Il racconto precedente: Ricordi di sangue

Nissa era in stretto contatto con il potere di Zendikar e con l'anima del mondo più di quanto lo fosse mai stata. Era capace di incanalare questo potere nel torreggiante elementale dalla forma di albero che chiamava Ashaya, il Mondo Risvegliato... la sua amica. E la terra stessa rispondeva alla sua presenza, incrementandole la forza e agendo come un'estensione del proprio essere, aiutandola a combattere gli Eldrazi. Ma tutto le fu improvvisamente strappato via; l'anima di Zendikar le fu portata via e ora non è più al suo fianco quando la chiama a sé. Nissa è rimasta quasi senza potere, sola, convinta che gli Eldrazi... forse addirittura il titano... debbano aver qualcosa a che fare con questo cambiamento. Oltre a ciò, sente anche il peso della responsabilità per i semi che trasporta, i semi degli alberi che sono stati sterminati dagli Eldrazi; ha promesso al mondo che non si sarebbe arresa finché non avesse potuto piantarli di nuovo su uno Zendikar senza più pericoli. Ma ora, mentre altri intorno a lei si preparano per andare in battaglia per salvare il mondo, Nissa subisce il vuoto attorno a sé e teme che sia ormai troppo tardi e che non ci sia più alcun mondo da salvare.


Accadeva più al crepuscolo che in ogni altro momento del giorno. Una lunga e oscura forma si muoveva. Un ramo si stendeva o si piegava. Nissa lo vedeva con la coda dell'occhio ed era sicura... per un breve istante... che si trattasse di Ashaya, la manifestazione elementale dell'anima di Zendikar, che tornava da lei.

Ashaya, il Mondo Risvegliato | Illustrazione di Raymond Swanland

Ma poi si voltava. Perché si voltava sempre? E vedeva che si trattava solo di un albero, solo del vento, solo delle lunghe ombre disegnate dal sole calante. Il suo respiro tornava normale, il suo cuore riprendeva il solito ritmo e lei rimaneva sola, a gambe incrociate sul duro terreno, nel luogo esatto del promontorio su cui ci trovava quando Zendikar le era stato strappato.

Continuava a sorvegliare quel luogo, ritornando ogni giorno per entrare in contatto con la terra, alla ricerca di qualche indizio di Zendikar. Era convinta che fosse stato il titano Eldrazi a portargliela via o a scacciarla o a ferirla; aveva già visto una volta quanto un titano fosse capace di ferire terribilmente Zendikar. Ma si disse che, se dovesse tornare, tornerebbe nell'ultimo luogo in cui era stata... ed era convinta che sarebbe tornata, doveva avere fiducia sul fatto che sarebbe tornata a cercarla. In quel momento, lei sarebbe stata presente. Sarebbe rimasta al fianco della sua amica per sempre.

Ma quando Nissa cercò di entrare in contatto con il mondo, trovò solo il vuoto, solo i pezzi di un guscio in frantumi. Zendikar non rispondeva al suo richiamo. Invece di un abbraccio, veniva accolta da un gelido brivido che le risaliva lungo le ossa nella notte.

L'oscurità e il freddo significavano che era giunto il momento di tornare al rifugio sul grande salice vicino. Non sarebbe di alcuna utilità per Zendikar o per chiunque altro se si addormentasse e venisse consumata da un Eldrazi nel pieno della notte.

Ogni notte valutava la possibilità di tornare a Rocca Celeste. C'era qualcosa di attraente nella sicurezza offerta dalle pattuglie volanti di Gideon, per non parlare della protezione del formidabile Planeswalker. Ma quel fascino non superava gli inconvenienti. Se gli altri l'avessero vista di nuovo, avrebbe dovuto cercare di spiegare un'altra volta... e non riusciva a sopportare il pensiero del dolore di dover affrontare di nuovo quegli sguardi scettici e quelle domande.

Aveva cercato di spiegarlo, a tutti loro. Aveva cercato di spiegarlo a Gideon e poi anche al suo amico e compagno Planeswalker Jace. Aveva detto loro che qualcosa di terribile era successo all'anima di Zendikar. Che le era stata strappata. Che aveva perso la sua amica e l'accesso al pozzo traboccante di potere che fluiva attraverso la terra.

