata per diventare una poetessa guerriera fin da quando ero una bambina."
Angrath grugnì.
Huatli aggrottò la fronte. "Che cosa?"
"Un titolo non ti offre la libertà."
Scagliò una catena per rimuovere un ramo dal loro cammino. Huatli si sentì infastidita. "Non comprenderesti. Sarà mio compito narrare le vittorie del mio popolo."
Angrath la osservò con la coda dell’occhio. "E hai bisogno di un titolo per questo? Ragioni come una formica."
Huatli si sentì decisamente insultata e si sforzò per non rispondergli. Sapeva per esperienza quanto irascibile fosse il suo temperamento e non volle rischiare che questo nuovo e strano alleato si lanciasse in un altro attacco.
"Cosa vuoi dire con 'ragioni come una formica'?", chiese con forzata calma.
Angrath fece ruotare le spalle e la sua testa taurina oscillò su entrambi i lati, rumorosamente. "Tu desideri solo salire in cima al formicaio e godere della vista."
"Stai paragonando l’Impero del Sole a un formicaio?"
Il minotauro si mise a ridere. Era un rumore basso e gutturale, che fece venire in mente a Huatli il verso di un animale selvaggio. "L’Impero del Sole è come un insieme di formiche in un formicaio, come anche Araldi del Fiume, Torrezon e ogni altro gruppo di idioti su questo piano."
"Per lo meno, ci stai insultando tutti nello stesso modo."
Angrath si sporse in avanti e spinse di lato lo stelo di un enorme fiore per permettere a Huatli di passargli sotto. "Il mio popolo pone la libertà sopra a ogni altra cosa. Per la libertà siamo pronti a uccidere, Planeswalker, e tutti ne comprendono il motivo." Lui la osservò con espressione seria. "Ti sei legata a nulla più che storielle ricordate a metà."
"Storielle?", scattò lei. "Ti stai riferendo alla storia del mio popolo. Ti stai riferendo a tutto ciò per cui io vivo. La mia vita è stata dedicata alla ricerca delle parole giuste, alla trasmissione delle nostre emozioni collettive, alla conservazione della storia dell’Impero del Sole in modo veritiero e con orgoglio."
Il minotauro ridacchiò. Huatli si morse la lingua. Lui le sorrise, per quanto un minotauro potesse sorridere. "E che mi dici degli Araldi del Fiume? La loro storia non merita di essere ricordata?"
"Beh . . . sì. Ritengo di sì. Ma le poetesse guerriere non studiano la loro storia . . ."
"Vi state uccidendo tra voi per determinare chi è sufficientemente forte da decidere quale storia dovrà essere raccontata. Litigate e vi insultate per decidere chi dovrà regnare, ma nessuno possiede davvero la libertà. Chi pensi di essere per affermare di aver ragione, sciocca ragazza?"
Huatli sentì un conflitto dentro di sé.
Si chiese chi pensasse di essere Angrath per parlarle in quel modo. Era rozzo e brusco, ma, nel caso in cui le sue parole fossero verità, lui sapeva qualcosa che Huatli non aveva mai compreso. Se era vero che proveniva da un altro mondo, forse su quel mondo le cose funzionavano in modo diverso. Huatli si sentì come se fosse una ragazzina, insistente e irruente, intenta a proclamare audacemente la propria importanza. Era infastidita dall’implicazione che lei si ritenesse superiore agli altri, perché, in realtà, come avrebbe mai potuto? Il cammino che aveva percorso nella sua vita aveva pareti troppo alte per poter vedere oltre.
Un brivido le attraversò le spalle.
Angrath si arrestò. Si voltò verso Huatli.
"Lo hai sentito anche tu?"
Lei annuì. Un leggero formicolio corse lungo la sua nuca e lei tremò nonostante il calore della giungla.
L’orecchio di Angrath fece un piccolo movimento. "Seguimi", le disse.
Santissimo sole, quanto è sgarbato, pensò Huatli con irritazione.
Il minotauro si immobilizzò e Huatli provò un’improvvisa vampata di calore davanti a sé. Il minotauro stava lanciando una magia. No, era qualcosa di diverso. Mentre un bagliore simile a quello del carbone rovente iniziava a illuminare dall’interno il corpo di Angrath, lei comprese che lui voleva che lei lo seguisse in un modo che aveva provato una volta sola.
