Illustrazione di Chase Stone

Nella notte, l'oscurità della prigione era totale. Ricopriva anche le pareti di pietra e filtrava nelle vesti lacerate dei prigionieri, una macchia d'inchiostro che non veniva cancellata dalla pallida luce del giorno che riusciva a penetrare la prigione attraverso gli stretti passaggi di aerazione nelle pareti. Quando il vento smetteva di soffiare all'esterno, l'immobile oscurità era così opprimente da spezzare la resistenza di molti prigionieri.

Ma non era l'oscurità a consumare Kytheon, un ladruncolo tredicenne che stava scontando la sua prima notte nell'oscurità. La sua mente era fissa su un singolo elemento che era emerso dal mucchio di informazioni che gli erano state scaricate addosso su routine, regole e funzionamento generale della prigione. Era un'informazione che aveva ricevuto da Drasus, un amico del Quartiere degli Stranieri, ora prigioniero insieme a lui: “Hixus è il guardiano, ma è Ristos che comanda”.

Kytheon deve aver fatto una smorfia nel momento in cui è venuto a conoscenza di questo dettaglio. “Devi cercare di comprendere”, lo aveva avvertito Drasus, “Ristos non è come i delinquenti che gli Irregolari cacciano dal Quartiere. Lui si considera un re. Ma è un mostro. Questo è il motivo per cui è qui”.

Noi siamo qui”, controbatté Kytheon.

“Tu sei qui perché sei un ladruncolo da quattro soldi che è stato scoperto a rubare verdura marcia e una manciata di monete. Io sono qui per rissa. Noi non siamo assassini. Il mio consiglio è di fare attenzione”. Drasus aveva scosso la testa come se non fosse possibile fare nulla.

Illustrazione di Zack Stella

Drasus era tre anni più grande di Kytheon ed era una testa calda. Era stato messo in prigione più di una stagione prima e rivederlo fu come un incontro tra vecchi amici, sebbene Kytheon non avesse gradito ciò che aveva visto nel suo movimento con la testa. Aveva poi provato un approccio diverso.

“Tu sei uno dei miei Irregolari, Drasus. Dovrebbe essere questo Ristos a fare attenzione a noi”.

“Dici così adesso, ma sappi che è più grosso dei delinquenti là fuori. Come ti dicevo, lui è il re”. A quel punto, Drasus si era allontanato prima che Kytheon potesse controbattere.

C'erano sempre persone che cercavano di entrare con la forza nel Quartiere degli Stranieri per mettere le basi della loro rete di ruberia, contrabbando e intimidazione... bruti come Anthedes dall'Ascia Insanguinata o cospiratori come Krevarios il Velenoso. Kytheon era in grado di riconoscere un bullo... aveva trascorso la maggior parte della sua vita avendo a che fare con loro, in varie forme... e non vedeva l'ora di incontrare Ristos.

All'alba, i nuovi prigionieri vennero legati tra loro con una catena d'acciaio e marciarono attraverso corridoi simili a un labirinto di pietra sgrossata. Kytheon contò altri sei prigionieri e sembrava che due di essi avessero già affrontato questa prova. Una guardia aprì una pesante porta di legno e i prigionieri vennero condotti nella camera di una caverna, in cui schiere di prigionieri indigeni sembravano al lavoro.

L'aria della camera era stantia, come nella cella di Kytheon, ma, diversamente dalla sua cella, era venata dal profumo di muffa. Nel centro della camera si trovava un'apertura di forma circolare di sei metri di larghezza. Un'apertura identica era presente nel soffitto e, tra di esse, una decina di cavi trasportavano barili in entrambe le direzioni.

“Benvenuti alle cascate di Akros”, ruggì una guardia deforme, “nelle quali l'acqua scorre verso l'alto”. Rise alla sua stessa battuta, che Kytheon non riuscì a comprendere, ma capì che l'avrebbe scoperto presto.

Le altre guardie diressero Kytheon e gli altri prigionieri verso una enorme manovella a sei raggi che veniva spinta da prigionieri che formavano file da sei a ogni raggio e la facevano girare intorno a un gigantesco asse di quercia.

“Primo gruppo! Riposatevi!”, disse una guardia. I prigionieri che spingevano uno dei raggi della manovella si allontanarono, massaggiando i muscoli indolenziti o rimuovendo il sudore dagli occhi brucianti.

Kytheon si sentì spingere da dietro e prese posizione alla manovella di fianco agli altri nuovi prigionieri. Il fascio in legno sembrava morbido tra le sue mani, in un punto dove innumerevoli mani avevano spinto contro la resistenza di innumerevoli barili d'acqua che venivano sollevati dal fiume della valle sottostante fino alla città di Akros appollaiata sulla scogliera in alto. Questo era il significato della prigione. Fatica e schiavitù. Era una bestia da soma. Non era diverso dall'addestramento degli opliti di Akros, constatò Kytheon sorridendo. Rendere il corpo come marmo, dicevano... un regime di corsa e trasporto di oggetti pesanti. Ma questo era l'addestramento di quando voleva diventare soldato. Di quando era un ragazzino. Di quando non era ancora stato espulso dall'esercito, prima di diventare un Irregolare, prima di diventare un ladruncolo e prima di diventare un prigioniero.

Illustrazione di Willian Murai

Le spalle e i polpacci bruciavano mentre spingeva la manovella. Cercò di sopportare il dolore concentrandosi su un singolo barile, seguendo il suo movimento da quando appariva alla vista dal pavimento fino a quando spariva nel soffitto. Non li contava, ma li osservava soltanto, desiderando che quello che osservava fosse l'ultimo. Ma ce n'era sempre un altro.

Nel tempo tra due barili, Kytheon poteva osservare un gruppetto di prigionieri intenti a riparare i barili danneggiati. Lavoravano sodo, colpendo con martelli di legno i nuovi anelli di ferro per farli entrare nella loro nuova sede. Questi prigionieri sembravano più in salute e ben nutriti.

E poi, finalmente, “Primo gruppo! Acqua!”.

Kytheon non ricordava di aver sentito chiamare gli altri gruppi, ma chi era lui per opporsi. Le gambe traballavano senza il supporto del legno e camminò a fatica fino all'angolo della camera, in cui pezzi di muratura erano stati sparsi per fungere da sedie.

Prigionieri anziani e deturpati riempivano tazze di argilla incrinate con l'acqua di un barile e le offrivano ai prigionieri del primo gruppo, insieme a un tozzo di pane stantio. Il cibo misero non era una novità per Kytheon. Il Quartiere degli Stranieri di Akros non era noto per opulenza o abbondanza e c'erano stati molti giorni in cui lui, Drasus, il piccolo Olexo, Epikos e Zenon avevano dovuto accontentarsi di tali pasti.

