Nota: questa è la prima parte di un racconto. . .

Nella profonda gola del fiume Umara, a Tazeem, una coppia solitaria stava volando appesa solo a funi e ganci. I due, un’esperta combattente kor e uno slanciato e agile tritone, oscillavano senza sosta. Nei brevissimi momenti tra un arco e il successivo, era come se l’intero mondo ruotasse intorno a loro; su Zendikar, questo era possibile.

I due avevano viaggiato per la maggior parte dei giorni dalla loro ultima sosta, all’insediamento di Magosi, e si trovavano ancora ad alcuni giorni di viaggio dalle lontane rive dell’Halimar, oltre le cui acque furenti si trovava la loro dimora, Portale Marino. Si erano avventurati per verificare la veridicità delle dicerie di un edro caduto, un artefatto di un mondo antico.

Questo volo, con balzi e oscillazioni al limite della fisica, era in grado di rimuovere una preoccupazione e di nasconderne una seconda: quando un momento di disattenzione può farti sprofondare nelle impetuose acque sottostanti, l’esoterismo viene messo da parte.


Cammino delle Acque Limpide | Illustrazione di: Daarken

Il gancio principale di Akiri afferrò l’ancora consunto ancoraggio, con la fune rigida durante tutto il movimento, e lei atterrò con la sicurezza di chi si rende conto dell’impossibile atterraggio. Nel punto più basso della traiettoria, l’intero mondo era un turbinio di suoni e colori: il fiume spumeggiante dai colori bianco e smeraldo sotto di lei, le pareti della gola a strati di ambra e terra d’ombra che si offuscavano da entrambi i lati, il ronzio della sua fune kor che fendeva l’aria. Per Akiri, volare era una semplice questione di resistenza.

Akiri e il suo compagno Zareth risalirono la gola del fiume Umara, una lunga, stabile e ruvida valle scolpita per millenni dal fiume Umbra. Con le lisce pareti che scendevano per centinaia di metri dalla sommità fino al fiume, la gola era piena di punti di ancoraggio sia naturali che artificiali, di cui i migliori erano dipinti con colori sgargianti per i lanciafuni che si volevano divertire. Un vento deciso scendeva dalle sommità della gola, perfetto per le discese in picchiata di coloro che volevano percorrere la via più veloce verso la baia di Halimar. Era un canyon ideale per il volo, uno dei pochi luoghi stabili di tutto Zendikar. Per un’esperta come Akiri, attraversare quella gola era semplice come bere un bicchier d'acqua.

Akiri completò l’oscillazione e utilizzò lo slancio per catapultarsi in avanti e verso l’alto. Uno scatto del polso e fu libera e in volo libero. Un istante di assenza di peso, per riposare e riprendere fiato, a metà strada tra un volo e una caduta libera. Akiri individuò l’ancoraggio successivo e lanciò il gancio successivo mentre stava iniziando a cadere.

Un breve pensiero. Un momento indesiderato: la paura, il suo vecchio amico, sempre presente. Se il gancio avesse mancato l’aggancio (impossibile) o la terra si fosse sgretolato (possibile, ma improbabile data la composizione rocciosa della gola), Akiri non avrebbe volato, bensì sarebbe precipitata, segnando la propria fine. Un altro Kor inghiottito dall’Umara. Un altro Kor che aveva dimenticato ciò che Zendikar pensava ora di loro; anche quelli nati per camminare, a volte, inciampano.

Il gancio di Akiri si ancorò saldo e resse. Sentì l’impatto risuonare lungo tutta la fune e il suo braccio, fino al suo cuore, e iniziò la salita senza timore. In questa oscillazione non avrebbe barcollato... avrebbe volato.

Un grido dietro di lei le ricordò che non tutti erano altrettanto contemplativi nella loro pratica.

Zareth, suo vecchio amico e compagno, urlava e strillava ogni volta che la traiettoria giungeva all’apice, gioiva quando uno dei ganci afferrava un ancoraggio e la incoraggiava.

"Akiri!", gridò Zareth dietro di lei. "Rossa! La via rossa!"