Huatli si concentrò. Cercò di ricordare come osservare il lato nascosto del sole.
La sensazione fu improvvisa, inviò brividi lungo la sua pelle e le diede uno strattone al petto. Era spaventosa e familiare, come tentare un salto mortale all’indietro o nuotare senza toccare il fondo, e Huatli vide la propria pelle diventare luminosa come la brillante luce del tardo pomeriggio. I suoi sensi vacillarono e lei si sporse in avanti, verso un reame diverso. Ora era diventato familiare, una splendente tempesta di luci e colori, con Angrath di fronte a lei. Stava camminando, alla ricerca di un’uscita.
I piedi di Huatli si staccarono dal terreno della giungla e si ritrovarono nel nulla. Il suo corpo veniva sostenuto, ma in quel luogo la materia non aveva peso o essenza. Vide correnti di colore blu da entrambi i lati e ogni passo vibrava con un’energia che non aveva mai provato prima. Il tempo era irrilevante in quel luogo.
Angrath le fece cenno di osservare attraverso un portale che si trovava davanti. Il minotauro aveva ancora l’effetto magico di un focolare rovente e Huatli comprese che anche lei doveva essere troppo splendente per lui da guardare in modo diretto.
Osservò attraverso la finestra appesa a mezz’aria.
Quel luogo era gelido in un modo che non aveva mai provato prima. Le montagne si innalzavano fino alle nubi turbolente e piccoli frammenti bianchi scendevano lentamente dal cielo pesante.
Huatli fu catturata da quella visione. Si sporse in avanti e venne immediatamente... e violentemente... strattonata all’indietro.
Huatli attraversò spazio e colori e ritornò all’appiccicosa umidità e all’aroma della terra intrisa d’acqua della giungla, atterrando sulla schiena.
Quello che ora era un familiare cerchio con un triangolo al suo interno scintillava sopra la sua testa.
Angrath era in piedi di fianco a lei. Più abituato di lei a quella specie di espulsione magica, si era preparato all’impatto. La guardò dall’alto, con il suo triangolo luminoso che volteggiava sulla testa e con uno sguardo del tipo “te l’avevo detto” sul volto bovino.
"Dobbiamo essere vicini a ciò che ci mantiene incatenati a questo piano", grugnì.
Huatli emise un sospiro tremante. "Che luogo era quello?"
"Kaldheim", disse Angrath energicamente. "Un altro piano. Ora comprendi ciò che intendo?"
Huatli scosse la testa.
Angrath grugnì.
"La libertà ha inizio dalla consapevolezza di essere intrappolati."
Il pomeriggio divenne sera e Huatli e Angrath continuarono a camminare l’uno di fianco all’altra. Il loro passo era rapido, grazie alla capacità di Huatli di navigare la foresta pluviale con facilità. Più si avvicinavano alla città, più si modificava l’ambiente intorno. Le foglie degli alberi scintillavano di un colore dorato e fenditure nel terreno creavano profonde voragini che portavano ad ancora più profondi passaggi dorati.
Huatli era preoccupata per l’intensità dei propri brividi. Angrath mormorò qualcosa riguardo alla possibilità che il Sole Immortale interagisse con la magia dei Planeswalker e Huatli sospirò. Molti gruppi diversi ritenevano che il Sole Immortale avesse molti effetti diversi. Non era possibile che tutti loro avessero ragione. A un certo punto, Huatli chiese ad Angrath quale fosse il primo posto dove sarebbe voluto andare, una volta lasciato quel piano. "Voglio rivedere le mie figlie", fu la sua secca risposta.
Huatli fu colpita dalla sua vulnerabilità. "Quanto tempo è passato dall’ultima volta che le hai viste?"
"Quattordici anni", ringhiò Angrath. Per un attimo, Huatli rimase stupita. Stava per esprimergli le sue condoglianze, ma venne preceduta da un’aggiunta di Angrath... "Berrebbero con piacere il sangue del tuo imperatore, idiota."