Sembrava che né Jace né Gideon comprendessero, come gli altri... sebbene Jace fosse stato, all'ultimo momento, curioso di quella che lui aveva chiamato "percezione del mondo". Il fatto era che non si trattava della sua percezione; l'anima di Zendikar era reale. Così come lo erano anche le anime degli altri piani; Nissa le aveva percepite tutte e aveva anche comunicato con l'anima di Lorwyn. Ma quel tipo di comunicazione era difficile, se non impossibile, da spiegare a parole. Il concetto di un'anima posseduta da un mondo era così lontano dalla mente degli altri che era più facile ignorarla e negare la verità della "percezione" di questa singola elfa.

Nissa non dava la colpa a Gideon, a Jace o a nessun altro. Loro non vedevano la realtà come la vedeva lei. Quando guardavano Zendikar, vedevano alberi, rocce, rovi, bestie, fiumi e montagne. Vedevano tutti questi elementi come separati l'uno dall'altro. Non riuscivano a coglierne il legame. Erano ciechi di fronte alle potenti leyline che collegavano tutti gli esseri viventi del mondo, come un sistema circolatorio che pompava potere e speranza da un cuore pulsante all'altro. Erano sordi alla voce del mondo che sussurrava, gridava, rideva e a volte piangeva dal dolore. Non erano in grado di vedere come fosse realmente vivo Zendikar  . . .  o come lo fosse stato.

Torbido di Zendikar | Illustrazione di Sam Burley

Non c'era più.

Nissa osservò il mondo e vide solo rametti spezzati, foglie cadute e rami annodati e ricoperti di spine. Non riusciva più a vedere la sua armonia, a percepire la sua unità. Non riusciva più a sentire la voce della sua amica.

L'apatia del mondo intorno a lei urlava realtà. Faceva sembrare i suoi ricordi come se fossero stati sogni, fantasiose percezioni di un'elfa.

Se anche quei sogni fossero stati reali in passato, ora non lo erano più.

"Sei davvero svanita?". Nissa non ci poteva credere. C'era qualcosa che le diceva che non poteva essere vero. Però . . .  abbassò la mano, con le dita allargate, molto lentamente, verso il suolo. Trattenne il respiro e toccò la polvere.

Ma quello è tutto ciò che percepì: polvere.

Se l'anima di Zendikar era svanita, se il titano Eldrazi l'aveva distrutta, allora tutta questa polvere, tutti i rovi, i rami e le bestie sarebbero presto svanite anche loro. Un mondo senza un'anima non sarebbe rimasto un mondo a lungo.

Con l'altra mano sul petto, Nissa tenne stretto il pacchetto di semi che aveva ricevuto dal vampiro, un giorno che le sembrò anni prima. Se questa doveva davvero essere la fine di Zendikar, allora quei semi sarebbero stati esattamente ciò che lui aveva detto: l'ultima speranza di sopravvivenza del mondo. Su un altro piano.

Nissa deglutì, ma il caldo nodo in fondo alla sua gola risalì. Chiuse gli occhi e una lacrima le scese lungo la guancia.

Strinse i semi a sé. Era stata così convinta che avrebbe dimostrato al vampiro che si stava sbagliando... no, era stata così sicura che lei e Zendikar insieme avrebbero dimostrato al vampiro che si stava sbagliando. Aveva promesso che avrebbe piantato quei semi proprio qui, nel terreno del loro mondo, una volta reso privo di pericoli, una volta eliminata la minaccia Eldrazi, quando sarebbero potuti crescere e diventare alberi alti e forti e intrecciare le loro vite con l'anima di Zendikar.

Ma l'anima di Zendikar era svanita. Svanita. Quante altre volte avrebbe dovuto provare a cercarla per convincersi di quella verità?

Svanita. Impose quelle parole nella sua mente. L'anima di Zendikar è svanita!

Una parte di lei si rifiutava ancora di crederci.

Sapeva che tutti gli elementi... tutto ciò che aveva visto, sentito e udito... le diceva che era così, ma in qualche modo non poteva ancora crederci.

Nissa aprì gli occhi e osservò quel mondo crepuscolare, pieno di lunghe ombre. Questa notte, nessuna di esse era Zendikar, ma una notte, una di esse sarebbe potuta esserlo. Se l'anima del mondo fosse tornata, questo sarebbe stato il luogo in cui sarebbe giunta.