Quando affondò i denti nel duro pane, la consistenza delle briciole gli apparve familiare. Trovò un blocco di muratura e si lasciò cadere. La sua fredda superficie era un gradito sollievo che avrebbe completato con un bel sorso d'acqua. Si portò la tazza alle labbra e fece scorrere l'acqua tra le labbra, lasciando fluire quella fresca bevanda.

“Tributo!”, disse una voce stridula che interruppe il momento di appagamento di Kytheon. La voce apparteneva a un uomo robusto, poco più alto di Kytheon, che camminava tra i prigionieri del primo gruppo.

Kytheon vide tutti i prigionieri da cui era andato quest'uomo mettere in un sacco metà del loro pane, senza alcuna protesta. Kytheon mandò giù l'acqua che stava assaporando. Ristos?

L'uomo gli si avvicinò. Era svestito dalla cintura in su e aveva il busto coperto da una folta peluria nera, tranne che in alcune strisce sparse con rigonfiamenti dovuti a cicatrici.

“Tributo!”, ripeté l'uomo fermandosi davanti a Kytheon.

“D'accordo. Che cos'hai?”.

L'uomo emise un rumore che era una via di mezzo tra un grugnito e una risata. “Il mio ginocchio sulla tua gola, se continui così, ragazzo. Il re esige il suo tributo”.

“Re? Sei tu, Ristos?”.

L'uomo non rispose. Kytheon guardò dietro di lui, verso l'area in cui venivano riparati i barili. Un uomo largo, dalle ampie spalle, incrociò lo sguardo del giovane prigioniero. Il suo volto era circondato da una chioma color grigio carbone.

“No, non puoi essere Ristos”, disse Kytheon riportando la sua attenzione sull'uomo davanti a lui. “Mi avevano detto che avrei avuto timore di Ristos”.

“E devi averlo”, rispose il delinquente stringendo i denti. Lanciò da un lato il sacco di pane estorto e, prima che toccasse terra, Kytheon si era già alzato dal suo blocco di pietra e il suo piede aveva già colpito la tibia dell'altro uomo.

Ci fu un ruggito di dolore e il delinquente vacillò. Kytheon si eresse in piedi in un attimo, colpendo al volto l'altro uomo con una potente serie di diretti. Si tenne a distanza per evitare un contrattacco, obbligando il delinquente a spostarsi e a esporsi a un'altra raffica di pugni.

Kytheon sorrise. Un'ondata di energia fluì dentro di lui, facendogli dimenticare i muscoli indolenziti e lo stomaco brontolante. Questo era il suo elemento naturale... il combattimento.

Illustrazione di Eric Deschamps

Il tirapiedi di Ristos era un esperto rissaiolo e Kytheon ne era sicuro per le sue passate graffianti esperienze con Drasus. Era un ammasso di carne in grado di subire colpi, ma il suo comportamento era prevedibile e, come tutti i delinquenti con cui Kytheon aveva combattuto nei vicoli di Akros, era più parole che fatti.

“Berrò vino dal tuo teschio!”, lo minacciò.

Un altro montante, seguito da un'altra schivata di Kytheon e un'altra sequenza di pugni a costole e mascella.

Continua a blaterare, pensò Kytheon mentre continuava a girare intorno all'avversario. Per Kytheon, combattere era come un riflesso... intuitivo, istintivo. Da ragazzino aveva scoperto che era anche la fonte della sua magia.

Gli altri prigionieri li osservarono combattere, ma non fecero alcun cenno di voler intervenire. Kytheon si prese un momento per analizzare i prigionieri che si erano radunati, alla ricerca di Ristos, che aveva visto avvicinarsi e continuare a osservare.

Poi, all'improvviso, la vista laterale di Kytheon si annebbiò.

Aveva sottovalutato la velocità del tirapiedi. Si ritrovò a terra e l'altro uomo era già su di lui a ricoprirlo di pugni. I primi colpi andarono a segno. Uno colpì Kytheon sul naso e provocò un fastidioso scricchiolio, causando un altro annebbiamento della sua vista.

Doveva riordinare le idee. Doveva ritrovare la concentrazione.

Il pugno dell'uomo si sollevò ma, prima di colpire di nuovo, la superficie della pelle di Kytheon avvampò di innumerevoli linee di luce increspate di energia.

Il pugno scese. Quando colpì Kytheon sotto l'occhio, non sentì alcun dolore. Fu invece inondato da un'esplosione di energia, che si trasformò in un pugno alla mandibola dell'uomo, la quale si ruppe per il colpo. Il risultato fu confermato dal grido dell'uomo, che rotolò via da Kytheon.

Il ragazzo si alzò in piedi, con le linee di luce ancora increspate.

La camera era silente, a esclusione del lamento del tirapiedi, che giaceva rannicchiato su se stesso e si sorreggeva la mandibola fratturata.

Dal naso di Kytheon uscì sangue, che scese fino al mento e finì sulle sue vesti. Sputò un ammasso rosso sulla pietra, afferrò il sacco di pane abbandonato e ne tirò fuori un pezzo. Tutti gli sguardi furono su di lui, ma Kytheon osservò solo Ristos e strappò un blocco di pane con i denti.

Ristos fece un movimento e mezza dozzina di prigionieri si fecero avanti e circondarono Kytheon.

Il ragazzo si pulì il sangue dalla bocca con il dorso della mano, spargendone una parte sulla guancia. Guardò il tirapiedi di Ristos negli occhi, si voltò di nuovo verso il loro capo e sorrise.

Non ci volle molto prima che le guardie si facessero strada tra le fila dei prigionieri, ma a Kytheon non servì molto tempo. Quando arrivarono le guardie, trovarono Kytheon, con volto e mani coperte di sangue, che colpiva l'ultimo degli uomini di Ristos.

Quando il tredicenne vide le guardie andare verso di lui, si lasciò cadere al suolo, esausto e completamente soddisfatto.


Kytheon si trovava di fronte al guardiano, con i polsi bloccati dall'acciaio e un sorriso di soddisfazione dipinto sul volto. Hixus fece un gesto con la mano e le due guardie che scortavano il giovane prigioniero si voltarono e lasciarono soli Kytheon e il guardiano.