Se ci fosse stato qualcosa in grado di catapultare Huatli fuori da quel mondo, un metodo sarebbe stato sicuramente la personalità di Angrath.
Raggiunsero una struttura che emergeva dal terreno: un tempio dalle dimensioni modeste. Un ampio disegno ne ornava la parte frontale... un pipistrello, il cui volto spaventoso era scolpito nella roccia. Il metallo deteriorato suggerì a Huatli che non facesse parte di Orazca, bensì fosse una tomba costruita nelle vicinanze. La tomba sembrava non appartenere ad alcun tempo, così stranamente posizionata nella giungla. Era impressionante. Inquietante.
Huatli rallentò il passo e poi si fermò.
Le tornò in mente una vecchia storia., una storia dimenticata da molti, ma non da lei. Non dalla poetessa guerriera dell’Impero del Sole.
"Il pipistrello dell’est", sussurrò.
L’orecchio di Angrath fece un piccolo movimento. "Che pipistrello?"
Huatli indicò la struttura di fronte. Era ricoperta di rampicanti ed era usurata dal tempo; la porta frontale era socchiusa. "Esiste una leggenda che dice che il pipistrello dell’est ha incontrato Aclazotz . . ."
Il minotauro grugnì. "Che fine ha fatto il pipistrello nella leggenda?"
"Si è immerso in un sonno incantato."
Huatli si incamminò verso l’entrata, ammaliata dalla possibilità di esplorare il tempio. Se Orazca si era risvegliata, forse lo aveva fatto anche questo luogo . . .
"Che cosa stai facendo?!" Urlò Angrath.
Sto esplorando ciò che si trova sul lato nascosto del sole, pensò Huatli tra sé e sé, con un sorriso.
Si avvicinò all’entrata del tempio, per poi indietreggiare improvvisamente nel momento in cui una pallida mano emerse dal suo interno. Huatli si immobilizzò alla vista di quella mano femminile che stava afferrando il lato della lastra dorata.
Immediatamente e silenziosamente, Huatli lanciò una magia per evocare il dinosauro più vicino. Il suo cuore batteva forte durante quell’evocazione, mentre osservava la mano sollevare e spostare la lastra dall’ingresso del tempio.
Nel momento in cui quella figura divenne visibile, il panico di Huatli svanì, lasciandola a bocca aperta.
Era senza dubbio un vampiro, con una lunga chioma riccia e un volto giovanile che stonava con la natura della sua specie. Era di altezza media, forse di poco più bassa di Huatli, ma la sua postura era quella di una regina.
Huatli rimase senza fiato. Si voltò verso Angrath, immaginandolo lanciarsi alla carica per ucciderla, ma anche lui era altrettanto immobilizzato.
"Tu sei Santa Elenda", disse Angrath, distante. "Tu sei quella di cui i vampiri narrano."
Huatli fu brevemente turbata dal fatto che Angrath conoscesse una leggenda di cui lei non aveva sentito parlare.
La donna avanzò con movimenti lenti e ponderati e spostò lo sguardo da Angrath a Huatli con un sorriso sulle labbra.
"Orazca si è finalmente risvegliata."
La sua voce era leggera e serena. Una campana che ruppe il silenzio.
La meraviglia di Huatli svanì e lei afferrò la sua lama. Da molti metri di distanza provenne un ruggito e Huatli ordinò al dinosauro che aveva appena evocato di accovacciarsi in preparazione a un attacco. Sapeva come funzionavano le leggende; sapeva meglio di chiunque altro come avevano inizio le storie e come si sviluppavano. Quasi tutti i racconti avevano origine dalla verità e Huatli comprese rapidamente che la leggenda del pipistrello dell’est aveva avuto inizio proprio con questo vampiro, secoli fa.
La vampira aveva un atteggiamento rilassato. Incrociò lo sguardo con quello di Huatli, con un’espressione in volto di pura serenità.
"Perché impugnate le armi?", chiese con tono di curiosità.
Huatli aggrottò la fronte. "Mi rifiuto di permettere che la Legione del Vespro conquisti la città. Voi invasori meritate un destino peggiore della morte stessa!"
Un sopracciglio della vampira si sollevò. Le sue labbra erano divise e il suo aspetto era di dolore. La sua voce era sommessa e innaturale. "Siamo ora degli invasori?"