Sarebbe rimasta ad aspettare.

"Fuggi!". La voce acuta di un goblin colse Nissa di sorpresa da dietro.

Per istinto, balzò in piedi e sguainò la spada.

"Fuggi!", urlò di nuovo il goblin. Stava rotolando verso di lei, muovendosi a una velocità sorprendente, considerando che una delle sue gambe sembrava spezzata... o magari era parzialmente amputata... Nissa non riusciva a distinguere. "Fuggi, subito!".

Guida dei Baratri | Illustrazione di Johannes Voss

Nissa si spostò di lato e lasciò passare il goblin.

Poi, lontano, vide ciò che lo inseguiva. C'erano almeno trenta Eldrazi. Piccoli, non più grandi di ceppi d'albero. Si muovevano così velocemente che ognuno dei mostri sembrava un insetto massiccio e ossuto che veniva trasportato da una confusa nuvola di polvere che fungeva da gambe.

Si muovevano agilmente attraverso la foresta, diretti proprio verso di lei, verso la radura... la radura di Zendikar.

Non avrebbe permesso loro di sfiorare questo luogo. Non avrebbe permesso loro di corrompere un singolo filo d'erba.

Strinse la presa sull'elsa della sua spada... l'unica arma che possedeva. Le sarebbe dovuta bastare; l'avrebbe fatta bastare. Si fece avanti e si mise tra quel prezioso luogo e quei mostri.

Erano così vicini da poter sentire il loro odore.

Creature disgustose che si muovevano freneticamente. Non erano mai state parte dell'unità che era Zendikar.

Il condottiero di quell'orda si diresse proprio verso Nissa.

Tutto il dolore e tutta la distruzione di quel luogo era causa loro.

Arrivarono a tiro.

Nissa fece volteggiare la sua lama.

L'acciaio colpì la piastra ossea del primo Eldrazi e Nissa la fece penetrare attraverso i tendini, tagliando il piccolo mostro in due parti.

Un istante dopo, roteò e di slancio squarciò la testa di un secondo Eldrazi con la sua spada.

Spada dell'Animista | Illustrazione di Daniel Ljunggren

Nissa odiava queste creature.

Le odiava così tanto che continuò a stringere i loro colli finché le teste non si staccarono, una dopo l'altra.

Colpì e squarciò ogni membro dell'orda che la circondava. Sembravano essersi dimenticati del goblin che stavano inseguendo prima di incontrarla. Bene. Non avrebbero quindi avuto alcun motivo per passare attraverso la radura.

Nissa si mosse su una traiettoria circolare, con la spada davanti a sé, tranciando addirittura quattro corpi dalle loro contorte e scattanti gambe.

Uno dei mostri riuscì ad avvinghiarsi a una delle sue gambe. Zampettò verso l'alto, tirando il tessuto delle sue vesti e affondando le sue taglienti unghie nelle sue carni.

"Stai lontano!". Nissa afferrò quell'essere dal dorso ossuto e gli strappò le gambe. Lo scagliò contro un albero vicino con così tanta forza da frantumargli nell'impatto la piastra ossea, ricoprendo il fusto con le sue viscere.

Non ebbe il tempo di osservare il mostro scivolare lungo il tronco; ne aveva altre decine da abbattere.

Impeto dello Sciame | Illustrazione di Svetlin Velinov

Se Ashaya fosse stata con lei, li avrebbe schiacciati tutti con uno dei suoi piedi imponenti, facendoli fuori tutti in un sol colpo.

Se Nissa avesse potuto entrare in contatto con la riserva di potere di Zendikar, avrebbe eretto enormi pareti che li avrebbero stritolati in un batter d'occhio.

Ma ora era sola e aveva solo la sua spada. Strinse l'elsa e continuò a far roteare la sua arma.

Sembrava che non finissero più di arrivarle addosso.

Un avvertimento si fece strada in un angolo della sua mente, la stessa sensazione che l'aveva accompagnata negli ultimi giorni, ogni volta che aveva affrontato un Eldrazi. Se fosse giunto addosso a lei, se non fosse riuscita a distruggere l'Eldrazi e non fosse stata in grado di scappare... allora sarebbe dovuta partire. Avrebbe viaggiato verso un altro piano, prima che la loro corruzione entrasse dentro di lei. Non avrebbe potuto permettere che i semi si trasformassero in bianca polvere di gesso nella sua tasca. Non se fossero stati l'ultima speranza di Zendikar.