Illustrazione di Chris Rallis

Hixus era appoggiato in maniera rilassata contro un tavolo in legno, coperto da varie pile di documenti. Il guardiano aveva spalle robuste e indossava un pettorale con la dimestichezza di un soldato esperto. Guardò Kytheon e ne studiò il volto. Dopo un attimo fece passare le dita attraverso la spessa barba grigia e disse "Sei qui da meno di due giorni". Fece un respiro profondo. "Due giorni di una condanna di dieci anni. Una rissa all'acquedotto, sette prigionieri in infermeria e una rivolta... tutto a causa tua".

Dal punto di vista di Kytheon, sembrava un elenco di successi.

“Ah, sì”, aggiunse Hixus, “mi è stato anche riferito che ieri hai tentato la fuga mentre venivi trasportato qui”.

“Puoi forse biasimarmi?”.

“Posso biasimare qualcun altro?”.

Kytheon non rispose.

“Per curiosità”, continuò il guardiano, “se tu fossi riuscito a scappare, non saresti stato spaventato da ciò che ti sarebbe successo una volta catturato di nuovo?”.

“Posso accettarlo. In fondo, non hai passato molto tempo nel Quartiere degli Stranieri, vero? Se io mi fossi recato là, gli Irregolari mi avrebbero protetto. Non saresti più riuscito a trovarmi”.

Ora toccava al guardiano sorridere. “Ah, gli Irregolari. I protettori del Quartiere. Gli Irregolari di Kytheon”.

Illustrazione di Mark Winters

“Esatto”.

“Dei fedeli seguaci. E molti di loro finiscono qui. Il tuo amico, Drasus, è uno degli Irregolari che si trovano qua dentro, vero? E ora ci sei anche tu. Devi sapere che esistono alcuni prigionieri qui che non sono schierati dalla tua parte e sembra che tu insista a cercare altri nemici".

“Ristos?”. Kytheon non poté non mettersi a ridere. "Mia madre chiamava le persone come lui deboli, perché la loro forza deriva da come gli altri li vedono. 'La forza deriva dall'azione', mi diceva. Ristos è debole. L'ho visto subito. Ora anche tutti gli altri lo sanno”.

Il guardiano sogghignò. “Capisco. In tal caso, non sarà per te una sorpresa che lui si trovi in infermeria con i suoi uomini”.

“Ma io non l'ho toccato”.

“Però è come hai detto tu. La sua forza è svanita nel momento in cui un ragazzo ha abbattuto i suoi uomini davanti agli altri prigionieri e lui è fuggito alla ricerca di un luogo sicuro. Mentre tu eri rinchiuso, la scorsa notte si è scatenata una rivolta... guidata da Drasus, per tua informazione. Ne avevano avuto abbastanza di Ristos e gliel'hanno fatta pagare. Non tutti hanno la capacità di resistere agli attacchi come te".

“Prima o poi gli sarebbe capitato”.

“Forse. Si tratta di un bruto, questo è vero. Ma esistono anche aspetti che vanno oltre l'aspetto superficiale. Per quanto fosse una persona meschina, aiutava a mantenere l'ordine". Il guardiano sollevò le braccia. "Ora che cosa posso fare?".

"Non posso dirti come svolgere il tuo lavoro, guardiano".

"Non puoi, certo, ma forse puoi aiutarmi. Tu potresti essere il mio prossimo Ristos?”.

“Io sono migliore di lui”.

“Davvero? Dimostralo”.

“Dimostrarlo? Lui è in infermeria e io ho appena un graffio”.

“E quindi? Prenderai il suo posto? Sostituirlo non ti rende migliore. Ti rende uguale a lui”.

“Non lo sapremo mai. Non ho in programma di rimanere”.

Con un movimento così veloce che colse di sorpresa Kytheon, Hixus prese il pesante anello di chiavi che pendeva dalla sua cintura e lo fece cadere sul tavolo. Il metallo sbatté sul legno e, prima che il suono svanisse, Hixus stava già brandendo un pugnale. Kytheon indietreggiò, sollevando i pugni per difendersi, e il suo corpo emanò una luce con frenetiche increspature.

“Non sentirti minacciato”, disse Hixus. "Cercare di ferirti fisicamente non porterebbe ad alcun risultato". Fece roteare il pugnale nella mano, in modo da reggerlo dalla lama, e lo offrì a Kytheon. “Prendilo”.

Kytheon esitò solo per un attimo. Le sue dita si chiusero sull'elsa.

“Ti offro la libertà”, continuò il guardiano. “Tutto ciò che devi fare è prendere le chiavi e la via di uscita è tua”.

“Mi lasceresti uscire così?”.

“No. Per prendere le chiavi, dovresti uccidermi. E, se ciò che si dice delle tue capacità in combattimento è vero, non penso di avere alcuna possibilità".

L'orgoglio emerse in Kytheon. Aveva sempre adorato combattere. Era portato.

Kytheon puntò il pugnale verso il guardiano per un lungo momento. Nessuno spostò lo sguardo dagli occhi dell'altro.

“Non ti ucciderò”, disse infine Kytheon. Abbassò le braccia e lasciò cadere il pugnale a terra.

“Perché non sei un assassino. Non sei come Ristos”.

“Mi dispiace deluderti”.

“Al contrario, sono deliziato da questa conclusione. Era quella che mi auguravo. Era ciò che ritenevo essere vero. Sei qui perché sei stato condannato per furto. Ma ciò che hai rubato era cibo, per sfamare i tuoi amici e le loro famiglie. Tu compi le azioni che ritieni giuste”.

Kytheon guardò la catena che penzolava tra le caviglie. “Che cosa vuoi da me?”.

“Dalla maggior parte dei miei prigionieri voglio tranquillità e obbedienza. Da te? Voglio che accetti la mia offerta. Voglio addestrarti, Kytheon”.


Sebbene Kytheon non avesse acconsentito all'addestramento, le sue proteste furono completamente ignorate. Venne convocato prima dell'alba successiva e trascinato fino alla modesta area degli allenamenti della prigione. Si trattava di un'area circolare di terra compattata, circondata da alte mura. Hixus lo attendeva nel centro di questa specie di arena circolare. Lanciò il suo anello di chiavi nella polvere.

“Sono sempre dell'idea che non ti ucciderò”, disse Kytheon.

“Mi auguro di no”, rispose il guardiano. “Vieni a prenderle”. L'angolo delle sue labbra si incurvò in un sorriso. “Prendile e sono tue”.

Kytheon si lanciò alla carica.