"Io conosco tutte le storie del mio popolo riguardo a te e alla tua Legione del Vespro", sibilò Huatli. "Vuoi conoscerle?"
La rabbia di Huatli esplose. Recitò un poema che aveva scritto solo due anni prima, assaporando le amare frasi.
"Giunsero ammantati dall’ombra dell’est
Alla ricerca di un tesoro perduto
La rosa ricoperta da spine e incrostata di sangue insozzò 'Adanto'
Bevitori di vita e divoratori di nomi."
Angrath era agitato dalla rabbia e dall’impazienza. "Non abbiamo tempo da perdere in chiacchiere, Huatli. Dobbiamo raggiungere il Sole Immortale per riuscire ad andarcene."
Elenda non prestò attenzione ad Angrath. Vi era un’aria di furia intorno a lei. Era visibilmente inquieta, con occhi dorati che scattavano ripetutamente tra Huatli e Angrath. "Per quale motivo la Legione del Vespro è venuta qui?"
Huatli sputò quelle parole come se fossero veleno. "Per impossessarsi di ciò che non le appartiene. Per che cosa credi sia venuta?"
"Per recuperare l’oggetto che è nostro", rispose Elenda con tono misurato e rabbioso. "E per lasciare in pace ogni altra cosa. Quella era la nostra missione più sacra."
Angrath ringhiò. "Dovresti dirlo ai tuoi amichetti. Huatli, andiamo."
Huatli ignorò Angrath e strinse più forte la sua lama. Santa Elenda era inquieta come un felino della giungla, come se fosse pronta ad attaccare in qualsiasi momento con una grazia fluente e con artigli affilati.
La vampira mostrò i denti. "Ho donato alla Chiesa la conoscenza del rituale per portare avanti la mia missione e loro l’hanno utilizzata per diventare invasori?"
Huatli la osservò stupita. "Che cosa avrebbero dovuto fare con il tuo dono?"
"Avrebbero dovuto imparare l’umiltà."
Huatli rimase a bocca aperta. La Legione del Vespro? Umiltà?
"Avrebbero dovuto continuare la ricerca per la salvezza di tutti noi", continuò Elenda. "Devo proprio insegnare loro ciò che sembra abbiano dimenticato."
Elenda si raddrizzò e sul suo volto apparve una grande ombra. Si fece avanti, superò Huatli e Angrath e svanì in un angolo oscuro.
Un istante più tardi, la luce del sole ritornò, ambrata e chiazzata, attraverso le foglie sovrastanti; la vampira se n’era andata.
Huatli sbatté le palpebre e si guardò intorno, alla ricerca di dove potesse essere finita. "Accidenti!", sospirò, esasperata.
"Possiamo andare adesso?!" Angrath ruggì contrariato e colpì uno degli alberi vicini con una delle sue catene. Crepitò all’impatto e si abbatté a terra, lasciando dietro di sé decine di piccoli animali e insetti in fuga.
Huatli si voltò verso il minotauro e aggrottò la fronte. "E questo per che motivo?! Non fai altro che attirare l’attenzione su di noi!"
"Tu ti fai distrarre troppo facilmente! Abbiamo perso tempo con le tue chiacchiere con quel vampiro!"
"Quella vampira è una santa vivente alla quale avrei voluto far passare un brutto quarto d’ora!"
"Il vostro raccontarvi storielle non può farmi sprecare il mio tempo!"
Angrath scagliò una catena verso il volto di Huatli, che riuscì a schivarla all’ultimo momento, con il suo calore che le riscaldò la guancia.
Sebbene i suoi riflessi e il suo addestramento le permisero di piegarsi all’indietro, raddrizzarsi ed estrarre la spada con sorprendente rapidità, nel momento in cui riuscì a concentrare l’attenzione su Angrath per rispondere all’attacco, lui si era già voltato ed era corso via a gran velocità verso le guglie di Orazca.
Angrath (lo sgarbato, incorreggibile e fastidioso Angrath) sarebbe giunto prima di lei.
Huatli non avrebbe potuto permetterglielo.