I suoi organi si tesero e il contorno della sua figura formicolò. Il suo corpo era pronto per trasferirsi su un altro piano. Tutto ciò che avrebbe dovuto fare era lasciar andare il suo legame con questo mondo, con questo luogo, e avrebbe potuto andarsene.

Ma andarsene sarebbe significato che la sua speranza era svanita.

E Nissa non era pronta a perdere le speranze. Non ancora.

Colpì due degli Eldrazi più vicini con la sua lama, trafiggendoli nel petto; contemporaneamente diede un calcio a un terzo, facendolo finire a terra, ma quell'orda stava diventando sempre più fitta.

Il formicolio divenne più intenso. L'istinto di Nissa le diceva che questa non sarebbe stata una battaglia che avrebbe vinto con facilità.

Evitò un quarto mostro con un balzo e ne colpì un quinto, sfruttando anche l'impatto per catapultarsi sopra ad altri tre che si erano avvicinati troppo.

La sensazione interna si era intensificata e aveva raggiunto una frequenza di risonanza, giungendo fino alla bocca dello stomaco.

No. Non ancora.

Poteva ancora vincere questa battaglia. Ne abbatté altri due.

E poi altri quattro.

Ma altri otto furono su di lei.

Poteva sentire il peso dei semi nella tasca.

Sei davvero svanita?

Non ci fu risposta. Ovviamente non ci fu risposta.

Diede un'occhiata alla radura dietro di sé.

Poi, con un fischio e un fragore metallico, venne sfiorata da un uncino in cima a una catena, che si immerse in uno degli Eldrazi, il quale... ora che l'aveva visto... stava per afferrarla.

La catena venne strattonata e l'uncino ritirato; Nissa lo seguì e vide un kor a petto nudo. In ogni mano impugnava un uncino. Tatuaggi di edri brillavano sulle sue braccia e sulla sua fronte, illuminando i suoi duri lineamenti e la lunga barba appesa al suo mento. "Io mi occupo di questo gruppo, tu concentrati su quelli a destra".

Nissa annuì e si dedicò ai suoi obiettivi. Ce n'erano solo cinque. Sarebbero stati gestibili, anche per un semplice elfo. Non sarebbe stata questa la fine. Fece svanire l'impaziente formicolio dalla sua pelle. Non avrebbe lasciato questo mondo, almeno non questa notte.


Quando sia Nissa che il kor furono soddisfatti di aver fatto piazza pulita degli Eldrazi, lui si voltò verso di lei, ripulendo il sangue rappreso degli Eldrazi dai suoi uncini. "Non è che hai visto passare un goblin?".

"È andata in quella direzione". Nissa indicò gli alberi dall'altro lato della radura. La bella e incontaminata radura.

"E penso che sia stata lei a portare quest'orda dietro di sé".

Nissa rimise la spada nel fodero. "Ci puoi scommettere".

"L'avevo avvisata. Quante volte bisogna spiegare i concetti a un goblin per fare in modo che gli entrino in quella testa, con quel cranio così spesso?". Il kor attraversò la terra in cui Zendikar era caduto, verso gli alberi che Nissa aveva indicato, ma sembrava che non avesse visto le tracce che aveva lasciato il goblin; stava già dirigendosi in un'altra direzione.

"Non penso che i goblin comprendano il significato di "spiegare"", rispose Nissa. "È più da quella parte". Attraversò la radura anche lei, evitando di mettere i piedi sul terreno incontaminato. Indicò il fitto sottobosco in cui era entrato il goblin, trascinando la sua gamba ferita. "Vedi?".

"Sì, vero", rispose il kor, cambiando direzione. "In ogni caso. Tu devi essere uno dei ranger di Gideon".

Un ranger. Nissa non si era mai considerata un ranger da quello che sembrava tantissimo tempo. Un'animista, una maga della natura, una parte di Zendikar. Ma non un ranger. Ora sembrava essere l'unico ruolo che poteva rivendicare. "Qualcosa del genere", rispose lei.