Dopo varie ore, Kytheon non era riuscito a guadagnare terreno. Ognuna delle sue cariche fu interrotta da catene di brillante energia bianca che fuoriuscivano dal terreno per bloccare i suoi arti o da sferzate di magia luminescente sufficiente a interrompere la sua corsa e a farlo rotolare nella polvere. Non c'era alcun progresso. Le chiavi rimanevano molto lontane dalla sua presa e si allontanavano a ogni tentativo.

Illustrazione di Chris Rallis

Poi, senza proferire parola, Hixus raccolse le chiavi e uscì dall'area degli allenamenti. Kytheon cadde in ginocchio nella polvere, pieno di rabbia e di disprezzo.

I giorni seguenti furono molto simili al primo: Hixus continuò a offrire le chiavi, Kytheon continuò a tentare di raccoglierle e a fallire, Hixus continuò ad andarsene con le chiavi e Kytheon continuò a ribollire per i risultati di quella specie di gioco crudele.

Un mattino grigio, dopo una tempesta, Kytheon faticò a rialzarsi dal pantano che il terreno dell'area degli allenamenti era diventato per quella che sembrava essere la centesima volta. Quando le sue forze vennero a mancare, cadde di nuovo nella melma.

Con gli occhi iniettati di sangue, urlò al guardiano "Non posso farcela!".

“Perché mai? Non sei abbastanza coraggioso?”.

Kytheon si voltò dall'altra parte.

Hixus continuò, “Non sei abbastanza forte? O abbastanza veloce?”.

Il guardiano si trovava sopra Kytheon e osservava il ragazzo sotto di lui che gli restituiva uno sguardo pieno di lacrime e disprezzo.

“Non è colpa mia! È colpa tua! Non mi lasci neanche avvicinare”, disse Kytheon.

Hixus si inginocchiò nel fango di fianco a lui. “Ora comprendi”.

Era comune chiamare la ieromanzia "magia della legge", ma Hixus diceva che era troppo semplicistico. “Le leggi vengono create dalle persone e le leggi possono essere modificate, ma vengono create in seguito a determinati comportamenti. Una persona compie un furto e le leggi vengono create per evitare altri furti. Questo è il punto di partenza della ieromanzia".

"Ogni azione ha una risposta in grado di annullarla", continuò Hixus. "Un maestro di ieromanzia può adattarsi a ogni scenario e modificarlo a suo favore. La vittoria va a chi ha il controllo della situazione".

Mezza decina di tentativi di fuga dopo, Kytheon fece l'abitudine al suo addestramento. Elogiò il suo talento naturale della lettura degli avversari in combattimento, analizzando la loro posizione e il loro linguaggio del corpo per comprendere la loro mossa successiva. La ieromanzia diede a Kytheon uno strumento per contrastare gli avversari e incrementare il suo vantaggio.

Ogni mattina, Kytheon lo studente veniva svegliato prima dell'alba per raggiungere Hixus nell'area degli allenamenti; ogni pomeriggio, le manette venivano rimesse ai suoi polsi e Kytheon il prigioniero tornava con gli altri alle cascate di Akros. Poté trarre beneficio da entrambe le attività. La ieromanzia rinforzò la sua mente e l'attività alla manovella gigante il corpo.

Illustrazione di Chris Rallis

Si abituò al ritmo e, per quattro anni, contò sulla struttura per affrontare le giornate. Fino al giorno in cui il suo ritmo venne interrotto.

Gli occhi di Kytheon si spalancarono al suono perforante di un urlo acuto. Si sollevò, in allerta. Era più tardi del solito. Dove sono le guardie?

Udì altre urla, che si sommavano le une alle altre a formare un crescente e terribile coro.

Arpie. Non era conscio di come facesse a rendersene conto, ma sapeva che erano loro. Sebbene non ne avesse mai incontrata nessuna, Kytheon sapeva di loro dai racconti... orrori alati che banchettavano sui morti e rapivano i bambini.

Scattò in piedi e corse alla finestra. Le arpie si stavano avvicinando dal fiume. Alle loro urla implacabili seguirono i profondi rintocchi delle campane che chiamavano i soldati ai loro posti sulle mura di Kolophon, l'imponente fortezza di Akros. Il rumore di panico significò che non era giunto alcun avvertimento dai cavalieri.

Kytheon osservò attraverso una sottile apertura della finestra la discesa dell'orda nella fortezza, come mosche su un cadavere. Il numero delle arpie era enorme e non riusciva a distogliere lo sguardo dall'oscuro ammasso di piume, artigli e fame.

Nel terribile rumore, Kytheon udì battere forte alla sua porta. Vide il volto di Hixus nella finestra sbarrata della porta.

“La città è sotto attacco”, gli disse Hixus.

“Arpie”.

“In un numero senza precedenti”.

La serratura scattò e la porta si spalancò. Il guardiano riempiva lo spazio della porta. Indossava la sua armatura completa... un pettorale di piastre di bronzo, stivaletti abbinati e un elmo con una cresta di metallo. In una mano brandiva la sua spada sguainata e dall'altro lato reggeva un sacco sulla spalla.

“Vuoi guadagnarti la libertà?”, disse Hixus, lanciando il sacco ai piedi di Kytheon.

Kytheon sollevò un sopracciglio. Si inginocchiò e cerco nel sacco; quando ritrasse la mano, era avvinghiata all'elsa di una spada di Akros. Il contenuto rimanente completava gli armamenti di un oplita: pettorale, stivaletti e scudo rotondo. Kytheon sorrise.

Poco dopo, Kytheon si ritrovò, con armi e armatura, nell'acquedotto cavernoso della prigione, insieme a poco meno della metà dei prigionieri. Il guardiano Hixus salì su un blocco di muratura e parlò ai criminali radunati.

“Come sapete bene, un gruppo di arpie sta per attaccare la città e non abbiamo ricevuto alcuna notizia dagli esploratori. Non ne sappiamo la ragione e non fa alcuna differenza. Mi è stato dato l'ordine di aprire le mie celle e di offrire la libertà a coloro che combatteranno per difendere la città. Voi. Nonostante ciò che è successo nel passato, Akros è la vostra città. Le vostre gesta di oggi ne plasmeranno il futuro e il vostro ruolo. Se morirete in battaglia, sarete tra gli eroi. Guadagnatevelo!”.


Kytheon e Hixus corsero dall'Arco dei Campioni alle chiare sabbie dell'arena, alla testa di un battaglione di prigionieri. Al loro approccio, le arpie si dispersero in aria, abbandonando i cadaveri delle guardie di Akros con cui stavano banchettando, per poi virare e attaccare quella che per loro era carne fresca.

Sono tantissime, pensò Kytheon.

Le creature alate sorvolarono la città, in una massa vorticante e famelica... e poi si scagliarono sui prigionieri.