JACE
Le viscere di Jace erano state sommerse dalle emozioni, strette da una forza soffocante, appese a un’asta ed esposte al vento. La sensazione di sfinimento non era nulla in confronto a quanto si sentisse strizzato.
Posizionò con attenzione un piede di fronte all’altro e salì la scalinata verso Orazca, eccessivamente conscio della presenza di Vraska dietro di lui. Jace era troppo stanco per vergognarsi di non riuscire a controllare se stesso. Gli acciacchi del corpo si manifestavano sotto forma di febbri incontrollabili. Era quindi perfettamente logico che gli acciacchi della mente di un telepate si manifestassero . . . in quel modo. Un’espulsione. Un violento sprigionarsi di magia mentale.
La maggior parte della sua attenzione era furiosamente impegnata nel catalogare e analizzare l’inondazione di ricordi che era ancora in corso. Il pozzo della sua mente era ora incredibilmente profondo, con un’essenza varia e sconfinata quanto quella del mondo intorno a lui. Doveva concentrare l’attenzione su qualcosa. Se non l’avesse fatto, sarebbe stato sicuramente sopraffatto di nuovo dal dolore.
(Un ricordo improvviso: se stesso a dodici anni, seduto in un angolo della sua camera da letto, avvolto in una coperta di lana, mentre si asciugava le lacrime dopo la morte del suo animale domestico.)
I ricordi stavano continuando a riaffiorare, ma ora era in grado di trattenerli. Non vi erano più inondazioni psichiche. Non ci fu altro che Vraska potesse vedere (fortunatamente). Si vergognava per tutto ciò che aveva visto, ma comprese con crescente conforto quanti elementi in comune avessero le loro vite.
Dopo tutto, anche lei era stata torturata. Lei sapeva ciò che si provava.
Jace era grato di aver dovuto compiere azioni puramente meccaniche per un po’ di tempo, nel quale poter riportare l’attenzione sull’organizzazione della sua mente. Un passo dopo l’altro, salendo verso la città. Piede sinistro. Piede destro. Piede sinistro.
La lunga scalinata di oro massiccio si arrampicava sul crinale della roccia appena scoperta, zigzagando tornante dopo tornante. Mentre continuava a salire, con Vraska sempre dietro di lui, Jace poté osservare imponenti filoni di oro che luccicavano attraverso la roccia. Jace si sentì sempre più strano a ogni passo, come se ogni impronta fosse equivalente a una macchia di fango su un tesoro prezioso. L’oro era delicato e malleabile e lui si chiese se la città possedesse un qualche modo per rimuovere magicamente l’usura dei secoli.L’idea dell’oro gli riportò alla mente frammenti di pessimi ricordi, ancora in attesa di essere ritrovati.(Scaglie d’oro. Arenaria. Calore. Ruvida sabbia sulle labbra, negli occhi e nella gola. Amici sconfitti e condannati. Lui che cercava di entrare nella mente di un drago. Un’idea di ciò che era il piano del drago, impedirgli di creare danni e, per un breve istante, ci era riuscito, ne aveva visto lo scopo, l’obiettivo finale...)
Quel ricordo era più complicato da recuperare. Jace cercò di richiamare alla mente i dettagli.
(Il drago si era accorto della sua presenza e aveva cercato di contrattaccare leggendogli la mente lui stesso. Ma qualcosa era intervenuto proprio quando il drago aveva cercato di intrufolarsi, poi tutto era stato avvolto nell’oscurità.)
Nessun risultato. Jace aggrottò la fronte, infastidito. Avrebbe voluto ricordare maggiori dettagli. Avrebbe voluto sapere il nome di quel drago dorato. Non vedeva l’ora di mettere insieme tutte le parti, in modo che formassero un ricordo coerente.Ma il pensiero di un drago gliene fece venire in mente un altro.
(Ugin che srotolava le sue membra all’interno di una enorme caverna. 'Buona fortuna, Jace Beleren', era stato il suo saluto, mentre avvolgeva la sua immensa coda argentea intorno al corpo.)