La via rossa era un percorso per funi rapido e difficile, che risaliva la gola del fiume Umara. Akiri la conosceva bene... era stata proprio lei a percorrerla per prima durante la battaglia, esplorandola e tracciandola per la sua compagnia di esperti lanciafuni. In quel momento, il suo scopo era lasciare dietro di sé quelle belve fameliche e la covata Eldrazi che attendeva sulle sommità della gola; in quel momento, la via rossa era invece utilizzata da lanciafuni che volevano mettersi in mostra o vincere scommesse. Una situazione molto migliore rispetto al passato.

Alcune oscillazioni per prendere il giusto slancio ed era pronta. All'apice dello slancio successivo, attese un istante e si voltò in aria per osservare Zareth, mentre la sua bianca chioma le sventolava intorno al viso.

In volo dietro di lei, Zareth sembrava ancora quel longilineo furfante tritone che aveva tentato di rubarle i ganci molti anni prima, con ora qualche anno in più e una sua fornitura completa di ganci. La gioventù, sebbene quasi del tutto invisibile, non lo aveva mai abbandonato.

"Seguimi!", gridò Akiri al suo vecchio amico. Precipitò, roteò e scagliò entrambi i ganci... la via rossa aveva ancoraggi su entrambi i lati e lei avrebbe avuto bisogno della forza di entrambe le braccia per il movimento successivo. Contava sul fatto che Zareth copiasse i suoi movimenti, anche se più lentamente.

La paura era presente, sempre. Ma quella sensazione di libertà!

Le grida spensierate di Akiri e Zareth riecheggiarono nella gola del fiume Umara. Di fronte a loro si trovava il pericolo, onnipresente su Zendikar e ancor di più in quel luogo, considerando che erano stati inviati da Portale Marino in seguito alle voci relative a un edro caduto; fino a quel momento, sembrava essere decisamente lontano.

Akiri e Zareth continuarono a volare, insieme.


Akiri, Viaggiatrice Impavida | Illustrazione di: Ekaterina Burmak

La stessa sera, Akiri e Zareth giunsero all'accampamento in cima all’alto orlo della gola. Il sole annebbiato color arancione era come un tuorlo disteso lungo l’orizzonte e il suono dell’Umara molto sotto di loro era un delicato e continuo ruggito. La pianura al di sopra della gola si estendeva fino all’orizzonte, interrotta solo da frastagliate e acuminate montagne che si sollevavano nel lontano nord, dove la pianura lasciava spazio alle basse colline e, molto più avanti, all’oscurità dolente del Baluardo. La base delle montagne volteggiava lungo l’orizzonte, come se un artista avesse afferrato una manciata di rocce e sabbia, l’avesse lanciata in aria e ne avesse congelato la caduta a mezz'aria.

Questo, pensò Akiri, non deve essere molto lontano dalla verità.

Akiri si appoggiò al tronco di un piccolo albero esposto al vento e si spalmò un po’ di unguento dei lanciafuni sulle stanche braccia. Zareth si trovava a breve distanza e osservava il tramonto. Una sagoma scura contro il globo discendente, con una lunga ombra e un ben delineato profilo.

Partecipare di nuovo a una missione insieme a Zareth l’aveva scossa in modi che non si sarebbe aspettata. Il suo recente ritorno a Portale Marino era stato gradito, ma aveva portato con sé pesanti ricordi. Reminiscenze di ciò che aveva dovuto subire non solo Tazeem, ma l’intero Zendikar. Ricordi di coloro che avevano causato tutto quello; esseri in grado di danzare tra mondi, infondere della loro intensa luce per un istante e poi andarsene lasciando una scia di rovina.

Il sole si immerse sotto l’orizzonte e il giorno si fece più fresco. Akiri riportò alla mente i brividi che aveva provato a Portale Marino a causa di Ulamog, all’ombra di quella bestia libera dalle sue antiche catene.

Akiri fu scossa da un tremito. Quanto a lungo era rimasto intrappolato sotto terra e quali danni aveva causato quella segregazione a quel mondo inconsapevolmente tramutato in prigione? Chi aveva reso il suo mondo la gabbia di quegli esseri in grado di divorare interi mondi?

Una frastornante ondata di rabbia a mala pena trattenuta: Questo è il motivo, pensò. Portale Marino e l’ascesa fino a Murasa. Questo è il motivo... non dimenticarlo!