I prigionieri si dispersero, scacciandone il più possibile. Un'arpia si lanciò su Kytheon, che ebbe appena il tempo di sollevare lo scudo per deviarne il peso. L'arpia afferrò il bordo dello scudo con i suoi artigli, ma Kytheon si appoggiò e riuscì a intrappolare il mostro sotto lo scudo. I suoi occhi oscuri la facevano sembrare quasi umana, fino al momento in cui separò le ruvide labbra e scoprì i denti aguzzi, perfetti per perforare la carne umana. L'arpia urlo, contorcendosi per liberarsi, ma divenne silente quando Kytheon piantò la spada nel suo collo.

Un'altra arpia colpì Kytheon alla schiena prima che potesse riappropriarsi della lama. Gli artigli si conficcarono profondamente nei muscoli del braccio sinistro. Kytheon serrò le mascelle e spostò il peso a destra per sfuggire al nuovo attaccante, facendo ruotare lo scudo per colpire l'arpia tra le costole e costringerla alla ritirata.

Si preparò a contrattaccare.

L'arpia girò intorno a Kytheon e si accovacciò, utilizzando le braccia come supporto. Kytheon girò insieme a lei. L'arpia si eresse, sollevò le ali nere e urlò.

Kytheon le balzò addosso.

Con un colpo delle ali verso il basso, l'arpia si sollevò in aria per schivare l'attacco, mentre un'altra si gettò su Kytheon. L'arpia e l'Akroano rotolarono nelle sabbie dell'arena.

Altre arpie si avventarono su Kytheon, come avvoltoi che convergevano per spolparne le ossa.

I loro denti levigati penetrarono nelle carni del braccio.

Kytheon urlò dal dolore, ma l'urlò si trasformò in un ruggito. Le sue braccia si strinsero intorno all'arpia che stava masticando le sue carni e la bloccarono. Utilizzandola come uno scudo contro le altre, si liberò. Lanciò via l'arpia e si rimise in piedi. Aveva guadagnato un momento di riposo.

Prima che l'arpia potesse riprendersi, Kytheon evocò dal terreno delle catene color bianco brillante per incatenare il mostro.

Illustrazione di Igor Kieryluk

Altri nemici piombarono da ogni direzione. Tutta l'aria intorno a lui era un insieme di piume nere e ogni rumore era coperto dagli acuti strilli delle arpie.

Un'improvvisa esplosione di energia bianca si propagò nel cielo sopra l'arena, diffondendo onde a forma di anelli concentrici. Attraversò la massa di arpie, che iniziarono a volare in modo irregolare, scontrandosi tra loro.

Hixus. Kytheon trovò il suo maestro sugli scalini della base di una colonna di Iroas, nel centro dell'arena. I suoi occhi brillavano di un bianco intenso, mentre emanava l'energia verso il cielo.

Kytheon evocò bianche catene brillanti per bloccare le arpie che cadevano disorientate a terra.

“Non rimarranno intrappolate per sempre”, ruggì Hixus con una voce intrisa di magia che poteva essere udita sopra le urla delle arpie. “Radunatevi intorno alla colonna al centro. Appoggiatevi di schiena e unite i vostri scudi!”.

Kytheon raccolse la sua spada e corse verso Hixus, dove i prigionieri sopravvissuti si stavano posizionando in un anello intorno alla colonna. Unirono gli scudi, con spade e lance che fuoriuscivano. Divennero un’unica entità, una falange nel Tempio del Trionfo che si ergeva compatta contro una schiera di nemici.

Molte arpie caddero e altrettante vennero cacciate.

Kytheon sollevò la spada a rendere onore. “Gli opliti delle Catene Spezzate!”, dichiarò, generando un ruggito collettivo.

La tregua terminò tanto velocemente quanto era iniziata. “Un ciclope!”, si udì urlare dalle mura di Kolophon.

“Un altro!”, urlò una seconda voce.

“Anche qui!”.

Kytheon si voltò verso Hixus, “Guardiano, le mura!”.

Sopra l'arena, le arpie si stavano radunando di nuovo. Le schiere volarono al di là delle mura, alla ricerca di prede più facili da abbattere.

“Imbattibili, se le arpie sorprendono le guardie”, disse il guardiano, “e la resistenza è inutile se i ciclopi sono in numero eccessivo”.

“Permettimi di chiamare a raccolta gli Irregolari. Se riesci a tenere le arpie lontane da noi, potremo respingere i ciclopi dalle mura".

Kytheon sentì il peso dello sguardo di Hixus. Incontrò il suo sguardo, si aspettò un insegnamento, anche nel mezzo di tutto questo, ma il suo maestro gli fece un semplice gesto di assenso.

Un attimo dopo, Kytheon stava percorrendo le mura che circondavano la città. Le arpie lo sfioravano e convergevano verso il Tempio del Trionfo. Si voltò per seguire il loro movimento e vide una brillante elica bianca salire verso il cielo. Impulsi salivano le spire, a fasci paralleli, e Kytheon comprese.

Le arpie erano attirate dalla fonte e stavano di nuovo convergendo verso il Tempio del Trionfo. Non sapeva per quanto tempo il guardiano e gli altri sarebbero stati in grado di reggere, ma, se non fossero riusciti a fargli guadagnare abbastanza tempo, la città sarebbe stata sconfitta.

Corse più velocemente possibile, superando sporadici gruppi di soldati che stavano combattendo contro i ciclopi. Ogni colpo contro le mura risuonava in tutta la città, attraverso il marmo e la pietra.

Giunse infine al Quartiere degli Stranieri, in cui le vecchie mura deviavano verso l'interno, segnando i confini originali della città. Le mura erano state estese per includere il Quartiere degli Stranieri, ma non erano altrettanto alte o formidabili. Dalla sua posizione, poteva vedere tre ciclopi che si dirigevano verso le mura. Se non fossero stati respinti, le avrebbero fatte crollare.

Dalle vecchie mura, Kytheon saltò sul Picco di Pietra, un passaggio elevato che era stato costruito nelle mura e che permetteva un rapido accesso intorno al Quartiere. Mentre correva, poté gustarsi i pungenti odori familiari del Quartiere. Sotto di lui si trovavano strade a lui familiari e amate, strade che non aveva più visto da quando era stato catturato dalle guardie di Akros. Era stato lontano per quattro anni. Era lontano nel momento in cui l'attacco aveva avuto inizio. Ma ora era presente. Era a casa.