Jace sbatté le palpebre. Ugin. Quel nome gli tornò in mente con facilità, ma l’essenza di quel ricordo appariva bizzarra. Andò alla ricerca di quella conversazione nella sua mente e si imbatté nei suoi confini, ne analizzò i lati con la stessa cura che aveva avuto quando Alhammarret si era inserito nella sua mente anni prima. Non fidarti dei tuoi ricordi di ciò che è più antico di te. Jace fece una smorfia per comprendere che non avrebbe mai pensato di indagare se non si fosse ricordato di averlo imparato in quel modo.
Laggiù. Un punto più sensibile degli altri. Una linea in attesa di essere attraversata, un accenno di astuta magia di mascheramento che lo spirito drago doveva aver inserito senza che lui se ne accorgesse. La magia dimenticata era un semplice ordine. Se qualcuno cercherà di leggere la mia mente e starà per scoprire questo incontro con Ugin, il ricordo verrà nascosto e io viaggerò verso un altro piano. Questo piano. Ixalan.
Jace iniziò a preoccuparsi. Perché Ugin ha avuto bisogno di nascondere questo ricordo di lui? Perché, tra tutti i luoghi, farmi venire proprio qui? Ero destinato ad agire come un’esca?
. . . e che cosa ho scoperto nella mente del drago dorato prima che lui cancellasse la mia?
Mise da parte sia il ricordo dello spirito drago che quello del drago dorato e decise di ripensarci in un altro momento.
Lui e Vraska raggiunsero la cima della scalinata, con le cosce roventi e i cuori che battevano rapidi dallo sforzo di quella apparentemente interminabile salita. Vraska si stirò le gambe, appoggiandosi a un pilastro dorato.
Si trovarono sul bordo di una enorme piazza, al di là della quale videro una imponente torre. Intorno a loro vi era una lunga serie di passaggi dorati, un labirinto scintillante.
"Se fossimo arrivati dall’altra parte, saremmo rimasti intrappolati", disse lei, bevendo una sorsata d’acqua dall’otre che aveva legato al fianco. "Grazie per essere caduto in quella cascata."
"Prego", rispose seccamente Jace. "Fammi sapere quando mi devo lanciare da un’altra."
Una torre centrale dominava la loro visuale. Vraska estrasse la bussola taumaturgica. Indicava dritto davanti a loro. Ripose la bussola e si voltò verso Jace. "Ciò che stiamo cercando si trova là dentro. Puoi inviare un’illusione ad avvisare l’equipaggio della nostra posizione?"
Jace non stava ascoltando. Una presenza mentale aveva attirato la sua attenzione. Piegò la testa nella direzione di quel rumore psichico.
"Che succede?", sussurrò Vraska.
"È enorme."
Jace nascose entrambi dietro una serie di illusioni. Ora giungevano più facilmente, in qualche modo ancora più facilmente rispetto a prima di arrivare su Ixalan.
(Un altro ricordo: ore e ore trascorse a memorizzare testi e tecniche, un Jace adolescente che rimaneva sveglio fino a tardi nel letto, con una lampada per studiare. Il ronzio di un anello magico all’esterno. La Procedura di Millard. Le Manipolazioni Circostanziali. La Legge di Trice. Uno studio continuo, finché nomi, tecniche ed esecuzione delle manovre psichiche non risultavano facili come respirare.)
Vraska si voltò verso la scalinata da cui erano giunti e sussultò.
La testa di un immenso dinosauro sovrastava la città.
Spiegò le ali e si lanciò in volo. Ogni battito delle ali faceva crepitare gli alberi, mentre Jace era affascinato da come una creatura così imponente riuscisse a volare. La creatura si sollevò sempre più in alto, predatrice e attenta, e Jace rimase immobile. Lui e Vraska erano al sicuro, nascosti dalla sua illusione.
In quel momento, Jace si accorse di qualcosa che mutava dentro di sé. Il Jace di Zendikar, Innistrad e Ravnica aveva un’energia nervosa, era ostinatamente annoiato e catastroficamente introspettivo, continuamente conscio del baratro dei ricordi mancanti di cui la sua mente era sempre alla ricerca. Il Jace senza un passato era presente, vigile, a proprio agio in ogni circostanza e pronto ad affrontare qualsiasi difficoltà gli si presentasse davanti. Si ricordò di come fosse la vita in entrambi i modi e ammise quanto il secondo approccio fosse più spontaneo. In un breve istante, Jace fu sorpreso da se stesso e si rese conto di come la sua recente sincerità, quella di Ixalan, non fosse artificiale e di come la sua consapevolezza non fosse uno stato a cui potesse aver accesso solo in caso di amnesia. Quello era il Jace che lui era sempre stato. Aveva semplicemente dimenticato come esserlo.