"Gideon è fortunato ad avere qualcuno come te per le attività di pattuglia", disse il kor seguendo le tracce del goblin. "Anche Pili. Non penso che sarebbe riuscita a gestire quell'orda con la stessa  . . .  tua eleganza". Sorrise, con i tatuaggi di edri che illuminavano i lineamenti squadrati. "Il mio nome è Munda e sono uno dei condottieri di Gideon. Non è normale andare a caccia dei goblin sperduti, ma questa notte mi è toccato".

Munda, Capo dell'Agguato | Illustrazione di Johannes Voss

"Oh", disse Nissa. Il kor, Munda, era di nuovo leggermente fuori percorso. Il sentiero era diventato più difficile da seguire. Si erano incamminati lungo un duro terreno roccioso, su cui le tracce erano meno visibili rispetto a un soffice letto di foglie. "A sinistra".

Munda deviò.

Nissa non era sicura di aver accettato di aiutare Munda a seguire Pili, ma si ritrovò a svolgere di nuovo il ruolo di ranger.

"È arrivata con le nuove reclute di oggi", disse Munda, facendo un cenno con la testa verso il goblin disperso. "Ha delirato dal momento in cui i guaritori l'hanno curata fino a farle recuperare coscienza. Parlava di un suo amico, Leek. Immagino sia un altro goblin. Da ciò che ho potuto capire, sono stati separati a Portale Marino. Lei è stata raccolta dai nomadi Dojir di ritorno dalle Distese di Calcite. L'altro goblin, Leek, è probabilmente andato perduto. Ma questa Pili è convinta che lui sia da qualche parte. Le ho detto che non è rimasto nulla a Portale Marino".

Nissa sapeva cosa significasse avere una sensazione che nessun altro era in grado di comprendere.

"Hai visto i numeri che abbiamo raggiunto?", continuò Munda. "Non sapevo che ci fossero così tanti emarginati alle Distese di Calcite. Ah, ma Gideon... il comandante generale Jura, voglio dire... dice che non sono affatto emarginati. Dice che siamo tutti alleati. Appena sono giunti su Rocca Celeste, non erano più i nomadi Dojir, bensì parte del nostro esercito. Molto semplice. Quell'uomo è speciale". Munda si grattò la barba sotto il mento. "Potrei stupirti, ma l'ho conosciuto prima di tutto questo".

Il suo sguardo indicò che si aspettava una qualche reazione da parte di Nissa. "Oh", rispose lei. L'attenzione di lei era concentrata sulle tracce del goblin. Si dirigevano verso Portale Marino, proprio come aveva previsto Munda. Nissa sperava che il goblin avesse ragione, ma non sapeva come Pili avrebbe potuto averla. Non rimaneva davvero nulla di Portale Marino, lo aveva visto lei stessa.

"Abbiamo combattuto insieme, io e Gideon", continuò Munda. "Molte volte. I nostri cammini si sono incrociati più volte, dato che nessuno di noi fuggiva dalla possibilità di affrontare il più grande dei nemici".

"Oh", ripeté Nissa.

"Tutto questo avveniva prima della caduta di Portale Marino, ovviamente. Ora affrontare uno dei più grandi è considerato una follia. Pensa a salvarti, perché abbiamo bisogno di te per il combattimento imminente".

Nissa annuì cortesemente.

"Gideon ha ragione", disse Munda. "Abbiamo bisogno di ogni uomo, donna e bambino che questo mondo ci offre, se vogliamo avere la speranza di vincere. Questo è uno dei motivi per cui sto seguendo questo goblin. Pili è una combattente. Ovviamente per il suo spirito. Abbiamo un gran bisogno di combattenti. Dobbiamo unirci. Ora o mai più. Tutti insieme potremo riprenderci Portale Marino. E da laggiù, riconquisteremo Zendikar".

Il respiro di Nissa di bloccò. Stava per scattare contro il kor, per dirgli che Zendikar non era qualcosa che avrebbero potuto "riconquistare". Zendikar non era un qualcosa che apparteneva a qualcuno. Non alle persone, non agli Eldrazi, neanche al grande comandante generale Jura.

Zendikar, il vero Zendikar, era contemporaneamente più grande di qualsiasi cosa avessero potuto immaginare e più intimo di quanto potessero comprendere.