Kytheon seguì il Picco di Pietra fino alla porta fortificata del Quartiere, il punto da cui i non Akroani entravano nella città. Avvicinandosi vide un uomo guidare le persone che trasportavano enormi fasci con cui rinforzare la porta. Kytheon si mise a ridere. Conosceva quell'uomo, un Irregolare di nome Zenon, originario di Setessa, che scommetteva su qualsiasi cosa. La sua chioma era cresciuta selvaggia, ma indossava lo stesso mantello verde che aveva portato con sé dalle città dei boschi quando era giunto ad Akros anni prima. Kytheon chiamò il suo amico.

“Quando mi hanno detto che avevano liberato i prigionieri, non ci potevo credere”, disse Zenon.

“Quanto hai scommesso che sarei stato ancora vivo?”.

“Chi dice che ho scommesso sul fatto che tu fossi vivo? Comunque, non è il momento di riscuotere le vincite”. Le sue labbra si aprirono in un sorriso che sarebbe sembrato crudele, se Kytheon non l'avesse conosciuto. “Ora, nel caso in cui tu non lo sappia, ci sono alcuni ciclopi che cercano di fare breccia in città. Ci date una mano?”.

Kytheon scese in strada per aiutare a trasportare uno dei fasci. Le mura dietro di loro rimbombarono e gemettero al colpo di un ciclope.

“Crollerà!”, urlò Zenon.

Kytheon si voltò verso l'amico. “Allora dobbiamo aprire la porta”.

“Che cosa?”. Zenon lo guardò sbigottito.

“Fidati di me”, rispose Kytheon correndo verso la porta. Comprese l'esitazione di Zenon; solo pochi anni prima il suo volto avrebbe avuto la stessa sconcertata espressione oppure sarebbe corso alle mura sotto attacco senza pensarci due volte. Ma oggi non era un giorno di qualche anno fa. Adattati, trasforma la situazione a tuo vantaggio e garantisciti la vittoria.

Kytheon si lanciò di peso con sicurezza su uno dei fasci che tenevano chiusa la porta.


Le grandi porte in legno gemettero e i cardini cedettero alla forza delle manovelle che li governavano. Il suono non passò inosservato. Come Kytheon aveva sperato, i ciclopi spostarono l'attenzione sull'apertura nelle mura e corsero in quella direzione. Kytheon e un gruppo di Irregolari marciarono attraverso la porta e verso la strada rialzata.

“Chiudetela!”, ordinò Drasus ai soldati posizionati alla porta.

Il primo ciclope lanciò il suo assalto dalla strada rialzata mentre le porte stridevano alla chiusura. Fu un assalto di pura rabbia e inarrestabile fame, con l'occhio puntato sulla porta dietro agli Irregolari. Aveva una bocca sproporzionatamente grande, che schiumava durante la corsa, spargendo ammassi di saliva in tutte le direzioni. Era una bocca in grado di ingoiare un'intera persona.

Illustrazione di Raymond Swanland

Gli Irregolari si posizionarono per respingere la carica, con le lance pronte e Kytheon in cima alla formazione. Il ciclope sollevò una delle sue enormi braccia per scansare quella scocciatura e Kytheon evocò dal terreno le catene forgiate dalla magia e imprigionò i suoi polsi.

“Pronti, Irregolari!”, disse Kytheon.

Il ciclope lottò contro le catene, ma ne apparvero altre. Infuriato, il ciclope si scagliò in avanti in un tentativo di liberarsi. Kytheon fece svanire la magia e la spinta del mostro lo fece rotolare verso i difensori. Gli Irregolari sfruttarono lo slancio del suo stesso peso, che li aiutò a trapassarlo con le lance. Il ciclope emise un ruggito che si spense in un gorgoglio quando il sangue raggiunse la gola, prima di crollare sulla strada tra Kytheon e gli Irregolari.

Prima che Kytheon potesse riunirsi ai suoi compagni, un secondo ciclope gli fu addosso. Zenon di Setessa gettò la sua lancia a Kytheon, il quale la prese appena in tempo per togliersi dalla portata del ciclope. Kytheon roteò, caricò il peso su un piede e conficcò la lancia nel lato della gamba della creatura. La punta della lancia si fece strada attraverso i muscoli, fino a spuntare dall'altro lato.

Il ciclope cercò di schiacciare Kytheon. Fece un passo per girarsi. Spostando l'altra gamba, andò a sbattere contro l'asta della lancia e crollò sulle ginocchia.

Kytheon passò la spada intorno alla sua gola.


Illustrazione di Adam Paquette

Kytheon osservò il sole spuntare sopra le cime delle montagne intorno ad Akros. Interruppe per un attimo la sua scalata, per godersi la luce del sole sul volto.

Drasus lo raggiunse. “Che cosa stai facendo?”.

Kytheon osservò Akros sotto di loro. "La prigione è l'ultima parte di Akros a vedere il sole, lo sapevi?".

"Non mi sorprende".

"Oggi noi siamo i primi", continuò Kytheon chiudendo gli occhi e riempiendo i polmoni di aria fresca.

“Meritatamente, direi. Guarda”. Drasus indicò la strada rialzata davanti alla porta principale della città, dove si potevano contare più di venti abitanti di Akros che tiravano le corde legate al cadavere senza vita di un ciclope che stavano togliendo di mezzo. Altri due ciclopi giacevano inanimati.

“Meritatamente”, confermò Kytheon.

I due Irregolari ripresero la loro salita. Analizzarono l'area circostante alla ricerca di un'altra ondata di mostri, per verificare se l'attacco fosse terminato.

Più in alto nella loro salita, Kytheon e Drasus si separarono. Drasus aveva il compito di esplorare a nord e Kytheon a sud.

Kytheon proseguì per più di un'ora lungo un percorso su pietre friabili che lo portò in alto sul lato della montagna. Non era uno scalatore esperto, ma contava sui suoi riflessi per non perdere l'equilibrio. Il sentiero lo portò al bordo di una profonda gola che scendeva fino a un fiume che si dirigeva dalle montagne verso Akros. Da un lato all'altro della gola si stendeva un ponte di roccia che aveva contemporaneamente un aspetto naturale e artefatto. Lo sguardo di Kytheon seguì il ponte su tutta la sua lunghezza. L'altro lato era illuminato dalla luce del giorno, nonostante le ombre che velavano ancora le rocce circostanti.

Kytheon attraversò il ponte.

Fu sorpreso di trovare un uomo ad accoglierlo. L'uomo aveva un aspetto potente e indossava una fluente veste dorata. Una folta chioma nera scendeva fino a sotto le spalle e sul suo capo si trovava un alloro di foglie dorate. La sua lancia terminava con una brillante filigrana dorata intorno a un globo luminoso. Dietro quell'uomo si ergeva un'immensa statua di marmo, così brillantemente illuminata che Kytheon non era in grado di individuarne le fattezze.