Una vita di ricordi era spossante quanto la via rossa dell’Umara. Akiri espirò, liberando la tensione. Meglio respirare. Meglio rendersi conto di quella piacevole serata, solo leggermente umida. Il cielo era libero, tranne per alcuni frammenti di edro di Emeria, di cui uno sufficientemente basso da far intravedere il velo della cascata, un pizzo scintillante da cui fuoriusciva un interminabile flusso. Una macchia verde si era formata al di sotto, come un’oasi d’erba. Alcuni uccelli svolazzavano intorno a quella massa, scendendo con grida penetranti appena udibili sul frastuono dell’Umara. Zendikar la prigione, Zendikar la rovina. Zendikar il mondo ferito che poteva ancora essere splendido.

"Akiri", chiamò Zareth da dietro di lei, "quell’oggetto che stiamo cercando."

"L’edro?"

"Perché pensi che sia caduto?"

"Se devo dire la mia"... Akiri alzò lo sguardo verso il cielo, verso Emeria... "è semplicemente caduto."

Zareth sbuffò. Seguì lo sguardo di Akiri. "Nulla di realizzato in modo preciso può cadere senza motivo."

"Vero", rispose Akiri.

Gli studiosi di Portale Marino filosofeggiavano riguardo la natura degli edri e dei meccanismi che permettevano loro di rimanere sospesi in aria. Se ne stavano seduti nei loro telescopi e prendevano appunti di ogni minima oscillazione o movimento, reclutando spedizionieri... Akiri aveva guidato alcune di quelle spedizioni... da inviare lungo sentieri non tracciati per ascendere ad Emeria e discutevano sui nomi da assegnare ai livelli e ai segni nel cielo; avevano forse una minima idea del perché rimanessero a mezz’aria o cadessero? No, non più di quanto fossero a conoscenza della loro funzione o di chi li avesse messi dove si trovavano.

Akiri non si curava di quelle problematiche da studiosi. Le biblioteche e le sale di studio di Portale Marino le erano utili solo per il cibo e le bevande gratuite a disposizione di ranger, lanciafuni e avventurieri della casa di spedizioni. Erano dubbi che si era posta anche lei? Certo. Erano causa di paura? Non più di quanto avesse paura di una morte improvvisa, quindi sì e no.

"Quell’ipotesi ti farebbe finire con una rinomata compagnia, Zareth", disse Akiri. Lei si alzò e lanciò a Zareth il sacchetto con l’unguento dei lanciafuni. Lui lo afferrò al volo. "Quando torni a Portale Marino, ti posso presentare alcuni studiosi di edri", aggiunse Akiri. "Avranno sicuramente dei validi libri sull’argomento. Li potrai vendere a buon prezzo." Akiri parlava in modo allegro e delicato.

Zareth si mise a ridere. "Adesso", rispose, "non più."

Akiri gli credette. Quello Zareth era partito anni prima; quello che era tornato a Portale Marino e alla sua casa di spedizioni era una persona diversa, in un periodo diverso.

Per lo meno, questo era ciò che si augurava lei.

Akiri e Zareth si riposarono dalle fatiche della giornata godendosi una ricca cena: un gustoso stufato con cipolle selvagge appena raccolte, tuberi a cubetti, carne affumicata e una manciata di erbe della zona.

"Ottima prestazione sulla via rossa", disse Akiri a Zareth mentre lui rimestava lo stufato in cottura, "ma devi migliorare sul disinnesto dei ganci... domani prenderemo la via verde, così potrai allenarti."

Zareth annuì. Assaggiò lo stufato e poi aggiunse un pizzico di sale al brodo. "È la mia spalla. Me la sono rotta cadendo durante un addestramento." In un modo esagerato per sottolineare le sue parole, fece ruotare la spalla in un movimento che Akiri trovò effettivamente limitato. "Se non fosse per questo problema, mi aggiudicherei il titolo di campione della via rossa", aggiunse Zareth con un sorriso.

Akiri non fu affatto d’accordo, ma non disse nulla. Indicò invece i ganci che pendevano dall’imbragatura di lui. "Quelli non mi sembrano ganci come tutti gli altri. Dove li hai trovati?"

"Provengono dall’enclave celeste. Me li ha dati il Kor che gestisce le trincee a Ondu", rispose Zareth. Portò una mano all’imbragatura e ne sganciò uno dalla fune. "I lanciafuni coraggiosi li trovano tra le rovine", disse lanciandolo verso Akiri. "È l’unico luogo dove si possono trovare. Devi essere coraggiosa o essere nelle grazie di chi lo è."