(Un altro ricordo: sua madre, appena tornata a casa dopo una giornata al lavoro, ancora vestita con il suo grembiule da guaritrice, intenta a osservare fuori dalla finestra una tempesta in lontananza, con una tazza di caffè tra le mani e un leggero sorriso sul volto affaticato. Il rumore di grandi gocce di pioggia sul tetto di metallo. L’aroma del cemento bagnato e di casa.)
Jace sorrise. Era sempre lieto di ricevere ricordi della madre.
Spero che sia ancora in vita, pensò tra sé e sé.
"Non c’è più", disse Vraska, infrangendo la magia.
Jace riportò l’attenzione sul luogo in cui si trovava e sciolse l’illusione.
"Riesci a creare quella illusione più rapidamente rispetto al passato", gli disse.
Jace annuì e fece un leggero sorriso. "Ora riesco a ricordare ciò che il mio maestro mi ha insegnato. Ho imparato molto di più da lui da adolescente di quanto io sia riuscito ad apprendere da solo."
"Allora le tue tecniche erano più precise a quel tempo rispetto ad adesso?"
"Ora ho la conoscenza del me adolescente e del me adulto. È . . . strano."
Vraska lo guardò dritto negli occhi. "Sei incredibile. Lo sai, vero?"
Jace le restituì il sorriso e sentì le guance riscaldarsi. "Faccio del mio meglio."
"Direi che il tuo meglio è incredibile", rispose Vraska, voltandosi verso la torre centrale e avvicinandosi a un grande cancello, sul lato che sembrava essere quello posteriore.Liliana non aveva mai detto a Jace di ritenerlo incredibile.
Liliana lo avrebbe sbeffeggiato. Avrebbe iniziato con uno scherzo sprezzante, avrebbe alzato gli occhi al cielo e gli avrebbe dato dello spaccone. Poi non gli avrebbe rivolto la parola per giorni. Si sarebbe nutrita del corpo di un demone con le zanne di un coccodrillo e avrebbe riso alla musica delle sue carni che venivano dilaniate. Avrebbe compiuto svariate azioni, ma non lo avrebbe mai definito incredibile.
Jace raggiunse Vraska e insieme si avvicinarono alla torre centrale. Lei estrasse la bussola taumaturgica... il cui ago era diretto proprio verso la porta posteriore della torre di fronte a loro.
Il cielo stava mutando verso un preoccupante color nero e del fumo vorticava intorno alla torre sopra di loro. Sui volti di Jace e Vraska apparve un’espressione di preoccupazione.
"Che i vampiri siano arrivati per primi?", chiese Vraska.
Le nuvole roboanti e nere come l’inchiostro sopra di loro fornirono la risposta.
Vraska cercò di spalancare il cancello, ma lo trovò chiuso. Indietreggiò e scrutò il disegno sulla porta.
"Si tratta di un labirinto", disse Vraska nello stesso momento di Jace. Si guardarono l’un l’altro, a disagio.
Vraska fece un gesto con il braccio a Jace. "Prego", gli disse. "Tu sei il maestro dei labirinti."
Jace iniziò la sua ricerca della soluzione del labirinto e magicamente apparve una linea blu che seguiva i movimenti del suo dito. Il nero turbolento del cielo lo spinse ad accelerare la sua ricerca.
"Sono proprio io", commentò divertito. "Jace Beleren: patto delle gilde vivente, telepate, illusionista, esperto di labirinti."
"Una frase che suona così piacevole."
Le sue dita giunsero all’uscita del labirinto, nel centro della porta. Jace ebbe una improvvisa stretta allo stomaco. Espanse i sensi per scoprire chi si trovasse al di là di quella porta ed eresse uno scudo mentale intorno a sé e a Vraska.
"Che cosa c’è che non va?", gli chiese lei. Jace si rese conto di essere a bocca aperta. Indicò il simbolo sulla porta.