“Kytheon Iora di Akros”, disse l'uomo con una voce che sembrava provenire da tutte le direzioni. “Il tuo compito non è ancora terminato”.

“Hai ragione, se ti poni sul mio cammino”. Strisce di energia bianca iniziarono a incresparsi sulla superficie della pelle di Kytheon. “Chi sei?”.

L'uomo abbassò a terra la punta della sua lancia e il cambio di illuminazione rivelò i lineamenti della statua, che Kytheon vide essere una replica di marmo dell'uomo.

Illustrazione di Raymond Swanland

Tutto ciò che Kytheon riuscì a dire fu “Eliod”.

“Dio del sole”, tuonò Eliod.

Kytheon si inchinò.

"Ti è stato assegnato il compito di difendere la tua città. I mostri che l'hanno attaccata non lo hanno fatto con malvagità. Stavano fuggendo da un pericolo molto più grande. Mio fratello, Erebos, dio del mondo sotterraneo, ha assoldato un crudele titano che infesta le terre sotto queste montagne. Akros si trova sul suo cammino”.

“Quale cammino? Che cosa vuole?”.

“Ha il compito di rivendicare coloro che sono fuggiti dal mondo sotterraneo. Coloro che si metteranno davanti al suo cammino non hanno alcun valore per Erebos, che è interessato solo all'inevitabilità che tutti i mortali vadano a finire nel mondo sotterraneo".

Il dio del sole si avvicinò e mise una mano sulla spalla di Kytheon. "Hai dimostrato il tuo valore di guerriero nell'attacco alla tua città, ma ora è giunto il momento di mostrarti degno di essere il mio campione". Fece un gesto verso il cielo illuminato dal sole e la luce prese forma intorno alla sua mano. Si allungò e si trasformò in una lancia che aveva l'aspetto dell'arma stessa del dio.

"Distruggi il titano con questa lancia. Questo è il tuo compito. Questa è la tua ordalia".

Kytheon rimase a bocca aperta, sia per la lancia che per il compito che il dio gli aveva assegnato.


Kytheon corse. Sotto i suoi piedi scorreva veloce la terra brulla. Il suo petto sobbalzava e i suoi polmoni bruciavano, ma le gambe continuavano a spingere. Le gambe di Kytheon lo avrebbero portato fino alla bassa collina sottostante, dove si trovava una formazione di rocce in rovina battute dal vento. Laggiù non sarebbe stato solo.

Un pesante rumore di passi, uno ogni mezza dozzina dei suoi, scosse il terreno dietro di lui, sollevando nuvole di polvere. Uccidere un titano non sarebbe stato un compito facile, ma Kytheon aveva chiaramente attirato l'attenzione del servitore di Erebos. Kytheon osservò il sangue appiccicoso e nero che copriva l'estremità della sua lancia nata dal sole e azzardò uno sguardo sopra la sua spalla. La vista era riempita dalla figura del titano.

Illustrazione di Peter Mohrbacher

Il titano era rivestito da un'armatura di scaglie realizzate con schiere di maschere dorate di coloro che erano fuggiti dal mondo sotterraneo. In quel momento, gli occhi vuoti di ogni maschera sembravano osservare Kytheon.

Un'ombra fu su di lui. Kytheon vide la testa dell'imponente mazza ferrata del titano cadere su di lui come una meteora. Si lanciò di fianco e la mazza colpì il terreno di fianco a lui.

Quando Kytheon raggiunse le rocce, continuò a correre. Mentre passava attraverso due colonne in rovina, la mazza ferrata del titano polverizzò quella alla sua sinistra. Esplose in una grandinata di frammenti di pietra.

Kytheon rovinò al suolo. Sentì un calore sul retro della testa e, quando si portò una mano alla nuca, la ritrovò macchiata di sangue. Distratto, pensò Kytheon. Avrei dovuto prevederlo. Lo sferragliare della catena indicò a Kytheon che il titano stava preparando la sua mazza ferrata per un altro colpo. Doveva continuare a muoversi.

Il titano emise un basso e rombante ruggito e un fetore di muffa e putredine uscì dalla sua bocca. Kytheon ingoiò l'aria nauseante e, sebbene sembrasse avvinghiarsi all'interno della sua bocca, fu sufficiente per sfuggire al tentativo del titano di ridurre in poltiglia l'aspirante campione di Eliod.

Il titano sferrò un colpo di rovescio. Kytheon lo anticipò. Subì il colpo senza danni e senza spostarsi, grazie alla sua magia protettiva che aveva assorbito l'impatto. Afferrò una delle dita enormi del titano e lo tenne stretto. Aveva solo bisogno di un attimo.

“Ora!”. Kytheon urlò.

Un istante dopo, Drasus si lanciò alla carica da dietro un'altra colonna di pietra. “Irregolari”, chiamò, “abbattetelo!”.

Tre Irregolari emersero dai loro nascondigli e si unirono a Drasus. Avevano corde che terminavano in primitivi uncini. Questo è un altro bullo del Quartiere, pensò Kytheon, sorridendo nel caos.

Olexo, il più giovane tra loro, lanciò la sua corda sopra al massiccio avambraccio del titano e l'uncino affondò nelle pallide carni. Gli altri fecero altrettanto e, quando il titano si libero dalla presa di Kytheon, gli Irregolari strattonarono le loro corde. Il titano perse l'equilibrio. Infuriato, fece ruotare la mazza ferrata sopra la sua testa, chiaramente con l'intento di liberarsi di quelle scocciature.

Illustrazione di Karl Kopinski

Ogni azione ha una risposta. L'idea riempiva la mente di Kytheon. Ogni azione ha un momento in cui, se riconosciuto, può essere utilizzato per ottenere il controllo del combattimento. Trovò l'occasione.

Mentre la nera mazza ferrata roteava sopra la testa del titano, Kytheon utilizzò la magia ieromantica per evocare un cuneo di energia che colpì il titano all'interno del gomito e fece piegare il braccio. Lo slancio della testa della mazza ferrata le fece continuare la traiettoria sopra la spalla del titano, colpendolo sulla schiena. Si piegò sulle ginocchia e sollevò la testa per ruggire in agonia e rabbia.