Akiri esaminò il gancio con attenzione. Era ricoperto da incisioni delicate e regolari, con uno schema geometrico che le sembrò come un sinuoso labirinto a spirale. Angoli e aperture, diamanti e riquadri perfetti. Non di origine naturale, ma neanche di alcuna fattura a lei nota... escludendo ciò che non avrebbe potuto essere.

"E questo lo hai trovato tu?", chiese Akiri.

"No", rispose Zareth, "ero nelle grazie di qualcuno coraggioso." Un amaro sorriso apparve sul suo volto. "Comunque. Non ti deludono mai", aggiunse Zareth.

"E tuttavia", disse Akiri sollevando un sopracciglio.

"La spalla, lo so. Non bisogna credere a tutto ciò che si sente, d’accordo?"

Quel sorriso astuto di Zareth. Akiri lo conosceva molto bene; l’allegria era una delle sue caratteristiche. La probabile causa della sua caduta.

"È splendido", commentò restituendo il gancio a Zareth. "E queste incisioni?"

"Come quelle sulle facce degli edri." Zareth annuì. "Ne ho visti molti a Ondu... e sono anche atterrato su uno." Rigirò il gancio e un leggero sorriso si dipinse sul suo volto. "Tieni", disse offrendolo ad Akiri, "questo è per te, io ne ho altri."

"Grazie Zareth", rispose Akiri accettandolo. Afferrò il proprio zaino, estrasse la fune principale e le agganciò il gancio dell’enclave celeste. Non dovette chiedere a Zareth da dove provenisse la sua attrezzatura... In realtà, pensò, è meglio che io non lo sappia mai. Ripose il gancio nello zaino e tornò al suo posto con un cofanetto incerato da cui tirò fuori una mappa. Akiri stese la mappa sul terreno asciutto e ne bloccò gli angoli con alcune pietre.

Zareth versò la cena nei piatti e si sedette dal lato opposto della mappa. "Domani o dopodomani?", chiese lui.

"Domani", rispose Akiri. "Sono solo dieci chilometri fino a questa cascata", aggiunse indicando una cascata disegnata, ma senza nome, sulla mappa. "Alla sua sorgente deve trovarsi l’edro."

"Ci dobbiamo preoccupare di loro?", chiese Zareth.

Per un istante, Akiri rimase confusa, ma poi...

Il titano senza pelle che eclissava il sole. Cascate di acqua dell’oceano che scendevano dalla sua figura incombente. Un’apertura di braccia ampia come l’orizzonte e Portale Marino che trema e scintilla per il calore.

... comprese.

"No", rispose Akiri, "non fanno più parte di questo mondo. Abbiamo vinto." Al solo pensiero, la sua gola si era fatta secca come una distesa di polvere.

Zareth mangiò osservando la mappa, ma senza dedicarci attenzione, poté notare Akiri. Stava osservando attraverso essa. Conosceva quello sguardo, quell’espressione lontana che indossavano solo coloro che avevano assistito a scene che nessuno...

La notte arrivò, colorata da quella macchia arancione delle fiamme, dal fetore dei caduti in putrefazione e dalle grida di coloro che erano ancora in vita. La sua spada era pesante e viscida per il sangue fumante. Gli Eldrazi erano in grado di uccidere con un semplice tocco... e alcuni con la sola presenza. I compagni di battaglia si sgretolavano in un ammasso di polvere bianca, contaminando l’aria che lei respirava a fatica. La prima ondata della nidiata di bestie li aveva quasi sopraffatti ma, in qualche modo, erano riusciti a sopravvivere e l’aria era imbevuta di energia, quando l’ondata successiva si era infranta su di loro.

... si ricordò di quanto Zareth mancasse di esperienza durante quella battaglia. Era stato arruolato a forza per la liberazione di Portale Marino solo perché era in grado di reggere una lancia ed era stato assegnato alla sua unità solo perché troppi erano già stati uccisi. A quel tempo era alto per la sua età e gli altri combattenti lo ritenevano più anziano e più esperto.