Fu sul punto di dirgli che, quando urlavano "Per Zendikar!", non sapevano neanche cosa stessero dicendo. Fu molto vicina a dirglielo. Poi udì i singhiozzi di un goblin.

Seduta di fronte a quella che era chiaramente un'apertura verso una caverna sotterranea nascosta, si trovava la minuta figura del goblin ferito.

"Ti ho detto di andare con calma", tuonò la voce di Munda. "Saresti stata divorata se non fosse stato per...", si bloccò quando vide le sue lacrime.

Nissa si inginocchiò di fianco al goblin e appoggiò una mano sulla spalla tremolante di Pili.

"Leek". Pronunciò il nome con un singhiozzo.

Nissa guardò nel buco del terreno.

"C'è qualcuno?". Una voce giunse dal basso. Era debole e sommessa. "Aiuto. Vi prego".

Pili continuò a piagnucolare. "Leek". Scosse la testa.

Nissa guardò verso Munda. "Tienila d'occhio. Farò in un attimo".

Munda annuì, sebbene non si fosse avvicinato. Sembrava a disagio in presenza di questa creatura piagnucolante.

Nissa scese nello stretto tunnel che terminava in una caverna. Si vedeva una minima fessura dell'apertura superiore. Cercò nella sua cintura una pietra focaia e strisciò contro la parete. Indirizzando la fiamma verso l'apertura, Nissa poté intravedere quelle che sembravano centinaia di piccole luci brillanti. Ma, una volta che la sua vista si fu abituata a quella luce, vide che le luci erano in realtà occhi, occhi che appartenevano a un'intera corte di goblin.

"Aiuto", disse debolmente uno di loro.

"Munda!", chiamò Nissa. "Abbiamo bisogno di corda. E dei tuoi uncini". Si voltò di nuovo verso i goblin. "Qualcuno di voi è Leek?".

Abbassarono il capo tutti insieme. Uno di loro indicò verso un angolo lontano. Contro la parete erano allineati tre corpi. "Oh", disse Nissa. Le si spezzò il cuore al pensiero di Pili; i due goblin erano stati così vicini.

Con un lavoro attento e con grande pazienza riuscirono a liberare l'entrata della caverna... Nissa avrebbe potuto riuscirci in un istante, se solo avesse avuto accesso ai suoi poteri... e i goblin poterono uscire.

Munda fu felice di vedere le dimensioni dell'esercito di goblin che avevano scoperto e, mentre aiutava a preparare il trasporto dei feriti verso Rocca Celeste, raccontò loro del comandante generale Jura e del suo piano per riconquistare Portale Marino. Aveva l'attenzione di quasi tutti. Pili sedeva invece di lato, da sola.

Nissa le si avvicinò lentamente e si inginocchiò al suo fianco.

Per un lungo istante rimasero sedute vicine in silenzio nell'oscurità. Poi il goblin inspirò profondamente. "Avevano detto che era morto". Scosse la testa. "Ma io sapevo che era andato nel rifugio. Lo sapevo". Batté il pugno nella polvere. "Avrei dovuto fare più in fretta".

"Non è colpa tua", rispose Nissa.

Il goblin fece un gesto verso la gamba ferita, ora fasciata rozzamente. "Avrei dovuto correre più velocemente". Colpì di nuovo a terra dalla rabbia, poi di nuovo e infine scoppiò a piangere.

Nissa non aveva mai abbracciato un goblin prima di allora. Era da molto tempo che non abbracciava qualcuno. Ma sembrava proprio il gesto da fare. Lei poteva comprendere cosa volesse dire essere feriti dentro. Feriti in un modo, in un posto, che nessuno poteva vedere, toccare, curare. Questo era il tipo di dolore che esisteva nei pozzi profondi e colpiva con tremende ondate. Ondate che provenivano da un mare senza fine. Ondate che non si arrestavano mai. A volte erano turbolente e altre volte erano silenziose. Ma non smettevano mai di erodere la riva.

Nissa strinse Pili intorno alle spalle e attese che questa ondata passasse.

"Avevano detto che era morto", disse Pili, asciugandosi le lacrime. "Ma io sapevo". Si colpì al petto con un pugno. "Sapevo che sarebbe stato qui". Si colpì di nuovo al petto. "Qui!". Si alzò. "Lo sapevo!". Si voltò e guardò verso Nissa; i suoi occhi si strinsero e la sofferenza si trasformò in desiderio di vendetta. "Quei mostri pagheranno per averlo fatto andar via. La pagheranno cara!". Corse via e raggiunse gli altri che stavano ascoltando il messaggio di Munda.