"Quello è il simbolo che è apparso sulle nostre teste ogni volta che abbiamo cercato di spostarci su un altro piano", rispose. "È il simbolo degli Azorius."
Vraska aggrottò un sopracciglio. "Gli Azorius sono su Ravnica."
Jace ebbe una strana sensazione allo stomaco. Con una rapida scansione mentale, percepì una presenza all’interno della stanza. Si voltò verso Vraska, con una leggera espressione di panico sul volto. "Esistono dei Planeswalker tra gli Azorius?"
Le linee sulla fronte di Vraska aumentarono. "Non lo so. Non esiste un vero e proprio elenco."
"Immagino che sia qualcuno ai piani alti dell’organizzazione. Qualcuno che ha ritenuto quel simbolo come rappresentazione della propria identità", disse indicando la porta davanti a loro.
"Il fondatore della gilda Azorius era Azor."
Jace concentrò la sua attenzione sull’interno della stanza e rimase di sasso. Non sapeva chi si trovasse là dentro, ma comprese istantaneamente che cosa ci fosse. La mente di quell’essere gli era familiare, una mente dalla forma di labirinto, una mente che aveva incontrato una volta sola in passato.
Azor era una sfinge? Chiese a Vraska, la cui mente era pervasa da un silenzioso terrore.
Lei si voltò verso di lui con una evidente preoccupazione. Conosceva il significato che le sfingi avevano per lui. Batté un dito sulla propria tempia e Jace si mise in ascolto mentale.
Non esisteranno altre sfingi in grado di ferirti, disse lei con decisione. Una leggera e crudele sfumatura ambrata apparve nei suoi occhi.
Jace sentì la tentazione di stringerla in un forte abbraccio. Si ricordò le preferenze di lei e decise di ringraziarla con un sorriso.
Per sicurezza, mi preparo a pietrificarla, aggiunse Vraska. Al tuo segnale, la farò fuori.
Jace annuì. Lui venne invaso dall’ansia e un leggero sapore metallico di paura si diffuse nella sua bocca.
Spinse la porta e la vide aprirsi e rivelare l’interno della stanza.
Era lunga e ricoperta di rampicanti. Vi era un enorme trono all’altra estremità e un imponente disco brillante era incastonato nel soffitto. Alla base del trono si trovavano erba secca e stoffe e, mentre aprivano la porta, Jace e Vraska videro una imponente figura sollevare il capo ricoperto da barba.
"Chi osa entrare?", disse la sfinge. La sua voce era stridula per il disuso e suonava più simile a un ringhio animale che a una frase umana.
Vraska si fece avanti, tranquilla e sicura di sé, degna del suo ruolo di capitana. "Due stranieri in questo mondo. Dicci chi sei, fatti da parte e consegnaci il Sole Immortale, se non vuoi che la tua vita abbia fine."
La sfinge li osservò con sguardo torvo. Era immensa e si ergeva con una tensione da predatore che creava un contrasto con la sua espressione di saggezza.
"Il mio nome è Azor, Dispensatore di Legge", ringhiò inclinando il capo e osservando Vraska con attenzione. "E tu sarai fatta prigioniera per la terza volta nella tua vita, gorgone."
Jace eresse una protezione psichica tra la sfinge e Vraska. Era stata colta di sorpresa dall’intrusione mentale della sfinge, stupita dal suo immediato attacco alla sua mente.
È proprio come Alhammarret, pensò Jace, con un dolore in petto causato dal ricordo. Fece svanire la propria paura. Non era più soggiogato da una sfinge. Non lo sarebbe stato mai più.
"Devi rivolgerti a lei con il titolo di Capitana", disse Jace con tono ponderato.
La sfinge ringhiò, spostò lo sguardo da Vraska a Jace e disse "E tu chi saresti?"
"Io sono Jace, il Patto delle Gilde Vivente", disse con voce sicura.
Le ali della sfinge sussultarono. "Il sistema di sicurezza?!"
"Il pirata."
Rivals of Ixalan Story Archive
Planeswalker Profile: Jace Beleren
Planeswalker Profile: Vraska
Plane Profile: Ixalan