Lei aveva solo pochi anni più di Zareth quando gli Eldrazi si scatenarono sul loro mondo, una Kor che si riteneva invincibile perché aveva imparato a volare come i suoi progenitori, con fune e ganci, e Zendikar era il suo immenso parco divertimenti. Era anche lesta con la spada, un’aspirante guerriera in un gruppo di campioni. Nonostante ciò, le sue capacità e la sua grazia le avevano permesso di ottenere fama in tutto Zendikar e le avevano offerto la sensazione di appartenere a qualcosa che andava oltre se stessa. Con i suoi compagni e i suoi amori al suo fianco, non aveva provato paura alla notizia dei titani sprigionati dal terreno. Cosa potevano essere se non un’altra occasione di ingrandire la sua gloria? Lei e la sua banda si sarebbero uniti alle forze dei viventi, volando trionfanti davanti agli occhi di quegli esseri che gli altri chiamavano "divinità” e salvando il mondo.

Questi erano i pensieri di quella ragazzina.

"Akiri", la chiamò Zareth, destandola dal suo sogno ad occhi aperti, "mi dispiace di essermene andato in quel modo." La sua voce era delicata, un sussurro che Akiri non credeva sarebbe riuscito a produrre. "Non riuscivo ad accettare la tranquillità. Pensavo che avrei trovato la libertà solo andando molto lontano. Lontano da Portale Marino, da Kaza, da Orah. Lontano da tutto"... i muscoli della sua mascella pulsavano mentre pronunciava quelle parole cariche di un antico dolore... "lontano da te."

Il rumore dell’oceano che non si interrompeva mai. La sporca lotta di umani, Kor e tritoni contro i parassiti e le progenie minori degli Eldrazi che trasformavano le loro vittime in polvere. Sopra di loro, il crepitio e il luccichio della magia dei Planeswalker che devastavano bestie ancora più terrificanti.

Avrebbe potuto essere furiosa nei suoi confronti. Akiri avrebbe potuto sfogarsi su di lui per come se ne era andato e per ciò che aveva portato con sé. Per quanto Kaza aveva pianto per lui. Orah aveva sicuramente maledetto Zareth per la sua fuga e aveva anche minacciato di ucciderlo nel caso fosse tornato, ma quello era parte del carattere di Orah e Akiri sapeva che era solo il suo modo teatrale di esprimere la rabbia... per nascondere quanto gli volesse bene e l’intensità delle sue paure. Avrebbe potuto arrabbiarsi con lui; nella sua breve vita, Akiri aveva imparato a sue spese il costo di andarsene senza un degno addio, ma aveva anche compreso l’estremo valore della capacità di perdonare. Su Zendikar, il loro piccolo mondo ferito, la guarigione non poteva avvenire in modo passivo; doveva essere praticata. Guarire il mondo o guarire se stessi avrebbe richiesto uno sforzo. Lo stesso discorso si doveva applicare al perdono.

"Zareth", gli disse, "sono contenta che tu sia tornato."

Zareth alzò la testa dal suo lavoro. Per la prima volta da quando era tornato a Portale Marino pochi giorni prima, aveva rivisto lo Zareth che conosceva.

"Per me non è mai esistito un luogo dove tornare", disse Zareth. "È una bella sensazione. Sembra che la situazione possa migliorare. Tornare a Portale Marino mi ha mostrato che abbiamo ottenuto risultati ben più grandi del semplice sopravvivere."

"Facciamo molto più che sopravvivere", rispose Akiri. "Abbiamo salvato il mondo. Ora portiamo il potere ai suoi popoli e poi viviamo."

Zareth sorrise timidamente. Trascorse qualche istante prima che i due tornassero a dedicarsi al pasto. Rimasero insieme sotto il loro albero sulla sommità della gola del fiume Umara, la luce morente del sole scesa sotto il lontano orizzonte, chiacchierando di faccende non importanti.


Il giorno successivo raggiunsero il luogo dove avrebbero trovato l’edro caduto. La cascata... che era indicata come asciutta... gettava acqua con un buon ritmo.

"Direi che", disse Zareth con il fiato corto e piegato sulle ginocchia, "qua non c’è nulla." Si sollevò e osservò intorno a sé, dalla piccola cima della guglia sulla quale erano saliti. Di forma semicircolare, la cima dell’anfiteatro era diventata la sede di una pozza senza una sorgente visibile, che a sua volta generava un flusso delicato che si riversava sulla gola. La sommità era velata da nebbia e la luce del giorno era opprimente a quell'altitudine. Ad esclusione di poche tracce d’erba contorta, non vi era vegetazione. Più che un’oasi, si trattava di uno stralcio, un frammento di terra che sembrava completamente fuori luogo per come era.