Il cuore di Nissa rimbombò nelle sue orecchie, un'eco dei colpi di Pili sul proprio cuore.

Era proprio come aveva detto Pili. Nissa si toccò il petto. Lo sapeva. Lo sapeva, proprio come il goblin. Questo era il motivo per cui non era potuta andar via quando la sua vita era in pericolo, il motivo per cui non era potuta andare su un altro piano neanche quando si era ritrovata circondata dagli Eldrazi. Il motivo per cui era sempre all'erta. Il motivo per cui si rifiutava di ascoltare, anche quando la sua mente le diceva che era svanito.

Zendikar c'era ancora. Era come una parola sulla punta della lingua.

Ma dove?

Non esisteva alcun luogo in cui l'anima del mondo si recasse quando era spaventata o quando aveva bisogno di riordinare le idee. O quando era ferita.

Non esisteva alcun rifugio segreto, nessun tunnel, nessuna caverna, nessuna...

Nissa era in piedi, con le membra spumeggianti, pronte a viaggiare verso un altro piano, ancor prima che la sua mente cogliesse ciò che il suo cuore già sapeva.

Un tale luogo esisteva. Un luogo sicuro, un luogo potente. Un luogo in cui Zendikar avrebbe potuto rifugiarsi.

Il Cuore Khalni.

Spedizione al Cuore Khalni | Illustrazione di Jason Chan

L'espressione del mana di Zendikar. Il luogo dove tutte le leyline convergevano. Se fosse successo qualcosa, se il titano avesse minacciato l'anima del mondo, quello sarebbe stato il luogo dove sarebbe fuggita. Quello sarebbe stato il luogo in cui si sarebbe nascosta.

Il Cuore Khalni.

Zendikar esisteva ancora e Nissa l'aveva saputo per tutto questo tempo. Semplicemente non era qui. Ovviamente non era qui. Perché sarebbe dovuta tornare nella foresta in cui quell'orribile fatto era avvenuto? Aveva cercato nel luogo sbagliato per tutto questo tempo.

Si mise a ridere e il suo cuore fu sollevato; aveva dimenticato cosa volesse dire avere un cuore libero e leggero da sentirsi sollevato. Il formicolio ritornò, strattonandola di nuovo, tirandola da dentro. Ma non verso un altro piano. Questa volta verso...

"Folle elfo".

La voce mormorante di un goblin riportò Nissa alla realtà, alla foresta su cui stava appoggiando i suoi piedi... Si era dimenticata dei goblin, di Pili e di Munda, di Gideon e di Jace e addirittura degli Eldrazi. Si era dimenticata di tutto tranne che di Zendikar.

"Devo andare", disse tre sé e sé e a tutti nello stesso tempo. Correre nella foresta, lontana dalla loro vista, fu tutto ciò che poté fare.

Dagli alberi di Boscovasto, Nissa si incamminò verso Bala Ged.

Quale opportuna destinazione... il luogo in cui aveva incontrato l'anima del mondo la prima volta. Tutti i ricordi le tornarono alla mente. Era come se si trovasse di nuovo là. Era come se fosse di nuovo quella giovane elfa... quella ranger di Joraga. Quella notte fu come la notte in cui era andata via di casa tanto tempo prima. Era fuggita nascosta dall'oscurità. Aveva trovato la via attraverso la foresta, da sola.

La differenza fu che la prima volta era fuggita perché era spaventata da Zendikar, pensando che la terra la volesse ferire. Questa volta stava fuggendo proprio verso di essa. Non vedeva l'ora di incontrarla di nuovo; Zendikar era la sua amica più stretta.

Tremante, Nissa sciolse il suo legame con Boscovasto; smise di combattere contro ciò che la spingeva e il formicolio sulla pelle iniziò a penetrare. Quando raggiunse il suo centro, Nissa viaggiò... e tornò a casa, a Bala Ged, alla ricerca di Zendikar.

Spedizione di Nissa | Illustrazione di Dan Scott


Archivio dei racconti di Battaglia per Zendikar

Planeswalker: Nissa Revane

Piano: Zendikar