Questo era tutto ciò di cui aveva bisogno Kytheon. Balzò su una delle colonne, si voltò e si lanciò addosso al titano brandendo la lancia. La luce del sole illuminò la punta della lancia, accecando il titano mentre si avvicinava, finché non venne conficcata profondamente nel suo petto, tra le maschere dei Risvegliati. Sangue oscuro iniziò a colare intorno alla lancia e il titano fece un altro sussulto prima di crollare nella polvere.

Kytheon spinse via il titano abbattuto. L'ordalia è finita, pensò. Il compito assegnato da Eliod è stato portato a termine. Akros è salva.

Riprese la sua lancia e si voltò verso gli Irregolari. Erano di fronte a lui, un gruppo di ragazzini del Quartiere degli Stranieri. Insieme erano riusciti a spezzare la morsa dei signori del crimine nel Quartiere, difendere Akros da mostri oscuri e distruggere un titano al servizio di un dio a nome di un altro dio. Erano i suoi compagni, la sua famiglia e le sue condizioni per accettare l'ordalia del dio del sole. Da solo era forte e abile. Ma con i suoi Irregolari, cosa potevano mai essere i bisticci degli dei?

Con la coda dell'occhio, Kytheon vide l'orizzonte muoversi. Quando si voltò, vide due fili di fumo sollevarsi in cielo, provenienti da due occhi oscuri. Erebos, Dio dei Morti incombeva minacciosamente all'orizzonte, testimone della sconfitta del suo servitore. Vapori color nero inchiostro si sollevavano dagli occhi tetri del dio, nel suo volto che non trasmetteva alcuna emozione.

Kytheon caricò la sua lancia. Lui era il campione di Eliod, Dio del Sole. Se Erebos era la causa di tutti questi problemi, avrebbe dovuto risponderne. Kytheon scoccò la lancia. Sentì il suo potere fluire e lo scatenò; la lancia descrisse una traiettoria in aria verso il dio dei morti.

Senza mostrare alcuna emozione, Erebos fece un semplice movimento con il suo polso emaciato. All'orizzonte, la sua frusta si srotolò, come se avesse una vita propria. Incontrò la lancia del campione in volo ed Erebos fece un altro movimento con il polso. La frusta schioccò, deviando la traiettoria della lancia verso Kytheon a velocità impressionante.

Kytheon rimase immobile, in atteggiamento di sfida, pronto al contrattacco e gli Irregolari si strinsero intorno a lui. Striature di luce scintillarono sulla sua pelle ed evocò tutta la magia e la forza che poté, mentre osservava la punta dell'arma che si stava avvicinando.

Quando la lancia gli fu addosso, esplose in una luce intensa che inondò Kytheon, rendendo tutto bianco.

La luce rimase nell'aria per un certo tempo e, quando si spense, Kytheon ebbe bisogno di un attimo per regolare la sensibilità dei suoi occhi. Le sue orecchie fischiarono e fu difficile ritrovare la concentrazione.

Il mondo intorno a lui riprese lentamente colore. Guardò in basso e ispezionò il punto in cui la lancia aveva colpito. Nessun danno, ma notò tracce di rosso. Tese il braccio per ripulirsi e vide che anche il dorso della sua mano era macchiato di rosso; lo erano entrambe le sue mani. Quel sangue, però, non era il suo...

Illustrazione di Winona Nelson

No.

Si guardò intorno.

Vide quattro corpi senza vita.

No.

Il terreno sobbalzò e Kytheon fece fatica a mantenersi in piedi. Vacillò tra gli Irregolari caduti, a bocca aperta. La sua mente tornò sulla lancia, scagliata dalla sua stessa mano.

Stringendo i pugni, Kytheon iniziò a tremare. La sua magia prese nuovamente vita e bande di luce si mossero sempre più velocemente sul suo corpo. La sua pelle emanava archi di luce che uscivano da lui con intensità crescente. Il cielo sopra di lui iniziò a girare.

Una luce bianca continuò a fuoriuscire e il panorama intorno a lui iniziò a muoversi, piegarsi e allungarsi.

Emersero delle pianure.

Il cielo crepuscolare divenne blu acceso.

Nulla ebbe più senso; sembrava come se stesse arrivando la fine del mondo.

Con occhi rossi e volto contorto in agonia, Kytheon alzò gli occhi e vide un sole brillante. Chiuse gli occhi e si inginocchiò, incapace di muoversi.


Il tempo trascorse. Kytheon non ebbe idea di quanto tempo fosse passato. Un leggero dolore continuo intorpidiva le sue interiora.

Senti drizzarsi i peli sulla nuca. Qualcuno mi sta osservando, pensò. Erebos? Eliod? D'accordo. Che vengano.

Poi udì un'esplosione di aria calda, accompagnata da un ringhio rombante. I suoi occhi si aprirono e la sua vista venne riempita da un'enorme massa indistinta che si stagliava contro il sole.

Un volto.

Le sue pupille si abituarono alla luce.

Un volto leonino.

Kytheon barcollò all'indietro a quella rivelazione, sollevando le braccia in segno di difesa. Il leone non si mosse e, dopo qualche istante, Kytheon abbassò le braccia. Vide che il leone era adorno come un cavallo da guerra e, sopra una sella, si trovava una cavaliera in armatura, diversa da ciò che Kytheon aveva visto fino a quel giorno. La cavaliera era coperta dalla testa ai piedi ed emanava un bagliore.

Illustrazione di Anastasia Ovchinnikova

Nonostante avesse la gola secca, Kytheon riuscì a parlare. "Dove mi trovo? Chi sei?".

“Il mio nome è Moukir, capitano dei Cavalieri della Via del Pellegrino. Tu sei sperduto nella nazione di Valeron, su Bant. Sei malato". Mentre la cavaliera parlava, Kytheon si accorse che non era sola. Un gruppo di cavalieri si era riunito dietro al loro capitano. “Come ti chiami, viandante?”.

“Kytheon”, disse Kytheon con voce strozzata.

“Gideon?”, chiese conferma Moukir.

Prima di riuscire a correggere la cavaliera, Kytheon venne sopraffatto da un'improvvisa ondata di serenità. I suoi occhi si alzarono al cielo.

Oltre i cavalieri, vide una donna scendere dall'alto, sorretta da due ali di piume bianche. Aveva un aspetto nobile, che lo tranquillizzava e lo ispirava allo stesso tempo. Volteggiò su di lui, un angelo ricoperto da un'armatura di piastre come i cavalieri.

In quel momento, Kytheon capì di aver abbandonato Theros, la sua dimora. I suoi Irregolari non c'erano più... un dolore che aveva portato con sé. La sua ordalia era appena iniziata.

Illustrazione di Willian Murai