"Ehi, Akiri!", gridò. "Dov’è la grande roccia?"

Akiri si trovava a breve distanza da lui, più vicina all’orlo di quella pozza da cui nasceva la cascata, alla cui salita avevano dedicato quasi tutta la giornata. Il gesso bianco sulle mani e sugli avambracci era l’unico indizio che facesse immaginare una giornata di arrampicata. Il suo volto si aggrottò. Appoggiando le mani sui fianchi, si guardò intorno, per controllare meglio. Vi era forse una magia a celare ciò che stavano cercando? O forse un effetto persistente del Torbido in grado di nascondere l’edro?

La pozza sorgente della cascata era un capolavoro di colori ed era l’unico elemento di nota su quella cima spoglia. Con le sue tonalità rosse, blu, verdi e gialle dovute ai minerali disciolti, quell'acqua limpida offriva una vista mozzafiato. Non ci voleva molto per comprendere che Zareth aveva ragione.

"Non è una roccia, è un artefatto", gli rispose Akiri. Tre giorni di duro cammino, volo con le funi e infine questa arrampicata per non trovare nulla. Neanche una roccia.

"Per lo meno, abbiamo trovato una pozza magnifica", disse Zareth.

Akiri emise un grugnito. Era una bella pozza, certo. "Non bere quest’acqua", gli rispose.

"Avvelenata?"

"Non lo escludo." Akiri gettò un piccolo sasso dalla riva nella pozza. Entrò in acqua e poi svanì. "Probabilmente possiede una qualche magia", aggiunse.

"Potrebbe essere accaduto lo stesso all’edro?"

"Sì, è possibile."

Rimasero a osservare, con il vento che riempiva il silenzio. Sibilava, solitario.

"E adesso?", chiese Zareth.

Akiri si voltò verso Zareth e poi guardò dietro di lui. Si poteva vedere l’intero Tazeem, offuscato attraverso quell’autunnale nebbia dorata sferzata dal vento. Nascosta alla sua vista si trovava la risposta.

"Torniamo a Portale Marino", rispose Akiri.

Nessun faro sarebbe stato visibile da così lontano, ma era comunque possibile immaginarlo, con la città al di sotto. Brillante, lontana e ricca di promesse. Una città scintillante, all’ingresso della baia di Halimar.

"Il lavoro non è ancora terminato", aggiunse Akiri. "Là dietro. Là sopra."

Zareth scrutò insieme a lei, alla ricerca dell’orizzonte orientale. "Questo è uno splendido paesaggio", rispose lui. "Splendido, anche se il lavoro non è ancora terminato."

Akiri sorrise delicatamente. "Forza Zareth", gli disse. "Andiamo a casa."


Cascate Celesti di Umara | Illustrazione di: Jesper Ejsing

Sebbene lontano da Portale Marino e non più grande di una singola lunga sala con alcune strutture annesse, l’insediamento di Magosi era un faro di civiltà in quella zona così inserita nella natura. In cima alla mastodontica cascata di Magosi, l’insediamento costituiva il principale luogo di riposo per i viaggiatori e i mercanti che preferivano la via più sicura lungo l’Umara, oltre a essere un accampamento base e una stazione di passaggio per gli esploratori.

Un elemento costante dell’insediamento era il basso brontolio di Magosi. La più alta cascata della gola, la cascata di Magosi, aveva origine nel punto in cui il fiume Umbra compiva un singolo imponente salto di cento metri. Un qualche antico evento geologico aveva squarciato il mondo in questo luogo, sollevando una sezione e facendone sprofondare l’altra. Imperturbabile per secoli, dopo la liberazione della città, gli avventurieri di Portale Marino avevano scolpito una serie di tornanti nella parete; pur vertiginoso, permetteva ai viaggiatori una relativamente sicura ascesa dalla gola inferiore alla parte più elevata. La cascata di Magosi riecheggiava nella storia di Zendikar: qualcosa di antico aveva compiuto una qualche terribile azione sul mondo, molte persone erano morte, la maggior parte era sopravvissuta, nulla era mutato e Zendikar aveva continuato a sussultare e scuotersi, ancora colmo di quella febbre planare. Poi, il mondo e i suoi popoli si erano adattati.

Akiri e Zareth, per la prima volta dopo giorni, poterono trascorrere una serata seduti a un tavolo su vere sedie, nutrendosi di piatti che erano stati loro serviti, per cui avevano pagato con monete o crediti dalle attività commerciali generate dalle loro spedizioni. Si gustarono anche bevande fresche e la musica di un gruppo di audaci tritoni che tentavano di superare il basso ma continuo ruggito della cascata di Magosi. Decine di Kor, tritoni e umani gironzolavano per la sala principale dell’insediamento, cenando e chiacchierando, mercanteggiando piccoli oggetti e scambiandosi informazioni e voci che avevano raccolto durante i loro viaggi. All’esterno si trovavano le docili bestie... disponibili per il trasferimento fino al rifugio successivo molti chilometri più avanti... con la loro intensa fragranza trasportata anche all’interno dal vento.

"Civiltà", sospirò Zareth mentre terminava la sua bevanda. Sgranocchiò un po’ di ghiaccio e si massaggiò il collo e la schiena con le mani. "Penso che prenderò ancora un po’ di questi", disse sbatacchiando la scodella, "e poi mi farò un altro bagno... mi ero dimenticato di quanto fosse gradevole l'acqua calda per le mie squame." Zareth afferrò la loro borsa e strattonò i legacci per aprirla.

Akiri, terminata la cena, fece un cenno verso il marsupio. "Dovrai usare il tuo denaro... cercando di trovare qualcosa qui", disse. "Abbiamo speso ciò che ci rimaneva per questa cena e per il necessario per il ritorno." Akiri sollevò un sopracciglio e osservò lo zaino di Zareth, che si trovava sulla grande tavola vicino alla sua attrezzatura. "Tutto ciò di cui io sono a conoscenza, per lo meno."

"Credo che tu non mi lascerai alleggerire qualche tasca qui", rispose Zareth.

"Siamo rappresentanti di Portale Marino, Zareth. Non siamo più reclute affamate."

"D’accordo. Siamo degli assetati membri di Portale Marino, Akiri", continuò Zareth. "Gli studiosi ricevono le loro sovvenzioni di mantenimento; non vedo differenza con noi che riceviamo la nostra parte."

"Gli studiosi si guadagnano quel denaro attraverso il loro lavoro", ribatté Akiri, iniziando a ripulire la sua parte di tavolo. "E noi ci guadagniamo il nostro. Ora, dato che siamo in argomento." Akiri afferrò il suo zaino e ne estrasse un piccolo sacchetto che lanciò sul tavolo, davanti a Zareth. Atterrò con un tonfo sordo e un tintinnio di monete d’oro.

"Veramente!", rise Zareth. Afferrò il sacchetto, lo aprì, rovistò un istante e ne tirò fuori una moneta.

"Ho trovato un lavoro. Metà del pagamento ora e l’altra metà al termine", disse Akiri. "Una carovana in direzione di Elmo Corallino, in partenza domani."

"Almeno è sulla nostra strada", commentò Zareth. Prese qualche altra moneta dal sacchetto, lo legò e si alzò in piedi. "Partenza all’alba?"

"Pensi che potremo mai dormire più a lungo?"

Zareth si mise a ridere. "D’accordo, ora vado a prendermi qualcos’altro da bere." Fece per allontanarsi.

"Zareth", lo fermò Akiri. Capovolse il sacchetto delle monete e ne uscirono dei sassolini. Zareth rise e alzò le mani.

"Mi hai fregato", disse. "Allora questo giro lo offro io!"

"Con anche un piatto di quei ravioli", aggiunse Akiri. "Quelli con la salsa all’interno."

Zareth si allontanò, per poi tornare con cibo e bevande. Si sedette, le passò la sua parte e si rimisero a mangiare.


Più tardi la stessa sera, dopo che la notte era calata e la folla si era fatta ancora più grande, Akiri e Zareth si trovavano sulla terrazza dell’insediamento che si affacciava sulla scogliera, intenti a terminare un altro giro di cibo fritto e bevande fresche. Avevano trascorso una bella serata a raccontarsi le loro avventure e, forse per le bevande o per l’atmosfera rilassata dopo tanti giorni di viaggio, durante una conversazione su argomenti leggeri, Zareth pose ad Akiri una domanda che avrebbe segnato questo momento come il finale della serata.

"Quando torniamo a Portale Marino", disse Zareth, "prevedi di arruolarci in qualche missione segreta. Una spedizione in una delle enclavi celesti." Zareth si mise comodo nella sua sedia. "Questo è il motivo per cui siamo qui alla ricerca di quell’edro, vero?"

Akiri non lo negò. "Murasa", rispose. "Portale Marino pensava che potessimo trovare qualcosa di utile in un edro caduto di recente, ritenendo che ci fosse in effetti un edro."

"Che cosa c’è invece a Murasa?", chiese Zareth. "Quelle enclavi celesti sono vecchie e morte."

"Non lo so", rispose Akiri. "Il nostro finanziatore è disposto a spendere denaro sulla scommessa che ci sia qualcosa lassù. Qualcosa di potente."

"Chi è, Akiri?", chiese Zareth. "Chi decide di finanziare il sogno di un mondo migliore basandosi su una semplice intuizione?"

Akiri fece un cenno con la testa. "Ci paga bene", rispose. "Nessuno spende tanto denaro su una semplice intuizione. È una scommessa... una scommessa sulla capacità di aiutare il mondo con ciò che potremo trovare a Murasa.”

"So che è un mio vecchio vizio, ma", si avvicinò Zareth per parlare a voce più bassa, "potremmo andarcene nella notte e cercare un’altra terra. Io e te, insieme, le tue capacità e il mio fascino... Non ci mancherebbe nulla."

Akiri scosse la testa. "Il nostro mondo è questo, con tutti i suoi tormenti e i suoi difetti. Cercare di sistemare ciò che gli è stato fatto è la nostra sfida, il nostro compito, il nostro destino", rispose Akiri. "Non possiamo andarcene."

"Potremmo non tornare", ribatté Zareth.

"Certo", rispose Akiri. "Lotteremmo proprio come. . .un fiore dopo un lungo inverno: centinaia di noi potrebbero avvizzire a causa del lungo gelo o venire tagliati da un giardiniere invidioso, ma la primavera giunge sempre. Dobbiamo provarci, a qualsiasi costo."

"E se non troviamo nulla?"

Akiri bevve un altro sorso della sua bevanda.

"Speranza, quella possiamo sempre portarla con noi", suggerì Zareth. "Qualcosa per cui la gente possa continuare a sognare."

"Speranza? No", commentò Akiri, non in modo scortese, bensì deciso. "La gente non può forgiare una lama con la speranza o neanche mutare quella sensazione in un coltellino." Akiri scosse la testa. "Non voglio offrire speranza, voglio creare potere per le nostre genti. Trovare un modo per donare al nostro popolo... a tutti i popoli di Zendikar... i mezzi con cui plasmare un’arma partendo dal loro dolore e utilizzarla per guarire questo mondo una volta per tutte", disse.

Zareth meditò su questo presentimento in modo complice. Akiri era tesa e seria.

"Credo di averne avuto abbastanza", disse Akiri interrompendo la tensione che l’aveva invasa. Indicò le tazze e i piatti vuoti. "Vado a dormire. Ci vediamo domani?"

"Ci sarò, Akiri", rispose Zareth con voce pacata.

"Sul serio?"

"Mi hai chiesto di esserci", rispose Zareth, "e io ci sarò."

Akiri osservò Zareth per un lungo istante. Zareth non vedeva Akiri la viaggiatrice impavida, la veterana pluridecorata e la rinomata lanciafuni, bensì Akiri senza nome, la giovane Kor che l’aveva salvato dall’oscurità di Portale Marino. Con la pelle grigia ricoperta dalle ceneri dei loro amici caduti e del paesaggio in decomposizione. I suoi occhi, illuminati dalla luce del fuoco, vuoti per il terrore... ma sempre intenti nello sforzo di salvarlo. Akiri che aveva messo nelle sue mani la lancia di un cadavere e gli aveva detto che avrebbe dovuto combattere quegli esseri che avevano ucciso il mondo con un semplice tocco, altrimenti nessuno sarebbe rimasto in vita alla fine di quella battaglia.

"Ci sarò, Aki", ripeté Zareth.

"Molto bene", commentò Akiri. "Molto bene", ripeté prima di andarsene nel silenzio.

La notte fu lunga e Zareth non riuscì a prendere sonno.